Suvignano, Bugli: “I toscani se la sono ripresa, sarà luogo di idee, lavoro e impegno”

FIRENZE – Se la legalità ha dei colori e dei suoni, questi, oggi, erano tutti a Suvignano, la grande tenuta confiscata alla mafia e dopo una lunga vicenda giudiziaria assegnata in gestione alla Regione Toscana. L’azzurro limpido del cielo, il verde già tinto di giallo dal sole dell’estate, i colori caldi della pietra e dei muri delle costruzioni e intorno un pezzo della Toscana più bella, la terra di Siena (siamo tra i comuni di Monteroni d’Arbia e Murlo). E poi , naturalmente, i colori  e le voci della gente, i protagonisti di questa giornata: le famiglie, gli artisti, i rappresentanti del mondo dell’associazionismo e dei produttori della zona.
Oggi Suvignano ha aperto i suoi cancelli per questa grande festa, che ha sancito una vittoria grande della legalità e della democrazia sui poteri criminali.

“Sì, ce la siamo ripresa, i toscani se la sono ripresa – ha detto l’assessore alla presidenza Vittorio Bugli, che ha seguito per il governo regionale le fasi decisive della complessa vicenda – Questo è un bene importante, nel cuore prezioso della Toscana, finito nelle mani della mafia e oggi torna finalmente ai toscani. Sarà un luogo vivo, attivo, di idee e anche di produzione. Ci faremo una buona agricoltura, con prodotti biologici e di filiera corta, e chi lavorerà qui, lo farà garantito, sempre, dalla forza della legge e dei diritti. E sarà, naturalmente, un simbolo della lotta alla presenza della criminalità organizzata nella nostra regione. Daremo vita qui – annuncia – al luogo-simbolo su quanto la Toscana, in tutte le sue espressioni, istituzionali, sociali, culturali, ha fatto, fa e farà contro le mafie. Porteremo i ragazzi delle scuole a visitarla e nella tenuta già organizziamo campi estivi di lavoro per i giovani”.

Presente fin dalla mattinata a Suvignano Antonino De Masi,  imprenditore calabrese che da anni vive sotto scorta per aver denunciato il racket. “Cosa provo ad essere qui? Provo gioia – ha detto – Sono felice quando qualcosa che era brutto, diventa bello. Vorrei essere un semplice cittadino, che fa la sua attività per il futuro dei propri figli e dei suoi lavoratori, ma ora mi trovo in mondo più grande di me, dove mi ha portato la difesa dei miei valori. So di correre dei rischi, so che cercheranno di farmela pagare, ma sono determinato a far prevalere il mio essere un uomo libero”

Il programma della giornata, dopo l’esibizione della street art band “BadaBimBumBad”, che ha  guidato come un pifferaio gli ospiti sui sentieri della una terra riconquistata, prosegue con la performance di “Straligut teatro”  e la tavola rotonda “Conoscere le mafie, costruire la legalità” con l’assessore Bugli, i sindaci di Monteroni d’Arbia e Murlo, Gabriele Berni e Davide Ricci, De Masi e la giornalista Federica Angeli, sotto scorta anche lei dal 2013 per le sue inchieste sulla mafia romana.

Chiusura ancora in musica con i “Modena City Ramblers”

La tenuta e la sua vicenda
La storia giudiziaria della tenuta inizia con il giudice Giovanni Falcone, che nel 1983 sequestra l’azienda una prima volta all’imprenditore palermitano Vincenzo Piazza, sospettato di aver rapporti con Cosa Nostra. Il costruttore ne rientra successivamente in possesso. Tra il 1994 e il 1996 arriva il secondo sequestro, assieme ad un patrimonio di ben duemila miliardi di vecchie lire affidato alla gestione di un amministratore giudiziario. Poi, nel 2007, la condanna e la confisca definitiva.
Si è rischiato ad un certo momento, anni fa, che la tenuta fosse messa all’asta, con il rischio che potesse tornare alla mafia attraverso prestanome. Poi nei mesi scorsi, annunciata già da più di un anno, è arrivata l’assegnazione alla Regione, che la gestisce adesso attraverso Ente Terre, che già si occupa di altre proprietà demaniali o in gestione, fa sperimentazioni in campo agricolo e forestale.
La tenuta si estende attualmente su 640 ettari, tra il Comune di Monteroni d’Arbia (per la maggior parte) e quello di Murlo). Contiene una colonica di pregio, altri diciassette edifici e 21mila metri quadrati tra immobili e magazzini, una chiesetta di fianco all’edificio principale. In tutti questi anni di gestione attraverso l’Agenzia nazionale per i beni confiscati alla criminalità organizzata ha continuato a funzionare l’agriturismo

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Ponte d’Istia, nessun “rebus” sul sopralluogo: sarà eseguito dalla provincia, ente proprietario

FIRENZE – Non ci sono “rebus” sul sopralluogo al ponte di Istia, sulla SP 159 (Grosseto). Il ponte è stato inserito nel primo campione di strutture da esaminare a seguito dell’intesa del 28 agosto 2018 fra Regione Toscana, Città Metropolitana di Firenze, UPI Toscana e ANCI Toscana. In base a quell’accordo è stata definita una metodologia ispettiva, con la collaborazione delle Università di Firenze e di Pisa, tesa a verificare lo stato dei ponti delle strade regionali e provinciali in Toscana, tutte gestite dalle Province e dalla  Metrocittà.

L’esame del ponte è eseguito dall’ente gestore della strada, ovvero la Provincia di Grosseto, che si avvarrà di  uno dei tecnici ingegneri dell’Ordine degli ingegneri di Grosseto che si sono offerti volontariamente per il supporto tecnico.

Le schede di verifica saranno, consegnate, dopo un controllo di congruità circa la compilazione effettuato da parte delle Università, alle Province per procedere operativamente alle eventuali azioni di messa in sicurezza che dovessero risultare necessarie.  Resta fermo cheper le strade provinciali i lavori eventualmente necessari restano in
carico all’ente proprietario, ovvero, come detto, alla Provincia competente o alla Città Metropolitana di Firenze.

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Ambasciata Usa in Israele, “entro maggio sarà spostata a Gerusalemme”

“Entro fine maggio il presidente Donald Trump annuncerà lo spostamento dell’ambasciata Usa da Tel Aviv a Gerusalemme”. Il passo in avanti in una questione che rischia – come più volte ammonito da parte dei palestinesi e del mondo arabo – di avere conseguenze imprevedibili, è stato rivelato al sito americano ultraconservatore ‘Breitbart News’ dal parlamentare repubblicano Usa Ron DeSantis che ha guidato ieri ed oggi a Gerusalemme una delegazione di rappresentanti del Congresso per verificare le condizioni e le possibili ricadute della mossa.

DeSantis – che insieme alla delegazione ha incontrato il premier Benyamin Netanyahu e deputati israeliani – ha anche indicato come possibile sede della nuova ambasciata la struttura del compound del Consolato Usa a Gerusalemme che si trova ad Arnona nella parte sud della città all’interno della zona ebraica delimitata dalla linea armistiziale del 1949, ma ad un passo del quartiere palestinese di Jabel Mukaber. Un edificio in potenza “già pronto all’uso” e dotato di maggiore sicurezza rispetto all’ambasciata di Tel Aviv, ha spiegato DeSantis.

L’indicazione di maggio come scadenza del possibile trasferimento non sembra casuale: in quella data si celebreranno in Israele i 50 di Gerusalemme capitale riunificata dello stato ebraico dopo la Guerra dei 6 giorni del 1967. Lo spostamento dell’ambasciata americana da Tel Aviv, previsto da una legge del 1995, è stato finora rallentato dai presidenti Usa, Barack Obama compreso. La deroga a questa legge scade però proprio a maggio.

“Molta gente – ha dichiarato il parlamentare repubblicano a Breitbart – ha pensato che la cosa si sarebbe fatta in un giorno solo. E quando non è avvenuto, la stessa gente ha detto. ‘Bene (Trump) non lo farà. Non manterrà la sua parola’”. Ma DeSantis ha subito aggiunto che “Trump ha dato prova di essere un uomo di parola” e che pertanto “non firmerà la deroga per l’ambasciata stessa”, come fatto da Obama. “Del resto – ha proseguito DeSantis – abbiamo già il nostro ambasciatore, David Friedman, sul posto. Così io penso che questo è quello che succederà”.

Il parlamentare del Likud (il partito di Netanyahu) Yehuda Glick che ha incontrato la delegazione Usa capitanata da DeSantis ha fatto appello affinchè la promessa fatta in campagna elettorale da Trump sia mantenuta. “E’ tempo – ha sottolineato – che il presidente rispetti l’impegno e la legge approvata dal Congresso nel 1995”.

La reazione palestinese non si è fatta attendere. Ziad Khalil Abu Zayyad, portavoce di Fatah, partito del presidente Abu Mazen ha ammonito la delegazione Usa sulla necessità “di comprendere che spostare l’ambasciata Usa a Gerusalemme non solo farà esplodere la situazione in Palestina ma l’intera regione”. Una reazione giunta poche ore prima che il premier Netanyahu chiedesse, e ottenesse, la cancellazione a Jatt, villaggio arabo-israeliano a nord di Tel Aviv, dei cartelli stradali che indicavano ‘via Arafat’. “Non possiamo permettere che nello Stato d’Israele – ha motivato durante il consiglio dei ministri – siano dedicate strade in ricordo di uccisori di israeliani o di ebrei”.
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Rigopiano, i parenti dei dispersi tra speranza e rassegnazione: “Mio figlio sarà morto di freddo”

È una notte di speranza nel centro di coordinamento di Penne. Forse l’ultima. È una notte di rassegnazione davanti all’obitorio dell’ospedale di Pescara, dove questa mattina sono arrivati i corpi senza vita dei due ragazzi morti intrappolati nell’hotel Rigopiano. I Vigili del Fuoco nel tardo pomeriggio stazionano davanti la porta della camera mortuaria in attesa che, su un’autoambulanza, arrivi la terza vittima tirata fuori dalle macerie e da una montagna di neve. I genitori sono in arrivo per compiere il triste rito del riconoscimento. L’ennesimo dal 24 agosto, quando il terremoto ha causato quasi trecento vittime.

I parenti delle persone coinvolte nel crollo del Rigopiano e di cui non si hanno notizie sono radunate a Penne, in una stanza all’interno dell’ospedale. “Speriamo, speriamo”, dice una donna, che poi scoppia in lacrime. Ore e ore di attesa e di paura. Due papà scendono dalla montagna piangendo. Sono i genitori di Stefano Faniello, 28 anni, e di Stefania Bronzi 25: “Era la loro prima vacanza insieme, sono fidanzati ed erano venuti qui per fare qualche giorno di relax. Speriamo che siano vivi, devono essere vivi insieme”. Ma i loro occhi sono pieni lacrime.

Secondo qualcuno, le persone presenti in albergo forse hanno trovato rifugio nel centro benessere al piano inferiore, ma è l’ultima speranza a cui ci si aggrappa in questa notte, anche se i cani dell’unità cinofila non rilevano presenze ormai da molte ore. “Siamo tutti all’oscuro, non sappiamo niente di niente”, dice il padre di una ragazza, la quale ha mandato un ultimo sms alle quattro del pomeriggio di ieri spiegando che non riusciva ad andar via dall’albergo per la colpa della troppa neve, che voleva scappare ma non potere muoversi. E infatti lo spazzaneve non è mai arrivato lassù, a 1200 metri di altezza dove sorgeva il resort diventato come l’hotel Roma di Amatrice una trappola umana.

A tarda sera, secondo i calcoli della Protezione civile, i dispersi dell’hotel Rigopiano dovrebbero essere 29, si continua a scavare anche di notte. “È la speranza il motore dei soccorsi, senza speranza i soccorritori non lancerebbero il cuore oltre l’ostalo”, dice Fabrizio Curcio. Ma gli occhi dei parenti, nella saletta dell’ospedale di Penne, sono quasi spenti: “C’erano tantissimi ragazzi, erano tutti i giovani i ragazzi che lavorano lì”. Qualcuno ha voglia di dire qualcosa, tanti altri preferiscono restare in silenzio e nel dolore. Sperando in ciò che anche loro considerano impossibile: “Mio figlio sarà morto di freddo”. Lungo i corridoi e nelle varie sale dell’ospedale di Penne ci sono una quindicina di psicologhe: “Cerchiamo di stare vicini a queste persone in momenti terribili e difficili – spiega una delle volontarie – in questo momento non c’è altro da fare che attendere e stare loro vicini. Li aiuta molto anche il fatto di essere in connessione tra loro – prosegue la psicologa – non è una situazione facile e c’è bisogno di sostegno”.

Si dispera, dal letto del reparto di Rianimazione di Pescara, Giampiero Parete, il,38enne di Montesilvano che si è salvato per puro caso: “Mia moglie aveva mal di testa e aveva bisogno di una medicina che era in macchina. Allora sono uscito dall’albergo e sono andato in auto. Mentre tornavo verso l’hotel ho sentito rumori e scricchiolii e ho visto la montagna cadere addosso all’edificio. Ha travolto anche me, ma parzialmente. Ho visto gran parte dell’albergo ricoperto dalla neve”. Poi piange e si dispera perché sotto ciò che resta dell’hotel Rigopiano ci sono ancora la moglie e i due figli di 6 e 8 anni. Le speranze sono ormai ridotte a lumicino e domani, nell’obitorio di Pescara, potrebbe continuare il lungo tragico rito del riconoscimento delle vittime.
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Banche, l’agenzia Dbrs taglia il rating dell’Italia. Ora per gli istituti sarà più costoso chiedere soldi alla Bce

I nuovi guai per le banche italiane arrivano da Toronto e passano da una lettera, la A, che si è trasformata in una tripla B, conferita dall’agenzia canadese Dbrs al rating del debito pubblico italiano. Un declassamento che avrà un effetto immediato molto oneroso per gli istituti di credito dell’Italia: chiedere prestiti alla Banca centrale europea diventerà, infatti, più dispendioso.

L’Italia perde l’ultima A, pesano il No al referendum e l’addio di Renzi
Il rating del debito italiano è stato tagliato da A a BBB con trend stabile. Un giudizio, quello dell’agenzia canadese, che è dovuto a “una combinazione di fattori inclusa l’incertezza rispetto alla abilità politica di sostenere gli sforzi per riforme strutturali e la continua debolezza del sistema bancario, in un periodo di fragilità della crescita”. Cosa ha pesato nel giudizio? La vittoria del No al referendum costituzionale e la caduta del governo Renzi. “Dbrs – si legge in una nota – ritiene che, in seguito al referendum bocciato sulle modifiche costituzionali che avrebbe potuto fornire una maggiore stabilità di governo e la successiva dimissioni del primo ministro Renzi, il nuovo governo ad interim può avere meno spazio per passare ulteriori misure, limitando così il rialzo delle prospettive economiche”. Con il declassamento di Dbrs, l’Italia perde l’ultimo giudizio in area A espresso delle principali agenzie di rating mondiali.

Anche le debolezze del sistema bancario dietro la retrocessione in serie B
Nel giudizio di Dbrs pesa anche “la persistente debolezza del sistema bancario in un periodo di crescita fragile”. L’agenzia di rating accende un faro sul livello dei crediti deteriorati che rimane “molto elevato” tale da “compromettere la capacità del settore bancario di agire come intermediario finanziario per sostenere l’economia”. Pesano, inoltre, il rischio di elezioni anticipate e una crescita della produttività “fragile”.

Perché la A persa metterà le banche italiane in difficoltà
La Banca centrale europea concede prestiti di liquidità alle banche che ne fanno richiesta (e tra queste figurano anche quelle italiane) chiedendo tuttavia delle garanzie. Gli istituti italiani forniscono come garanzia, tra gli altri strumenti, anche i Bot e i Btp, cioè i titoli di Stato. C’è una trattenuta sul prestito e il valore di questa trattenuta, il cosiddetto haircut, dipende dal rating del Paese che emette i titoli di Stato. Basta una sola A tra le quattro agenzie di rating che l’Eurotower prende in considerazione (Standard & Poor’s, Moody’s, Fitch e Dbrs) per applicare il minor taglio possibile sul prestito. Le altre tre agenzie avevano già declassato l’Italia in serie B: ora che anche l’agenzia di rating canadese ha trasformato la A in B, per le banche italiane il costo per chiedere soldi alla Bce in prestito aumenterà appunto in termini di garanzie.

Quanto costa alle banche perdere la A
Prendendo come riferimento uno studio di Rabobank, i prestiti che le banche italiane hanno chiesto alla Bce ammontano a un totale di 142 miliardi di euro. Per mantenere inalterato questo valore, le garanzie dovrebbero aumentare di circa 10 miliardi di euro. Dando in garanzia un Bot, ad esempio, in caso di scenario con rating A, la Bce trattiene solo lo 0,5 per cento, mentre in uno scenario con rating B la quota sale al 6%. Ancora più oneroso il Btp: si passa da una trattenuta del 6% a una del 13 per cento.

Il Tesoro: Nessun impatto rilevante sul debito
Fonti del Tesoro sottolineano che la decisione di Dbrs “non avrà impatti rilevanti sulla spesa per interessi sul debito pubblico”. “Potrebbero esserci degli effetti sui titoli più a breve, ma si potrà dire soltanto nei prossimi mesi”, aggiungono le stesse fonti.

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M5S, fra tre mesi Roberto Fico sarà capogruppo alla Camera. Gli ortodossi prendono la guida dei gruppi parlamentari

Il cambio di passo, o per lo meno di umore, all’interno del Movimento 5 Stelle lo segnano i deputati: Roberto Fico sarà il nuovo vicecapo gruppo alla Camera. In gergo grillino questo si traduce nel fatto che fra tre mesi sarà il nuovo capogruppo. Sarà dunque lui a guidare i deputati nel momento più critico della legislatura, quello che secondo i rumors potrebbe portare al voto. Fico, diviso ormai da Luigi Di Maio da visioni del Movimento contrapposte, ha già sfidato il ‘delfino’ di Beppe Grillo nella corsa alla candidatura a premier e da capogruppo potrebbe guidare i deputati riportandoli all’idea originale del Movimento, quella dell’uno vale uno. Come ha spiegato di recente, in un solo concetto: “Senza personalismi”. Con Fico capogruppo, dopo che il Direttorio a causa delle beghe interne al Movimento non esiste più, potrebbe essere inaugurato un nuovo corso, dove a farne da padrone potrebbe esserci un testa a testa tra Fico e Di Maio, che nei fatti è già iniziato con il ‘caso Roma’ che non accenna a placarsi.

Dopo che il sindaco Virginia Raggi ha nominato Luca Bergamo suo vice e Pinuccia Montanari assessore all’Ambiente, quando tutto doveva ripartire sulla strada giusta, una nuova bomba le è scoppiata tra le mani. L’Organismo di revisione dei conti della Capitale (Oref) ha sonoramente bocciato il Documento unico di programmazione contenuto nel bilancio di previsione del Campidoglio, poiché “non chiaro negli obiettivi di gestione da raggiungere”. I revisori, valutando il Dup proposto dalla Giunta Raggi, spiegano che “pur mostrando una tendenza verso politiche di contenimento della spesa, tuttavia non evidenzia in modo esaustivo gli obiettivi di gestione, nei quali si declinano politiche, programmi e progetti dell’ente rilevabili nel breve periodo, in termini di efficacia ed efficienza”.

Inoltre “non sono espresse le politiche da adottare circa il recupero delle entrate, più volte oggetto di raccomandazione dei Revisori e che costituisce uno degli aspetti più drammatici e critici di Roma Capitale”. Insomma il documento redatto dall’assessore al Bilancio Andrea Mazzillo, che Raggi avrebbe voluto come vicesindaco salvo subire lo stop di Grillo, è da rifare e con grande imbarazzo Marcello De Vito, presidente dell’assemblea capitolina, ha dovuto sospendere la seduta poiché non era possibile andare avanti nel dibattito. Mentre i gruppi di opposizione hanno cominciato a urlare “a casa, a casa”, il capogruppo M5S Paolo Ferrara difende la Giunta dicendo che “il Pd in testa è senza pudore. Applaudono su uno scenario difficile che hanno creato loro stessi nel corso degli anni, con amministrazioni di opposto colore politico ma di uguale risultato: una situazione drammatica per la Capitale, che stiamo cercando con tutte le forze di risolvere”. Ciò non toglie però che il documento, secondo l’Oref, è stato redatto in modo sbagliato. Dunque, un nuovo stallo, che si somma a tutte le altre nomine da portare ancora a termine.

Per questa ragione Beppe Grillo e Davide Casaleggio continuano a tenere gli occhi aperti sul Campidoglio. Il garante del M5S e il figlio del cofondatore del Movimento, che ormai riveste un ruolo sempre più di primo piano, in queste ore continuano a lavorare sulle vicende capitoline, dopo l’ultima burrasca che ha portato all’arresto di Raffaele Marra e a un millimetro dalla rottura Virginia Raggi. Così il sindaco sarà affiancata da due fedelissimi dei vertici 5 Stelle: i deputati Alfonso Bonafede e Riccardo Fraccaro, quest’ultimo nominato di recente ‘probiviro’, ovvero chiamato a decidere con i colleghi Paola Carinelli e Nunzia Catalfo dei procedimenti disciplinari interni ai 5 Stelle.

Fraccaro e Bonafede, negli ultimi due giorni hanno fatto la ‘spola’ tra Campidoglio e Montecitorio. I due fanno parte del gruppo di supporto ai Comuni del M5S, da cui la città di Roma era esclusa, ma data l’emergenza e considerato che il mini-direttorio, a causa di numerose incomprensioni non esiste più, saranno gli occhi Grillo sulla Capitale. Raggi ha dichiarato di non sentirsi commissariata, ma le scelte delle ultime ore sembrano convergere tutte in questa direzione, anche perché è da Roma che passa la possibilità che i 5Stelle arrivino a Palazzo Chigi. Chi sarà il candidato premier, se Di Maio o Fico, ancora non è dato saperlo. Sta di fatto che nessuno esclude che nella partita possa entrare anche Alessandro Di Battista.

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Matteo Renzi mette la veste anti-establishment. “Vogliamo cambiare Italia e Ue”. Trump? “Da presidente sarà diverso”

Interpretare il cambiamento. Questa la strada che ha portato Donald Trump alla Casa Bianca, questa la figura che Matteo Renzi prova a interpretare per vincere il referendum, dopo il quale l’Italia “tornerà protagonista nel mondo”, e per riformare l’Europa.

“Penso che Donald Trump abbia interpretato il cambiamento in maniera più radicale rispetto a Hillary Clinton – afferma Matteo Renzi a Che Tempo Che Fa, su Raitre – C’è l’ansia di cambiare, di poter entrare nel futuro, con tutte le inquietudini di un futuro che fa anche paura. Io comprendo che ci sia un bisogno di cambiare, ma mi domando chi rappresenti in Europa o in Italia questo cambiamento, chi sia davvero anti-establishment. Io da due anni sono al governo di questo paese. Sto cercando un passettino alla volta di cambiare le cose. Cosa chiedono i cittadini che andranno a votare? Secondo me chiedono di voltare pagina e questa riforma è un treno che ripassa tra 20 anni, se ripassa, abbiamo fatto una fatica pazzesca ad arrivare fino a qua”. L’uomo del cambiamento, come Renzi prova a descriversi, è anche quello che non accetta la palude: “Se si deve Stare nel pantano è bene che ci vada qualcun altro”. dice, “vengano altri, i professionisti del galleggiamento”. Una frase che lascia intendere che in caso di vittoria del No confermerà quanto detto mesi fa, che lascerà Palazzo Chigi.

Renzi è pronto a collaborare con Donald Trump, ma aspetta di capire come si comporterà alla Casa Bianca. “La vittoria di Trump non era attesa, ora è difficile capire che presidente sarà, ma io credo che il Trump presidente sarà diverso dal Trump candidato”. Si sono sentiti al telefono, “ci siamo salutati con un ciao alla fine. Sono molto ottimista sul fatto che Italia e Stati Uniti istituzionalmente continueranno a lavorare bene, anche se poi ognuno ha le sue opinioni e valutazioni”.

Trump resta però un caso a parte. “Vedo molti politici italiani che si sono specializzati in commenti elettorali. Vedo Salvini – prosegue Renzi – che sembra che abbia vinto lui. Gli ricordo che le ultime vittorie elettorali della Lega sono a Gallarate e Cascina, non in Michigan e Wisconsin. Non è che quello che accade negli Usa si traduce nella vittoria della Le Pen in Francia o di Grillo in Italia”. I sondaggi spesso sbagliano, “spero anche in Italia, visto quello che dicono sul referendum” chiosa il premier.

Renzi pronta a presentarsi come l’uomo del cambiamento dell’Italia, tramite le riforme costituzionali, e dell’Europa. Il referendum è un’occasione storica, dice, “io ho 41 anni e vedo la fatica che si fa a cambiare le cose. Da qui a 20 giorni gli italiani decidono il loro futuro”. Cambia “la semplicità di fare investimenti, la velocità di fare le leggi”. Dopo, “se superiamo l’ostacolo saremo protagonisti in Europa e nel mondo” assicura Renzi. La novità politica è il suo sostegno al documento del Pd sulla legge elettorale, per spazzare via lo spettro del combinato disposto dell’Italicum con la riforma costituzionale. “Ma questo referendum non è il congresso del Pd, chi vuole farlo deve aspettare il 5 dicembre. Speriamo che li facciano anche gli altri, invece di stare su un blog o di far decidere tutto a uno”.

La battaglia europea prosegue, Renzi torna a minacciare di porre il veto sul bilancio. “L’Europa che conosco io non mi impedisce di mettere a posto le scuole, la stabilità dei burocrati a Bruxelles è meno importante della stabilità dei nostri ragazzi nelle scuole. Se c’è bisogno si mette il veto e l’anno prossimo faranno fatica a chiuderlo senza di noi. Se vogliono fare dei muri, non li faranno con i nostri soldi. Il sogno europeo è la pace e abbattere i muri”.

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La sinistra dibatte cosa sarà dopo il referendum. Consapevole di avere tanti padri nobili, ma che le manca un figlio

Se a sinistra c’è vita bisogna rimettere insieme i pezzi, perché quella che un giorno era chiamata “plurale”, oggi è sparpagliata. Il referendum è lo spartiacque. Qualcuno ci crede, come l’associazione “Alternative” che a Roma ha messo in piedi tre giorni di dibattiti, dal sindaco di Napoli Luigi De Magistris a Gianni Cuperlo, passando per Massimo D’Alema e Massimiliano Smeriglio. Ma soprattutto i movimenti e l’associazionismo romano che non rinuncia a farsi soggetto politico diffuso.

Il No al referendum come base per ricostruire qualcosa di diverso “fuori dai recinti”, come ci dicono gli organizzatori che scuotono la testa ai tentativi che ruotano intorno a Sel e al suo prossimo superamento. L’idea che porta De Magistris è carica di suggestione, quel municipalismo che mette radici anche all’estero e vuole addirittura superare il concetto di sinistra. “Andrò a Parma da Pizzarotti ma solo per raccontare l’esperienza napoletana” ci dice, non credendo all’ipotesi di un partito dei sindaci. Intorno ai cinque anni della Milano di Giuliano Pisapia, al cagliaritano Massimo Zedda (né col Pd né con Sel che lo ha eletto), vicino a esperienze come quelle della Regione Lazio: sono tutti terreni di confronto dai quali Alternative vuole ripartire senza identificare un punto d’arrivo.

“Se vince il No per il centrosinistra si apre una speranza” dice Massimo D’Alema che vuole portare avanti “solo” questa battaglia referendaria, per poi tornare alla sua fondazione di studi socialisti a Bruxelles. Un’idea però ce l’ha e non è quella che porta a una sinistra che si guarda allo specchio, residuale, “perché stare in minoranza non mi ha mai appassionato”. Elezioni americane, i nuovi populismi, la debolezza dell’Europa: per questi pezzi di sinistra sono terreni di sfide cruciali ma “nessuna scorciatoia nazionalista potrà servire a recuperare terreno” dice Smeriglio. Sul punto, la critica dura a Renzi che togliendo la bandiera europea ha solo fatto “un giochino di marketing politico di bassa lega”, una trumpizzazione solo in funzione della campagna referendaria. D’Alema lo segue avvertendo che l’Italia “non ha nessun interesse a indebolire l’Europa” e la risposta di Jean Claude Juncker a Trump è stata “dignitosa”.

Si torna al referendum ma al solo pensiero che con una nuova legge elettorale la riforma renziana si possa digerire, richiama il sarcasmo dalemiano . “Ci dovrebbero essere dei limiti costituzionali all’ingenuità” dice riferendosi al documento firmato da Gianni Cuperlo, “un fogliettino di cose senza senso perché, se vince, Renzi va alle elezioni, chiaro come il sole”. Più volte scatta l’applauso, ci sono alcune centinaia di persone, molte delle quali politicamente orfane, a cui D’Alema ricorda che il partito di Renzi ha estromesso un bel pezzo di sinistra. Tuttavia sfugge anche solo all’idea di poter essere un punto di riferimento per ciò che a sinistra spunterà dopo il 4 dicembre. Anche perché in sala si sente dire che la sinistra di padri nobili ne ha molti. Forse è un figlio quello che le manca.
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Milena Gabanelli lascia Report: “Questo sarà il mio ultimo anno”

Report, storico marchio di inchieste di Rai3, compie vent’anni e Milena Gabanelli, fondatrice e anima del programma, si prepara a lasciare la conduzione dopo questa stagione: lo ha annunciato, a sorpresa, la stessa giornalista, ospite questa sera del Tg1 delle 20.

“E’ la cosa più bella che ho fatto dopo mia figlia”, ha spiegato Gabanelli. “Tuttavia, dopo vent’anni, penso che sia venuto il momento di dire che questa sarà la mia ultima stagione alla conduzione di Report. Non smetterò comunque di fare il mio mestiere. Se è un addio? E’ una brutta parola… Report ha davanti altri vent’anni, ha una squadra da guerra”.

Lunedì sera intanto il programma apre il suo nuovo ciclo con un’inchiesta sul biologico, “un mercato che in Italia ha 60 mila imprese e l’anno scorso ha realizzato un fatturato da 4,5 miliardi, con un +21% di consumi nei primi sei mesi dell’anno.

C’è la possibilità di risanare l’ambiente – ha spiegato ancora Gabanelli – ma il problema è che, proprio perché costa di più, ci si si infilano le truffe. Bisogna stanare i truffatori”.

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