Strage Viareggio, Rossi: “Sentenza pone tutti di fronte a proprie responsabilità”

FIRENZE – Una sentenza che restituisce alle famiglie prima di tutto il senso di una giustizia che individua responsabilità che, in tutta questa dolorosa vicenda e al di là del merito di ogni singola persona, sono evidenti e all’origine di quanto accaduto. Così il presidente della Regione Enrico Rossi, commentando la sentenza della corte di appello di Firenze sulla strage alla stazione di Viareggio del 29 giugno 2009.

“Nessuno – ha detto ancora Rossi – potrà mai restituire le persone morte alle famiglie e ai loro cari. E niente potrà mai rimediare alle ferite riportate nel corpo e nell’anima da tante persone a causa di quella tragedia. Ma la giustizia ha funzionato, è arrivata una sentenza in appello che pone tutti di fronte alle proprie responsabilità, anche oltre coloro che sono stati direttamente condannati”.

“Dopo quella vicenda – ha aggiunto Rossi – io stesso mi sono occupato di come poteva essere alzato il livello di sicurezza dei trasporti su ferro a tutela prima di tutto delle popolazioni civili. Ed è stato stabilito un limite di velocità. Troppo tardi però, e troppo poco. Anche perché l’Ue non ha ancora individuato le modalità per consentire un controllo più efficace della sicurezza del materiale rotabile che viaggia sulle ferrovie. In questo giorno di amarezza, e allo stesso tempo di compimento di una tappa verso l’accertamento della verità, quello che resta da fare affinchè certi episodi non si ripetano deve costituire l’impegno di tutte le persone che hanno responsabilità in questo settore. E ovviamente in primo luogo della politica e delle istituzioni che hanno compiti di regolazione”.

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Domani la maturità, la Grieco agli studenti: “Momento importante, buon esame e buon futuro a tutti”

FIRENZE – Domani mattina, mercoledì 18 giugno, studenti e studentesse inizieranno in Toscana la prova della maturità, che vedrà al debutto il nuovo esame di Stato. L’assessore regionale ad Istruzione, formazione e lavoro, Cristina Grieco, ha quindi inviato ai ragazzi e alle ragazze impegnate nella prova una lettera di incoraggiamento e di “in bocca al lupo” per far sentire loro la vicinanza della Regione Toscana alla vigilia di un evento così importante.

“Care ragazze e cari ragazzi”, scive l’assessore Grieco, “siete arrivati al vostro appuntamento con la ‘maturità’. Siete i primi nati in questo secolo e in questo millennio ad affrontare le prove, riviste, di un esame che resta sempre e comunque un momento importante della vita, fatto di ansia e trepidazione, ma anche di curiosità e voglia di mettersi in gioco”.
“Vi auguro di vivere questi giorni con la giusta dose di emozione”, continua la Grieco, “ma anche con la ‘leggerezza’ della vostra età e con la consapevolezza che le commissioni hanno come unico obiettivo quello di valorizzare al massimo la vostra preparazione e di fare emergere la conoscenza e competenza, le potenzialità e i talenti di ciascuno”.

“Con l’esame di Stato”, prosegue, “si chiude un percorso di crescita in cui siete stati accompagnati dai vostri insegnanti, dai dirigenti scolastici e dal personale scolastico tutto”. E ancora: “Sono stati anni in cui sono nate relazioni importantissime di amicizia, di confronto, di complicità. Faranno parte di voi per sempre. E adesso vi accingete a varcare una sorta di ‘confine’ tra l’adolescenza e l’età adulta”.
“D’ora in avanti”, scrive ancora l’assessore, “sarete più autonomi ma anche più responsabili… insomma sarete un po’ più grandi”. Di conseguenza: “Affronterete altri esami, concorsi, avrete soddisfazioni e anche qualche insuccesso. Fanno parte della vita, ma cercate di affrontare tutto con determinazione e speranza nel futuro”.

“La Regione Toscana”, precisa nella lettera l’assessore Grieco, “mette la Scuola ed i giovani al centro delle sue politiche, favorendo le alleanze con territori e imprese e supportando gli Istituti per il miglioramento e l’ampliamento dell’offerta formativa”. E continua: “Ed anche per il post diploma tantissimi sono gli interventi che mettiamo in campo, dall’alta formazione tecnica al diritto allo studio universitario, alle misure di accompagnamento al lavoro e per l’autonomia, perché sentiamo di trasmettervi i valori e costruire opportunità”
“Ma questo sarà un altro capitolo”, conclude il messaggio. “Per adesso faccio a tutte e tutti un grande in bocca al lupo per gli esami. Buon futuro a tutti…”.

 

 

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Incendio sul Serra, l’indennità extra spetta a tutti gli operai forestali impegnati nel ripristino

FIRENZE – Spetta a tutti gli operai forestali, inclusi quelli di San Giuliano (Pisa), l’indennità extra stabilita per chi è stato impiegato nei cantieri di ripristino a seguito dell’incendio del settembre scorso sul Monte Serra. Tocca poi alle Unioni dei comuni corrispondere questo indennizzo. E’ questo in sintesi il contenuto della precisazione del presidente della Regione Toscana Enrico Rossi a seguito di articoli apparsi sulla stampa locale nei quali si riporta la posizione del sindacato Flai Cgil.

“La Regione Toscana – evidenzia Rossi – ha riconosciuto alle Unioni di Comuni, fin dal gennaio scorso, una indennità extra, pari al 10%, per tutti gli operai forestali che sono stati impiegati nei tempestivi cantieri di ripristino a seguito dell’evento che nel settembre 2018 ha colpito profondamente il Monte Serra.

La Regione Toscana ha infatti recepito prontamente la richiesta da parte delle sigle sindacali regionali avanzata il 16 dicembre 2018 ed il Comitato Forestale, presieduto dall’Assessore all’Agricoltura, ha approvato la fattibilità, ai sensi del Contratto Collettivo Nazionale, di un riconoscimento dell’indennità nella seduta del 16 gennaio 2019. La Regione ha quindi provveduto allo stanziamento delle somme necessarie alla copertura dell’indennità ed inviato la comunicazione a tutti gli Enti Territoriali coinvolti. Una ulteriore nota è stata inviata, in data 7 marzo 2019, alla Unione Comuni Val di Cecina (nella cui competenza rientra il cantiere delle maestranze di San Giuliano Terme), per ribadire il diritto al riconoscimento della indennità.

Con questo riconoscimento economico – commenta il Presidente Rossi – la Regione ha inteso evidenziare il duro e tempestivo lavoro che le maestranze forestali hanno svolto per il ripristino delle superfici colpite, ponendosi, con il loro operato, a servizio della popolazione. Ritengo doveroso il riconoscimento a tutti gli operai che hanno contribuito a trasmettere con forza all’intera comunità il messaggio positivo della Regione Toscana, della ricostruzione e della nuova speranza, anche dopo un evento così tragico per l’intero monte pisano”. 

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Sanità, Rossi: “Salute bene di tutti. Tema da mettere al centro del dibattito nazionale”

FIRENZE – Ridurre le differenze regionali rispetto alla qualità di accesso al servizio sanitario, frenare la tendenza alla privatizzazione dei servizi, investire sulle specializzazioni. Ma anche mantenere il rapporto diretto paziente-operatori difronte ad una diffusione sempre maggiore dell’intelligenza artificiale in sanità e arrivare a creare un fondo nazionale per la non autosufficienza alimentato proporzionalmente al proprio reddito. Questi alcuni dei temi toccati dal presidente della Regione Enrico Rossi, intervenuto oggi pomeriggio all’Hotel Mediterraneo a Firenze all’XI Conferenza sulle politiche della professione infermieristica organizzato dalla Fnopi, la Federazione Nazionale degli Ordini delle Professioni Infermieristiche.

“Il tema di un’Italia a differenti velocità – ha esordito Rossi – a me preoccupa molto. Tra l’altro con alcune contraddizioni, perché da una parte ognuno fugge per conto proprio e dall’altra si assiste a richiami centralistici. Ritrovare il giusto punto di equilibrio nella frammentazione del sistema è un compito serio perché i cittadini italiani devono avere la possibilità di accedere a una qualità del servizio tendenzialmente uguale. Un tema che la politica dovrà affrontare e rimettere al centro del dibattito”.

“Si assiste in tante regioni ad uno spostamento di pezzi di sanità verso i privati. Trovo drammatica – ha detto ancora Rossi – la carenza sul versante delle specializzazioni. Come è possibile che per tanti anni non sia stata fatta una programmazione adeguata in proposito? Aver voluto risparmiare 25 mila euro l’anno per formare uno specialista, tanto costa in media, rischia di avere un impatto drammatico sul servizio sanitario”. “E’ deprimente che non ci sia la volontà di rilanciare il servizio sanitario nazionale. Ci sono gli investimenti, benissimo, mancavano da anni. Ma questo da solo non basta. La Toscana prova a metterci del suo ed ha approvato qualche giorno fa il concorso più grande a livello nazionale per assumere infermieri, che consentirà lo scorrimento di circa 1000-1500 nominativi l’anno”. “Si preannuncia una finanziaria 2020 non semplice. E’ arrivato il momento che il mondo della sanità si faccia sentire a tutela del ssn, una delle grandi cose riuscite in Italia”.

La sanità adotterà sempre più metodiche legate all’intelligenza artificiale. “Questo – ha detto ancora Rossi – sarà uno dei grandi temi del futuro per il settore. L’intelligenza artificiale non dovrà sostituire ma aiutare nelle decisioni. Occorre dare la sicurezza al paziente che la decisione che lo riguarda non venga presa esclusivamente attraverso un algoritmo. Come può la professione infermieristica tentare di coprire il rapporto umano, decisivo nel percorso di cura?”.

Rossi infine ha concluso dicendo che “nonostante tutto, pur con tutti i suoi acciacchi, il ssn ancora riesce a farcela. E’ aumentata la spesa privata, ma il servizio resta un elemento di relativa sicurezza per i cittadini. Il punto di caduta più alto è rappresentato dal dato relativo alla non autosufficienza. In Toscana ne abbiamo provate tante di iniziative, ma tutte al di sotto del livello di una nazione civile. Creare un fondo nazionale che garantisce assistenza a chi un giorno dovesse trovarsi in certe condizioni, alimentato in rapporto al reddito di ciascuno, credo potrebbe essere un’ipotesi da considerare. Il tema della salute come bene di tutti è un tema che va messo di nuovo al centro . Tema sul quale le forze politiche nazionali ed il parlamento dovranno misurarsi. Con pacatezza. Perchè nessuno credo sia in grado di poter dare lezioni agli altri”.
 

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Trattati Ue, l’Italia cerimoniere della dichiarazione di Roma: ospita tutti ma sui temi non tocca palla

Quel che rimane d’Europa torna qui dove è stata fondata: a Roma. Ma stavolta il ruolo italiano non è all’altezza di uno dei padri fondatori nostrani: Altiero Spinelli. I 60 anni del trattato di Roma, questa curva storica gigante e impetuosa dal 1957 al 2017, cadono nel momento sbagliato per l’Italia. Paese ancora da riformare, con tanti conti aperti con Bruxelles, debole e con nulla a pretendere: organizza la kermesse dei 27 leader al Campidoglio senza piantare paletti. Come l’ospite che per organizzare una buona cena, si concentra sul gusto dei commensali più che sul proprio. Obiettivo metterli a loro agio, più che avanzare richieste specifiche.

Le hanno avanzate invece la Polonia con dietro i paesi dell’est e anche la Grecia, stremata dalla crisi. Varsavia ha chiesto garanzie sulla Nato, che resti malgrado i progetti di difesa comune europei abbozzati nella dichiarazione di Roma. Atene chiede un paragrafo specifico sull’Europa sociale. Accontentate entrambe. Dopo la Brexit, l’imperativo di tutti è che quella di Roma sia una dichiarazione comune di tutti: per dire che si sta insieme anche a 27. Anche se non si sa ancora esattamente come.

E forse questo è proprio il punto. La dichiarazione di Roma non è un trattato. Il 2017 non viaggia nemmeno lontanamente sui livelli del 1957. Allora si fondò l’Unione, ora si cerca disperatamente una via per non perderla. Inimmaginabile ora una riscrittura dei trattati: non ci sono le condizioni. Ed ecco che i 60 anni dei trattati fondativi diventano l’occasione per mettere una toppa alla crisi. Nessuno si fa illusioni, si copre dove si può.

E dunque anche le richieste specifiche di ogni Stato lasciano il tempo che trovano. L’Italia del resto ha apparecchiato la prima versione della dichiarazione di Roma, poi rivista insieme agli sherpa degli altri paesi membri. Ma quella carta non ha il valore di un trattato. E non stabilisce niente di specifico, pur aprendo la via alla questione principale: l’Europa a più velocità. Vale a dire: un modo disperato di tenere tutto insieme, pur ammettendo un primo fallimento di unione.

Sostanzialmente la dichiarazione di Roma stabilisce che d’ora in poi gli Stati che lo vorranno potranno procedere insieme su alcuni temi. Ma i modi, gli stessi temi e la velocità sono tutti da stabilire: lo diranno i posteri. Espressione non esagerata, visto che la foto di gruppo dei 27 in Campidoglio presenta l’ombra ingiallita del passato, nessun rilancio sul futuro.

Angela Merkel rischia non essere confermata alla Cancelleria tedesca alle elezioni d’autunno. E anche se sarà rieletta, la leader della Cdu ha alle spalle più vita politica di quanta ne abbia davanti. Francois Hollande è a fine mandato e non ‘gioca’ più. Lo spagnolo Mariano Rajoy è capo di un governo nato a fatica, anche lui più che proiettato sul futuro (politico s’intende) è quel che resta di stagioni passate. Theresa May non c’è, fuori ‘forever’ causa Brexit. Paolo Gentiloni è a capo dell’ennesimo governo non eletto degli ultimi 4 anni, un governo fragile dopo la sconfitta al referendum del 4 dicembre e il cambio della guardia con Matteo Renzi, esecutivo debole anche alla Farnesina dopo l’avvicendamento con Angelino Alfano.

Certo: se una parvenza di Europa a più velocità è il compromesso che tiene insieme la dichiarazione di Roma, vago al punto giusto per avere la firma anche dei paesi dell’Est, c’è da dire che uno dei primi a parlarne in tempi recenti è stato proprio Gentiloni. Lo ha fatto a dicembre 2015, quando era ancora ministro degli Esteri, firmando una lettera congiunta con Philip Hammond, ministro degli Esteri di Cameron. Era uno degli estremi tentativi per scongiurare la Brexit. Non è servito, ma era segnale di attivismo della Farnesina in politica estera.

Qualche mese fa l’Italia ha agganciato subito il rilancio di Merkel sull’Europa a più velocità. Ancora non si sa su cosa, ma stare insieme alla Germania viene vista come garanzia per stare nel club più ‘esclusivo’: i conti italiani sono ancora in disordine e sotto il giudizio di Bruxelles. Stamane un incontro tra il vice presidente della Commissione Europea Valdis Dombroskis e il ministro dell’Economia Piercarlo Padoan non ha fatto che confermare i dossier aperti: la manovrina di 3,4 miliardi di euro e naturalmente la manovra d’autunno da farsi senza far crescere il debito, dice Bruxelles.

L’Italia non è in forma. E il fatto che non lo sia nemmeno l’Europa è una giustificazione solo parziale. In questi casi, il male comune non è nemmeno un quarto di gaudio. Per sfuggire all’assedio dei movimenti anti-europei, sempre più forte nella società, alla vigilia del vertice Gentiloni ha incontrato le parti sociali europee insieme al presidente della Commissione Ue Jean Claude Juncker. “Mai più messe senza fede”, ha detto il premier citando l’ex presidente della Commissione Ue Jacques Delors. “Dobbiamo ripartire da un rinnovato spirito di fiducia ripensando un’Europa sociale più attenta ai suoi cittadini”.

Già: ma a Palazzo Chigi sono costretti a volare basso, insieme agli altri leader si aggrappano al compromesso di Roma, sperando di circostanziarlo in futuro e incrociando le dita di fronte alla crisi e alle divisioni che hanno indebolito tutti.
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Mario Melazzini (Aifa): “C’è una vita oltre la Sla. Bisognerebbe assicurare a tutti un vero accesso alle cure”

“Sono sempre più esausto, ogni giorno i dolori peggiorano, dipendo integralmente dagli altri. Ma sono tenacemente innamorato della vita. E sulla terra, finché sarà possibile, ho intenzione di restare”. È la testimonianza di Mario Melazzini, direttore generale dell’Aifa, l’agenzia italiana del farmaco, che in un’intervista a Repubblica racconta i suoi dieci anni da malato di Sla e spiega perché a suo avviso il testamento biologico non è una scelta di libertà per i malati.

“Ho una forma di Sla molto lenta. E non ho voglia di arrendermi. Un pò come Stephen Hawking. Ci siamo scritti. Condivido il suo pensiero. In ogni giorno di vita c’è qualcosa da scoprire. Anche su una sedia a rotelle”, afferma. “Per me essere nutrito con una pompa nella notte non è un atto medico, ma, appunto, la vita. Come per gli altri mangiare e bere. Per questo sono convinto che non si possano interrompere”. “Io non giudico nessuno, ma forse prima di parlare di testamento biologico bisognerebbe assicurare a tutti un vero accesso alle cure, sostegni alla famiglia, la medicina palliativa. La voglia di mollare nasce dall’abbandono del paziente”.

Melazzini racconta di essere stati pronto al suicidio assistito: “Ma poi ho avuto paura. Del resto quando il 17 gennaio del 2003 un mio collega mi ha guardato negli occhi e mi ha detto ‘Melazzini lei ha la Sla’, mi sono sentito come tutti i malati gravi: un naufrago disperato. Da medico sono diventato un paziente e ho visto l’impotenza della medicina”. “Ho capito che c’erano cose che non avrei potuto più fare, ma altrettante ne avrei potute scoprire… Ho ricominciato a guardare avanti. Per esempio a lottare per i diritti dei malati di Sla”.

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Roberto Fico: “Gentiloni è preoccupato? Venga in Aula a riferire su Consip. E Renzi pubblichi tutti i finanziamenti a Open”

“Nessuno più di Paolo Gentiloni può venire in Aula a dirci cosa sta succedendo in Consip”, la società del ministero del Tesoro che si occupa di controllare e gestire gli appalti per il pubblico. “Nell’informativa vogliamo sapere se è preoccupato e se questa preoccupazione lo porta, in via cautelativa, a rimuovere qualche ministro come Luca Lotti, indagato per rivelazione del segreto d’ufficio e favoreggiamento (avrebbe avvisato i vertici Consip dell’indagine ndr). Roberto Fico, in un’intervista all’Huffpost, chiede al premier di intervenire in prima persona e davanti al Parlamento per fare chiarezza, ma anche di domandare a Matteo Renzi se sapeva qualcosa.

Il ministro Finocchiaro oggi è sembrato possibilista su un intervento di Gentiloni in Aula. Millantano serenità?
“Questo dovrà dirlo Gentiloni e a quel punto valuteremo se chiedere le dimissioni di Lotti. Intanto però c’è anche un’accusa a Tiziano Renzi, c’è un’indagine in corso, e la cosa che più mi sconvolge è che l’ex premier sa benissimo che Alfredo Romeo ha finanziato la fondazione renziana Open nel 2013 con 60 mila euro. Non solo era al corrente, ma sapeva benissimo chi fosse Romeo perché ai tempi era già condannato in primo grado per corruzione”.

Per questo chiedete che Renzi renda pubblici i finanziatori?
“Certo. Per quale motivo non lo fa? C’è un motivo? Se non lo fa mi viene da pensare che potrebbe andare a spiegarlo ai magistrati. Noi abbiamo chiesto la lista di tutti i finanziatori della campagna elettorale di Renzi e stiamo ancora aspettando. Renzi ha uno slogan buono per ogni tempo. Parla di trasparenza e poi nasconde gli scontrini di quando era presidente della provincia e nasconde i finanziatori della fondazione”.

Renzi ha già detto di essere con i magistrati.
“E vorrei vedere se non lo fosse, è con i magistrati, ma si è preso 60mila euro da Romeo, deve fare i conti con l’etica. Sempre, non solo quando gli conviene”.

Ognuno ha il suo Romeo, insomma. Voi avete avuto Salvatore Romeo, ex capo della segreteria capitolina, che stipulava polizze a favore del sindaco Virginia Raggi.
“C’entra? Raggi ha già spiegato tutto. Quelli non erano finanziamenti, erano polizze che vengono fatte senza che il diretto interessato lo sappia”.

Passiamo al tema dei vitalizi. M5S sta facendo una battaglia equiparare le pensioni dei parlamentari a quello dei comuni cittadini, ma il Pd dice che nei fatti è già così. Dov’è il cortocircuito?
“Il Pd continua a dire bugie. Dopo 4 anni, 6 mesi e un giorno i parlamentari, anche se non hanno mai versato un contributo nella loro vita, prendono circa mille euro di pensione a 65 anni. Quale persona in Italia può avere un trattamento del genere dopo 4 anni e mezzo di lavoro? Nessuno. Per questo motivo il Pd continua a dire bugie e noi continueremo a incalzare anche il governo”.

Perché non avete chiesto di intervenire sui vitalizi passati come invece previsto dalla proposta Pd a firma Richetti?
“Se il Pd nel 2017 continua a parlare della proposta Richetti depositata anni fa e mai discussa mi viene da pensare che in realtà non vogliono discuterla. Il Pd ha una maggioranza enorme e parla come se fosse un partito piccolo che non riesce a calendarizzare una loro proposta. È il Pd che non ha voluto la normativa Richetti. Noi invece abbiamo parlato degli stipendi precedenti e dell’abolizione dei vitalizi precedenti, abbiamo portato la proposta in Aula e ce l’hanno bocciata. Per levare ogni dubbio oggi senza nessun tipo di equivoco loro dovranno approvare questa proposta per far sì che noi stessi in questa legislatura non prenderemo questo tipo di vitalizio. Accampare scuse, significa perdere la faccia, più si va avanti così e più perdono la faccia”.
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Telefono di Adolf Hitler venduto all’asta negli Usa per 243mila dollari: “Una delle armi più distruttive di tutti i tempi”

A causato milioni di morti e ora è stato venduto all’asta per un cifra davvero alta. Il telefono di Adolf Hitler è stato infatti battuto per 243.000 dollari. Ritrovato nel bunker del Fuhrer a Berlino, è stato conservato finora in una scatola in una tenuta di campagna inglese ed è stato venduto dalla case di aste Alexander Historical Auctions, a Chesapeake City, in Maryland. Nel presentarlo ai potenziali acquirenti è stato descritto come “una delle armi più distruttive di tutti i tempi, avendo causato la morte di milioni di persone”.

Ad aggiudicarsi il telefono, realizzato in bachelite dall’impresa tedesca Siemens, è stato un “collezionista privato del Nord America”, ha spiegato il vice presidente di Alexander Historical Auctions, Andreas Kornfeld, senza fornire altri dettagli sul misterioso compratore.

Fino a oggi il dispositivo era rimasto in una valigetta di cuoio che il britannico Ranulf Rayner, 82 anni, aveva ereditato dal padre, il brigadiere Ralph Rayner, forse il primo militare non sovietico a entrare nel bunker di Hitler. Originariamente il telefono, che Hitler ricevette dalla Wehrmacht e usò negli ultimi due anni della Seconda guerra mondiale (1939-1945), era di colore nero, ma fu poi dipinto di rosso. Oggi si presenta infatti rosso, con la vernice screpolata. Sul retro dell’apparecchio si legge chiaramente il nome di Adolf Hitler a stampatello, inciso insieme all’aquila e alla svastica che adottò come simbolo del partito nazista.

“È stato il dispositivo mobile di distruzione di Hitler”, sottolinea la casa d’asta, precisando che probabilmente il leader del Terzo Reich diede alcuni dei suoi ultimi ordini con questo telefono prima di suicidarsi il 30 aprile del 1945 nel ‘Führerbunker’, cioè nel suo rifugio antiaereo sotterraneo a Berlino.

Alcuni giorni dopo che l’esercito sovietico aveva preso il controllo di Berlino, il brigadiere Ralph Rayner eseguì un ordine del maresciallo da campo britannico Bernard Montgomery, che nella Luneburg Heath aveva accettato la resa incondizionata delle forze naziste dispiegate in Germania, Olanda e Danimarca. Rayner (1896-1977) ricevette dunque l’incarico di stabilire un contatto con l’armata rossa a Berlino, dove fu finalmente ricevuto dai soldati sovietici, che lo invitarono a visitare il bunker di Hitler.

Come regalo, i militari sovietici gli offrirono il telefono nero trovato nella stanza di Eva Braun, compagna del Führer, ma l’ufficiale britannico rifiutò l’offerta con educazione e scelse un altro telefono, rosso, che era vicino al letto di Hitler. “Disse ai russi che era il suo colore preferito, il che piacque abbastanza ai russi”, ha raccontato recentemente alla Cnn il figlio del brigadiere, che ha appunto conservato il telefono in una casa di campagna in Inghilterra fino all’asta.

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Per la seconda serata di Sanremo 2017, Maria De Filippi in pantaloni neri. Distribuisce gadget di Conti. Ma tutti notano il ciondolo

Se la prima puntata del Festival l’ha incoronata la regina di Sanremo – scalzando, secondo i più, il padrone di casa Carlo Conti -, il secondo appuntamento con la kermesse canora conferma la supremazia di Maria De Filippi sul palco dell’Ariston, in abito total black di Givency. Entra in scena distribuendo gli ormai famosi portachiavi con la faccia del collega, in una mise che esalta la sua classe innata. Mentre qualcuno su twitter ironizza sul ciondolo di Maria: c’è chi dice che ricorda Le coeu de la mère del film Titanic e chi invece che ha il valore di una villa. Che sia ispirato al famoso film di Cameroon o meno, una cosa è certa: lo stile della De Filippi ha convinto tutti. Maria è

Abito nero, coprispalle da grande gala, pantaloni e un bellissimo gioiello verde che le cinge il collo: il vestito della seconda serata è più semplice dei primi due ma in compenso più sontuoso.

A vestire The Queen – come la chiamano i suoi ammiratori – in queste 5 serate di Sanremo 2017 sarà lo stiista Riccardo Tisci,Riccardo Tisci, direttore creativo del brand Givenchy, con cui la De Filippi ha già stretto da tempo un sodalizio fisso. Via, quindi, l’eclettismo e l’eccesso, con Maria c’è spazio solo per la sobrietà e l’eleganza, quella vera.

Nella prima puntata, infatti, la conduttrice di C’è posta per te aveva sfoggiato prima un raffinato quanto sobrio abito nero, poi un altrettanto classico vestito bianco. Niente scollature o spacchi ingannevoli, di vertiginoso c’era solo il tacco 12.


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La resistenza di Matteo Renzi in direzione Pd: “Governo di tutti o voto”. E medita l’alleanza con Pisapia

“Se le altre forze politiche vogliono andare a votare subito dopo la sentenza della Consulta sulla legge elettorale, lo dicano chiaramente. Il Pd non ha paura della democrazia. Se invece vogliono un nuovo governo che affronti la legge elettorale e gli appuntamenti internazionali del 2017, il Pd si assume questa responsabilità, ma non può essere il solo. Abbiamo pagato già un prezzo per la responsabilità nazionale”. Canto del cigno o rilancio? Si vedrà. Matteo Renzi lascia la sua proposta sul tavolo della direzione del Pd e sale al Quirinale per dimettersi da premier. Un primo capitolo di questa crisi si chiude. Si apre quello incerto della nascita di un nuovo esecutivo e della certa resa dei conti nel Pd. “Il passaggio interno al partito sarà duro, ma prima viene la crisi di governo”, annuncia il segretario, col sorriso come lama tagliente nella sala gremita al Nazareno.

Il suo è l’inizio della resistenza dentro il partito che in questi giorni gli si è mosso contro. E’ la reazione alle mosse della sua (ex) maggioranza, da Franceschini a Orlando fino a Delrio, che ieri lo hanno costretto a rivedere la relazione per la direzione. Avrebbe voluto fare il Renzi e dire “al voto, al voto subito”, magari già a febbraio subito dopo la sentenza della Corte Costituzionale sull’Italicum, che i renziani considerano auto-applicativa, cioè valida anche senza un intervento del Parlamento. Invece ha dovuto rivedere tutto, toni e merito. Ne è uscita una semi-morbida alternativa: voto o unità nazionale. Ma almeno si riserva il diritto di tracciare un percorso minato: il tempo dirà chi salterà per aria, anche perché i tempi di questa crisi appaiono lunghi a tutti gli attori in campo.

Ed eccola la prima mina. Se nascesse un nuovo governo, avverte Renzi, “sarebbe il quarto non votato dal popolo, dopo il colpo di stato del 2011, figlio di un parlamento illegittimo e del trasformismo di Alfano e Verdini”. Al Parlamento e al Pd la scelta. Al M5s i capi di accusa. Se Renzi potesse scegliere da solo, si metterebbe dalla parte dei capi di accusa.

La seconda mina è per la minoranza che ha votato no. “Pisapia solleva questioni non banali”, dice Renzi all’inizio del suo breve discorso. Pier Luigi Bersani è lì con i suoi. Massimo D’Alema non c’è. Per tutti loro il messaggio è questo: Renzi sta valutando intese con quella che definisce “la sinistra non ideologica”, quella dell’ex sindaco di Milano che si è schierato per il sì al referendum e ora offre a Renzi un’alleanza a patto che molli Alfano e Verdini. “Perché no?”, spiega un renzianissimo. “Se si va al voto, non ci interessa né di Alfano, né di Verdini”. E probabilmente nemmeno di Bersani e D’Alema. Perché si andrebbe al voto col proporzionale. E Renzi sta già mettendo sul piatto le sue chance. Sono scenari che non escludono niente. Nessuno vuole la scissione del Pd, ma un sistema non più maggioritario apre un ventaglio di ipotesi, nessuna esclusa.

La terza mina è di fatto la prima in ordine temporale. Di fatto Renzi parla alla direzione dopo aver già raccontato tutto nella sua enews, uscita da Palazzo Chigi calda calda per il web mezz’ora prima della riunione al Nazareno. E’ il suo schiaffo alla direzione che gli ha voltato le spalle. Renzi parla ai milioni di sì di domenica, voti che considera suoi. Non lesina chicche amare per la minoranza: “Qualcuno ha festeggiato la sconfitta, lo stile è come il coraggio di don Abbondio, ma non giudico e non biasimo, osservo e se possibile rilancio. Alzo anch’io il calice perché quando vieni indicato e designato dal Pd e hai la possibilità di governare, non hai il diritto di mettere il broncio. Chi fa politica col broncio e il vittimismo fa un danno a se stesso e non agli altri”.

Rimanda il dibattito in direzione a “dopo le consultazioni al Quirinale”, come spiega il presidente Matteo Orfini al senatore Walter Tocci che vorrebbe intervenire. La direzione è convocata in modo “permanente per consentire alla delegazione che va al Colle di riferire le novità”, spiega Renzi. Forse ci sarà una nuova riunione lunedì. La minoranza non gradisce. “Sono senza parole – dice il bersaniano Davide Zoggia – Il maggior partito del Paese non apre una discussione su quello che è successo. Capisco le esigenze istituzionali delle dimissioni del presidente del Consiglio, ma il partito deve discutere, analizzare”. Ma questo è solo l’inizio di uno scontro che non farà prigionieri.

Tra i renziani nella sala del Nazareno circola l’idea di presentare una legge elettorale in modo da anticipare e vanificare la sentenza della Consulta sull’Italicum. Magari un Mattarellum, la legge firmata dal presidente della Repubblica: chi potrebbe dire di no? Per ora esplicitamente ne parla il segretario dei Radicali Riccardo Magi: “Renzi ci ascolti e accolga la nostra proposta di una legge elettorale maggioritaria con collegi uninominali”. Magi è lo stesso che a luglio propose lo spacchettamento del voto referendario in più quesiti. “Probabilmente oggi Renzi rimpiange di non averci ascoltato allora”, dice. Il punto è che servirebbe un governo, Renzi ormai si è dimesso e a sera sembra tramontata anche l’ipotesi di un reincarico. A meno che non si riesca a sciogliere le Camere a fine gennaio, dicono dal quartier generale dell’ex premier.

Ma è lo stesso Renzi che ormai non esclude che possa nascere un governo di larghe intese. Per dire che le mine che ha piazzato in direzione sono tutt’altro che sicure per lui. Sa che al Senato, per dire, pezzi di Forza Italia, si sono proposti per sostenere un governo Franceschini. Anche se il ministro dei Beni Culturali uscente continua a opporsi all’idea di guidare un governo di scopo. Sa che nascerebbe contro il segretario del Pd, che sarebbe costretto ad appoggiare. Per poi bombardarlo da fuori, come con Enrico Letta. Mattarella è il primo a voler evitare uno scenario del genere. Troppo rischioso. Sul campo resta l’ipotesi di un esecutivo guidato da Paolo Gentiloni, personalità che Renzi considera più fedele. Mentre sembra tramontata la carta Grasso e anche quella Padoan, dietro la quale Renzi teme un pericoloso attivismo dalemiano.

Ad ogni modo, pur rimanendo impostato sulla linea del voto a primavera nel discorso pubblico, Renzi si è mostrato più morbido con il presidente emerito Giorgio Napolitano al telefono poco prima della direzione. Sa che stavolta potrebbe perdere, i gruppi parlamentari premono per un governo che li garantisca almeno fino a ottobre, quando avranno maturato la pensione. L’unica carta che Renzi ha di certo a disposizione per tutto l’anno prossimo sono le candidature nelle liste delle prossime elezioni. Ad ogni modo non sarà lui a salire al Colle per le consultazioni. Per il Pd ci vanno il vicesegretario Guerini, il presidente Orfini e i due capigruppo Zanda e Rosato. Domani Renzi se ne va a Firenze “a festeggiare gli 86 anni della nonna e giocare alla playstation con mio figlio”. Lontano da Roma per farsi curare le ferite.
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