“Mio figlio si è ucciso a 16 anni. Non sono stato un buon padre, non ho saputo capirlo”. Il dolore del padre del ragazzo suicida per pochi grammi di hashish

“Mi chiedono se mi ritengo comunque un bravo padre. No, non lo sono stato. Non ho saputo capire mio figlio”. È duro lo sfogo del papà del ragazzo sedicenne che si è suicidato dopo che gli erano stati trovati in tasca una decina di grammi di hashish durante dei controlli della Guardia di Finanza all’uscita dell’istituto scolastico di Lavagna, in provincia di Genova. Il giovane, già alla prima perquisizione, aveva confessato di essere in possesso di altri grammi di hashish trovati nella casa in cui viveva con la madre e il compagno di questa.

Scrive La Stampa:

La visita della Fiamme Gialle a casa, il rimprovero della madre, il gesto repentino di raggiungere il balcone e buttarsi giù, senza una parola.

“Spero solo che questa tragedia serva perché non ne accadono delle altre. Ho detto all’allenatore della squadra che dica ai ragazzi come lui stesso, il parroco, noi genitori siamo tutti sempre pronti a capirli e a consigliarli, devono sentire quanto amore c’è intorno a loro”.

Amore che non è bastato per salvare la vita di questo ragazzo che, stando ai racconti di chi lo conosceva, non era trascurato dalla famiglia. Nessun disagio sociale dunque dietro il suo gesto, probabilmente un malessere personale avvalorato dai racconti dei suoi coetanei. Racconta a La Stampa una ragazza dal maglione rosso:

“Lo conoscevo dalla quinta elementare, per anni abbiamo condiviso centri estivi e settimane bianche. C’era un malessere che lo tormentava. Con me ha fatto un discorso generale, senza parlare di fatti specifici. Ricordo una sua frase :’Tanto finisce tutto male’ “.

Nel manifesto funebre del giovane c’è anche un ringraziamento alla Guardia di Finanza di Chiavari probabilmente per evitare di fomentare nuove polemiche. “Cosa sarebbe stato opportuno oppure no non dobbiamo dirlo noi. Loro hanno fatto quello che dovevano”, spiega ancora il padre del ragazzo. Nel frattempo il procuratore Capo di Genova Francesco Cozzi riflette su quanto accaduto.

“Quando si effettua un atto di questo tipo nei confronti di persone fragili, fermo restando che in questo caso c’era un genitore del giovane e si è svolto tutto in maniera regolare e trasparente, occorre prevedere a supporto di una persona che vive un’età fragile e fa uso di stupefacenti un aiuto psicologico”

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L’avvocato di Fabio Di Lello: “Italo D’Elisa non si era mai pentito di aver ucciso Roberta. Faceva lo strafottente con la moto”

“Italo D’Elisa, dopo aver ucciso Roberta, nell’incidente, non ha mai chiesto scusa, non ha mostrato segni di pentimento. Anzi, era strafottente con la moto. Dava fastidio al marito di Roberta. Quando lo incontrava, accelerava sotto i suoi occhi”. Così, intervistato da Radio Capital, l’avvocato Giovanni Cerella, già legale di parte civile per il procedimento che riguardava l’incidente in cui aveva perso la vita la donna, ora difensore del marito, Fabio Di Lello, che ha sparato a D’Elisa.
“D’Elisa – dice l’avvocato – tre mesi dopo l’incidente aveva ottenuto il permesso per poter tornare a guidare la moto, perché gli serviva per andare a lavorare”.

“Fabio era sotto shock, era depresso per la perdita della moglie, andava molto spesso al cimitero – spiega ancora il legale – pensava giustizia non fosse stata fatta ma incontrandolo non ho mai avuto l’impressione che stesse ipotizzando una vendetta. Sono rimasto sbalordito quando ho saputo. Lui non aveva dimestichezza con le armi”.

Infine, sulla tesi difensiva di D’Elisa secondo la quale al momento dell’incidente Roberta Smargiassi avrebbe indossato male il casco Cerella dice: “C’è una perizia che ha fatto piena luce sulle responsabilità”.

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