Dopo la “bomba Verdini”, alcuni dei suoi chiedono per lui un ruolo più marginale: “Non sia più il frontman”

Una sentenza così non se la aspettava nessuno. Che il Tribunale di Firenze condannasse Denis Verdini in primo grado nell’ambito del processo per il crac del Credito cooperativo fiorentino era messo in conto, ma i nove anni di reclusione con interdizione perpetua dai pubblici uffici sono stati una bomba per il gruppo Ala del Senato e per quello di Ala-Scelta civica della Camera. Nel day after si registra lo smarrimento generale e la richiesta, da parte di alcuni, che il senatore toscano abbia in futuro un ruolo sempre più marginale all’interno del nuovo soggetto politico che i cosiddetti verdiniani e i transfughi di Scelta civica dovrebbero far nascere già questo mese in vista delle prossime elezioni.

Il gruppo della Camera intanto vacilla, qualcuno è in bilico . Almeno due deputati provenienti da quella che fu Scelta Civica non nascondono la loro delusione e anche la voglia forse di tornare con il gruppo che adesso ha preso il nome di Civici innovatori. Si temporeggia per vedere cosa succederà nei prossimi giorni. Appunto, se ci sarà la convention per fondare un nuovo soggetto politico: “Ci siamo uniti per fare un percorso insieme, nella consapevolezza che bisognasse superare Scelta Civica e Ala”, spiegano alcuni di Sc, per il quali: “Adesso bisogna cambiare in qualcosa di nuovo e Verdini non può più avere quel ruolo che aveva prima, insomma non potrà più essere il frontman”.

Uno dei colonnelli di Verdini, tra i più vicini, dice però di non essere affatto preoccupato di eventuali emorragie, anzi. Se qualcuno degli ultimi arrivati andrà via – questo è il ragionamento – è anche meglio. “In vista delle elezioni se vanno via 6-7 persone si liberano posti in lista. Anche perché sono persone che non hanno voti, in questo modo noi avremmo più candidature da offrire”.

Al Senato per adesso il gruppo tiene a parte i due, Giuseppe Ruvolo e Riccardo Conti, che hanno lasciato Denis Verdini poche settimane fa per passare con l’Udc. Fughe immediate non dovrebbero essere in programma, ma è possibile che nelle prossime settimane qualcuno provi ad riavvicinarsi a Forza Italia, annusando i colleghi di Palazzo Madama ma gli azzurri garantiscono: “È complicato un loro rientro alla vigilia delle elezioni”. Insomma, Silvio Berlusconi è una persona buona ma i suoi non glielo permetteranno o comunque saranno gli ultimi a poter pretendere un posto lista.

Notizie Italy sull’Huffingtonpost

Il caso Consip fa tremare il Giglio magico. L’indagine su Tiziano e la nuova luce sui rapporti con Verdini. Quadrato intorno a Lotti

Ci sono dei giorni in cui tutti gli elementi di una storia si compongono come in un mosaico perfetto. Squarciano il velo sul passato e spalancano le porte sull’ignoto, in questo caso al giglio magico. Chi ha avuto contatti con l’ex premier racconta che, per la prima volta e a dispetto degli spin, la preoccupazione è tangibile: “Se si dimette Lotti, salta tutto”, sussurra la fonte. Al momento la linea è fare quadrato, respingendo ogni accusa (leggi qui post di Lotti su facebook) e attaccando i Cinque Stelle che presenteranno la mozione di sfiducia, in attesa degli sviluppi dell’inchiesta Consip. E al momento la linea è “le primarie si faranno il 30 aprile”. Ovvero, non saranno rinviate, né Renzi ha intenzione di intestarsi una “mossa” di conciliazione interna, né tantomeno di fare “passi indietro”.

Il solo fatto che, tra ministri e nella war room dell’ex premier, si facciano questi ragionamenti, unito al silenzio inquieto e teso di un ceto politico solitamente ciarliero su ogni mezzo di comunicazione, tutto questo dà il senso di come il momento sia vissuto come una sorta di tentativo di Idi di marzo, politiche e giudiziarie. Diverse volte, nella storia d’Italia, le inchieste hanno dato il colpo di grazia a leader già indeboliti politicamente, come accadde prima con Craxi e poi con Berlusconi. E non è sfuggito, dalle parti dell’ex premier, il modo in cui stia leggendo la fase Giorgio Napolitano, uno che ai tempi del primo era presidente della Camera e ai tempi del secondo da capo dello Stato esercitò un forte ruolo di indirizzo politico. In un’intervista a Concita Sannino su Repubblica è proprio Alfredo Mazzei, un suo amico storico napoletano, migliorista, collaboratore della sua fondazione, a raccontare la famosa cena in una “bettola” tra Romeo e il papà di Renzi. E non è un mistero che tutto il mondo di Napolitano, da Violante a Macaluso, abbia fortemente invitato Orlando a candidarsi, poco prima che deflagrasse l’inchiesta e quando l’unica alternativa era Emiliano, troppo “grillino” per affidargli il Pd.

Ecco perché fa davvero paura l’inchiesta Consip che, tra l’altro, dopo il 4 dicembre ha avuto un salto di qualità, con l’acquisizione di nuovi elementi probatori, a partire dalle confessioni di Marco Gasparri. Perché è evidente, sussurrano le stesse fonti, che il “babbo” di Renzi era indagato per traffico di influenza e ora l’attività della procura è volta a verificare se ci sono le condizioni per un’accusa di corruzione. E che investigatori e inquirenti, che venerdì interrogheranno Tiziano Renzi, sono a caccia di prove del fatto che si facesse pagare per la sua mediazione.

Il “babbo”, ma anche “il Lotti”, e “Denis”: il processo Consip suona come un processo al sistema di potere costruito negli sfavillanti mille giorni di governo, che illumina la struttura materiale di quel potere scevra della sovrastruttura narrativa. L’inchiesta dell’Espresso (leggi qui) su “pressioni e ricatti” che avrebbe subito l’ad di Consip Marroni dall’imprenditore Carlo Russo, amico di Tiziano Renzi, spiega questi anni di sodalizio inscalfibile tra Verdini, l’ex plenipotenziario di Berlusconi, e Lotti: l’asse inscalfibile, la stampella al governo, anche senza posti, perché, a leggere le carte, non era il governo il vero interesse del sodalizio. E spiega quelle frasi pronunciate da Bersani sulla mutazione genetica del Pd, “parla più con Verdini che con Speranza”, “questa non è più casa mia”.

Ci sono giorni, solitamente i più neri, in cui come si dice in gergo “arrivano tutte assieme”, ed arriva anche l’ennesima medaglia al valor giudiziario di Denis Verdini: la condanna a 9 anni (nell’ambito del processo per il crac del Credito cooperativo fiorentino.

Tutto questo quadro, fatto di accuse a uomini che, a partire da Lotti, solitamente non agivano a insaputa del premier, ha già cambiato tutto, al netto delle dichiarazioni ufficiali. Ha già spostato il terreno di confronto delle primarie, tanto che più di un big ha suggerito di spostarle, ricevendo come risposta: “Sarebbe come ammettere la colpa”. E a quel punto “non la riprendi più” come è emerso lunedì sera, alla riunione dei franceschiniani, piuttosto mossa. Un competitor di Renzi è un magistrato che, nel processo, sarà ascoltato come testimone per la vicenda degli sms. L’altro è il ministro della Giustizia, che abita un Palazzo dove l’aria che tira si può sentire meglio che altrove. E che, se mai qualche ultrà del renzismo dovesse chiedere di mandare ispettori in qualche esuberante procura, avrebbe il potere di dire di no. Pare un mosaico perfetto, il passato nelle carte, il futuro del giglio magico come una porta sull’ignoto.
Notizie Italy sull’Huffingtonpost

Governo Gentiloni, i ministri di Verdini spariscono al Colle

Quando quella vecchia volpe di Fabrizio Cicchitto arriva allo stadio Olimpico per la Roma, parecchi deputati lo avvicinano in tribuna d’onore: “Tu che conosci Verdini, come la leggi questa cosa che non è entrato al governo”. Risposta: “O ha peccato di ingordigia, chiedendo troppo. O è il segnale che il governo cade quando vuole Renzi”. O entrambi.

Ecco la scena, di quando le richieste di Denis sono nero su bianco. E non vengono accolte. Nella lunga ora di Paolo Gentiloni al Quirinale spariscono i ministri di Denis Verdini dalla lista. Un ministro dall’aria mite come Zanetti? O due nomi legati a un ingombrante passato in forza come Marcello Pera e Saverio Romano, circolati per tutta la giornata? Colloquio lungo, interrotto da un po’ di contatti con l’esterno. Telefonate, valutazioni. In parecchi ricordano il precedente della formazione del governo Renzi, quando nello studio del capo dello Stato fu depennato dalla lista e sostituito da Andrea Orlando. O quando, ai tempi della formazione del governo Monti, nello studio di Napolitano passarono due ore, perché c’era il nodo delle deleghe di passera e la complessa mediazione con Berlusconi da un lato e Bersani dall’altro.

Stavolta il grosso delle telefonate è con i vertici del gruppo del Senato. Gentiloni e Zanda hanno un’antica consuetudine, sin dai tempi della giunta Rutelli che si occupò di Giubileo: “Verdini – è il senso del ragionamento condiviso – non lo reggiamo. Pezzi di gruppo si rifiutano di votare la fiducia. Ma i numeri li abbiamo senza Denis?”. Gentiloni offre a Verdini posti di ministri e sottosegretari, ma spiega che, con i ministri, salta l’equilibrio complessivo. Denis a quel punto fa uscire, come strumento di pressione, la dichiarazione che “Ala non voterà la fiducia”. All’uscita dal colloqui al Colle però i ministri di Denis non ci sono.

I numeri al Senato ballano. L’ultima fiducia sulla legge di Bilancio è passata con 173 sì la scorsa settimana, con l’apporto delle truppe di Ala (18 senatori). Sulla carta i verdiniani sono aggiuntivi, non sostitutivi, ma nella navigazione quotidiana – quando tra influenze, missioni, assenze mancano parecchi parlamentari – sono molto importanti. Prosegue il flusso di comunicazione tra Zanda e il neo premier: “Reggiamo anche senza Verdini, tra senatori sparsi di buona volontà e l’aiuto di qualcuno di Forza Italia”. Proprio ieri Silvio Berlusconi ha diramato le sue regole di ingaggio per i parlamentari che vanno in tv e anche per i suoi giornali: “Non usate toni duri, opposizione responsabile” verso l’ex ministro delle Comunicazioni del governo Prodi stimato dai vertici di Mediaset. Ma questo è un altro capitolo.

Tornando a Verdini: è un fardello pesante. Per i senatori della sinistra, ma anche in chiave di congresso. Renzi, alla scorsa direzione ha citato Pisapia e Pisapia insieme a Cuperlo e Merola sta lavorando su uno schema di sinistra docile non alternativa, ma stabile nell’orbita del renzismo. È difficile assecondare questo processo con le truppe di Verdini al governo. E chissà se è un caso che l’ingordo ha prospettato non un governo, ma una abbuffata, neanche fosse al governo con Berlusconi. Proponendo Zanetti, che per fare il ministro si è alleato con Verdini. Ma anche una casella di peso, di prima fascia (Istruzione, Agricoltura o Sanità) mettendo sul tavolo i nomi di Pera e Saverio Romano. Suggerisce un parlamentare di Ala: “Vediamo come apre Libero domani”. Libero è il quotidiano di Antonio Angelucci, parlamentare di Forza Italia e re delle cliniche in varie regioni, citato anche nel famoso fuorionda di Nemo da Vincenzo D’Anna, in relazione alla nomina dei commissari campani e dell’emendamento per De Luca. Quando iniziò la campagna referendaria, per schierare il giornale sul SI, cambiò addirittura il direttore.

Insomma, l’ingordigia. Il passaggio successivo è il rifiuto dei posti da viceministro e sottosegretari. Rabbioso, Denis chiama Renzi davanti ai parlamentari che riunisce a via Poli, uno sfogatorio: “Siamo rimasti fuori, non era questo il progetto”. Senza piatto ricco, le briciole non servono. Il risultato è in una battuta che circola a via Poli, sede di Ala: “Faremo opposizione al governo, come Renzi…”.
Notizie Italy sull’Huffingtonpost