Roma, nuovo flop della Giunta M5S. Dei 137mln concessi dal Tesoro per coprire i debiti solo 70 saranno utilizzati

“Crediamo di riuscire ad affrontare circa 70 milioni di debiti fuori bilancio”. L’assessore capitolino al Bilancio Andrea Mazzillo, in un’intervista al TGR Lazio, ammette nei fatti che il Comune di Roma non riuscirà a impegnare per intero i 137 milioni di spazi d’economia concessi alla Capitale dal Ministero di Economia e finanza a fronte dei 215 milioni di debiti fuori bilancio che gravano sulle casse comunali. “D’altronde – spiega Mazzillo – la disponibilità del Mef ci è giunta ai primi di dicembre”. In pratica, secondo la Giunta targata Virginia Raggi, non ci sarebbe stato abbastanza tempo per la programmazione. Sta di fatto che si prospetta un nuovo flop per M5S dal momento che sarà utilizzata solo poco più della metà dei fondi messi a disposizione per coprire i debiti passati. Tuttavia – sempre secondo quanto riferisce l’assessore – sarebbero stati recuperati anche altri spazi fino a raggiungere quota 180 milioni.

Tra uffici capitolini, commissione Bilancio e Assemblea è in corso una vera e propria maratona. Da domani fino a poche ore prima del brindisi di saluto al nuovo anno, sperando che per Raggi sia migliore del precedente, l’Assemblea capitolina lavorerà, in extremis, per approvare le delibere della Giunta e non perdere i soldi concessi dal Mef. Se entro il 31 dicembre i consiglieri comunali non approveranno delibere equivalenti all’intera cifra, tutto ciò non impegnato tornerà nelle casse dello Stato e, secondo quanto anticipato da Mazzillo, 67 milioni torneranno indietro.

Nel calderone dei debiti c’è un po’ di tutto: da saldi a vecchi fornitori, a liquidazioni di contenziosi, buche, scuole, spese per feste e iniziative nei municipi, poi alcune delibere più consistenti, bisognose di giustificazioni più articolate e che molto probabilmente arriveranno sul fil di lana, come quella riguardante l’azienda trasporti. Nella prima seduta della commissione Bilancio guidata dal presidente M5S Marco Terranova con cui il 23 dicembre scorso è partito il conto alla rovescia per il salvataggio di queste risorse, i commissari hanno affrontato le prime 17 delibere, potendone approvare solo 16 per un importo complessivo di appena 2,8 milioni, perché una risultava incompleta. Oggi nella prima seduta di Giunta dopo la pausa natalizia, è stato varato un ulteriore pacchetto su cui la commissione Bilancio si esprimerà per poi passare all’esame dell’Aula. Insomma, in Campidoglio si lavora con l’acqua alla gola sperando di non affondare, anche se su quasi la metà dei soldi è stata già alzata bandiera bianca.

Notizie Italy sull’Huffingtonpost

Canone, Istat e tetto agli stipendi: il cda Rai chiede aiuto al Tesoro

Una richiesta di riunire urgentemente l’assemblea dei soci. Tradotto: il ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan, dia delle risposte. Il consiglio di amministrazione della Rai lancia l’allarme sulle troppe “incertezze” che si addensano sul futuro economico dell’azienda di viale Mazzini. Perché se è vero che quest’anno il canone in bolletta ha portato un gettito di circa 2 miliardi, molte altre sono le incognite.

In particolare, si temono le conseguenze dell’inserimento da parte dell’Istat di Rai nel perimetro della pubblica amministrazione. Su questo punto, era previsto che si intervenisse nella legge di Stabilità. Cosa che non è accaduta, anche a causa della crisi del governo Renzi e della rapida approvazione con fiducia della manovra. Inoltre, c’è la questione del tetto agli stipendi fissato per legge a 240mila euro. Non è ancora chiaro se si applichi anche agli artisti: il timore è che la Rai si trovi per questo “fuori dal mercato”. Anche su questo punto si attende una interpretazione del ministero dell’Economia.

Ulteriore incognita, sottolineata dal cda, è rappresentata dalla nuova concessione che affiderà all’azienda di viale Mazzini il servizio pubblico televisivo per i prossimi dieci anni. Nella bozza preparata dal governo Renzi si interveniva anche sugli affollamenti pubblicitari, costringendo ogni canale a rimanere singolarmente sotto il tetto del 4% settimanale mentre attualmente quell’asticella viene rispettata “spalmando” gli spot sui 3 canali, favorendo così la rete ammiraglia. Infine, c’è la questione della riduzione del canone che l’anno prossimo dovrebbe scendere a 90 euro.

“La verità – spiega il consigliere di opposizione, Arturo Diaconale – è che era stato tutto preso sottogamba perché erano convinti che al referendum avrebbe vinto il sì e tutte le sciocchezze fatte finora si sarebbero risolte. Invece ha vinto il no, il governo Renzi è caduto e ora ce n’è uno che anche se è la fotocopia, non è detto che risolverà le cose che venivano date per scontate”. Di fatto, il consiglio di amministrazione si aspetta che l’assemblea dei soci venga convocata al massimo entro dieci giorni, e che le risposte arrivino prima della fine dell’anno.

La mossa dei vertici Rai non è però piaciuta al dem Michele Anzaldi, che ne dà un’interpretazione politica. “E’ un atto irrituale e ostile al governo. Peraltro – spiega – è sorprendente che di fronte all’invito rivolto sempre da tutti a tenere la politica fuori dalla Rai, sia proprio chi guida l’azienda a volerla tirare dentro”.
Notizie Italy sull’Huffingtonpost

Mps non ottiene la proroga Bce. Crolla il titolo. Fonti Tesoro: “Pronto il decreto per salvare la banca”

La notizia trapelata dalla Bce di un no alla proroga dei tempi per l’aumento di capitale e una giornata drammatica in Borsa hanno stretto in modo perentorio il sentiero di Mps verso il salvataggio. Ora il tempo è davvero agli sgoccioli e la soluzione passa sempre di più per il salvataggio pubblico, con il Tesoro che ha già messo a punto lo schema del decreto per salvare il Monte con denari pubblici. Il 31 dicembre è il termine ultimo per raccogliere i 5 miliardi di euro della ricapitalizzazione. La parola d’ordine è fare presto, una locuzione che si intreccia con la partita della formazione del nuovo governo, dove la vicenda Mps è piombata come un macigno. Al piano A, quello della soluzione di mercato, credono ancora i vertici della banca, che nel corso del cda che si è tenuto a Milano hanno deciso di andare avanti con questa opzione, ma l’aggiornamento della stessa riunione del cda a domenica pomeriggio, quando probabilmente avrà giurato il nuovo esecutivo, rende evidente che chi guida Mps sta di fatto prendendo tempo in attesa che il quadro politico si stabilizzi.

Una giornata drammatica per Rocca Salimbeni a piazza Affari. Dopo una raffica di sospensioni, il titolo ha chiuso a -10,5 per cento. L’ombrello dello Stato è pronto ad aprirsi per contribuire a una fetta importante della ricapitalizzazione, subentrando nel ruolo di garante al consorzio bancario guidato da JPMorgan e Mediobanca. Di fatto spetterà allo Stato fare da garante di ultima istanza per l’acquisto dell’inoptato, cioè tutto quel nuovo capitale che non troverà un riscontro positivo sui mercati. Qui si inseriscono le aspettative dei vertici della banca di non far tramontare del tutto il piano A. Si lancerà l’aumento di capitale in un contesto dove un nuovo governo, un nuovo premier e il decreto del governo che disegna l’ombrello protettivo potranno giocare una funzione di stimolo nei confronti degli investitori, a iniziare dal fondo del Qatar, che potrebbero così contribuire alla partita dell’aumento di capitale. L’amministratore delegato, Marco Morelli, avrebbe esposto al cda l’idea di lanciare l’aumento di capitale la prossima settimana riaprendo la conversione dei bond subordinati retail. In questo modo i risparmiatori potrebbero contribuire all’aumento di capitale fino a due miliardi e la restante parte verrebbe coperta dal miliardo già in cassa con la conversione volontaria dei bond e dall’intervento del fondo del Qatar e del mercato.

Qualora l’avventura sui mercati dovesse andare male, ecco pronta la rete protettiva del Tesoro. Una soluzione che si declina attraverso la cosiddetta ricapitalizzazione precauzionale, prevista dall’articolo 32 della direttiva Ue sulle banche e autorizzata per gli istituti, come Mps, che non hanno superato gli stress test, senza tuttavia risultare insolventi.

Come si articola l’intervento del Tesoro? XX settembre sottoscriverebbe l’aumento precauzionale per la quota mancante rispetto ai 5 miliardi da raccogliere. Siena ha già raccolto 1 miliardo dalla conversione volontaria dei bond in azioni. Altri due miliardi verrebbero raccolti attraverso la conversione forzata delle obbligazioni subordinate in mano al retail, mentre un miliardo dalla conversione dei bond in mano agli investitori istituzionali. Operazioni che daranno vita alla nazionalizzazione della banca più antica del mondo: il Tesoro, già azionista con il 4%, salirebbe al 20 per cento.

Il decreto è pronto nelle sue linee generali e si lavora intanto alla soluzione del nodo principale, cioè come tutelare i circa 40mila piccoli risparmiatori che sono possessori di oltre 2 miliardi di obbligazioni subordinate. L’operazione di salvataggio pubblico prevede, infatti l’acquisto da parte dello Stato di questi bond, che saranno poi convertiti in azioni. Il nodo è rappresentato appunto dall’entità e dalle modalità del risarcimento che deve essere corrisposto a questi risparmiatori che vedranno appunto azzerarsi il valore delle obbligazioni detenute.

Notizie Italy sull’Huffingtonpost

Il Tesoro dà i numeri sulla ricostruzione, ma i fondi diretti in manovra restano 600 milioni

Il governo dà i numeri sul terremoto, provando ad associare le parole alle cifre. Perché già si intravedono i termini della contesa con Bruxelles. Lì i conti non tornano, proprio sul terremoto, in nome del quale Renzi e Padoan hanno chiesto il famoso zero virgola due per cento di flessibilità da stanziare sulle spese per il sisma. Il premier, intervenendo a Radio 24, non si impicca a cifre precise: “Ci sono degli spazi di azione pari a 3 miliardi nel 2017” ma “non c’è uno stanziamento puntuale perché ancora non si sa quanto servirà”. Il punto è sempre lo stesso, sollevato da HuffPost lunedì scorso. Il governo ha chiesto 3,4 miliardi di flessibilità all’Europa in nome del terremoto. Ma nella manovra, alla voce terremoto, ci sono solo 600 milioni. Il dubbio che serpeggia a Bruxelles è che il premier chieda più deficit per una circostanza eccezionale, ma lo utilizzi per quelle che le opposizioni chiamano le “mance referendarie”, dalle quattordicesime ai pensionati ai fondi per il trasporto in Campania.

Proprio per tranquillizzare Bruxelles, il Tesoro fa trapelare in agenzia l’elenco dei capitoli di spesa, mettendo però nello stesso calderone i fondi per l’emergenza da “bruciare” subito con quelli che serviranno per la ricostruzione a partire dall’anno prossimo: per far fronte alle esigenze derivanti dagli eventi sismici – ha spiegato un portavoce del Tesoro – il governo ha stanziato con tre successive delibere del consiglio dei ministri 130 milioni (50 milioni il 25 agosto, 40 milioni il 27 ottobre, 40 milioni il 31 ottobre); nel decreto per la ricostruzione sono stati inoltre stanziati 266 milioni per il 2016 e ulteriori 200 per il 2017. Il problema dell’elenco è che si sommano voci di spesa appartenenti a anni diversi, mentre a Bruxelles vorrebbero sapere se le risorse “extra” vengono impiegate per spese “extra”. Di queste risorse, solo 200 milioni sono stanziati per il 2017 e riguardano poste già coperte attraverso lo spostamento di altri fondi: sono le cosiddette spese di emergenza, quelle strettamente necessarie nell’immediato per far funzionare la procedura dei soccorsi, l’assistenza e la gestione degli sfollati, difficilmente classificabili con la prevenzione, la messa in sicurezza e la ricostruzione.

Insomma, non risorse “aggiuntive” sul terremoto ma soldi che servono per far funzionare la macchina emergenziale e per fornire i primi container. Di risorse certe per la ricostruzione invece ci sono quelle stanziate all’articolo 51 della legge di Bilancio. Così articolate: per il 2017 sono previsti 100 milioni “per la concessione del credito d’imposta maturato in relazione all’accesso ai finanziamenti agevolati” erogati dal governo, cioè la cosiddetta “ricostruzione privata”; altri 200 milioni di euro nel 2017 “per la concessione di contributi finalizzati alla ricostruzione pubblica”. In totale, per il prossimo anno, 300 milioni a cui si aggiungono 300 milioni di cofinanziamento regionale di fondi strutturali che peraltro – si puntualizza – “non comportano una modifica dei saldi di finanza pubblica”. L’impatto complessivo, in termini di maggiore indebitamento netto, è di 600 milioni. Per il resto siamo nel regno delle ipotesi più che delle certezze, ove si prevedono 200 milioni l’anno dal 2018 al 2047 per la cosiddetta ricostruzione privata. I famosi 6 miliardi che rimbalzano nei titoli, senza l’aggiunta che sono spalmati in trent’anni, un arco temporale che impedirebbe a molti di rivedere la propria casa.

Fin qui il certo. Tra le altre spese, il Mef fa sapere che il governo ha stanziato risorse per investimenti in opere pubbliche e – spiega via XX settembre “liberato spazi di bilancio per comuni e regioni” per un totale di 600 milioni circa nell’anno 2017 . Il “Fondo” a cui si fa riferimento “per lo sviluppo degli investimenti e lo sviluppo infrastrutturale” però non prevede un “vincolo”. Per la serie: o questi fondi li spendi per la prevenzione sismica o non li vedi. Anzi, cita tutta una serie di settori di intervento tra cui c’è la prevenzione sismica, ma anche “trasporti e viabilità”, “infrastrutture”, “attività industriali ad alta tecnologia”.

C’è poi “il piano di messa in sicurezza e prevenzione”: 2 miliardi sotto forma di incentivi fiscali per le opere di ristrutturazione da parte dei privati e 800 milioni “già stanziati” per opere pubbliche contro il dissesto idrogeologico e la messa in sicurezza delle scuole. Appunto, “già stanziate”. La scommessa più ambiziosa riguarda proprio le detrazioni sulle spese sostenute per misure antisismiche, gli incentivi, perché interviene non solo sulla ricostruzione, ma su tutte quelle centinaia di migliaia di edifici potenzialmente a rischio. Piano ambizioso dai costi ambiziosi. Ma non sul 2017, anno su cui sono previsti costi solo per 16,2 milioni di euro. La cifra cresce negli anni successivi, col picco nel 2022. Il perché è scritto nella relazione tecnica: “L’effetto positivo determinato dal maggior gettito fiscale si rende maggiormente apprezzabile nei primi anni, mentre quello negativo determinato dalle minori entrate dovute alle detrazioni si diluisce negli anni successivi”. In altre parole, da bonus di questo tipo – come accaduto anche negli anni passati – le casse dello Stato ci guadagnano nel brevissimo periodo e ci perdono, inevitabilmente, più avanti . Ecco che, complessivamente, tutte le detrazioni di cui parla il Mef costano sì al governo 2 miliardi, ma nel 2022. Nel 2017 non costano nulla, anzi porteranno nelle casse dello Stato 28,7 milioni di euro in più. E questo è quasi un paradosso. Dunque il governo dà i numeri, che però raccontano non di un “negoziato” eccezionale su una circostanza eccezionale, in nome del quale chiedere risorse eccezionali, che si aggiungono a quelle stanziate. I numeri, messi nero su bianco prima del terremoto, più ordinari che straordinari, non sono crollati con le scosse.

tabella

• Segui gli aggiornamenti sulla nostra pagina Facebook

• Per essere aggiornato sulle notizie de L’HuffPost, clicca sulla nostra Homepage

• Iscriviti alla newsletter de L’HuffPost


Notizie Italy sull’Huffingtonpost