“Mio figlio è stato rovinato dai medici. Per lui chiedo giustizia”. Sono queste le parole di Deborah, madre del piccolo Benedetto, nato con gravi problemi dopo un parto molto difficile. La donna racconta la sua storia al quotidiano la Repubblica.
“Era ora”. Nella sua casa del piccolo paese alle pendici dell’Etna, Deborah accoglie così la notizia della sospensione di quelle tre ginecologhe che, nel giorno più brutto della sua vita, l’hanno costretta a partorire con grande ritardo mentre il bimbo che portava in grembo, perfettamente sano fino a quel momento, soffocava stretto dal cordone ombelicale senza ossigeno per chissà quanto tempo. Quello stesso bambino che ora, a un anno e cinque mesi, non parla e non cammina come tutti i suoi coetanei e trova pace solo cullato tra le braccia della mamma che non lo abbandona un attimo.
Deborah Percolla, 26enne impiegata delle Poste, e suo marito in cerca di un lavoro vivono dal 2 luglio dell’anno scorso questa tragedia con grande forza d’animo sorretti e protetti dalle famiglie e dagli amici. E non hanno alcuna voglia di pubblicità. Per questo hanno deciso d bloccare i profili Facebook e di parlare per il tramite del legale a cui hanno chiesto, subito dopo il parto, di presentare un esposto denunciando i medici del reparto di ginecologia dell’ospedale Santo Bambino che — stando alla ricostruzione della Procura — si sarebbero rifiutati di effettuare il parto cesareo che probabilmente avrebbe salvato il piccolo solo per evitare di andare oltre l’orario di lavoro. E per di più senza avvertire della situazione i colleghi subentranti in turno e falsificando le cartelle cliniche.
«L’unica cosa che voglio — dice la giovane mamma attraverso l’avvocato Gianluca Firrone — è che venga fatta chiarezza e accertate e punite le responsabilità senza sconti per nessuno. È inaudito che, soprattutto in un ospedale pubblico che deve garantire la massima sicurezza a madri e figli, avvenga un fatto del genere. Non deve capitare più a nessuno di entrare sani e felici e uscire devastati come è successo a noi».