Sono gli aerei nuovi più sicuri di quelli vecchi?

Antonio Bordoni, esperto di aeronautica commerciale, ancora una volta ci invita ad una riflessione basandosi su elementi certi.

     Molti, viaggiando per lavoro in Paesi in via di sviluppo, a bordo di aerei datati, magari utilizzati per coprire remote località interne, si sono sempre basati sul fatto che su quegli aerei viaggiavano anche i piloti e quindi se si sentivano sicuri loro potevano esserlo anche i passeggeri.

     Oggi, nei cosiddetti tempi moderni, soprattutto lungo le tratte più gettonate, vengono utilizzati aeromobili di ultima generazione e dotati delle più moderne tecnologie avioniche … tuttavia gli ultimi eventi occorsi ci obbligano a distinguo così come descritto nell’ultima newsletter del sito www.air-accidents.com che, qui a seguire, riportiamo integralmente.

 

QUANDO L’AEREO E’ TROPPO NUOVO

 

L’opinione pubblica erroneamente ritiene che aereo nuovo equivalga a più sicurezza.

Tale convinzione è un retaggio della vecchia aviazione commerciale quando le compagnie charter volavano con aerei messi in disuso dai vettori tradizionali.

Oggigiorno una tale concezione è decisamente superata perché il mercato dell’usato è passato di moda e le compagnie acquistano direttamente dai costruttori i loro aeromobili.
Sempre negli anni passati, ed ancora una volta erroneamente, all’indomani di una tragedia dell’aria i media erano soliti parlare di “carrette del cielo”.

Ma il ricorso a questi eclatanti titoli più che corrispondere a obiettive verità derivava dalla necessità di far colpo sull’opinione pubblica.
Oggi con una aviazione commerciale i cui incidenti fatali si possono contare sulle punta delle dita, possiamo affermare che è assolutamente errato credere che a cascare siano solo datate “carrette del cielo”.

Per quanto strano possa sembrare le cronache dell’aviazione civile sono purtroppo piene di casi di tragedie dell’aria avvenute perché l’aereo era troppo nuovo o, variante sul tema, perché l’equipaggio ancora non aveva familiarità con quel modello.

 

Le due recenti sciagure che hanno visto quale protagonista l’ultimo nato in casa Boeing ne sono la prova più evidente.
Se andiamo indietro nel tempo alla ricerca di incidenti che hanno colpito aerei di fresca consegna non avremmo altro che l’imbarazzo della scelta e potremmo ad esempio iniziare da un caso italiano che ha visto coinvolto un velivolo che era stato consegnato alla compagnia appena due settimane prima.

Era l’11 marzo 1967 quando un nuovissimo bimotore Twin Otter della compagnia Aeralpi in volo da Venezia-Marco Polo a Cortina, aeroporto di Fiames precipita in località Fadalto. A bordo 2 piloti e due passeggeri.

L’aereo era partito da Milano e aveva fatto scalo a Venezia dove erano scesi 12 passeggeri.

Il velivolo di cui la produzione era iniziata nel 1964 era stato consegnato alla compagnia appena due settimane prima, il 24 febbraio.
La Aeralpi era una aerolinea nata su iniziativa di alcuni investitori pubblici e privati, tra i quali il conte Cesare d’Acquarone, Giovanni Ferrari e Umberto Klinger, convinti dell’opportunità di sfruttare l’esigenza di collegare il traffico turistico da e per Cortina d’Ampezzo usando il mezzo aereo. (1)

 

Ma se l’incidente dell’Aer Alpi fu principalmente causato dalla nebbia che imperversava nella zona, ben più gravi furono le cause della sciagura che avvenne il 29 settembre 1959 ad un quadrimotore Electra che era stato consegnato alla compagnia Braniff 11 giorni prima.
Nelle indagini che seguirono non si riuscì a determinare la causa e la svolta venne solo a seguito di un altro incidente, quello del volo 710 della Northwest Airlines occorso il 17 marzo 1960.

Questo aereo, un altro Electra, si era disintegrato a mezz’aria dopo aver perso le ali in modo simile al velivolo Braniff.

L’indagine su questo secondo incidente mise in luce cedimenti strutturali dell’ala dovuti alla posizione delle gondole motori.

Dal 1961 la Lockheed avviò un programma di irrobustimento delle zone critiche. Anche in questi incidenti eravamo in presenza di un nuovo modello di aereo.

 

Il 19 gennaio 1960 fu la volta di un altro incredibile incidente.

Era appena iniziata l’era del jet e un luccicante Caravelle entrato in servizio il 18 novembre si accingeva ad atterrare all’aeroporto di Ankara proveniente da Istanbul e Copenhagen.
Dell’incidente pur apparendo chiaro che vi era stata una discesa non intenzionale al di sotto della quota minima di volo autorizzata per l’avvicinamento all’aeroporto di Esenboga, non fece seguito alcuna conclusione definitiva sulle cause.

Tutti i 42 occupanti persero la vita. Erano gli anni della transizione dall’elica al jet e quell’innovativo bireattore aveva appena due mesi di servizio.
L’undici luglio del 1961, 17 persone dei 122 occupanti persero la vita allorchè un nuovo DC8 che aveva alle spalle 124 ore di servizio precipita durante l’atterraggio a Denver.
Il DC8 era stato consegnato alla United a Giugno.
Il 26 giugno 1988 un Airbus 320, che fra l’altro era il primo aereo che lanciò il sistema di volo automatizzato fly-by-wire, precipitò a Mulhouse. L’aereo aveva i colori dell’Air France e sulle ragioni delle sua caduta le polemiche proseguono ancora oggi.

Addirittura ai comandi di questo velivolo vi erano il capo pilota di Air France e un collaudatore della casa costruttrice. L’aereo era stato consegnato ad Air France pochi giorni prima ed aveva accumulato 22 ore di volo.

 

E andando alla ricerca di incidenti avvenuti a nuovi velivoli ci siamo imbattuti in questa scioccante affermazione:
“…la sostanziale omissione venne giustificata dalla Boeing con l’argomentazione che, malgrado
tutte varianti, il 747/400 era una macchina ‘ derivata dalle precedenti e come tale già accettata
dalla FAA. Non si poteva parlare di nuova costruzione”’. (2)
A parte il differente tipo di aereo non vi sembra che la stessa ci ricordi qualcosa?
Anche se in quel caso non ci si riferiva alla strumentazione di bordo ma al rafforzamento del ponte principale “onde
evitare il ripetersi dei vari incidenti capitati a seguito del suo sfondamento” sembrerebbe che il vizio di far passare per vecchio ciò che invece meriterebbe una nuova certificazione risalga indietro negli anni e non possa di certo definirsi una novità.

 

Tutto lascia insomma credere che più di aver paura della vetustà che il velivolo si porta alle spalle, ciò che invece ha la sua valenza nel valutare il rischio del volo, è il fattore familiarità che l’equipaggio può vantare nei confronti della macchina chiamata a pilotare.
Più esso è consistente, più potete star certi che non avrete sorprese dal vostro aereo e dal vostro capitano.

 

Antonio Bordoni
Safety Newsletter 14/2019 del 22 Marzo 2019
www.air-accidents.com

 

(1) L’Aeroporto di Cortina d’Ampezzo-Fiames era un piccolo aeroporto, oggi dismesso, costruito in seguito
al boom turistico che investì l’Ampezzano con i VII Giochi olimpici invernali del 1956.

 

(2) “Trappole nel cielo” Adalberto Pellegrino. Sugarco edizioni, 1992 , pagina 107. L’episodio da noi ripreso è
contenuto nel capitolo 3, Le macchine, la progettazione. Va comunque fatto presente che non risultano incidenti
mortali a seguito di quei fatti. Annota ancora il comandante Pellegrino: “ma rafforzare quella struttura significava
aumentare il peso a vuoto dell’aeroplano e quindi diminuire il suo rendimento commerciale”….”di fatto l’offerta e la
promozione di un nuovo aereo di linea non si basano più sulle doti di affidabilità e di resistenza, ma sulla sua
economicità di esercizio, brutalmente tradotta come costosedile per miglio.” Il libro, come precisato, uscì nel 1992.

 

Nella foto un aero DC3 Douglas, aereo costruito in più di 10.500 esemplari, in volo da 75 anni, alcuni esemplari sono ancora in esercizio.

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Renzi reloaded: al Lingotto i vecchi cavalli di battaglia contro l’austerity e l’euroburocrazia

“Per anni una parte delle elite dell’Italia ha usato l’Europa per convincere gli italiani a fare riforme che altrimenti non avrebbero voluto fare. Ci sono stati premier che andavano in Europa con la giustificazione, come a scuola, premier tecnici animati da sentimento antipatriottico e antitaliano. Dicevano: ‘Ce lo chiede l’Europa’. Quella stagione ha migliorato forse i conti pubblici, forse. Ma ha disintegrato l’idea di Europa dei padri fondatori. Alla celebrazione del Trattato di Roma il 25 marzo dobbiamo mettere da parte quella stagione!”. Matteo Renzi è tornato. Ritrova i vecchi cavalli di battaglia contro l’austerity, contro i tecnici italiani (alla Mario Monti, per dire) e i burocrati europei. Ritrova ritmo e verve. La platea del Lingotto si scatena, ritrova il suo Renzi: senza grandi novità, non più il leader nuovo del 2013 ma con un inedito effetto rassicurante. “Io ci sono”. “Anche noi”, gli urlano dalla platea.

L’abito istituzionale di quando era premier e cravatta scura. Quando arriva con il ‘promesso’ vice-segretario Maurizio Martina sotto il palco del Padiglione 1 si scatena il delirio. “Voglio solo guardarlo!”, una signora sgomita nella folla. Lui raggiunge una postazione laterale e in mezzo al capannello di stampa e fans si mette serio a cantare l’inno nazionale. La tre-giorni di presentazione della candidatura alle primarie Dem del 30 aprile ha ufficialmente inizio.

Circa duemila persone presenti, “non ce ne aspettavamo così tante al primo giorno”, si sbalordisce il senatore renziano Andrea Marcucci. “Lingotto 2017”, recitano i maxi-schermi allestiti dai creativi pugliesi di Proforma, in rigoroso verde speranza: ne serve tanta, dopo la sconfitta al referendum, il calo, l’inchiesta Consip, gli attacchi, i veleni. “Tornare a casa per ripartire”, lo slogan: perché qui dieci anni fa è partito Walter Veltroni e il suo Pd. Veltroni oggi non c’è, ma questa platea ha delle similitudini con la sua. Anche se, come dice Renzi, “da allora i tempi sono cambiati: allora con il telefonino si telefonava, adesso è la decima cosa che si fa con quell’aggeggio…”. Ecco, ma senza andare per il sottile tra le sedie sistemate in mezzo alle piccole aule dei gruppi di lavoro, si notano le similitudini con il 2007: c’erano le suore allora per Walter, ce n’è una anche ora per Matteo. “Le porta Stefano Lepri, senatore cattolico torinese del Pd famoso per ‘il voto delle suore’”, ti dicono dal Pd. Curiosità.

C’è Sergio Chiamparino: “Il mio è un sostegno non acritico”, ci tiene a specificare mentre cerca di capire dove sedersi: non ci sono prime file riservate, sedia libera. C’è Piero Fassino, ci sono i parlamentari renzianissimi, come Francesco Bonifazi che sta un po’ nel backstage con Renzi, un po’ fuori. Ci sono i franceschiniani Francesco Garofani ed Emanuele Fiano, in prima fila anche l’ex lettiano Francesco Sanna. C’è Vincenzo De Luca: unico governatore del sud presente. Niente governo: non ancora, oggi c’è consiglio dei ministri a Roma. Gentiloni e i ministri del Pd, compreso Padoan, arriveranno tra domani e domenica.

“Io ci sono!”, urla ancora Renzi mentre chiude un intervento di apertura che non doveva esserci, almeno fino a ieri, ma che poi dura un’ora buona. Sembra abbia qualche kilo in meno. I sondaggi che lo danno al 63 per cento alle primarie lo hanno rinvigorito: “Un uomo si vede da come indossa le cicatrici”. Niente a che fare col tono opaco della kermesse con gli amministratori locali del Pd a Rimini a fine gennaio: era ancora pieno inverno, qui a Torino oggi la massima è 20 gradi.

“Dobbiamo togliere alla burocrazia la gestione dell’Ue, dobbiamo rimettere al centro la democrazia. L’Italia dovrà impegnarsi per l’elezione diretta del presidente della Commissione Ue. E’ un obiettivo di medio periodo, non sarà per le prossime elezioni ma dobbiamo chiedere primarie transnazionali!”. Non è un’idea nuova, Renzi l’ha accarezzata già alle europee del 2014, ma oggi al Lingotto suona bene: la vecchia e cara Europa, utile in tante battaglie.

Europa e M5s. “Sono passati dall’alleanza con l’anti-Ue Farage a quella con l’ultra-europeista Verhofstadt solo per piazzarsi!”. Qui la platea va in visibilio più che sulle primarie europee. Europa e Pd. “Il doppio ruolo di segretario e premier non è solo una norma dello statuto del Pd, non è solo un’ambizione ma è così in tutt’Europa: Merkel, Schroeder, Blair, Zapatero… Se non fossi stato anche segretario del Pd, non avrei vinto sulla flessibilità: è successo perché dietro avevo il consenso al 41 per cento!”.

Nessuna polemica diretta con gli avversari Pd. Anzi: “in bocca al lupo a Orlando ed Emiliano”. Nessun attacco diretto nemmeno agli scissionisti. “Non siamo contro qualcuno, ma per qualcosa”. Renzi fa l’inclusivo: “Dobbiamo restistuire senso alla parola ‘compagno’”. Annuncia la nuova scuola di formazione politica diretta dallo psicanalista Massimo Recalcati, porge un “saluto” cortese alla sindaca di Torino Chiara Appendino. Il resto è contro “l’antipolitica” tutta.

Quella del “populista che va nei talk show”, ma anche “del tecnocrate che fa tutto al chiuso dei Palazzi” e “del burocrate del ministero che fa a meno del ministro perché il governo passa e lui resta”. Applausi: la vecchia bestia della burocrazia da abbattere, che tre anni di governo non sono bastati, miete ancora successo. Almeno qui al Lingotto.

Qui c’è il Pd che forse non comprende fino in fondo cos’è questa “piattaforma Bob” che il leader lancia in onore di Kennedy e in risposta alla Rousseau del M5s. Ma è un pubblico che si scalda quando lo sente attaccare il reddito di cittadinanza: “Noi vogliamo una repubblica fondata sul lavoro non sull’assistenzialismo!”. Il leader evita la formula confusa del ‘lavoro di cittadinanza’, usata in diverse interviste, mai meglio specificata, a rischio trappola insomma. Cita Veltroni che a sua volta citò lo svedese Olof Palme: “Bisogna combattere la povertà non la ricchezza”.

Colonna sonora che parte dall’elettronica di Kruder & Dorfmeister, ma poi si arrende a Claudio Baglioni. L’età media è alta al Lingotto. “Sono i problemi della sinistra…”, allarga le braccia Marcucci. “Vogliamo essere eredi e non reduci”, insiste Renzi. “L’Italia dei prossimi dieci anni riparte da Bruxelles”. Sul palco sale l’alleato Joseph Muscat, il premier maltese che parla italiano: “Vi auguro tanta sete di governo…”. Ma la folla è ancora lì impegnata a commentare il suo Renzi: che non regala più il brivido dell’imprevisto come il rottamatore del 2013, ma dà sollievo ad una platea spossata dal 4 dicembre.
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