KONG – Wubba Friends Ballistic – Gioco Tira e Molla in Nylon

Marca: KONG

Caratteristiche:

  • Rivestito in resistente nylon rinforzato
  • Perfetto per i giochi interattivi di lancio e riporto
  • Lo squittio lo rende più divertente
  • Non è destinato ad essere utilizzato per la masticazione.
  • Disponibile in tre misure: piccolo, grande, x-large

Dettagli: Descrizione I KONG Wubba Ballistic Friends sono i giochi interattivi sonori da scuotere più belli e più resistenti sul mercato. Questi giochi versatili sono perfetti per essere utilizzati in casa e all’aperto e le code flosce facilitano il lancio e la presa. Ogni gioco è rivestito in resistente nylon rinforzato per una maggiore robustezza. Avviso di sicurezza Seleziona la misura giusta, rimuovi l’imballaggio prima dell’uso e conservalo come guida di sicurezza; sorveglia ilgioco ed interrompi l’uso se il gioco vienne danneggiato. In caso di ingestione, consulta un veterinario. Questo gioco per animali non è concepito per l’uso da parte dei bambini. Contenuto della confezione 1 x Gioco

KONG – Wubba Friends Ballistic – Gioco Tira e Molla in Nylon

Referendum, corpo a corpo di Renzi contro “l’accozzaglia”. E sulle critiche di Napolitano tira dritto

A dodici giorni dalla fatidica ora X del 4 dicembre Matteo Renzi, come in una mano di poker, cala sul tavolo l’all in: “Non sarò della partita nel caso in cui le cose vadano male, dico no agli inciuci”. Piatto. Torna cioè la grande politicizzazione del referendum, come quando disse, “se perdo lascio la politica”, frase che aveva fatto sobbalzare i fautori del sì mite alla Giorgio Napolitano, o pezzi di renzismo di governo. E li fa sobbalzare ancora.

Proprio tra il premier e il presidente emerito la diversità di approccio è totale. Sentite Napolitano, ospite di Porta a Porta: “È diventata una sfida aberrante. Non votiamo al referendum per giudicare Matteo Renzi, per quello ci sono le elezioni politiche. Si vota quello che è scritto nella legge. Si vota su quello, non sulle motivazioni di Renzi”. Il premier aveva appena finito di spiegare, e così farà nei prossimi giorni, che il destino del governo è invece appeso al referendum: “Se volete una classe politica aggrappata alla poltrona e che non cambi mai prendetela, perché io non sto cosi. Io sto qui se posso cambiare le cose. Non sto qui aggrappato al mantenimento di una carriera. Non ho niente da aggiungere al curriculum vitae”. (Leggi qui il disappunto di Napolitano sulla linea plebiscitaria di Renzi).

L’opposto, appunto, del confronto oggettivo e di merito, invocato da Napolitano, critico anche sul grillismo di una campagna tutta giocata sui costi della politica. Personalizzazione, politicizzazione, l’ora e mezzo di #Matteorisponde su facebook diventa un corpo a corpo contro “l’accozzaglia”. Sarà il mantra degli ultimi giorni, fino al gran finale, per cui ha già dato l’ordine di riempire una piazza nella sua Firenze. Un’impostazione che riflette, innanzitutto, l’indole. E che rottama tutti consigli. Sia quelli di Napolitano, fautore di un confronto nel merito sia quelli di Farinetti, che suggeriva di essere più simpatici. Né pacatezza né simpatia: il premier è convinto che solo il corpo a corpo sposti gli indecisi: “A questo punto – spiega uno dei suoi – chi si doveva fare un’idea di merito, se l’è già fatta. Gli informati sono informati. Ora si mobilita sul messaggio ‘meglio io degli altri”.

Ecco una raffica di attacchi, battute ad effetto, contro la cosiddetta “accozzaglia” e i suoi protagonisti: “l vero pasticcio rischiano di farlo loro il giorno dopo”, “stanno cercando dio fregarvi sulla riforma, ci raccontano balle, sentiamo il rumore di unghie che si aggrappano agli specchi”. I bersagli preferiti sono “D’Alema, De Mita, Monti, Brunetta, Grillo” che “pensano che con questo voto si possa tornare a un sistema con cui si fanno inciuci in Parlamento”. L’Innominato è Silvio Berlusconi, il cui faccione non a caso non compariva nella famosa foto dell’accozzaglia. Perché è chiaro che il premier punta al voto di Forza Italia e quel voto si conquista evocando parole d’ordine berlusconiane o rendendo plastico, nei confronti tv, che i nemici del sì sono gli stessi nemici di Berlusconi, da Travaglio a Landini. Ed è chiaro anche che, dal mondo berlusconiano, non arrivano segnali di particolare ostilità (leggi qui), dal no “tiepido” del Cavaliere alla riforma, fino al sostegno delle reti Mediaset.

Scamiciato, nel suo studio di palazzo Chigi dove sono tornate le bandiere europee, linguaggio che non ha nulla di istituzionale, il premier piccona i Cinque stelle, da Beppe Grillo a Rocco Casalino: “Casalino mi sta simpatico, non lo conosco personalmente e io al Grande fratello ero più per Taricone, ma Casalino è passato dalla casa del ‘Grande fratello’ alla casa del grande Senato”. Parla di poltrone, di Casta, in un evidente tentativo di rivolgersi all’elettorato pentastellato minando la credibilità dei suoi dirigenti: “Dico agli elettori M5s: volete continuare a pagare i fondi del Senato perché quelli della comunicazione abbiano i rimborsi delle bollette? Amici come prima, ma poi non vi lamentate della casta”.

“Il treno non ripassa”, “tornano instabilità e galleggiamento”, “col sì stessa assistenza sanitaria per tutti”, “quando votate pensate ai vostri figli”. Palazzo Chigi è più il super comitato del sì che la regia del governo. E sarà così, fino alla fine, a colpi di 5 iniziative al giorno, trasmissioni, tg. Nei momenti di pausa, dal cellulare del premier parte anche il training autogeno ai suoi: “Vinciamo noi, sono sicuro” è l’sms mandato a parecchi in questi giorni.

Insomma, all inn. Con una differenza rispetto all’inizio. E cioè che il premier non ha alcuna intenzione di lasciare la politica. Anzi, questa mobilitazione, in caso di sconfitta, ha già dentro la strategia per il dopo: “Prende il 49, il 48? – prosegue il fedelissimo – Bene, quello è tutto suo, mentre l’ammucchiata sta nel 51. A quel punto dirà: lascio palazzo Chigi e voglio vedere cosa riuscite a fare, mentre girerà il paese da capo del Pd scagliandosi contro i nemici del cambiamento”. Lo schema è tre mesi di governo per la legge elettorale e nuovo all inn. Almeno questo è quel che spifferano a 12 giorni dal voto, forse anche per esorcizzare la paura che, mai come in questo caso, la sconfitta avrebbe un solo padre. E alla mano successiva, inevitabilmente, ci sarebbero meno fish da puntare.
Notizie Italy sull’Huffingtonpost

Ricorso sul quesito referendario. “Spot per il Sì” per M5S e Sinistra. “Riprende il titolo della legge” per i dem. Il Colle si tira fuori

“Quella scheda è uno spot, così non rispetta la legge”. La guerra referendaria finisce tra carte bollate e ricorsi con i comitati del No che chiedono l’impugnazione del quesito che comparirà sulla scheda davanti al Tar. Dietro le quinte della tenzone giuridica, i senatori del Movimento 5 Stelle, Vito Crimi e di Sinistra Italiana, Loredana De Petris che contestano la formulazione “impropria e incompleta ”che finisce per tradursi in uno “spot pubblicitario a favore della conferma e dunque inganna i cittadini”. La querelle è nota da quando è stata svelata la scheda che sarà consegnata agli elettori il prossimo 4 dicembre.

Questo il contenuto: “Approvate il testo della legge costituzionale concernente disposizioni per il superamento del bicameralismo paritario, la riduzione del numero dei parlamentari, il contenimento dei costi di funzionamento delle istituzioni, la soppressione del CNEL e la revisione del titolo V della seconda parte della Costituzione, approvato dal Parlamento eccetera eccetera…?”.

“E chi non sarebbe d’accordo?”, dicono i fautori del No, secondo cui nella domanda per loro manca molto altro. Secondo le motivazioni presentate davanti al tribunale amministrativo dagli avvocati Vincenzo Palumbo e Giuseppe Bozzi, quel testo non rispetterebbe la legge che regola i passaggi del referendum costituzionale. Il punto d’attacco è la legge 352 del 1970 dove all’articolo 16, si prescrive che nel quesito sia indicato il singolo o i singoli articoli della Costituzione oggetto di revisione. La seconda contestazione, riguarda la citazione sul “contenimento dei costi” che non trova riferimento nelle norme revisionate, ma è solamente una conseguenza e neppure poi tanto certa. Chiedono perciò di riformulare la domanda nella scheda al fine di rendere chiara in tutte le parti la scelta dell’elettore evitando letture distorte.

“Un ricorso pretestuoso, summa di cavilli” replicano dalla maggioranza, che si limita a ricordare come sia stata la Cassazione a dare il via libera al quesito. Il costituzionalista Stefano Ceccanti conferma che la domanda da sottoporre all’elettore “non può che riprendere il titolo della legge votato dalle Camere e che il richiamo ai singoli articoli non c’è stato neppure nelle precedenti consultazioni”. Ma la vicenda del ricorso fa tanto rumore e ottiene già il primo effetto di rimbalzare sul Quirinale contro il quale si rivolgono le sedici pagine di motivazioni degli avvocati Palumbo e Bozzi. Un quesito e una formulazione da cui la Presidenza della Repubblica si tira subito fuori, ricordando che “è stato valutato e ammesso, con proprio provvedimento, dalla Corte di Cassazione, secondo le norme e riproduce il titolo della legge approvata dal Parlamento”.

Fondate o meno le motivazioni del ricorso, il Colle non vuole entrare nella disfida restando in territorio neutrale. Una precisazione corretta per il costituzionalista Francesco Clementi, che definisce bene il percorso referendario. Interpellato dall’Huffington Post, spiega che le motivazioni del ricorso hanno pochi appigli. La legge 352 è chiara, e prevede due scelte differenti per la formulazione del quesito referendario. “In questo caso il governo ha preferito la seconda ipotesi così com’è avvenuto anche nelle precedenti tornate referendarie ”. Questa la domanda semplificata: “Approvate il testo della legge costituzionale… concernente… approvato dal Parlamento e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale numero …del …?”. Versione “più leggibile e aggiungo di buon senso”, spiega ancora il professor Clementi, “ perché supportata dalla giurisprudenza con una sentenza della Corte costituzionale: la scelta da sottoporre all’elettore deve essere intellegibile, questi deve capire ciò che sta votando, sia con il voto elettivo sia deliberativo come nel caso del referendum”.

Se lo scontro tra i Sì e i No, si arma delle baionette giuridiche, c’è da giurare che saranno due mesi di campagna elettorale senza esclusione di colpi e il campo di battaglia del Tar, sarà solo uno dei tanti.

Notizie Italy sull’Huffingtonpost