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Tutto rimandato a dopo il referendum costituzionale. Se Matteo Renzi sarà ancora premier con in tasca la vittoria del sì, Bruxelles sarà ancora lì ad aspettarlo al varco. La parola d’ordine per descrivere cosa è accaduto alla legge di bilancio italiana dopo l’esame della Commissione europea è: congelamento. Da una parte la Commissione promette di tenere in conto le spese italiane su sisma e migranti ma di volerle controllare a gennaio (Moscovici). Dall’altra inserisce l’Italia nell’elenco di quei paesi che al giudizio finale di gennaio potrebbero essere bocciati e annuncia anche un rapporto sul debito alto per Italia e Belgio (Dombrovskis). Una posizione che di fatto ora segna uno stand-by: e conviene a tutti i player in gioco.
Innanzitutto conviene a Renzi, che infatti oggi si mantiene alla larga dai commenti sul parere della commissione, sfruttando l’effetto ‘freezer – chiamiamolo così – per concentrarsi sulle ultime settimane di campagna elettorale a questo punto sempre più pronunciate nella critica a questa Ue, sempre più anti-establishment per debellare il fantasma Trump che si aggira anche intorno a Palazzo Chigi. Il premier però torna a usare la bandiera europea, eliminata dalle sue recenti conferenze stampa. Anzi, a Cinisi, tappa del tour elettorale in Sicilia, addirittura la accarezza: “Bisogna avere la forza di dire a questa bandiera europea, che noi amiamo, che l’Unione europea si deve ricordare di essere una comunità non solo quando deve prendere i nostri soldi ma anche quando c’è da dare”.
Nelle stesse ore a Bruxelles, i Dem bloccavano definitivamente per questo mese la discussione sul bilancio pluriennale europeo: se ne riparla a dicembre. E poco prima, ad Atene, Barack Obama dava il suo ultimo discorso presidenziale in Europa sulla democrazia e il no all’austerity come antidoto ai populismi: dietro di lui, la bandiera greca, quella europea e quella statunitense. Ma comunque, chiuso l’affare delle bandiere, che gli ha portato in casa solo tempesta e polemiche, Renzi è lanciato nella critica all’Ue. Un altro assaggio probabilmente lo darà a Berlino venerdì, dopo il vertice con Merkel, Obama, May, Hollande e Rajoy: un vertice che senza il sale della polemica renziana anti-europea rischia di essere la foto dei rottamati da Trump.
Ma il congelamento conviene anche alla stessa Commissione Ue. Fin dall’inizio di questa storia, a Palazzo Berlaymont ha prevalso lo sforzo di non mettere i bastoni tra le ruote a Renzi in vista di un referendum che, se dovesse vincere il no, suonerebbe come un’altra Brexit per tutta l’istituzione europea. Insomma, a Bruxelles hanno deciso di rimandare il giudizio definitivo: più per l’Ue che per Renzi. E infatti il congelamento serve anche ad un altro scopo: equivale a dei paletti piantati dalla squadra Juncker in caso di vittoria del sì. Come dire: un modo per condizionare Renzi. A Bruxelles infatti sono consapevoli che, qualora il premier italiano uscisse vittorioso dal voto del 4 dicembre, dedicherebbe tutto l’anno prossimo (che coinciderà con la campagna per le politiche del 2018 o magari anticipate ad hoc) a picconare quello che rimane dell’austerity Ue, dal Fiscal Compact a tutto il patto di stabilità.
Ecco perché la Commissione oggi ci ha tenuto a mettere l’Italia insieme a Belgio, Cipro, Lituania, Slovenia, Finlandia: una ‘buona’ compagnia di paesi guardati a vista come a rischio, potrebbero “non rispettare il Patto di stabilità”, stabilisce il commissario Valdis Dombrovskis. In altre parole: potrebbero essere “non conformi” per debito e deficit alti (‘risk of non compliance’). D’altronde, solo 5 paesi dell’eurozona rispettano i requisiti del Patto: Germania, Estonia, Lussemburgo, Slovacchia e Olanda. Le loro leggi di bilancio sono risultate conformi agli obblighi comunitari, mentre Irlanda, Lettonia, Malta e Austria hanno presentato testi giudicati ‘sostanzialmente’ conformi ma potrebbero in una certa misura deviare dal percorso di avvicinamento all’obiettivo di bilancio a medio termine.
Insomma, con l’Italia la partita è rimandata. Ma stavolta la Commissione Ue sceglie di avvertire anche la Germania con il suo surplus commerciale fuori dalle regole Ue. E lo fa nelle raccomandazioni sulla politica di bilancio per il 2017: chi ha i conti in regola deve spendere di più per aiutare la crescita, chi non ha i conti in regola deve metterli a posto. Non a caso a Roma si preferisce più commentare il documento di Palazzo Berlaymont che di fatto comincia ad appiccicare la parola ‘fine’ alle politiche di austerity, piuttosto che esultare per il congelamento del parere sulla manovra economica.
“Se la Ue sta togliendosi di mezzo l’austerità e ha introdotto la novità di chiedere ai paesi che hanno spazi di bilancio per spendere che lo facciano, si tratta di una grande vittoria dell’Europa e l’Italia rivendica di essere il primo Paese ad averlo messo sul tavolo”, dice il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan a Porta a Porta. “Accogliamo con soddisfazione il documento della Commissione europea sulla necessità di una politica economica espansiva a livello di eurozona. E’ una novità importante che dà ragione alle nostre battaglie”, dice Patrizia Toia, capodelegazione del Pd al Parlamento europeo.
Se ne riparla a dicembre. Ma di certo Renzi non smetterà di parlarne di qui al 4 dicembre.
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