Per le edizioni Terra Santa è uscito il libro ”Rifugiata”, l’odissea di una famiglia.

Il dramma dei profughi visto attraverso gli occhi di una bambina.

Va subito detto che i proventi dalle vendite di questo libro saranno destinati ai progetti sociali della Custodia di Terra Santa in favore dei rifugiati sulle isole di Kos e Rodi

 

Un libro fatto di immagini e di testo ed entrambi sono essenziali al racconto.
A scrivere è Tessa Julià Dinarès, insegnante catalana. A disegnare è Anna Gordillo Torras, anch’essa catalana, poco più che trentenne, che dopo aver studiato Belle Arti a Barcellona, frequenta nel Regno Unito il master di Illustrazione per racconti dell’infanzia presso la Cambridge School of Arts.
L’opera traduce in concreto sentimenti contrastanti quali la speranza e il dramma, che sono le facce della stessa medaglia e, forse, più che di una medaglia, si dovrebbe parlare di un solido a più lati…

 

«Perché mi hanno svegliato? Perché ho dovuto alzarmi in tutta fretta?
Sono le domande di una bambina siriana, ma accade a migliaia di bambini in diverse parti del mondo.
È ancora notte. Stiamo andando via e prendiamo poche cose.
Le facce di tutti riflettono paura e tristezza.
Il mio papà mi prende per mano con forza e quasi mi fa male.
Mi viene voglia di piangere. Ma non voglio piangere.
Dove stiamo andando? E perché corriamo?».

 

Raccontata dalle suggestive tavole di Anna Gordillo, la drammatica esperienza di chi è costretto alla fuga parla con il linguaggio universale del disegno e raggiunge anche i lettori più giovani.
Ma questo vuole essere un libro di speranza, alimentata anche dalla Custodia di terra Santa: in coda il volume riporta una breve descrizione dei progetti sociali per i rifugiati sostenuti dalla Custodia di Terra Santa nelle isole greche di Rodi e Kos, a favore dei quali sono destinati i proventi del libro.
Perché secondo i dati dell’Alto commissariato dell’Onu per i rifugiati (Unhcr), in Siria 13 milioni e mezzo di persone necessitano di aiuti umanitari; 6 milioni e 300 mila sono sfollati interni; centinaia di migliaia hanno affrontato tragici viaggi in mare per cercare protezione; quasi 3 milioni di siriani sotto i 5 anni sono cresciuti vedendo solo la guerra; e 4 milioni e 900 mila – in maggioranza donne e bambini – sono rifugiati negli Stati confinanti, sottoponendo i Paesi ospitanti a un grande sforzo nel sostenere le ripercussioni politiche, sociali ed economiche.

 

Ecco perché i Commissari di Terra Santa di lingua italiana hanno scelto di sostenere i progetti in favore dei rifugiati portati avanti da fra John Luke Gregory nelle due isole greche, dove i frati minori francescani hanno una presenza antichissima. Kos è stata investita in pieno dall’arrivo di persone in fuga (con punte di 58 mila richiedenti asilo). Sull’isola esiste un hot-spot per l’accoglienza, l’identificazione e lo smistamento che è stato pensato per 600 persone, ma che a fine 2017 ne ospita in realtà 3 mila, in gravi difficoltà.

 

Il centro per rifugiati di Rodi, ospitato nell’ex mattatoio dell’isola, ospitava a fine 2017 un centinaio di persone, tra cui minori non accompagnati e anche giovani e coppie. La struttura è fatiscente e le condizioni sanitarie gravi. In più, i frati francescani di Rodi assistono 250 persone con aiuti in vestiario, medicine e pacchi alimentari. Il progetto di assistenza, con un occhio di riguardo ai minori non accompagnati, è seguito personalmente da fra John Luke. L’impegno dei frati minori in favore dei rifugiati a Rodi e Kos si inquadra in un più ampio orizzonte di aiuti e di progetti umanitari che riguarda la Siria e il Libano.

 

Rifugiata
L’odissea di una famiglia
Edizioni Terra Santa, Milano 2018
Pagine 40, ill. a colori, 19,50 €

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MALATI DI MENTE IN CIELO E ILLUSI IN TERRA.

Capacità psicofisica del personale navigante quando questo prende posto nel cockpit al comando di un aereo di linea.

Safety Newsletter 31/2018 del 31 Luglio 2018
www.air-accidents.com

Per dovere di cronaca con la nostra ultima Newsletter abbiamo informato i lettori circa le recenti novità provenienti da Bruxelles sulla capacità psicofisica del personale navigante quando questo prende posto nel cockpit al comando di un aereo di linea. (1)

In quella occasione ci siamo astenuti dal fornire commenti personali sul contenuto del nuovo regolamento, ma ciò non significa che non avevamo nulla da dire in merito, tutt’altro.

●Duplicazione delle autorità. In tempi in cui siamo mediaticamente bombardati sulla ineluttabilità della globalizzazione, sulla inutilità del sovranismo e delle frontiere è davvero anacronistico annotare che laddove già opera una autorità planetaria e centralizzata che dall’invenzione del mezzo aereo si prende cura a nome di tutte le nazioni del mondo di regolamentare i traffici aerei sotto ogni suo aspetto, parliamo dell’ICAO, in Europa e più in
particolare a Bruxelles si continuano a sfornare regolamenti che di fatto vanno a sovrapporsi a quelli già operativi dell’ICAO.

Laddove quest’ultimi fossero mancanti o necessari di revisione non si ravvede il motivo per cui l’Europa non possa coordinarsi con Montreal per attuare nuove direttive e regolamenti. Inutile sottolineare come l’organismo europeo (EASA) abbia un suo costo gestionale che ricade sulle tasche di tutti i contribuenti UE.
Di fatto se ogni continente adottasse la politica della Unione Europea, in pratica le compagnie aeree dovrebbero confrontarsi con regolamenti emessi dall’autorità asiatica, dalla autorità africana, dalla autorità sudamericana, da quella nordamericana, da quella australiana, nonchè da quella UE….senza dimenticare che in ogni caso rimarrebbero in forza i regolamenti emessi dall’ICAO: in poche parole il caos generale.

● Il controverso aspetto riposo. Si ha un bel dire circa la necessità che i piloti prendano servizio al meglio delle loro capacità psicofisiche e continuare a emettere regolamenti su turnazioni e riposi.
Di fatto non vi è mai stato un rapporto investigativo che abbia evidenziato uno sforamento dei limiti mensili o annuali nelle ore di servizio effettuate. La verità è che il prendere servizio riposati non dipende solo da una idonea suddivisione delle ore che si sono lavorate nelle turnazioni assegnate, bensì la domanda fondamentale che tutti si pongono e alla quale è impossibile dare una risposta è la seguente:
i membri di equipaggio agiscono responsabilmente durante i riposi loro assegnati?
Così quando le autorità stabiliscono che “i membri dell’equipaggio non devono svolgere mansioni su un aereo quando sono sotto l’influenza di sostanze psicoattive o non idonei a causa di lesioni, affaticamento, farmaci, malattie o altre cause simili” (2) il concetto è chiaro e impeccabile nella sostanza ma come tradurlo in pratica?

Certo attraverso controlli casuali negli aeroporti, si può scoprire se un pilota ha un tasso alcolico non permesso, ma come si fa a controllare se è stanco e se veramente ha tratto vantaggio dal periodo di riposo? Qui entriamo nel campo delle pie illusioni dei burocrati che risiedono in terra.

Nei corsi di preparazione alla licenza di volo i futuri piloti studiano anche gli Human Factors (HF) e uno degli argomenti su cui più si sensibilizza l’attenzione è quello relativo alla “fatigue”.
Si insegna loro che i fattori che determinano la fatica operazionale (3) sono i seguenti:

-situazione soggettiva;
-tipo di impiego;
-ambiente di lavoro

Ebbene nella situazione soggettiva ritroviamo anche l’aspetto dell’ambiente famigliare, della vita sociale che il soggetto si trova a vivere. Problemi in questo ambito possono contribuire ad aumentare il rischio della fatica operazionale, da cui ne discende la “necessità” di cercare di avere una situazione personale “sotto controllo”.
Ma se il problema può sorgere su questo fronte, quale regolamento potrà mai metterlo in luce?

Ribadiamo che mentre i controlli possono eliminare determinati fattori di rischio, il check up del cervello umano presenta ancora ampie lacune, in poche parole la sensibilità del soggetto nell’affrontare determinati problemi e le reazioni che esso può avere di fronte a qualcosa che lo turba sono assolutamente imprevedibili.

Nella Newsletter n. 27 “Un altro pilota suicida?” abbiamo narrato il recente caso di un primo ufficiale della Qantas che era stato messo a riposo temporaneamente ma il quale, a sorpresa di tutti, si è poi suicidato inabissandosi nei mari australiani fortunatamente alla guida di un Cessna 172 anzichè un aereo di linea.
Proficiency check superato senza alcun problema, ma sullo sfondo problemi coniugali.

● Ambiente di lavoro. Come non dire una parola infine sulla attuale professione del pilota?
Su questo scottante argomento niente di meglio che riprendere quanto abbiamo letto su un quotidiano di oggi a commento del regolamento EASA (4) :
“Secondo diversi centri di addestramento al volo il problema psicologico più frequente nei piloti nasce dal malcontento di una vita estenuante sempre più lontana dalle aspettative, con turni che prevedono anche sei tratte giornaliere sul corto raggio e riposi ridotti sulle lunghe distanze, nonché dalla disillusione sul trattamento economico sempre in riduzione a fronte di programmi di formazione troppo standardizzati e rapidi che portano ragazzi molto giovani a sedersi come primi ufficiali sui liner a soli 24/25 anni con una esperienza minima di poche centinaia di ore di volo….”
Questo specifico aspetto è stato oggetto di una vivace dibattito nell’ambiente aeronautico all’indomani dell’incidente della Colgan Air 3407 avvenuto nel febbraio 2009 nel quale perirono 50 persone.
L’incidente mise in luce non solo che il comandante Marvin Renslow e il primo ufficiale Rebecca Shaw reagirono in modo inappropriato all’avviso di stallo a causa dello stato di affaticamento cui erano sottoposti, ma anche l’inadeguatezza del salario del primo ufficiale.
Il che poi innescò l’argomento del drastico taglio dei salari avvenuto a seguito dell’avvento della deregulation e dell’aumentata concorrenza nei cieli.
Ma forse tutto sommato è meglio non insistere troppo sulla labilità del cervello umano così come pure sul fronte delle richieste salariali in quanto non vorremmo fornire ulteriore benzina per alimentare il fuoco di chi spinge per mettere nel cockpit i robot al posto degli umani.

Antonio Bordoni

(1) “Programma supporto EASA sulle capacità dei piloti” ; Newsletter n. 30/2018 del 29 luglio 2018.
(2) Dal preambolo del Regolamento UE 2018/1042 del 23 luglio 2018
(3) A sua volta la fatica operazionale si distingue in soggettiva e oggettiva ; mentale o muscolare.
(4) “L’ultima della UE: piloti d’aereo tutti in terapia”; LaVerità, 31 luglio 2018 a firma di Sergio Barlocchetti
 

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“Le stanno mangiando vive!”. Quello che ho visto in un’azienda avicola che adotta l’allevamento a terra

01

La prima cosa che ho sentito, nell’oscurità, è stato un urlo: “Ci sono bambini qui?” ho pensato. Sembrava proprio il pianto di un bambino.

Ma le luci ci hanno mostrato la fonte di quel suono. Nel fienile, le galline “gridavano” mentre venivano attaccate. Molte (qualche dozzina secondo i registri della fattoria) non avrebbero superato la notte. Nelle condizioni mostruose di quella fattoria con allevamento a terra della Costco (la più grande catena americana di ipermercati all’ingrosso) sarebbero state mangiate vive, nel vero senso della parola.

Dal momento che centinaia di rivenditori importanti stanno passando all’allevamento a terra, nel settore sono in molti a sbandierare un futuro più umano per gli animali. Ma come principale ricercatore della Direct Action Everywhere http://www.directactioneverywhere.com/ (DxE) Open Rescue Newtork, ho una reazione diversa: provo orrore. Perché, tolta la patina del marketing, ci si rende conto che l’allevamento a terra non è come ce lo raccontano.

ATTENZIONE: il video mostra contenuti che includono animali feriti o deceduti. Potrebbe turbare alcuni spettatori.

Il cannibalismo è il primo oscuro segreto dell’allevamento a terra. Uno studio ha mostrato che i tassi di cannibalismo aumentano del 3000% nelle aziende che praticano questo tipo di allevamento. Ed è un modo orribile di morire. La cloaca della gallina (equivalente alla vagina umana) viene presa a bersaglio perché è tenera, carnosa e ricoperta di fluidi. Impazziti a causa dell’affollamento, gli uccelli attaccano questo punto debole, tirando fuori gli organi interni. Le vittime di questi attacchi muoiono, pezzo dopo pezzo. Nella fattoria della Costco ho visto un esemplare, insanguinato e incapace di avanzare, trascinarsi su un ammasso di letame nel disperato tentativo di fuggire. Nonostante gli sforzi, il nostro team non è riuscito a salvare la piccola gallina.

Ma il cannibalismo è solo la punta dell’iceberg. Dalla qualità dell’aria alle fratture, le galline spesso patiscono molto di peggio in un sistema di allevamento a terra. Le morti premature sono triplicate. Se un simile aumento della mortalità venisse registrato in una prigione “umana”, ci sarebbero accuse penali nei confronti del direttore.

Il problema fondamentale per le galline è questo: le aziende con allevamento a terra, come quelle che seguono l’allevamento in gabbia, schiacciano le galline in uno spazio che ha le dimensioni di un foglio da stampante. Immaginate di vivere tutta la vita chiusi in una piccola doccia. Ora, immaginate di vivere la vostra vita in quello stesso spazio, ma con migliaia di estranei impazziti che si accalcano intorno a voi. Ecco l’alternativa tra allevamento con gabbie o a terra. Nessuna delle due opzioni è umana, neanche lontanamente.

02

L’allevamento a terra non è dannoso solo per gli animali; contribuisce anche a gonfiare i profitti del settore. Bloomberg riferisce che il consumatore medio è disposto a pagare più del doppio per una dozzina di uova da allevamento a terra, un extra di circa 2 dollari per ogni confezione da dodici. Ma i soli costi aumentano di circa il 15% per una dozzina di uova da allevamento a terra. Se, oggi, tutte le produzioni di uova adottassero l’allevamento a terra a questi prezzi, i guadagni del settore aumenterebbero di 7 miliardi di dollari.

La crescita del settore alimentata dall’allevamento a terra non è solo speculativa. Nell’anno successivo al massiccio passaggio all’allevamento a terra, l’America Egg Board prevede un aumento del 5% nel consumo di uova pro-capite. Le maggiorazioni dei prezzi porteranno a investimenti più significativi nella produzione di uova. Questo significa che milioni di animali potrebbero ancora soffrire le condizioni da incubo delle moderne aziende avicole. Infatti proprio la fattoria Costco, che abbiamo ispezionato di recente, si è assicurata un finanziamento di un milione per estendere le proprie attività produttive.

La soluzione al problema è il cambiamento. Però a cambiare non devono essere le pratiche aziendali, ma i sistemi incentivanti che sono alla base di queste pratiche. Le società operano in un mondo dove gli azionisti pretendono guadagni, dove gli animali sono “oggetti” legali che aiutano a creare determinati guadagni, e dove non esistono norme significative che regolino il passaggio da “animali” a “profitti”. Non sorprende dunque, (proprio come accade nel settore finanziario) il fatto che anche qui le riforme volontarie siano costantemente ostacolate. Le aziende che cercano di fare la cosa giusta vengono punite dal mercato per essersi accollate spese non necessarie.

03

È quello che succede con l’allevamento a terra. Le aziende trovano modi originali per stipare sempre più uccelli in uno spazio già ridotto al minimo. Finché il sistema non cambierà (riconoscendo agli animali una parvenza di diritti civili) questi abusi aziendali sono destinati ad andare avanti.

Il vero progresso per gli animali non può dipendere da realtà come la Costco. Come dimostrato da altri grandi movimenti per i diritti, arriverà solo cambiando il nostro sistema politico. E anche se l’idea di una carta costituzionale dei diritti degli animali può sembrare fantasiosa, è stato così anche per il matrimonio gay una generazione fa, o per il suffragio femminile all’inizio del 20° secolo. Eppure, guardate dove siamo arrivati oggi.

Per farla breve, “liberiamo le galline”, come ha suggerito giustamente Bill Maher alla Costco, lo scorso anno. Ma la libertà per gli animali non arriverà con l’allevamento a terra. Arriverà quando inizieremo a custodire la loro libertà, la loro dignità, perfino il loro “stato di persona” come un diritto fondamentale.

Questo articolo è stato pubblicato per la prima volta su Huffpost Usa ed è stato poi tradotto dall’inglese da Milena Sanfilippo

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