Paziente morta alla Scotte, audit Centro Gestione Rischio Clinico: non sono emerse criticità nel percorso assistenziale

FIRENZE – In relazione al decesso della paziente avvenuto a seguito di complicanza insorta dopo parto cesareo, il pool regionale di esperti, individuato dal Centro Gestione Rischio Clinico per la realizzazione di un audit sul percorso clinico assistenziale, si è riunito in data 3 luglio 2019 presso la AOU Senese insieme ai professionisti che hanno seguito il caso.

Da una prima analisi della documentazione disponibile e dalla ricostruzione realizzata con i professionisti dell’AOUS, emerge un quadro clinico da subito complesso affrontato in maniera tempestiva e multidisciplinare dal team aziendale, il cui operato non ha evidenziato criticità nella gestione del percorso clinico assistenziale.

Il lavoro del pool di esperti  si concluderà con una relazione. La commissione regionale resta, comunque, in attesa delle risultanze dell’autopsia che è in corso di esecuzione.

Il pool è composto dagli auditor clinici esperti Federico Mecacci, ginecologo, e Carlo Dani, neonatologo, dell’Ospedale di Careggi, Gianluca Bracco, ginecologo dell’USL Nordovest e Armando Cuttano neonatologo dell’AOU di Pisa, da Sara Albolino, responsabile ad interim del Centro Regionale Gestione Rischio Clinico (GRC)  e Michela Tanzini referente Toscana sud est per il Centro GRC. 

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Suvignano, Bugli: “I toscani se la sono ripresa, sarà luogo di idee, lavoro e impegno”

FIRENZE – Se la legalità ha dei colori e dei suoni, questi, oggi, erano tutti a Suvignano, la grande tenuta confiscata alla mafia e dopo una lunga vicenda giudiziaria assegnata in gestione alla Regione Toscana. L’azzurro limpido del cielo, il verde già tinto di giallo dal sole dell’estate, i colori caldi della pietra e dei muri delle costruzioni e intorno un pezzo della Toscana più bella, la terra di Siena (siamo tra i comuni di Monteroni d’Arbia e Murlo). E poi , naturalmente, i colori  e le voci della gente, i protagonisti di questa giornata: le famiglie, gli artisti, i rappresentanti del mondo dell’associazionismo e dei produttori della zona.
Oggi Suvignano ha aperto i suoi cancelli per questa grande festa, che ha sancito una vittoria grande della legalità e della democrazia sui poteri criminali.

“Sì, ce la siamo ripresa, i toscani se la sono ripresa – ha detto l’assessore alla presidenza Vittorio Bugli, che ha seguito per il governo regionale le fasi decisive della complessa vicenda – Questo è un bene importante, nel cuore prezioso della Toscana, finito nelle mani della mafia e oggi torna finalmente ai toscani. Sarà un luogo vivo, attivo, di idee e anche di produzione. Ci faremo una buona agricoltura, con prodotti biologici e di filiera corta, e chi lavorerà qui, lo farà garantito, sempre, dalla forza della legge e dei diritti. E sarà, naturalmente, un simbolo della lotta alla presenza della criminalità organizzata nella nostra regione. Daremo vita qui – annuncia – al luogo-simbolo su quanto la Toscana, in tutte le sue espressioni, istituzionali, sociali, culturali, ha fatto, fa e farà contro le mafie. Porteremo i ragazzi delle scuole a visitarla e nella tenuta già organizziamo campi estivi di lavoro per i giovani”.

Presente fin dalla mattinata a Suvignano Antonino De Masi,  imprenditore calabrese che da anni vive sotto scorta per aver denunciato il racket. “Cosa provo ad essere qui? Provo gioia – ha detto – Sono felice quando qualcosa che era brutto, diventa bello. Vorrei essere un semplice cittadino, che fa la sua attività per il futuro dei propri figli e dei suoi lavoratori, ma ora mi trovo in mondo più grande di me, dove mi ha portato la difesa dei miei valori. So di correre dei rischi, so che cercheranno di farmela pagare, ma sono determinato a far prevalere il mio essere un uomo libero”

Il programma della giornata, dopo l’esibizione della street art band “BadaBimBumBad”, che ha  guidato come un pifferaio gli ospiti sui sentieri della una terra riconquistata, prosegue con la performance di “Straligut teatro”  e la tavola rotonda “Conoscere le mafie, costruire la legalità” con l’assessore Bugli, i sindaci di Monteroni d’Arbia e Murlo, Gabriele Berni e Davide Ricci, De Masi e la giornalista Federica Angeli, sotto scorta anche lei dal 2013 per le sue inchieste sulla mafia romana.

Chiusura ancora in musica con i “Modena City Ramblers”

La tenuta e la sua vicenda
La storia giudiziaria della tenuta inizia con il giudice Giovanni Falcone, che nel 1983 sequestra l’azienda una prima volta all’imprenditore palermitano Vincenzo Piazza, sospettato di aver rapporti con Cosa Nostra. Il costruttore ne rientra successivamente in possesso. Tra il 1994 e il 1996 arriva il secondo sequestro, assieme ad un patrimonio di ben duemila miliardi di vecchie lire affidato alla gestione di un amministratore giudiziario. Poi, nel 2007, la condanna e la confisca definitiva.
Si è rischiato ad un certo momento, anni fa, che la tenuta fosse messa all’asta, con il rischio che potesse tornare alla mafia attraverso prestanome. Poi nei mesi scorsi, annunciata già da più di un anno, è arrivata l’assegnazione alla Regione, che la gestisce adesso attraverso Ente Terre, che già si occupa di altre proprietà demaniali o in gestione, fa sperimentazioni in campo agricolo e forestale.
La tenuta si estende attualmente su 640 ettari, tra il Comune di Monteroni d’Arbia (per la maggior parte) e quello di Murlo). Contiene una colonica di pregio, altri diciassette edifici e 21mila metri quadrati tra immobili e magazzini, una chiesetta di fianco all’edificio principale. In tutti questi anni di gestione attraverso l’Agenzia nazionale per i beni confiscati alla criminalità organizzata ha continuato a funzionare l’agriturismo

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Sono gli aerei nuovi più sicuri di quelli vecchi?

Antonio Bordoni, esperto di aeronautica commerciale, ancora una volta ci invita ad una riflessione basandosi su elementi certi.

     Molti, viaggiando per lavoro in Paesi in via di sviluppo, a bordo di aerei datati, magari utilizzati per coprire remote località interne, si sono sempre basati sul fatto che su quegli aerei viaggiavano anche i piloti e quindi se si sentivano sicuri loro potevano esserlo anche i passeggeri.

     Oggi, nei cosiddetti tempi moderni, soprattutto lungo le tratte più gettonate, vengono utilizzati aeromobili di ultima generazione e dotati delle più moderne tecnologie avioniche … tuttavia gli ultimi eventi occorsi ci obbligano a distinguo così come descritto nell’ultima newsletter del sito www.air-accidents.com che, qui a seguire, riportiamo integralmente.

 

QUANDO L’AEREO E’ TROPPO NUOVO

 

L’opinione pubblica erroneamente ritiene che aereo nuovo equivalga a più sicurezza.

Tale convinzione è un retaggio della vecchia aviazione commerciale quando le compagnie charter volavano con aerei messi in disuso dai vettori tradizionali.

Oggigiorno una tale concezione è decisamente superata perché il mercato dell’usato è passato di moda e le compagnie acquistano direttamente dai costruttori i loro aeromobili.
Sempre negli anni passati, ed ancora una volta erroneamente, all’indomani di una tragedia dell’aria i media erano soliti parlare di “carrette del cielo”.

Ma il ricorso a questi eclatanti titoli più che corrispondere a obiettive verità derivava dalla necessità di far colpo sull’opinione pubblica.
Oggi con una aviazione commerciale i cui incidenti fatali si possono contare sulle punta delle dita, possiamo affermare che è assolutamente errato credere che a cascare siano solo datate “carrette del cielo”.

Per quanto strano possa sembrare le cronache dell’aviazione civile sono purtroppo piene di casi di tragedie dell’aria avvenute perché l’aereo era troppo nuovo o, variante sul tema, perché l’equipaggio ancora non aveva familiarità con quel modello.

 

Le due recenti sciagure che hanno visto quale protagonista l’ultimo nato in casa Boeing ne sono la prova più evidente.
Se andiamo indietro nel tempo alla ricerca di incidenti che hanno colpito aerei di fresca consegna non avremmo altro che l’imbarazzo della scelta e potremmo ad esempio iniziare da un caso italiano che ha visto coinvolto un velivolo che era stato consegnato alla compagnia appena due settimane prima.

Era l’11 marzo 1967 quando un nuovissimo bimotore Twin Otter della compagnia Aeralpi in volo da Venezia-Marco Polo a Cortina, aeroporto di Fiames precipita in località Fadalto. A bordo 2 piloti e due passeggeri.

L’aereo era partito da Milano e aveva fatto scalo a Venezia dove erano scesi 12 passeggeri.

Il velivolo di cui la produzione era iniziata nel 1964 era stato consegnato alla compagnia appena due settimane prima, il 24 febbraio.
La Aeralpi era una aerolinea nata su iniziativa di alcuni investitori pubblici e privati, tra i quali il conte Cesare d’Acquarone, Giovanni Ferrari e Umberto Klinger, convinti dell’opportunità di sfruttare l’esigenza di collegare il traffico turistico da e per Cortina d’Ampezzo usando il mezzo aereo. (1)

 

Ma se l’incidente dell’Aer Alpi fu principalmente causato dalla nebbia che imperversava nella zona, ben più gravi furono le cause della sciagura che avvenne il 29 settembre 1959 ad un quadrimotore Electra che era stato consegnato alla compagnia Braniff 11 giorni prima.
Nelle indagini che seguirono non si riuscì a determinare la causa e la svolta venne solo a seguito di un altro incidente, quello del volo 710 della Northwest Airlines occorso il 17 marzo 1960.

Questo aereo, un altro Electra, si era disintegrato a mezz’aria dopo aver perso le ali in modo simile al velivolo Braniff.

L’indagine su questo secondo incidente mise in luce cedimenti strutturali dell’ala dovuti alla posizione delle gondole motori.

Dal 1961 la Lockheed avviò un programma di irrobustimento delle zone critiche. Anche in questi incidenti eravamo in presenza di un nuovo modello di aereo.

 

Il 19 gennaio 1960 fu la volta di un altro incredibile incidente.

Era appena iniziata l’era del jet e un luccicante Caravelle entrato in servizio il 18 novembre si accingeva ad atterrare all’aeroporto di Ankara proveniente da Istanbul e Copenhagen.
Dell’incidente pur apparendo chiaro che vi era stata una discesa non intenzionale al di sotto della quota minima di volo autorizzata per l’avvicinamento all’aeroporto di Esenboga, non fece seguito alcuna conclusione definitiva sulle cause.

Tutti i 42 occupanti persero la vita. Erano gli anni della transizione dall’elica al jet e quell’innovativo bireattore aveva appena due mesi di servizio.
L’undici luglio del 1961, 17 persone dei 122 occupanti persero la vita allorchè un nuovo DC8 che aveva alle spalle 124 ore di servizio precipita durante l’atterraggio a Denver.
Il DC8 era stato consegnato alla United a Giugno.
Il 26 giugno 1988 un Airbus 320, che fra l’altro era il primo aereo che lanciò il sistema di volo automatizzato fly-by-wire, precipitò a Mulhouse. L’aereo aveva i colori dell’Air France e sulle ragioni delle sua caduta le polemiche proseguono ancora oggi.

Addirittura ai comandi di questo velivolo vi erano il capo pilota di Air France e un collaudatore della casa costruttrice. L’aereo era stato consegnato ad Air France pochi giorni prima ed aveva accumulato 22 ore di volo.

 

E andando alla ricerca di incidenti avvenuti a nuovi velivoli ci siamo imbattuti in questa scioccante affermazione:
“…la sostanziale omissione venne giustificata dalla Boeing con l’argomentazione che, malgrado
tutte varianti, il 747/400 era una macchina ‘ derivata dalle precedenti e come tale già accettata
dalla FAA. Non si poteva parlare di nuova costruzione”’. (2)
A parte il differente tipo di aereo non vi sembra che la stessa ci ricordi qualcosa?
Anche se in quel caso non ci si riferiva alla strumentazione di bordo ma al rafforzamento del ponte principale “onde
evitare il ripetersi dei vari incidenti capitati a seguito del suo sfondamento” sembrerebbe che il vizio di far passare per vecchio ciò che invece meriterebbe una nuova certificazione risalga indietro negli anni e non possa di certo definirsi una novità.

 

Tutto lascia insomma credere che più di aver paura della vetustà che il velivolo si porta alle spalle, ciò che invece ha la sua valenza nel valutare il rischio del volo, è il fattore familiarità che l’equipaggio può vantare nei confronti della macchina chiamata a pilotare.
Più esso è consistente, più potete star certi che non avrete sorprese dal vostro aereo e dal vostro capitano.

 

Antonio Bordoni
Safety Newsletter 14/2019 del 22 Marzo 2019
www.air-accidents.com

 

(1) L’Aeroporto di Cortina d’Ampezzo-Fiames era un piccolo aeroporto, oggi dismesso, costruito in seguito
al boom turistico che investì l’Ampezzano con i VII Giochi olimpici invernali del 1956.

 

(2) “Trappole nel cielo” Adalberto Pellegrino. Sugarco edizioni, 1992 , pagina 107. L’episodio da noi ripreso è
contenuto nel capitolo 3, Le macchine, la progettazione. Va comunque fatto presente che non risultano incidenti
mortali a seguito di quei fatti. Annota ancora il comandante Pellegrino: “ma rafforzare quella struttura significava
aumentare il peso a vuoto dell’aeroplano e quindi diminuire il suo rendimento commerciale”….”di fatto l’offerta e la
promozione di un nuovo aereo di linea non si basano più sulle doti di affidabilità e di resistenza, ma sulla sua
economicità di esercizio, brutalmente tradotta come costosedile per miglio.” Il libro, come precisato, uscì nel 1992.

 

Nella foto un aero DC3 Douglas, aereo costruito in più di 10.500 esemplari, in volo da 75 anni, alcuni esemplari sono ancora in esercizio.

Master Viaggi News – News Mondo (Ultime 10 News Inserite)

Roberto Benigni da Sergio Mattarella per i David di Donatello: “Sono il portavoce del Pci, partito del cinema”

“Sono il portavoce del Partito del Cinema, del Pci”. Ha scherzato così Roberto Benigni, introducendo al Quirinale la cerimonia di presentazione dei film candidati al David di Donatello alla presenza del Capo dello Stato Sergio Mattarella e del ministro Dario Franceschini.

Benigni ha preso la parola a nome del Cinema italiano, ricordando gli articoli 9, 21 e 33 della Costituzione “sui quali si fonda la possibilità di fare cinema”. L’attore e regista premio Oscar ha poi scherzato sulle vicende politiche italiane e sui ritardi della legge elettorale: “Il Mattarellum… se avessi fatto io la legge elettorale sarebbe stato il Benignellum”.

“La perdite d’interesse che c’è ora per il cinema è una cosa terribile – ha aggiunto Benigni -, costituisce una perdita di felicità, gli autori hanno il dovere di spingere affinché il cinema diventi quello che sia, la perdita di interesse per il cinema indebolisce la nostra anima, le nostre emozioni”.

Il comico toscano ha continuato: “Il cinema fa bene alla salute, uno dovrebbe andare in farmacia e prendere due bustine della ‘Dolce Vita’, 5 grammi di ‘Otto e mezzo’. Sperperiamo l’allegria, dobbiamo essere felici per diffondere felicità”.

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Cosa sono le Sim, società di intermediazione mobiliare

C’era una volta l’agente di cambio, un intermediario finanziario che, per conto di un cliente, cercava e acquistava il prodotto che offriva il miglior rapporto qualità-prezzo in un dato mercato. Oggi ci sono le Sim, le società di intermediazione mobiliare iscritte in un apposito albo tenuto dalla Consob. Vediamo di cosa si tratta


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Salvini a Napoli. Luigi De Magistris all’Ansa: “Gli scontri sono colpa di chi non mi ha ascoltato”

Intorno alla vicenda Salvini alla fine a Napoli è stata guerriglia urbana. “Vorrei riproporre – dice all’ANSA il sindaco Luigi de Magistris – le immagini del corteo: un fiume di diecimila persone che partecipavano ad una manifestazione pacifica, dove prevalevano unicamente l’orgoglio dei napoletani, l’ironia e il forte contenuto politico dell’iniziativa. Le immagini finali feriscono la potenza politica di quella manifestazione, dagli alti contenuti democratici. Prendo le distanze dai violenti che non incarnano lo spirito autentico, pacifico, della città che io rappresento”.

Di chi le responsabilità?
“Di chi ostinatamente non ha voluto ascoltare il messaggio di buon senso del sindaco e dell’amministrazione. Noi non abbiamo mai detto ‘no Salvini a Napoli’. Il sindaco ha semplicemente espresso la contrarietà ad un’iniziativa assolutamente inopportuna: la presenza alla Mostra d’Oltremare, in un luogo dell’amministrazione o comunque riconducibile all’amministrazione, di un esponente politico, Salvini appunto, che si è distinto per apologia del fascismo, atteggiamenti xenofobi e razzisti. E che, all’insegna dello slogan ‘Napoli colera’, ha fatto della sua vita politica un atto di fede contro Napoli e il sud. Ma qualcuno non ha voluto sentire ed ha alzato a dismisura il livello dello scontro. Salvini avrebbe potuto benissimo essere a Napoli e fare la sua propaganda politica xenofoba e razzista in un altro luogo privato, non riconducibile all’amministrazione. Non ci sarebbe stata l’imposizione nei miei confronti, che ho solo difeso la città”.

E’ scontro ora tra Lei e lo Stato?
“A Napoli io sono il sindaco, dunque sono lo Stato. Approvo le scelte opportune, critico quelle sbagliate, come quella del ministro Minniti, che ha voluto imporre Salvini alla Mostra d’Oltremare. Per me parlano i miei trascorsi di non violento, di magistrato, di napoletano orgoglioso di esserlo e al servizio della gente. Proprio per questo anche oggi, come sempre, prendo le distanze da ogni forma di violenza. Napoli ha mille problemi e non aveva proprio bisogno di queste tensioni”.

Perché non ha partecipato al corteo?
“Non era il corteo del sindaco. Era stato indetto da pezzi della città vera, ed è stato un corteo molto bello. Fino a quando episodi violenti hanno sporcato la forza politica di quell’iniziativa. E’ assolutamente necessario distinguere tra i veri napoletani e i violenti che nulla a che fare con Napoli e la sua storia”.

Sindaco, si sente un po’ responsabile?
“Assolutamente no. Io fin dal primo momento ho avuto parole chiare e nette, e la mia storia non può essere messa in discussione. La responsabilità per quello che è accaduto va cercata in chi, forse non senza motivo, ha voluto alzare il livello dello scontro”.

Ha sentito il ministro Minniti?
“Oggi no”.

Ieri?
“Mi fermo qui…”.
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“Our War”, il documentario che racconta chi sono i giovani occidentali in guerra contro l’Isis

L’ultimo ‘martire’ occidentale delle Ypg, le brigate di liberazione del popolo curdo, è stato Paolo Todd, nome in codice Kawa Amed, morto il 15 gennaio scorso a Small Siweida, villaggio nei pressi di Raqqa. Veniva da Los Angeles e chissà cosa lo ha spinto ad andare in Siria e unirsi all’avanzata delle Sdf (Syrian Democratic Forces, l’esercito a guida curda, con arabi, siriaci e turkmeni creato dagli Stati Uniti) per liberare la capitale del cosiddetto Stato Islamico.

Todd era uno dei centinaia di volontari stranieri che hanno percorso lo stesso tragitto dei giovani accorsi in Siria da tutto il mondo per onorare il jihad lanciato dal ‘Califfo’ Abu Bakr al-Baghdadi. Stesso percorso, ma motivazioni opposte: “C’è chi parte perché è un ex militare e si sente realizzato nel combattere contro l’Isis, chi lo fa per supportare politicamente la rivoluzione curda del Rojava (il Nord-est della Siria di cui i curdi hanno reclamato l’autonomia, Ndr) e chi perché è originario di quei luoghi e di quelle comunità. Sono i motivi principali, ma è difficile rinchiudere questi ‘foreign fighters’ in categorie rigide” spiega Benedetta Argentieri, giornalista e documentarista free lance che insieme ai colleghi Claudio Jampaglia e Bruno Chiaravalloti hanno realizzato il film documentario Our War, presentato fuori concorso a Venezia e attualmente in programmazione nelle sale italiane.

our war

Our War racconta l’esperienza di un italiano di Senigallia con origini marocchine, Karim Franceschi, di un ex marine che ha combattuto in Iraq e Afghanistan, Joshua Bell, e di una guardia del corpo mezzo svedese e mezzo curdo, Rafael Kardari, che per vie diverse hanno combattuto in Siria con le Ypg curde. “Ho conosciuto Bell in uno dei miei viaggi nel Rojava, era il novembre 2014” racconta Argentieri . “Era insieme ai primissimi stranieri arrivati, che stavano ancora cercando di capire come relazionarsi con i curdi e con una situazione che non si aspettavano. Joshua non capiva perché i capi delle Ypg non gli facessero fare nulla o lo tenessero in magazzino a pulire le armi. Non capiva come funzionava quell’esercito. Poi piano piano se ne è innamorato e ha imparato anche a parlare curdo”.

Non ci sono stime ufficiali su quanti siano i volontari stranieri, ma si parla di alcune centinaia. Vengono dagli Stati Uniti, dall’Argentina, dall’Europa e ci sono anche molti australiani e qualcuno dalla Cina. La pagina Facebook The Lions of Rojava era lo strumento per contattare chi già era là e arruolarsi. Il flusso è cominciato nell’autunno 2014 e all’inizio i curdi non sapevano bene come comportarsi con questi occidentali che arrivavano dal nulla, a volte solo per farsi un selfie davanti a un carro armato e andarsene, a volte millantando esperienze militari mai avute: “Le Ypg provvedevano ad addestrarli, ma spesso li tenevano lontani dal fronte perché avevano timore che non fossero capaci di combattere in quello scenario.

La guerra contro l’Isis è fatta di avanzate e attese, di movimenti studiati in gruppo. Anche di rispetto del nemico ucciso. E a volte questo non veniva ben compreso” spiega Argentieri. Con il passare dei mesi i media occidentali iniziano a occuparsi delle storie dei loro connazionali in Siria, che diventano così una buona arma di propaganda per la causa curda. Il problema è che spesso il tempo e il denaro spesi per addestrarli non viene ripagato dall’impegno sul campo. Quindi le Ypg si organizzano e fanno firmare ai volontari un vero e proprio contratto: in cambio di armi e addestramento, loro si impegnano a restare in Rojava per almeno sei mesi.

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In Europa sono arrivate le storie dei bikers olandesi e tedeschi, fotografati a Kobane fucile in spalla e giubbotto di pelle con i teschi, o quella della ventisettenne Kimberley Taylor, la prima donna inglese a essersi unita alle Ypj, le brigate curde femminili. Meno frequentemente si è parlato di coloro che sono morti a migliaia di chilometri da casa. Adesso c’è un sito, ypg-international.org, che ne raccoglie le storie. Se ne contano 18, ma non è aggiornato all’ultimo mese: “Ne sono morti dodici solo negli ultimi sei mesi, anche perché l’esercito turco è entrato in Siria e spesso attacca i curdi” spiega Argentieri. Diciotto giovani soldati volontari che hanno deciso di rischiare la vita per un ideale o per un senso di appartenenza. Come era successo nella guerra di Spagna degli anni ’30, come succede sempre quando c’è una causa per cui combattere.



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“Mio figlio si è ucciso a 16 anni. Non sono stato un buon padre, non ho saputo capirlo”. Il dolore del padre del ragazzo suicida per pochi grammi di hashish

“Mi chiedono se mi ritengo comunque un bravo padre. No, non lo sono stato. Non ho saputo capire mio figlio”. È duro lo sfogo del papà del ragazzo sedicenne che si è suicidato dopo che gli erano stati trovati in tasca una decina di grammi di hashish durante dei controlli della Guardia di Finanza all’uscita dell’istituto scolastico di Lavagna, in provincia di Genova. Il giovane, già alla prima perquisizione, aveva confessato di essere in possesso di altri grammi di hashish trovati nella casa in cui viveva con la madre e il compagno di questa.

Scrive La Stampa:

La visita della Fiamme Gialle a casa, il rimprovero della madre, il gesto repentino di raggiungere il balcone e buttarsi giù, senza una parola.

“Spero solo che questa tragedia serva perché non ne accadono delle altre. Ho detto all’allenatore della squadra che dica ai ragazzi come lui stesso, il parroco, noi genitori siamo tutti sempre pronti a capirli e a consigliarli, devono sentire quanto amore c’è intorno a loro”.

Amore che non è bastato per salvare la vita di questo ragazzo che, stando ai racconti di chi lo conosceva, non era trascurato dalla famiglia. Nessun disagio sociale dunque dietro il suo gesto, probabilmente un malessere personale avvalorato dai racconti dei suoi coetanei. Racconta a La Stampa una ragazza dal maglione rosso:

“Lo conoscevo dalla quinta elementare, per anni abbiamo condiviso centri estivi e settimane bianche. C’era un malessere che lo tormentava. Con me ha fatto un discorso generale, senza parlare di fatti specifici. Ricordo una sua frase :’Tanto finisce tutto male’ “.

Nel manifesto funebre del giovane c’è anche un ringraziamento alla Guardia di Finanza di Chiavari probabilmente per evitare di fomentare nuove polemiche. “Cosa sarebbe stato opportuno oppure no non dobbiamo dirlo noi. Loro hanno fatto quello che dovevano”, spiega ancora il padre del ragazzo. Nel frattempo il procuratore Capo di Genova Francesco Cozzi riflette su quanto accaduto.

“Quando si effettua un atto di questo tipo nei confronti di persone fragili, fermo restando che in questo caso c’era un genitore del giovane e si è svolto tutto in maniera regolare e trasparente, occorre prevedere a supporto di una persona che vive un’età fragile e fa uso di stupefacenti un aiuto psicologico”

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Sanremo 2017, Tiziano Ferro ricorda Luigi Tenco a 50 dalla morte: da brividi la sua “Mi sono innamorato di te”

Bianco e nero, silenzio assoluto prima dell’inizio della musica: Sanremo decide di omaggiare Luigi Tenco in apertura della prima serata della 67esima edizione, e lo fa con un’interpretazione breve ma intensissima. A firmare l’omaggio al grande cantautore – ucciso 50 anni, proprio dopo un’esibizione sull’Ariston – è stato Tiziano Ferro, che con la sua voce baritonale ha intonato Mi sono innamorato di te.

Volto contratto, voce intonatissima e calda: l’interprete di Perdono è sembrato molto commosso dal tributo a Tenco, conscio della grande responsabilità di aprire il Festival e di ricordare un personaggio controverso ma amatissimo dal pubblico.

Alla fine dell’esibizione, Tiziano scende dal palco, attraversa la platea e fissa la telecamera, mostrando degli occhi sull’orlo delle lacrime. Poi se ne va, affidando all’orchestra il compito di proseguire il ricordo del cantautore. E lasciando l’Ariston col cuore colmo di emozione.
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Donald Trump su Vladimir Putin: “Lui sarebbe un assassino? Gli Stati Uniti non sono così innocenti”

“Io lo rispetto. Se ci andrò d’accordo si vedrà”. Donald Trump insiste nel voler impostare il rapporto con il collega russo Vladimir Putin in termini ‘diversi’. Ma lo fa questa volta con parole assolutamente inedite per un presidente degli Stati Uniti che, alle accuse mosse verso Putin, additato da qualcuno come “un assassino”, in un’intervista alla Fox News risponde: “Pensate l’America sia così innocente?”.

Una frase shock, secondo molti osservatori, sebbene non del tutto nuova. Il tycoon in campagna elettorale aveva toccato il tema più volte e anche negli stessi termini. Ma che ci torni in maniera così netta da presidente in carica, in un’intervista ‘di rito’ trasmessa come consuetudine per un presidente poco prima del Super Bowl – la finale di football americano per cui l’America si ferma e resta incollata agli schermi in tutto il Paese – suscita più di qualche perplessità. Non solo nell’opposizione, ma anche tra i repubblicani.

Il passaggio in questione è emerso da un’anticipazione del colloquio con uno degli anchor di punta di Fox, Bill O’Reilly.
“Io rispetto Putin. Rispetto molte persone, ma non vuol dire che andrò d’accordo con lui, si vedrà”, premette Trump. Sollecitato poi dal giornalista sulle accuse rivolte al presidente russo di essere “un assassino”, il tycoon non ci pensa due volte: “Ci sono molti assassini. Credi che il nostro Paese sia così innocente?”.

La polemica è immediata, il punto è il paragone che emerge dalle parole del presidente in persona tra gli Stati Uniti e la Russia di Putin. E l’imbarazzo, anche tra i sostenitori di Trump, è palpabile. “Non credo ci sia alcuna equivalenza tra la maniera in cui si comporta la Russia e gli Stati Uniti”, reagisce il leader della maggioranza repubblicana al Senato, Mitch McConnell, dopo aver messo in chiaro che, a suo avviso, Putin è “un ex agente del Kgb e un delinquente”.

“Non mi metterò a criticare ogni commento del presidente, ma io credo che l’America sia eccezionale, l’America è diversa, in nessun modo operiamo nello stesso modo dei russi. Sussiste una distinzione chiara che tutti gli americani comprendono e io non avrei caratterizzato la cosa in quel modo. Ovviamente non vedo la questione nello stesso modo” in cui la vede il presidente.

Un altro esponente di spicco del partito, il senatore Marco Rubio, twitta: “Quando mai un attivista politico dei democratici è stato avvelenato dal Gop (il partito repubblicano, ndr) o viceversa? Noi non siamo la stessa cosa di Putin!”.

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