Lingotto strapieno ma svuotato di proposte: Renzi riparte da Marchionne e garantismo, ma rimanda programma e alleanze

Nell’ultimo giorno del Lingotto renziano a Torino le sedie arrivano fino alla porta d’ingresso. Ne hanno aggiunte a centinaia nel tentativo di accomodare tutti. Per la chiusura, affidata a Matteo Renzi esattamente come l’apertura di venerdì, si presentano in migliaia (5 mila dicono gli organizzatori) e molti restano in piedi. Il Padiglione 1 è strapieno. Ma la kermesse di presentazione della mozione congressuale di Renzi si chiude senza proposte precise. La stesura della mozione è rimandata alla “prossima settimana”, dice il leader. Rimandato il tema spinosissimo delle alleanze: “Nessuno sa se ci sarà il maggioritario o il proporzionale…”.

I tre giorni di Torino servono però a rafforzare la direzione già nota: sul lavoro, fra i lavoratori e i datori di lavoro, o per semplificare tra Landini e Marchionne, Renzi sceglie ancora il secondo. Proprio lì, nei locali che una volta ospitavano gli operai che votavano Pci. Sulla giustizia, col caso Consip ancora aperto e Luca Lotti sulla graticola, ribadisce il garantismo.

Non è poco, mentre il dibattito su contenuti e alleanze agita la platea del Lingotto e polarizza le tensioni tra Orfini e Martina da una parte e i centristi di Franceschini dall’altra. Convitati di pietra: Ncd, Pisapia e finanche Mdp. Renzi tenta faticosamente di stare al centro. Elogia l’a.d. di Fiat, il suo amico Marchionne: “Il fatto che ci siano degli stabilimenti Fiat in Italia non significa la vittoria del capitalismo, ma che ci sono donne e degli uomini che sono tornati in fabbrica. Dieci anni fa non era scontato che la Fiat potesse avere insediamenti importanti in Italia”.

Attacca gli scissionisti del Pd e l’amarcord di sinistra: “Non si crea lavoro cantando Bandiera Rossa o facendo il pugno chiuso…”. Li attacca anche nel loro richiamo all’Ulivo. Questa è per Massimo D’Alema: “Sento parlare di Ulivo da parte di chi lo ha segato dall’interno, avverto apoteosi intorno all’Ulivo da parte di chi ha contribuito a far finire anticipatamente l’esperienza di Romano Prodi”. E mentre la platea si scatena, lui prova a continuare: “Se Prodi fosse stato anche capo del partito oltre che del governo non sarebbe andata così… Alcuni sono più esperti di xylella che di Ulivo”.

Renzi: “Parla di Ulivo chi ha mandato a casa Prodi”

Renzi non attacca Pisapia con cui immagina di poter dialogare, anche in nome dell’unica cosa che per ora li avvicina: il garantismo.

“Giustizia e non giustizialismo!”, scandisce dal palco. Luca Lotti, il ministro e braccio destro indagato per l’inchiesta Consip, lo ascolta in prima fila, seduto accanto a Martina, che corre in ticket con Renzi per la segreteria. “Un cittadino è innocente fino a sentenza passata in giudicato sempre e non a giorni alterni!”. Gli applausi anche qui crescono e lui si galvanizza: “I processi si fanno nei tribunali e non sui giornali, devono giudicare i giudici e non i commentatori; gli articoli sono quelli del codice penale e non quelli dei giornali!”. Fa sul serio tanto da inviare un “messaggio di solidarietà a Raggi indagata, perché noi non facciamo come il Movimento 5 Stelle. Anzi, Di Maio e Di Battista: rinunciate all’immunità e prendetevi le querele, venite in tribunale e vediamo chi avrà ragione e chi torto. Vi aspettiamo con affetto… e con gli avvocati”.

Renzi: ”Di Maio e Di Battista rinunciate a immunità e rivediamoci in tribunale”

Marchionne e garantismo. Sono le due direzioni di marcia che – non si sa come – stabiliscono un qualche ordine nel caos di contraddizioni del Lingotto. C’è chi ci sta comodo e chi meno. Ma tanto di proposte concrete, oggi non se ne parla. “La partita inizia adesso – dice Renzi – la mozione sarà scritta la prossima settimana, ma c’è il progetto per il Paese. Noi non sappiamo se il futuro è maggioritario o proporzionale, abbiamo le nostre idee, ma dopo il 4 dicembre quel disegno di innovazione istituzionale è più debole, la forza delle nostre idee è il confronto con gli altri e allora vincerà chi sarà più forte in termini di progetti e proposte”.

In platea c’è il premier Paolo Gentiloni. Standing ovation per lui quando Renzi lo cita e lo ringrazia dal palco. Eppure alla fine è stato proprio il premier a svuotare il Lingotto. Nel senso che Gentiloni avrebbe chiesto all’organizzatore dei contenuti, Tommaso Nannicini, di evitare proposte precise in materia di economia. Sarebbero servite solo a peggiorare la vita del governo, in quanto la tre giorni del Lingotto è di una parte del Pd, una parte dell’alleanza di governo. Meglio non mettere carri davanti ai buoi insomma, proprio nel periodo che serve a preparare il Def. E pazienza se, nelle intenzioni originarie di Renzi, il Lingotto doveva servire a elaborare le ricette di green economy studiate nel recente viaggio in Silicon Valley.

Il Lingotto serve invece a rilanciare la vecchia proposta renziana di “primarie per la scelta del presidente della Commissione europea: dal primo maggio chiederemo questo al Pse. Il prossimo presidente sarà scelto dal popolo: è un passaggio rivoluzionario e lo porterà il Pd”, dice Renzi. Ma soprattutto il Lingotto è servito a risollevare una leadership caduta in disgrazia. I sondaggi lo vedono in testa, saldamente, alle primarie del Pd.

“Vedo molto bene Matteo e Maurizio Martina insieme”, avverte il ministro Marco Minniti, uno dei più applauditi. Ma un partito moderno è un partito che ha una leadership forte: non c’è leader senza partito ma anche non c’è partito senza leader”. Sulla stessa linea Graziano Delrio: “I napoletani non avevano paura che Maradona giocasse troppo la palla: erano una squadra, ma senza Maradona non vincevano lo scudetto”.

E’ chiaro chi ha lo scettro del comando. O meglio: della sintesi. Perché dalla sconfitta referendaria in poi “tutto è cambiato”, ammette una fonte renziana. Non a caso, ogni corrente ha approfittato del Lingotto per piantare paletti intorno a Renzi. “Ma lui non ragiona ideologicamente come fanno Orfini e Martina”, spiega una fonte dell’area di Franceschini, “Renzi ragionerà con realismo. Oggi non ci sono più le condizioni che hanno dato vita al Pd. Abbiamo provato a sconfiggere i populismi con il bipolarismo ma non ci siamo riusciti. Ora si ragiona in termini proporzionali”. Insomma la ‘santa alleanza’ contro Lega e M5S.

Ma Renzi è cauto, non si scopre a sinistra per non alimentare le sirene dell’avversario Andrea Orlando. “Il passato è il futuro”, dice un renziano di prima fascia quando il Lingotto si è già svuotato, al termine della convention. “La Dc aveva al suo interno sinistra e destra, con un capo a fare sintesi”. Il progetto è questo, con Renzi segretario del Pd. Pure premier? Chissà, col proporzionale nulla è scritto, figurarsi le regole dello Statuto dem. Per tutto il resto, bisognerà aspettare.
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Terremoto, Renzi annuncia il nuovo decreto ma senza risorse. Si rimanda alla legge di bilancio, opposizioni all’attacco

A nuovo devastante terremoto segue nuovo decreto, ma – almeno per ora – le risorse restano pressoché immutate. Nel corso della conferenza, al termine del consiglio dei ministri, dice il premier: “Le risorse necessarie sono già stanziate nella legge di Stabilità, perché c’è un ampio margine. Se ci sarà bisogno di ulteriori risorse metteremo ulteriori risorse”.

La notizia della prima riunione del governo dopo il terremoto più forte dai tempi dell’Irpinia è –paradossalmente – in una parola che proprio in Irpinia diventò sinonimo di incubo: container, il provvisorio che diventa definitivo. Perché, di fronte all’ansia delle popolazioni, alla preoccupazione di vivere una condizione di sradicamento, da migranti nel proprio paese (leggi qui la rabbia a Norcia), Renzi ha deciso una “ricostruzione in quattro fasi”. La prima, di qui a Natale: gli alberghi. La seconda, entro Natale, sono i container: “è meno piacevole della casetta di legno – spiega il premier – spendiamo un po’ di più, ma ci consente di riportare lì la gente partendo dall’assunto che le tende a dicembre a Norcia e dintorni sono un problema”. Entro primavera estate, “si va avanti con la costruzione delle casette di legno”. Quarta: “la ricostruzione vera e propria per mettere le case a regola d’arte”.

Sarà scritto in un nuovo decreto, che sarà presentato di qui a venerdì. Mossa che, al netto dei titoli che danno l’idea della risposta, “faremo un decreto”, si presta alla malizia delle opposizioni. Perché fare un decreto 2 sul terremoto, visto che il decreto 1 – arrivato da poco in Senato – non è stato convertito? Non bastava un emendamento? Il punto fermo di tutta la storia, come spesso accade, sono i soldi. Perché un qualunque decreto – a legge di bilancio aperta – può utilizzare le risorse dell’anno in corso, dunque del 2016, altrimenti incide sui saldi della manovra. Quindi sarà un decreto con assai poche risorse, come effettivamente ammette il premier.

L’impostazione della conferenza stampa, ma più in generale della gestione del terremoto, da parte di Renzi viaggia da giorni su due piani. Quello verbale, fatto di toni determinati con l’Europa: “Se dopo quello che è accaduto qualcuno mi parla di regole europee significa che ha perso la testa”. Quello sostanziale, fatto di cifre che, al momento non tornano. L’HuffPost ha documentato come ci sia un forte gap tra la flessibilità ottenuta in Europa (3,4 miliardi) e i soldi stanziati sul terremoto nella manovra (leggi qui articolo): 600 milioni ora certi. Il resto è nel regno delle ipotesi più che delle certezze: 200 milioni dal 2018 al 2047, per la cosiddetta ricostruzione privata. Il che significa che, già adesso, si prevede una ricostruzione di 30 anni.

Ed è proprio sulle cifre che, gli “appelli” alla collaborazione sono già caduti. Perché il premier chiede di votare le sue misure. E le opposizioni invocano un confronto per ridiscuterle. Il capogruppo di Sinistra Italiana, Arturo Scotto, proprio citando la ricostruzione dell’HuffPost annuncia una interrogazione parlamentare: “La presenteremo perché è evidente è troppo poco per dire che c’è una svolta, con 600 milioni di euro su 3,4 miliardi di flessibilità. Avevamo proposto un punto di Pil per un grande piano per la sicurezza, la prevenzione e la cura del territorio. Su quello avremmo collaborato”. Duro anche Brunetta, che parla di “imbroglio” del governo: “La nostra mission sarà di presentare emendamenti per smontare e cancellare le marchette, nella manovra e nel decreto, di Renzi e Padoan e per destinare tutte le risorse e i fondi necessari alle popolazioni colpite dal sisma”. Anche per i 5Stelle “i conti non tornano”. La cifra era stata già stanziata prima della scossa di domenica. E resta invariata.
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