La Waterloo di Grillo. Alde rifiuta l’ingresso di M5S. Salta la strategia del leader: parlamentari contro di lui

È la Waterloo di Beppe Grillo. E in fondo il luogo dove è caduto Napoleone non è molto distante da Bruxelles, teatro invece dello schiaffo di Guy Verhofstadt al leader M5S, rimasto sconfitto e con un partito confuso e arrabbiato. La mossa strategica di lasciare Nigel Farage per aderire al gruppo Alde e conquistare terreno nell’Europarlamento, in poche ore, si è rivelata un boomerang per i grillini. L’Alleanza dei Democratici e dei liberali per l’Europa ha infatti votato contro l’ingresso dei 5Stelle nel gruppo. Il ‘no’ secco è arrivato in particolare dai francesi e dai tedeschi e il capogruppo Verhofstadt non ha potuto che prenderne atto e salutare Grillo: “Sono arrivato alla conclusione che non ci sono sufficienti garanzie per portare avanti un’agenda comune per riformare l’Europa. Non c’è abbastanza terreno comune per procedere con la richiesta del Movimento 5 Stelle di unirsi al gruppo Alde. Rimangono differenze fondamentali sulle questioni europee chiave”.

Parole sorprendenti che arrivano pochi giorni dopo che il leader pentastellato, in gran segreto grazie alla mediazione di David Borrelli, ha siglato un pre accordo proprio con Guy Verhofstadt. Ma la sede dell’Europarlamento oggi è diventata un campo di battaglia e Grillo ha fatto il suo ingresso questa mattina presto con l’intento di sedare la protesta di alcuni europarlamentari che non hanno condiviso il cambio di rotta e l’adesione al gruppo più europeista che c’è in Ue, gruppo che fu di Romano Prodi e Mario Monti, per intendersi. Intanto a mezzogiorno vengono pubblicati i risultati del sondaggio, annunciato domenica a sorpresa tra lo stupore di tutti: il 78,5% degli iscritti al blog ha scelto di aderire all’Alde. Al di là del risultato quasi plebiscitario, la base, stando ai commenti, da domenica si è rivoltata contro Grillo. Le bacheche Facebook dei parlamentari sia nazionali sia europei sono state prese di mira e si sono trasformate in un delirio di commenti. Tutti presi alla sprovvista, in pochi hanno appoggiato la decisione del leader pentastellato. E c’è chi, come Nicola Morra e Carlo Sibilia, ha deciso di uscire allo scoperto. Non solo. Questa incongruenza, tra il voto della Rete e gli umori invece della Rete e dei parlamentari, ha prestato il fianco anche al sospetto che il voto web fosse stato manipolato.

Sta di fatto che a Luigi Di Maio è toccato l’ingrato compito di dover arrabattarsi e fornire giustificazioni parlando di una “mossa tecnica e non politica”. Il candidato premier in pectore garantisce inoltre che il referendum sull’euro verrà fatto comunque e che l’adesione a un gruppo europeista serve soltanto a mantenere diritti all’interno dell’Europarlamento, tra cui i 700mila euro che ogni partito ha a disposizione ed entrare poi nella partita delle presidenze delle commissioni. L’unico risultato che sortisce il post di Di Maio è una pioggia di commenti negativi e pochi “like”.

Passano poche ore ed ecco il colpo di grazia. Le stanze dell’Europarlamento sono ormai un campo di battaglia. In una, Beppe Grillo e Davide Casaleggio provano a sedare la protesta degli europarlamenti scontenti, in un’altra pochi passi più in là c’è Verhofstadt che prova a convincere i suoi, anche perché si sta giocando la sua personalissima gara per la presidenza dell’Assemblea, e strappare il ‘sì’ all’ingresso dei grillini. Ma dopo tanti tormenti e dichiarazioni al vetriolo, come quella della vicecapogruppo dell’Alde, la francese Marielle de Sarnez (“Farò di tutto per impedire che succeda. Sarebbe un’alleanza empia”), arriva la posizione ufficiale del gruppo: M5S è fuori.

Il danno d’immagine è enorme dopo che Grillo, in ventiquattro ore, ha mandato in tilt la base, ha mandato su tutte le furie i parlamentari nazionali ed europei, che si sono ritrovati con un accordo già firmato prima ancora che venisse ratificato dal blog, e per finire non ha ottenuto il risultato sperato. Anzi, ha subito una vera e propria cacciata. La difesa del leader pentastellato è quella solita d’ufficio: “L’establishment ha deciso di fermare l’ingresso del MoVimento 5 Stelle nel terzo gruppo più grande del Parlamento Europeo. Questa posizione ci avrebbe consentito di rendere molto più efficace la realizzazione del nostro programma. Tutte le forze possibili si sono mosse contro di noi”. Recita la parte della vittima anche Alessandro Di Battista, l’altra punta M5S scesa in campo in una giornata da psicodramma: “Si sono tirati indietro – dice ospite a Otto e mezzo – perché è bene che alcune nostre idee vengano un po’ ostacolate”. Ma la sconfitta politica, al di là delle dichiarazioni ufficiali, rimane e adesso i grillini confluiranno nel gruppo Misto, che – secondo Grillo – significa “occupare una poltrona con le mani legate: non poter lavorare”. È la resa.
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Legge di Bilancio, nel decreto fiscale salta la “norma Corona”: niente forfait al 35% per la voluntary disclosure sul contante

All’ultima curva, la cosiddetta “norma Corona” si schianta contro il muro del Ministero dell’Economia. Nel testo finale del decreto fiscale che accompagna la legge di Bilancio e su cui è al lavoro per le ultime limature il Mef, sparisce l’aliquota forfettaria del 35% per regolarizzare le somme in contanti illecitamente nascoste al fisco. Una misura che negli ultimi giorni ha provocato più di qualche malumore anche all’interno dello stesso Pd. “È difficile non vedere in questa misura un condono“, aveva spiegato ieri il presidente della Commissione Bilancio alla Camera e deputato dem Francesco Boccia, ospite di Huffpost Live

È solo l’ultima correzione in corsa di un cantiere ancora aperto. Sono passati sei giorni dal varo in Consiglio dei ministri della Legge di Bilancio e un testo definitivo ancora non c’è. “Non è sicuro che si chiuda nemmeno stasera”, trapela da Palazzo Chigi mentre in Parlamento la Manovra era attesa già entro la mezzanotte di ieri, termine ultimo previsto dalla riforma del Bilancio dello Stato. Sono gli uffici di via XX settembre, in queste ore, a lavorare sui dossier più spinosi. E il più delicato è proprio il decreto fiscale annunciato da Matteo Renzi in conferenza stampa, tecnicamente sganciato dalla Legge di Bilancio, ma che include alcune misure fondamentali per assicurare gli obiettivi di aumento di gettito fiscale che rappresentano una delle voci di copertura della manovra.

Tra queste la voluntary disclosure, la procedura per il rientro e l’emersione dei capitali non dichiarati, che nella sua versione originaria – secondo le indiscrezioni degli ultimi giorni – prevedeva appunto l’applicazione di un’aliquota forfettaria al 35% in sostituzione di sanzioni, interessi e more. Tornato sui suoi passi il governo dovrebbe optare per una modalità più onerosa per i dichiaranti, quella di far concorrere le somme dichiarate all’imponibile complessivo, applicando l’aliquota di riferimento con l’obbligo inoltre di dimostrare la provenienza delle somme sanate.

Una soluzione sicuramente che getta acqua sul fuoco delle polemiche ma prevedibilmente è destinata a far incassare allo Stato cifre sensibilmente più basse di quelle assicurate da un’aliquota flat. Basti pensare che in conferenza stampa il presidente del Consiglio Renzi ha parlato di un incasso previsto di circa 2 miliardi, cifra poi ridimensionata nelle tabelle inviate nei giorni scorsi a Bruxelles. Anche per questo a via XX settembre era stata discussa anche un’altra opzione, per certi versi opposta a quella adottata alla fine. Secondo fonti vicine al dossier, il governo avrebbe valutato fino all’ultimo anche la possibilità di mantenere l’imposta flat, ma tagliandola ulteriormente rendendola quindi più appetibile. Una misura destinata probabilmente a far esplodere nuove e più vigorose polemiche.

Intanto questa mattina è arrivata a Bruxelles una versione corretta del Draft Budgetary Plan, già recapitato alla Ue martedì mattina. Nel documento sono state apportate alcune modifiche alle voci di diverse tabelle. Invariato per il momento il numero al centro dei malumori con l’Europa, il deficit strutturale che nel 2017 risulterebbe in aumento di 4 decimi di punto rispetto al 2016 mentre le Commissione auspicherebbe un dato in diminuzione. Piccola variazione invece per il 2018, con il dato in calo a -0,7% invece del -0,8% indicato nella prima versione del documento.

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