“Un viaggio fuori rotta. Nuove idee e itinerari di viaggio in Toscana”, lunedì a Roma la presentazione

FIRENZE – Il nuovo prodotto “Costa Toscana – Isole Toscane”, messo a punto da Toscana Promozione Turistica, sarà presentato martedì 4 giugno alle 17.30 presso la sede della Stampa estera in via dell’Umiltà 83 a Roma.

A illiustrare le novità delle proposte, contenute in “Un viaggio fuori rotta. Nuove idee e itinerari di viaggio in Toscana” saranno Stefano Ciuoffo, assessore al turismo della Regione Toscana e Francesco Palumbo, direttore dell’Agenzia Toscana Promozione Turistica.

Per info e partecipazioni costatoscana@mailander.it

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Prima e dopo la strage dei Georgofili: Palermo, Capaci e poi gli attentati a Roma e Milano

FIRENZE – Il prologo della strage dei Georgofili inizia un anno prima, nel 1992. Il 12 marzo viene ucciso il parlamentare europeo ed ex sindaco di Palermo, Salvo Lima. Il 23 maggio c’è l’attentato di Capaci, in cui muoiono il giudice Giovanni Falcone, sua moglie Francesca Morvillo, magistrato anche lei, gli agenti di scorta Rocco Dicillo, Antonio Montinaro e Vito Schifani. Due mesi più tardi, il 19 luglio, è la volta in via d’Amelio del giudice Paolo Borsellino e degli agenti di scorta Agostino Catalano, Emanuela Loi, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Casentino e Claudio Traina. Poi arriva il 5 novembre, quando nel giardino di Boboli a Firenze viene fatto ritrovare un proiettile di artiglieria avvolto in un sacchetto per rifiuti: l’ordigno era collocato vicino alla statua del Magistrato Cautius, inventore della cauzione, e l’episodio fu poi definito dagli inquirenti come l’anticamera delle stragi del 1993.

La prima è del 14 maggio: un’autobomba esplode a Roma in via Fauro ai Parioli, poco dopo il passaggio della vettura del giornalista Maurizio Costanzo che rimane illeso. I feriti sono ventiquattro. Il 27 maggio tocca a Firenze: un furgone imbottito di esplosivo viene fatto saltare in aria sotto la Torre dei Pulci, sede dell’Accademia dei Georgofili. Muoiono in cinque, quarantuno i feriti. La torre del Pulci viene quasi completamente distrutta e la stessa Galleria degli Uffizi subisce notevoli danni: tre dipinti furono perduti per sempre e 173 danneggiati, insieme a 42 busti e 16 statue anch’essi rovinati.

Il 27 luglio , quasi in contemporanea, altre due bombe esplodono davanti alla Basilica di San Giovanni Laterano a Roma e in via Palestro a Milano, dove muoiono un vigile urbano, due vigili del fuoco e un cittadino marocchino che passava sul lato opposto della strada.  Dodici i feriti. Il giorno dopo, il 28 luglio, un’altra vettura esplode davanti alla chiesa di San Giorgio al Velabro, sempre a Roma. Una ventina, anche in questo caso, i feriti.

Ci sono anche due attentati falliti. Il 23 gennaio 1994 non esplode una Lancia Thema imbottita con oltre 120 chili di esplosivi, parcheggiata nelle vicinanze dello Stadio Olimpico a Roma. A Formello, paese della provincia romana, il 14 aprile viene invece ritrovato dell’esplosivo sotto il ciglio di una strada dove solitamente passa il collaboratore di giustizia Salvatore Contorno.

In tribunale
ll pool di magistrati fiorentini che lavorò alle inchieste sulla stragi del 1993 era composto da Gabriele Chelazzi, Giuseppe Nicolosi e Alessandro Crini, sotto la guida dell’allora procuratore capo della Repubblica Pier Luigi Vigna, coadiuvato dal procuratore aggiunto Francesco Fleury. I responsabili materiali della strage vengono individuati velocemente. Resta ancora aperta la ricerca degli eventuali mandanti “occulti”, che Chelazzi aveva avviato e per cui l’associazione “Tra i familiari delle vittime” ha chiesto  la riapertura delle indagini.

Il processo sulla strage dei Georgofili si apre il 12 novembre 1996.  La sentenza di primo grado arriva il 6 giugno 1998, con 14 ergastoli e varie condanne.  Nel 2000 c’è la sentenza stralcio relativa a Riina, Graviano e altri, con due ergastoli. Nel 2002 la Cassazione conferma  15 ergastoli. Tra i condannati c’è Bernardo Provenzano (all’epoca latitante, fu arrestato nel 2006) e Matteo Messina Denaro (considerato, dopo l’arresto di Provenzano, il capo di Cosa nostra, è tutt’ora latitante).

Nel 2009 nuovi elementi d’accusa inducono la procura della Repubblica di Firenze, guidata da Giuseppe Quattrocchi, a chiedere la riapertura della vecchia inchiesta, archiviata, sui mandanti “occulti” delle stragi del 1993 e che vede imputato Francesco Tagliavia accusato di essere uno dei responsabili degli attentati del 92/93. I pm Quattrocchi, Nicolosi e Crini hanno motivato la richiesta di riapertura dell’inchiesta con l’esigenza di nuove indagini che prendono spunto dalle rivelazioni dei collaboratori di giustizia, uno dei quali, Spatuzza, direttamente coinvolto nell’esecuzione dell’attentato di via dei Georgofili.

Al processo si costituiscono trenta parti civili con Regione, Comune e Stato. Alti esponenti delle istituzioni come Mancino e Conso sono chiamati a testimoniare sulla presunta “trattativa” che sarebbe intercorsa con Cosa nostra per l’eliminazione del 41 bis, quale movente mafioso per le stragi del 1993. Il 5 ottobre 2011  boss mafioso Francesco Tagliavia viene condannato all’ergastolo per tutte le stragi del ’93 di Roma, Firenze e Milano. La sentenza è la prima che riconosce la piena attendibilità del pentito Gaspare Spatuzza, l’ex reggente del mandamento di Brancaccio.

Un nuovo processo si apre il 27 maggio 2013 per la cosiddetta “trattativa Stato-mafia”. Il 20 aprile 2018 la Corte di Assise di Palermo condanna  il boss mafioso Leoluca Bagarella a 28 anni di reclusione, il boss mafioso Antonino Cinà a 12 anni,  l’ex senatore Marcello Dell’Utri e gli ex vertici del Ros Antonio Subranni e Mario Mori a 12 anni, l’ex colonnello Giuseppe De Donno a 8 anni. Viene assolto l’ex ministro Nicola Mancino, mentre interviene la prescrizione per il pentito Giovanni Brusca.

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Il Papa emoziona, i Trattati no. Un milione a Monza per la messa, San Siro pieno. A Roma cortei sottotono

Nel giorno dell’Annunciazione, alla stregua dell’angelo del Signore, Francesco ha siglato il passaggio da un vecchio a un nuovo “testamento”, dal nostro ad un altro mondo, traghettando i suoi discepoli verso l’ignoto e rinnegando millesettecento anni di alleanze fra trono e altare.

Così, mentre in Campidoglio i capi di stato e di governo, epigoni degli Orazi e dei Curiazi, facevano provvisoria tregua delle loro interminabili tenzoni e consegnavano alla storia le proprie, altrettanto sterili, dichiarazioni, Bergoglio ha lasciato Roma per seminare il verbo nel grembo di una Nazareth padana. Nella città della Madonnina, zona Milano Trecca. Vergine di poteri e gonfia di problemi. Fatiscente nel capoluogo del fashion. Bianca e sbiadita come le sue case. Là dove cresce la Chiesa del futuro.

Tempismo d’attore, regia d’autore. Messa in scena con apparente nonchalance. Ma eloquente, troppo, per risultare casuale. Come il copione di quei film in cui alla fine tutto torna: i misteri si svelano, i sentieri si ritrovano. Complice la diretta televisiva, che divide in due lo schermo e rende all’improvviso la trama intellegibile, diradando le nebbie a primavera e mostrando il volto, i numeri del vincitore: un milione contro diecimila, in un rapporto schiacciante di cento a uno tra fedeli meneghini e manifestanti romani.

Bergoglio contro “resto d’Europa”, oggi, e a maggio contro il “resto del mondo”, quando il G 7 pianterà le tende al sole di Taormina, schierando l’astro nascente del suo campione, Donald Trump, direttamente in trasferta da Washington. Capitale del mondo versus periferie, dunque. “Casa Bianca” contro “case bianche”, nel Super Bowl, da disputare a colpi di share, con il leader più potente, e ingombrante, della terra. Ben altra cosa che la stella cadente di François Hollande, abbandonato dai sondaggi, e la cometa usurata, intermittente di Frau Merkel, a corto di seguaci sulla scia del rigore. “Questo è un grande dono per me: entrare nella città incontrando dei volti, delle famiglie, una comunità”.

Dagli abitanti del quartiere Forlanini ai detenuti delle celle di San Vittore, l’arco di trionfo di Francesco non passa dai palazzi delle istituzioni. Nemmeno dall’Università Cattolica, emblema dell’intellighenzia e del programma, storicamente, di estendere la propria influenza sulla società: una tappa che il Pontefice ha tuttavia snobbato al pari della Expo, con uno strappo ancora più stridente.

Come se il Papa, nell’arco di 48 ore, avesse disarcionato in una volta Costantino e Marco Aurelio, la politica e la cultura, operando un formidabile uno-due.

Al punto che 25 marzo del 2017 marca una sorta di “annunciazione” al rovescio e realizza, concretamente, la profezia di Antonio Spadaro – direttore di Civiltà Cattolica e ascoltato consigliere del Pontefice, apparsa un anno fa imprudente, impudente a molti ancorché veritiera – e sancisce la fine della “cristianità, cioè di quel processo avviato con Costantino in cui si attua un legame organico tra cultura, politica, istituzioni e Chiesa”.

“Non abbiate paura di abbracciare i confini, le differenze. Di ospitare le differenze e integrarle con creatività”: tra il parco reale di Monza e l’arena di San Siro, tempio laico del football, si è materializzato, e ha preso corpo, il gioco della “squadra” di Francesco. Uno schema che, ad onta dei tatticismi di scuola europea e al passo con più moderne teorie calcistiche, non offre punti di riferimento, ma risulta imprevedibile. A tratti persino al proprio artefice. Affidandosi all’ispirazione divina e al talento della panchina, nel mondiale, a geografie e gerarchie variabili, della globalizzazione, dove “le cose di prima sono passate”. E niente si può più dare per scontato.

Bergoglio spiazza tutti: usa un bagno chimico durante la visita alle case popolari

Il Papa visita una famiglia di musulmani: ”Ha bevuto il latte con noi”


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Trattati Ue, l’Italia cerimoniere della dichiarazione di Roma: ospita tutti ma sui temi non tocca palla

Quel che rimane d’Europa torna qui dove è stata fondata: a Roma. Ma stavolta il ruolo italiano non è all’altezza di uno dei padri fondatori nostrani: Altiero Spinelli. I 60 anni del trattato di Roma, questa curva storica gigante e impetuosa dal 1957 al 2017, cadono nel momento sbagliato per l’Italia. Paese ancora da riformare, con tanti conti aperti con Bruxelles, debole e con nulla a pretendere: organizza la kermesse dei 27 leader al Campidoglio senza piantare paletti. Come l’ospite che per organizzare una buona cena, si concentra sul gusto dei commensali più che sul proprio. Obiettivo metterli a loro agio, più che avanzare richieste specifiche.

Le hanno avanzate invece la Polonia con dietro i paesi dell’est e anche la Grecia, stremata dalla crisi. Varsavia ha chiesto garanzie sulla Nato, che resti malgrado i progetti di difesa comune europei abbozzati nella dichiarazione di Roma. Atene chiede un paragrafo specifico sull’Europa sociale. Accontentate entrambe. Dopo la Brexit, l’imperativo di tutti è che quella di Roma sia una dichiarazione comune di tutti: per dire che si sta insieme anche a 27. Anche se non si sa ancora esattamente come.

E forse questo è proprio il punto. La dichiarazione di Roma non è un trattato. Il 2017 non viaggia nemmeno lontanamente sui livelli del 1957. Allora si fondò l’Unione, ora si cerca disperatamente una via per non perderla. Inimmaginabile ora una riscrittura dei trattati: non ci sono le condizioni. Ed ecco che i 60 anni dei trattati fondativi diventano l’occasione per mettere una toppa alla crisi. Nessuno si fa illusioni, si copre dove si può.

E dunque anche le richieste specifiche di ogni Stato lasciano il tempo che trovano. L’Italia del resto ha apparecchiato la prima versione della dichiarazione di Roma, poi rivista insieme agli sherpa degli altri paesi membri. Ma quella carta non ha il valore di un trattato. E non stabilisce niente di specifico, pur aprendo la via alla questione principale: l’Europa a più velocità. Vale a dire: un modo disperato di tenere tutto insieme, pur ammettendo un primo fallimento di unione.

Sostanzialmente la dichiarazione di Roma stabilisce che d’ora in poi gli Stati che lo vorranno potranno procedere insieme su alcuni temi. Ma i modi, gli stessi temi e la velocità sono tutti da stabilire: lo diranno i posteri. Espressione non esagerata, visto che la foto di gruppo dei 27 in Campidoglio presenta l’ombra ingiallita del passato, nessun rilancio sul futuro.

Angela Merkel rischia non essere confermata alla Cancelleria tedesca alle elezioni d’autunno. E anche se sarà rieletta, la leader della Cdu ha alle spalle più vita politica di quanta ne abbia davanti. Francois Hollande è a fine mandato e non ‘gioca’ più. Lo spagnolo Mariano Rajoy è capo di un governo nato a fatica, anche lui più che proiettato sul futuro (politico s’intende) è quel che resta di stagioni passate. Theresa May non c’è, fuori ‘forever’ causa Brexit. Paolo Gentiloni è a capo dell’ennesimo governo non eletto degli ultimi 4 anni, un governo fragile dopo la sconfitta al referendum del 4 dicembre e il cambio della guardia con Matteo Renzi, esecutivo debole anche alla Farnesina dopo l’avvicendamento con Angelino Alfano.

Certo: se una parvenza di Europa a più velocità è il compromesso che tiene insieme la dichiarazione di Roma, vago al punto giusto per avere la firma anche dei paesi dell’Est, c’è da dire che uno dei primi a parlarne in tempi recenti è stato proprio Gentiloni. Lo ha fatto a dicembre 2015, quando era ancora ministro degli Esteri, firmando una lettera congiunta con Philip Hammond, ministro degli Esteri di Cameron. Era uno degli estremi tentativi per scongiurare la Brexit. Non è servito, ma era segnale di attivismo della Farnesina in politica estera.

Qualche mese fa l’Italia ha agganciato subito il rilancio di Merkel sull’Europa a più velocità. Ancora non si sa su cosa, ma stare insieme alla Germania viene vista come garanzia per stare nel club più ‘esclusivo’: i conti italiani sono ancora in disordine e sotto il giudizio di Bruxelles. Stamane un incontro tra il vice presidente della Commissione Europea Valdis Dombroskis e il ministro dell’Economia Piercarlo Padoan non ha fatto che confermare i dossier aperti: la manovrina di 3,4 miliardi di euro e naturalmente la manovra d’autunno da farsi senza far crescere il debito, dice Bruxelles.

L’Italia non è in forma. E il fatto che non lo sia nemmeno l’Europa è una giustificazione solo parziale. In questi casi, il male comune non è nemmeno un quarto di gaudio. Per sfuggire all’assedio dei movimenti anti-europei, sempre più forte nella società, alla vigilia del vertice Gentiloni ha incontrato le parti sociali europee insieme al presidente della Commissione Ue Jean Claude Juncker. “Mai più messe senza fede”, ha detto il premier citando l’ex presidente della Commissione Ue Jacques Delors. “Dobbiamo ripartire da un rinnovato spirito di fiducia ripensando un’Europa sociale più attenta ai suoi cittadini”.

Già: ma a Palazzo Chigi sono costretti a volare basso, insieme agli altri leader si aggrappano al compromesso di Roma, sperando di circostanziarlo in futuro e incrociando le dita di fronte alla crisi e alle divisioni che hanno indebolito tutti.
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Riunione del Comitato antiterrorismo, allerta massima in vista della celebrazioni dei Trattati. Al vaglio la rivista Isis con riferimenti a Roma

“O combattente, rallegrati, non fermeremo la nostra jihad fino a che non riposeremo sotto gli ulivi di Roma”

“O muwahhidin, rejoice, for by Allah, we will not rest from our jihad except beneath the olive trees of Rumiyah

È con questa frase che si apre la pagina indice dell’ultimo numero della rivista Rumyah, il nuovo mensile dello Stato Islamico. Pubblicato su web il 7 marzo scorso, nelle ultime settimane è stata oggetto dell’analisi dei nostri servizi segreti. Non solo perché da settembre 2016) è l’house organ dello Stato Islamico, ma anche per i riferimenti espliciti a Roma, a Papa Francesco, e al Gran Mufti del Cairo.

Si tratta di un numero quasi completamente dedicato alla lotta a coloro che sono “devianti”, a partire dagli imam. E viene propagandato un video – in cui si inneggia alla lotta agli imam revisionisti – in cui si vede appunto il Gran Imam di Al Azhar, Aḥmad al-Ṭayyib, quando è stato ricevuto in Vaticano nel maggio 2016, e che abbraccia Papa Francesco.

isis

Come è noto Francesco si recherà in Egitto e in particolare ad Al Azhar (l’Università massimo centro di riferimento teologico sunnita) per ricambiare la visita dell’anno scorso e lanciare un forte appello contro la violenza di matrice religiosa. Il viaggio è stato annunciato ufficialmente dal Vaticano il 18 marzo scorso, ma era stato lo stesso Francesco a parlare del progetto di questo viaggio in un’intervista al settimanale tedesco Die Zeit , pubblicata in 9 marzo, ma realizzata il 24 febbraio.

Per il resto, il numero 7 della rivista, è un numero molto ideologico (un articolo è dedicato a come risolvere le controversie coniugali, senza fare pettegolezzi, anche in caso di divorzio), e senza indicazioni operative dirette di come portare avanti altri attacchi (al contrario di quando erano stati propagandati – nei mesi scorsi – i tir sulla folla o l’uso di coltelli). La costante è l’incitamento “a fare ovunque la jihad” e a non confidare nel proprio equipaggiamento ma nella forza di Allah.

Questo spiega perché Il livello di allerta è massimo a Roma, in vista delle celebrazioni (sabato 25 aprile) per i sessant’anni dei Trattati europei.

Dell’attacco a Londra e di quelli che lo hanno preceduto, negli ultimi mesi in Europa, ha parlato il ministro dell’Interno, Marco Minniti, che in mattinata aveva presieduto il CASA (Comitato di analisi strategica antiterrorismo) intervenendo nel pomeriggio al Consiglio Superiore della magistratura: “Nizza, Berlino, Londra: abbiamo un abbassamento della prevedibilità. Sono attacchi compiuti con i mezzi immediatamente disponibili”, seguendo “l’indicazione di Al Adnan (il portavoce ufficiale di Daesh, ucciso nell’agosto del 2016, ndr), che non a caso aveva evocato auto e coltello”. “Noi dobbiamo riflettere su una strategia che sia all’altezza di questa minaccia – ha aggiunto il ministro – come affiancare l’attività di intelligence al controllo del territorio. Di fronte all’altissima imprevedibilità ritorna un tema antico, il rapporto tra intelligence e controllo del territorio”.

Le reazioni a Londra

L’unico modo per avere “tempi di reazione vicini allo zero”, contro questi terroristi che potremmo definire “a chilometro zero”, sostiene il ministro, è attraverso il controllo capillare del territorio. È da questa considerazione che parte il piano sicurezza della Questura della Capitale, almeno per quanto riguarda i luoghi e le situazioni più a rischio, come il centro di Roma sabato prossimo. Ci saranno cinquemila uomini schierati, tra agenti e militari, impegnati in strada. Su Roma vigerà il divieto di sorvolo aereo, vietati in centro storico camion e furgoni, e il volo di droni privati (considerati un mezzo di possibile attacco con cariche esplosive).

Ma naturalmente altissima sicurezza è prevista anche a Milano, dove Papa Francesco sarà in visita, sempre sabato.

Per il momento niente digital ban. Su tablet e pc in aereo l’Italia, al momento, non cambia le misure di sicurezza. Lo ha stabilito il Comitato interministeriale per la sicurezza dei trasporti aerei e degli aeroporti (Cisa), presieduto dall’Enac, riunito per esaminare la decisione di Usa e Regno Unito sull’obbligo di imbarcare in stiva computer e tablet sui voli da alcuni paesi arabi.

Un tunisino espulso. Un cittadino tunisino di 36 anni, residente a Cinisello Balsamo (Milano), “fermato a seguito dell’operazione Da’Wa eseguita dalla Polizia postale di Perugia su estremisti islamici attivi nel diffondere sul web scritti di propaganda jihadista e di sostegno all’IS, che ha portato all’arresto di 4 persone per il reato di apologia di terrorismo aggravato dall’uso dei mezzi telematici”, è stato espulso con decreto del Ministro dell’Interno, Minniti. Rintracciato ieri a Milano e rimpatriato oggi dalla frontiera aerea di Milano Malpensa con un volo diretto a Tunisi. Salgono così a 157 i soggetti gravitanti in ambienti dell’estremismo religioso espulsi con accompagnamento alla frontiera dal gennaio 2015 ad oggi: di questi, 25 sono quelli espulsi nel corso del 2017.

Il racconto dei testimoni

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L’Ue va avanti a più velocità ma non lo scrive: ecco la bozza della dichiarazione di Roma. Sabato la firma (DOCUMENTO)

“Agiremo insieme quando possibile, con ritmi e intensità diversi quando sarà necessario, come abbiamo fatto in passato all’interno della cornice dei trattati e lasciando la porta aperta a coloro che vogliono unirsi dopo. La nostra Unione non è divisa ed è indivisibile”. E’ il passaggio chiave della dichiarazione che i 27 leader europei contano di firmare a Roma sabato prossimo, in occasione delle celebrazioni per i 60 anni della firma dei Trattati di Roma, fondativi dell’Ue.

Dall’ultima bozza dell’agenda comune – di cui Huffington Post è in possesso, mentre gli sherpa dei vari Stati continuano a limare il testo – sparisce la parola ‘speed’, velocità, a favore di un più morbido ‘pace’, che in inglese vuol dire velocità ma anche ritmo, andamento. E’ l’escamotage che si spera possa bastare a vincere le resistenze della Polonia e dei paesi dell’Est spaventati dalla prospettiva annunciata tempo fa da Angela Merkel. E cioè di un nucleo europeo che va avanti, con gli altri che seguono per superare le lentezze e gli ostacoli di un’Unione grande e pachidermica. I paesi dell’est temono di essere lasciati indietro. E non solo loro.

Ma in vista di sabato si pone l’accento ancora sull’unità per salvare ancora una volta le apparenze ed uscire con una dichiarazione comune. E forse ci si sta riuscendo.

Dalle informazioni che arrivano a Palazzo Chigi, paese ospitante e dunque in prima linea nell’organizzazione dell’evento al Palazzo dei Conservatori in Campidoglio, la Polonia non si metterà di traverso sabato prossimo. La dichiarazione comune dovrebbe quindi essere firmata da tutti i leader, tranne Theresa May, la premier britannica che invece non sarà a Roma ma che proprio oggi ha annunciato per il 29 marzo la data di attivazione dell’articolo 50 dei trattati per mettere in pratica la Brexit. Anche qui: fair play istituzionale tra Londra e Bruxelles interessate a non pestarsi i piedi a vicenda.

Tutto tranquillo dunque per sabato? Dal punto di vista della sicurezza no, viste le tantissime manifestazioni annunciate. Ma anche tra i 27 leader non regna ottimismo, naturalmente. I 60 anni dei trattati fondativi dell’Ue cadono nel punto di crisi più acuta per l’Unione da quando è nata. E la dichiarazione di Roma non promette nulla di incisivo, se non un lavoro che comincia pian piano a vincere le resistenze sull’Europa a due velocità.

Proprio per garantire questo risultato, la dichiarazione di Roma si manterrà vaga, come spesso accade nei passaggi chiave dell’Ue. Non espliciterà i criteri che porteranno un nucleo di paesi europei a procedere più avanti e più in fretta di altri. Non chiarirà fino in fondo i dubbi sul perimetro tra ‘serie A’ e ‘serie B’, per citare una dei timori più espressi rispetto al disegno della Cancelliera tedesca.

Tuttavia la dichiarazione dovrebbe calcare molto sulla sicurezza comune (“Safe and secure Europe…”) e su un sistema di difesa comune europeo che non crei “duplicati della Nato”. Anche quest’ultima rassicurazione è stata inserita nel tentativo di placare le ansie dei paesi dell’Est, che hanno sempre avuto il loro scudo anti-Mosca nell’Alleanza Atlantica peraltro messa in discussione dal riavvicinamento la Russia e gli Usa nell’era Trump.

La difesa comune è il quarto e ultimo punto dell’Agenda di Roma:

Un’Europa più forte sulla scena globale: un’Unione che costruisce nuove partnership e promuove stabilità e prosperità nelle sue immediate vicinanze a est e sud, ma anche in Medio Oriente, in Africa e globalmente; un’Unione pronta a prendersi più responsabilità e a sostenere la creazione di una industria della difesa più integrata, un’Unione impegnata a rafforzare la propria sicurezza e difesa comune, assicurando complementarietà ed evitando duplicati della Nato; un’Unione che protegga un sistema multi-laterale, orgogliosa dei propri valori e che protegga la sua gente, promuovendo il libero scambio e una politica positiva sul clima.

Altro punto dell’agenda quello su un’Europa “prospera e sostenibile”, che crei “crescita laddove un mercato unico vasto e in sviluppo e una moneta unica stabile e ulteriormente rafforzata aprono autostrade alla crescita, competitività, innovazione, scambio”. E c’è un punto anche sull’Europa “sociale”, che promuova “progresso sociale ed economico e coesione e convergenza, considerando la varietà dei modelli sociali e il ruolo chiave dei partner sociali; che promuova uguaglianza di genere, diritti e pari opportunità per tutti; che combatta le discriminazioni, l’esclusione sociale, la povertà…”.

“Ci siamo uniti per il meglio. L’Europa è il nostro futuro comune”, si conclude la bozza di dichiarazione. Per sapere chi andrà avanti e chi no, bisognerà aspettare ancora.

Qui sotto il testo integrale della bozza di dichiarazione comune:

We, the representatives of 27 Member States and the Institutions of the EU, take pride in the achievements of the European Union: the construction of European unity is a bold, far-sighted endeavour. Sixty years ago, recovering from the tragedy of two world wars, we decided to bond together and rebuild our continent from its ashes. We have built a Union with common institutions and strong values, a unique community of peace, democratic rights and the rule of law.

European unity started as the dream of a few, it became the hope of the many. Then Europe became one again. Today, we are united and stronger: hundreds of millions of people across Europe benefit from living in an enlarged Union that has overcome the old divides.

The European Union is facing unprecedented challenges, both global and domestic: regional conflicts, terrorism, growing migratory pressures, protectionism and social and economic inequalities. We are confident that the EU is capable of addressing these challenges of a rapidly changing world and offers to its citizens both security and new opportunities.

We are determined to make the EU stronger and more resilient, through even greater unity and solidarity amongst us. Unity is both a necessity and our free choice Taken individually, we would be sidelined by global dynamics. Standing together is our best chance to influence them, and to defend our common interests and values. We will act together whenever possible, at different paces and intensity where necessary, as we have done in the past within the treaty framework and leaving the door open to those who want to join later. Our Union is undivided and indivisible.

In the 10 years to come we want a Union that is safe and secure, prosperous and sustainable, with an enhanced social dimension, and with the will and capacity of playing a key role in the global world. We want a Union where citizens have new opportunities for cultural, social development and economic growth. We want a Union which remains open to those European Countries that fully share our values.

In these times of change, we commit to the Rome Agenda, and pledge to work towards:

1. A safe and secure Europe: a Union where all citizens feel safe and can move freely, where our external borders are secured and where migration is managed effectively, humanely and in respect of international norms; a Europe determined to fight terrorism and organised crime.

2. A prosperous and sustainable Europe: a Union which creates growth, where a vast and developing Single Market and a stable and further strengthened single currency opens avenues for growth, competitiveness, innovation and exchange; a Union promoting sustained and sustainable growth, through investment, structural reforms and the completion of the Economic and Monetary Union; a Union where economies converge; a Union where energy is secure and affordable and the environment clean and safe.

3. A social Europe: a Union which promotes economic and social progress as well as cohesion and convergence, taking into account the variety of social models and the key role of social partners; a Union which promotes gender equality and rights and equal opportunities for all; a Union which fights discrimination, social exclusion and poverty; a Union where young people receive the best education and training and can study and find jobs across the continent; a Union which preserves cultural diversity and promotes our cultural heritage.

4. A stronger Europe on the global scene: a Union building new partnerships and promoting stability and prosperity in its immediate neighbourhood to the east and south, but also in the Middle east and across Africa and globally; a Union ready to take more responsibilities and to assist in creating a more integrated defence industry, a Union committed to strengthening its common security and defence, ensuring complementarity and avoiding duplications with the North Atlantic Treaty Organisation; a Union protecting a rule-based multilateral system, proud of its values and protective of its people, promoting free and fair trade and a positive global climate policy.

We will pursue these objectives, firm in the belief that Europe’s future lies in our own hands and that the European Union is the best tool to achieve our objectives. We pledge to listen to the concerns expressed by our citizens. We will work together at the level that makes a real difference, be it the EU, national, regional, or local, and in a spirit of loyal and close cooperation, both among Members States and between them and the EU Institutions. We will allow for the necessary room of manoeuvre at the various levels to strengthen Europe’s innovation and growth potential. We want the Union to be big on big issues and small on small ones, in line with the principle of subsidiarity. We will promote a more effective and transparent decision-making process and better delivery.

We as leaders, working together within the European Council and among the Institutions, will ensure that today’s agenda is implemented, so to become tomorrow’s reality. We have united for the better. Europe is our common future.

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Raggi indagata ma non scaricata. Come i 5s hanno preparato il paracadute per il sindaco di Roma

Sono stati giorni di vertici, incontri, riunioni. Veri e propri gabinetti di guerra per capire come gestire la cosa, dal punto di vista politico e comunicativo. Virginia Raggi, tutto il suo entourage e tutto il Movimento 5 stelle capitolino e nazionale, sapeva che a giorni sarebbe arrivata la notizia d’indagine sul collo della prima cittadina. Quando la Procura si è mossa, tutto era preparato. Abuso d’ufficio e falso in atto pubblico sono i reati contestati.

Imputazioni pesanti, soprattutto da chi ha fatto della diversità morale la propria cifra di governo. Per questo evitare territori scivolosi, buchi comunicativi causati da pressappochismo e impreparazione, è stata la bussola di queste ultime due settimane. Raggi ha riunito il giro più stretto, in costante contatto con i dioscuri nazionali che coadiuvano il Campidoglio, i deputati Alfonso Bonafede e Riccardo Fraccaro.

Al centro di tutti i colloqui la gestione di una notizia che non si poteva controllare. La bussola è stata una: evitare il pastrocchio del caso Muraro. Quel groviglio di mail male interpretate, mezzi silenzi e verità monche, che si sono appiccicate per mesi sulla giacca del sindaco e del suo assessore. Di conseguenza la strada scelta era inevitabile: comunicare tutto e subito. Tanto al quartier generale milanese quanto più ai cittadini romani.

Così, poco prima di cena, ecco comparire il post su Facebook: “Oggi mi è giunto un invito a comparire dalla Procura di Roma [il prossimo 30 gennaio, ndr] nell’ambito della vicenda relativa alla nomina di Renato Marra a direttore del dipartimento Turismo che, come è noto, è già stata revocata. Ho informato Beppe Grillo e adempiuto al dovere di informazione previsto dal Codice di comportamento del MoVimento 5 Stelle”.

Poche righe dalle quali viene furbescamente spuntata la parola “indagata”; nelle quali si parla della revoca di Marra Jr. come se fosse elemento di per sé sufficiente a smontare il lavoro dei magistrati che indagano; e in cui ben si sottolinea da un lato la telefonata al fondatore (Pizzarotti non lo fece squillare, e a questo s’aggrapparono per metterlo in naftalina), dall’altro il rispetto delle procedure codici stellati alla mano.

Il sindaco è sotto inchiesta per aver detto alla responsabile anticorruzione del Comune Mariarosa Turchi di aver deciso da sola sulla nomina di Marra Jr (l’ipotesi di falso), nel merito della quale sarebbe invece intervenuto anche il fratello Raffaele. Quanto all’ipotesi di abuso d’ufficio, la sindaca non avrebbe effettuato una comparazione valutativa dei curricula, procedendo a valutazioni parziali sempre sotto l’occhio vigile dell’ex capo di Gabinetto (l’abuso d’ufficio), indagato anch’egli con lo stesso capo d’accusa.

Le ipotesi su cui sarebbe arrivata la comunicazione della magistratura erano note da tempo. E forse il sedimentarsi tra i corridoi di Palazzo Senatorio hanno contribuito a disinnescare lo psicodramma, genere su cui si sono cimentati poco volentieri ma con molto profitto i grillini capitolino ogni qual volta in questi mesi sono stati travolti da una bufera mediatico/giudiziaria. Casi che ormai non bastano le dita di due mani per essere contati.

L’area che ruota attorno a Marcello De Vito, la vera controparte romana della Raggi, e che, per la proprietà transitiva delle cordate politiche, in ultimo fa capo a Roberta Lombardi, lascia trasparire un certo nervosismo, ma sembra aver riposto nel cassetto gli strali d’altri tempi. Una fonte di primo livello imputa al sindaco e al suo entourage la colpa del sostanziale immobilismo dell’amministrazione: “Ogni volta che iniziamo a lavorare sui temi concreti, ecco che spunta l’ennesima grana legata alle nomine o a vicende giudiziarie”. Ma aggiunge anche significativamente: “Il clima è cambiato, Virginia dopo gli ultimi fatti ha capito la lezione, e questa volta la gestirà bene”. De Vito in chiaro detta la linea: “Al sindaco va tutto il mio sostegno e quello dei portavoce comunali del M5s. Governare Roma è un’impresa, la sindaca ce la sta mettendo tutta, e siamo certi che abbia sempre operato avendo come unica bussola l’interesse dei cittadini romani”

Lo stesso Grillo aveva preparato la strada, con il Codice di comportamento pubblicato una ventina di giorni fa. Che eliminava l’equivalenza tra indagine/condanna politica, e da molti è stato letto come un vero e proprio “salva Raggi”. E a qualcosa è servito il paziente lavorio di Fraccaro e Bonafede, in costante via vai tra Montecitorio e il Comune, al fianco del sindaco anche nelle ore della comunicazione della Procura.

Certo, la ricostruzione di un rapporto fiduciario e lontana dall’essere giunta sopra la soglia d’attenzione. I molti critici non hanno perdonato alla prima cittadina il “è uno dei 23mila funzionari del Comune” tributato dalla Raggi all’onnipotente Marra. E insistono con la richiesta di pubblicare (almeno a uso interno) il contenuto delle chat dei “quattro amici”, perché “siamo stufi di venire a sapere le cose dai giornali”.

Nessuno, a nessun livello, ha interesse a scaricare il sindaco in questo momento. La gestione dell’indagine a suo carico, anzi, potrebbe essere l’occasione per ricostruire un rapporto con le varie anime che le si oppongono, e di rilanciare la sua azione di governo. Un’operazione alla portata, ma comunque molto complesso. Il filo che la lega ai vertici del Movimento rimane ancora molto sottile.

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Atac ci ripensa e salva la carrozza di Mussolini. Ma i 33 vagoni storici della Roma Nord verranno distrutti

Sarà demolita, anzi no. Cambia in corso d’opera il destino della Carrozza 59 con cui Mussolini inaugurò nel 1932 la ferrovia elettrica Roma-Viterbo. Da vecchia ferraglia pronta per lo smaltimento a bene storico da salvaguardare. Dopo l’articolo pubblicato da HuffPost, Atac fa dietrofront.

L’epilogo era già scritto: la celebre Carrozza 59, su cui viaggiò il Duce per festeggiare l’anniversario della marcia su Roma, figurava assieme a un elenco di 33 locomotori e vagoni storici destinati a essere demoliti. I lavori di smantellamento alla stazione di Viterbo erano già partiti a metà dicembre. In questi giorni la svolta, ma solo per il vagone che ospitò Mussolini. Il resto del patrimonio storico inserito nel bando del 2014 – motrici e carrozze risalenti a un periodo compreso tra il 1914 e gli anni Trenta – sarà demolito.

L’azienda dei trasporti comunica il cambio di rotta e la decisione di avviare le procedure necessarie per salvaguardare il cimelio del Duce, con il parere positivo della Regione Lazio, proprietaria del materiale rotabile. Dopo il bando del 2014, e l’approvazione della Soprintendenza, servirà ora una soluzione immediata per salvare la carrozza che ospitò Mussolini dal compattatore. Dimenticata per anni assieme ad altre vecchie ferraglie ferme alla stazione di Viterbo, ora per la celebre carrozza è iniziata la corsa contro il tempo. L’obiettivo è toglierla dall’elenco dei rottami destinati alla ditta Cofermet, vincitrice dell’appalto, che, per contratto, ha ora l’obbligo di distruggerli.

Il 13 gennaio ci sarà un incontro tra Atac e Regione Lazio per ridefinire le sorti della Carrozza 59. Intanto cittadini e associazioni si sono mobilitati. Un comitato aperto, coordinato dall’ex senatrice Laura Allegrini (Popolo delle Libertà), chiede a gran voce che il cimelio venga salvato e valorizzato come bene storico del territorio e ha deciso di finanziarne il restauro. L’idea è quella di conservare la carrozza in uno dei Comuni della tratta ferroviaria Roma-Viterbo come testimonianza viva di una pagina di storia del territorio della Tuscia.

Il recente passo indietro di Atac e Regione Lazio per il cimelio di Mussolini è un segnale importante ma non sufficiente per le associazioni che chiedono di salvare dalla fiamma ossidrica anche gli altri locomotori storici. Un patrimonio di 33 elementi, tra motrici e carrozze, che Atac distruggerà nel 2017. Ma sono tante le voci contrarie. “Demolire quei convogli significa cancellare una pagina della memoria storica collettiva”, spiega ad HuffPost il consigliere regionale Gianluca Quadrana (Lista civica Nicola Zingaretti), che ieri ha presentato un’interrogazione per fare luce sulla vicenda. “Questa decisione è inaccettabile. Il recupero dei convogli storici può diventare un’attrattiva turistica per il nostro territorio e creare un indotto commerciale ed occupazionale importante”.

Le associazioni chiedono che oltre alla carrozza su cui viaggiò Mussolini si pensi a un progetto più ampio per conservare anche altri pezzi della storica tratta ferroviaria della Roma Nord. Per David Nicodemi, vicepresidente dell’associazione TrasportiAmo, “occorre preservare un numero di vetture tale da permettere la ricomposizione del treno storico della Tuscia”. Un’occasione per rilanciare e promuovere le bellezze della provincia Viterbese. Prima che sia troppo tardi.

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Roma, nuovo flop della Giunta M5S. Dei 137mln concessi dal Tesoro per coprire i debiti solo 70 saranno utilizzati

“Crediamo di riuscire ad affrontare circa 70 milioni di debiti fuori bilancio”. L’assessore capitolino al Bilancio Andrea Mazzillo, in un’intervista al TGR Lazio, ammette nei fatti che il Comune di Roma non riuscirà a impegnare per intero i 137 milioni di spazi d’economia concessi alla Capitale dal Ministero di Economia e finanza a fronte dei 215 milioni di debiti fuori bilancio che gravano sulle casse comunali. “D’altronde – spiega Mazzillo – la disponibilità del Mef ci è giunta ai primi di dicembre”. In pratica, secondo la Giunta targata Virginia Raggi, non ci sarebbe stato abbastanza tempo per la programmazione. Sta di fatto che si prospetta un nuovo flop per M5S dal momento che sarà utilizzata solo poco più della metà dei fondi messi a disposizione per coprire i debiti passati. Tuttavia – sempre secondo quanto riferisce l’assessore – sarebbero stati recuperati anche altri spazi fino a raggiungere quota 180 milioni.

Tra uffici capitolini, commissione Bilancio e Assemblea è in corso una vera e propria maratona. Da domani fino a poche ore prima del brindisi di saluto al nuovo anno, sperando che per Raggi sia migliore del precedente, l’Assemblea capitolina lavorerà, in extremis, per approvare le delibere della Giunta e non perdere i soldi concessi dal Mef. Se entro il 31 dicembre i consiglieri comunali non approveranno delibere equivalenti all’intera cifra, tutto ciò non impegnato tornerà nelle casse dello Stato e, secondo quanto anticipato da Mazzillo, 67 milioni torneranno indietro.

Nel calderone dei debiti c’è un po’ di tutto: da saldi a vecchi fornitori, a liquidazioni di contenziosi, buche, scuole, spese per feste e iniziative nei municipi, poi alcune delibere più consistenti, bisognose di giustificazioni più articolate e che molto probabilmente arriveranno sul fil di lana, come quella riguardante l’azienda trasporti. Nella prima seduta della commissione Bilancio guidata dal presidente M5S Marco Terranova con cui il 23 dicembre scorso è partito il conto alla rovescia per il salvataggio di queste risorse, i commissari hanno affrontato le prime 17 delibere, potendone approvare solo 16 per un importo complessivo di appena 2,8 milioni, perché una risultava incompleta. Oggi nella prima seduta di Giunta dopo la pausa natalizia, è stato varato un ulteriore pacchetto su cui la commissione Bilancio si esprimerà per poi passare all’esame dell’Aula. Insomma, in Campidoglio si lavora con l’acqua alla gola sperando di non affondare, anche se su quasi la metà dei soldi è stata già alzata bandiera bianca.

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Virginia Raggi commissariata, il sindaco di Roma accetta le condizioni poste da Grillo: via il Raggio Magico (Frongia e Romeo)

Un tentativo, vano, di andare avanti da sola. Anche senza il simbolo del Movimento 5 Stelle, magari con l’appoggio esterno di Fratelli d’Italia, a cui emissari – viene riferito – avrebbero bussato alla porta. Poi la resa davanti a numeri ballerini e che con ogni probabilità l’avrebbero vista senza una maggioranza in consiglio comunale. Virginia Raggi, assediata dai consiglieri M5S, ha accettato le condizioni che Beppe Grillo e buona parte di loro guidati dal capogruppo Paolo Ferrara e dal presidente dell’assemblea Marcello De Vito le hanno posto nelle ultime ventiquattro ore. Ovvero essere nei fatti commissariata, rinunciare al suo ‘Raggio magico’, a quella cerchia ristretta che ha consigliato il sindaco in questi sei mesi di amministrazione e di cui faceva parte anche Raffaele Marra, capo del personale ed ex vice capo di gabinetto, arrestato per corruzione.

Via quindi Salvatore Romeo capo della segretaria, via anche il vicesindaco Daniele Frongia e mai più un ritorno dell’assessore Paola Muraro raggiunta da un avviso di garanzia. “Al termine delle ultime due riunioni di maggioranza e dopo un confronto con il garante Beppe Grillo abbiamo stabilito di dare un segno di cambiamento”, scrive Raggi: “Daniele Frongia ha deciso di rinunciare al ruolo di vicesindaco mantenendo le deleghe alle Politiche giovanili e allo Sport. Contestualmente Salvatore Romeo ha deciso di dimettersi dall’incarico di capo della Segreteria politica. Al contempo a breve avvieremo una nuova due diligence su tutti gli atti già varati”. Insomma, un’analisi approfondita di tutto ciò che è stato fatto finora. E da questo momento in poi se Raggi vorrà continuare ad amministrare la Capitale dovrà confrontarsi di più con i consiglieri e soprattutto con i vertici M5S in un spirito di condivisione, che il sindaco avrebbe garantito, messa alle strette, nel corso di una riunione drammatica. “Sulle nomine ho fatto degli errori, ma possiamo ripartire insieme”, avrebbe detto. Ovviamente, c’è un’altra condizione necessaria per andare avanti: bisognerà rivedere anche la nomina che ha portato Renato Marra, fratello di Raffaele, a capo del dipartimento Turismo con un aumento di stipendio e tutti gli atti firmati dall’ex braccio destro del sindaco, ora in prigione.

Il leader pentastellato mette il sigillo, per ora: “Roma va avanti con Raggi sindaco del MoVimento 5 Stelle. Sono stati fatti degli errori che Virginia ha riconosciuto: si è fidata delle persone più sbagliate del mondo. Da oggi si cambia marcia. Bisogna riparare agli errori fatti per fugare ogni dubbio”. Quindi, “l’attività fatta da persone che si sono dimostrate inaffidabili sarà attentamente vagliata e opportunamente annullata o riesaminata da cima a fondo”. Poi è come se il leader cercasse alibi: “Governare Roma è più difficile di governare il Paese. Lo sapevamo e non intendiamo sottrarci, c’è bisogno del supporto di tutto il MoVimento 5 Stelle per vincere questa battaglia. Combatteremo con le unghie e con i denti perché Roma cambi, ma in un ambiente così corrotto e marcio dobbiamo aspettarci di tutto. A breve defineremo un codice etico che regola il comportamento degli eletti del MoVimento 5 Stelle in caso di procedimenti giudiziari. Ci stanno combattendo con tutte le armi comprese le denunce facili che comunque comportano atti dovuti come l’iscrizione nel registro degli indagati o gli avvisi di garanzia. Nessuno pensi di poterci fermare così”. Un modo per mettere le mani avanti e che lascia intendere che non si esclude nulla, neanche un avviso di garanzia al sindaco.

Il post di scomunica scritto ieri da Grillo e fatto circolare per far arrivare a Raggi il messaggio che a breve le sarebbe stato tolto il simbolo è servito da deterrente per convincerla a rinunciare a Romeo e Frongia. Nelle ore della sua resistenza, in una giornata convulsa, De Vito e Ferrara, quest’ultimo insieme ad altri tre consiglieri ieri ha parlato con Grillo, hanno fatto trapelare che non avrebbero continuato l’esperienza capitolina senza il simbolo del Movimento. A un certo punto del pomeriggio l’agenzia di stampa Adnkronos scrive che Raggi avrebbe detto ai suoi più stretti collaboratori: “Non mi riconosco più nel Movimento”. La frase successivamente smentita da fonti del Campidoglio, ma sta di fatto che la tensione è altissima e che non è escluso che un concetto del genere sia potuto scappare dal momento che i consiglieri capitolini, nel corso della riunione convocata a mezzanotte, in preda al nervosismo generale, seppur senza un voto, hanno comunque espresso la loro posizione quando l’ipotesi che il Comune di Roma non avesse più il simbolo M5S si faceva sempre più reale.

Il commissariamento, con annesso azzeramento del ‘raggio magico’, non soddisfa del tutto i più ortodossi del Movimento che venerdì hanno espresso a lungo la necessità di mandare via il sindaco con una soluzione drastica nel nome del progetto M5S e perché già le sono state date troppe possibilità. Grillo si era quasi convinto nonostante dicesse ancora che “Roma è Roma e perderla significa ammettere che non siamo capaci quando invece non è così”. Ma temporeggiare, secondo i duri e puri, non serve a nulla. Alla fine è stato Davide Casaleggio a decidere di concedere al sindaco ancora una giornata di tempo. E così è stato: Raggi ha convocato la maggioranza e ha accettato le condizioni. Rinunciare a Frongia vicesindaco significa cedere la casella a un esponente che le faccia da contraltare e che faccia capo alla fronda che oggi l’avrebbe sfiduciata. Che in pratica la controlli e supervisioni su ciò che fa. Tuttavia, la sospensione di Raggi dal Movimento, se la situazione giudiziaria dovesse precipitare (e Grillo ha già parlato con gli avvocati), è sempre lì sul tavolo.
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