Il Tesoro dà i numeri sulla ricostruzione, ma i fondi diretti in manovra restano 600 milioni

Il governo dà i numeri sul terremoto, provando ad associare le parole alle cifre. Perché già si intravedono i termini della contesa con Bruxelles. Lì i conti non tornano, proprio sul terremoto, in nome del quale Renzi e Padoan hanno chiesto il famoso zero virgola due per cento di flessibilità da stanziare sulle spese per il sisma. Il premier, intervenendo a Radio 24, non si impicca a cifre precise: “Ci sono degli spazi di azione pari a 3 miliardi nel 2017” ma “non c’è uno stanziamento puntuale perché ancora non si sa quanto servirà”. Il punto è sempre lo stesso, sollevato da HuffPost lunedì scorso. Il governo ha chiesto 3,4 miliardi di flessibilità all’Europa in nome del terremoto. Ma nella manovra, alla voce terremoto, ci sono solo 600 milioni. Il dubbio che serpeggia a Bruxelles è che il premier chieda più deficit per una circostanza eccezionale, ma lo utilizzi per quelle che le opposizioni chiamano le “mance referendarie”, dalle quattordicesime ai pensionati ai fondi per il trasporto in Campania.

Proprio per tranquillizzare Bruxelles, il Tesoro fa trapelare in agenzia l’elenco dei capitoli di spesa, mettendo però nello stesso calderone i fondi per l’emergenza da “bruciare” subito con quelli che serviranno per la ricostruzione a partire dall’anno prossimo: per far fronte alle esigenze derivanti dagli eventi sismici – ha spiegato un portavoce del Tesoro – il governo ha stanziato con tre successive delibere del consiglio dei ministri 130 milioni (50 milioni il 25 agosto, 40 milioni il 27 ottobre, 40 milioni il 31 ottobre); nel decreto per la ricostruzione sono stati inoltre stanziati 266 milioni per il 2016 e ulteriori 200 per il 2017. Il problema dell’elenco è che si sommano voci di spesa appartenenti a anni diversi, mentre a Bruxelles vorrebbero sapere se le risorse “extra” vengono impiegate per spese “extra”. Di queste risorse, solo 200 milioni sono stanziati per il 2017 e riguardano poste già coperte attraverso lo spostamento di altri fondi: sono le cosiddette spese di emergenza, quelle strettamente necessarie nell’immediato per far funzionare la procedura dei soccorsi, l’assistenza e la gestione degli sfollati, difficilmente classificabili con la prevenzione, la messa in sicurezza e la ricostruzione.

Insomma, non risorse “aggiuntive” sul terremoto ma soldi che servono per far funzionare la macchina emergenziale e per fornire i primi container. Di risorse certe per la ricostruzione invece ci sono quelle stanziate all’articolo 51 della legge di Bilancio. Così articolate: per il 2017 sono previsti 100 milioni “per la concessione del credito d’imposta maturato in relazione all’accesso ai finanziamenti agevolati” erogati dal governo, cioè la cosiddetta “ricostruzione privata”; altri 200 milioni di euro nel 2017 “per la concessione di contributi finalizzati alla ricostruzione pubblica”. In totale, per il prossimo anno, 300 milioni a cui si aggiungono 300 milioni di cofinanziamento regionale di fondi strutturali che peraltro – si puntualizza – “non comportano una modifica dei saldi di finanza pubblica”. L’impatto complessivo, in termini di maggiore indebitamento netto, è di 600 milioni. Per il resto siamo nel regno delle ipotesi più che delle certezze, ove si prevedono 200 milioni l’anno dal 2018 al 2047 per la cosiddetta ricostruzione privata. I famosi 6 miliardi che rimbalzano nei titoli, senza l’aggiunta che sono spalmati in trent’anni, un arco temporale che impedirebbe a molti di rivedere la propria casa.

Fin qui il certo. Tra le altre spese, il Mef fa sapere che il governo ha stanziato risorse per investimenti in opere pubbliche e – spiega via XX settembre “liberato spazi di bilancio per comuni e regioni” per un totale di 600 milioni circa nell’anno 2017 . Il “Fondo” a cui si fa riferimento “per lo sviluppo degli investimenti e lo sviluppo infrastrutturale” però non prevede un “vincolo”. Per la serie: o questi fondi li spendi per la prevenzione sismica o non li vedi. Anzi, cita tutta una serie di settori di intervento tra cui c’è la prevenzione sismica, ma anche “trasporti e viabilità”, “infrastrutture”, “attività industriali ad alta tecnologia”.

C’è poi “il piano di messa in sicurezza e prevenzione”: 2 miliardi sotto forma di incentivi fiscali per le opere di ristrutturazione da parte dei privati e 800 milioni “già stanziati” per opere pubbliche contro il dissesto idrogeologico e la messa in sicurezza delle scuole. Appunto, “già stanziate”. La scommessa più ambiziosa riguarda proprio le detrazioni sulle spese sostenute per misure antisismiche, gli incentivi, perché interviene non solo sulla ricostruzione, ma su tutte quelle centinaia di migliaia di edifici potenzialmente a rischio. Piano ambizioso dai costi ambiziosi. Ma non sul 2017, anno su cui sono previsti costi solo per 16,2 milioni di euro. La cifra cresce negli anni successivi, col picco nel 2022. Il perché è scritto nella relazione tecnica: “L’effetto positivo determinato dal maggior gettito fiscale si rende maggiormente apprezzabile nei primi anni, mentre quello negativo determinato dalle minori entrate dovute alle detrazioni si diluisce negli anni successivi”. In altre parole, da bonus di questo tipo – come accaduto anche negli anni passati – le casse dello Stato ci guadagnano nel brevissimo periodo e ci perdono, inevitabilmente, più avanti . Ecco che, complessivamente, tutte le detrazioni di cui parla il Mef costano sì al governo 2 miliardi, ma nel 2022. Nel 2017 non costano nulla, anzi porteranno nelle casse dello Stato 28,7 milioni di euro in più. E questo è quasi un paradosso. Dunque il governo dà i numeri, che però raccontano non di un “negoziato” eccezionale su una circostanza eccezionale, in nome del quale chiedere risorse eccezionali, che si aggiungono a quelle stanziate. I numeri, messi nero su bianco prima del terremoto, più ordinari che straordinari, non sono crollati con le scosse.

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