Nomine, Mauro Moretti vicino all’uscita da Leonardo, Alessandro Profumo in pole per sostituirlo. Caio resiste

I risultati brillanti in termini di utili e performance non bastano: Mauro Moretti è vicino alla porta d’uscita di Leonardo, mentre l’a.d. di Poste, Francesco Caio, prova a resistere. La lista per il rinnovo del cda delle partecipate sarà depositata domani sera dal Tesoro, ma il puzzle, secondo quanto spiegano fonti vicine al dossier all’Huffington Post, è praticamente pronto. Giornata intensa di lavoro sulla partita delle nomine, con un incontro tra il ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan, e il premier Paolo Gentiloni a palazzo Chigi che è servito ad arrivare a una quadra di massima: per l’ex Finmeccanica è in pole Alessandro Profumo, ma si pensa anche a privilegiare una via interna nella figura del capo della divisione Elettronica e Difesa, Fabrizio Giulianini, molto apprezzato da diverse istituzioni, pronto a rimpiazzare Moretti. A Poste partita difficile per Caio: il fiorentino Matteo Del Fante, ora amministratore delegato di Terna, è in ascesa per prendere il suo posto.

Il puzzle del rinnovo dei vertici delle società controllate dal Mef non dovrebbe riservare sorprese per quanto riguarda Eni e Enel, i cui vertici vanno verso la riconferma. Resteranno al loro posto, quindi, il presidente e l’a.d. della società elettrica, Maria Patrizia Grieco e Francesco Starace, così come i vertici del cane a sei zampe, Claudio Descalzi e Emma Marcegaglia, con quest’ultima confermata, viene spiegato, anche nell’ottica di non alterare l’equilibrio delle quote rosa nelle partecipate.

Sono Poste e Leonardo le due società su cui si concentrano gli ultimi movimenti del Tesoro e di palazzo Chigi. L’uscita di Moretti da Leonardo appare oramai scontata e a pesare è la sentenza di condanna in primo grado emessa dal tribunale di Lucca per la strage di Viareggio, che provocò la morte di 32 persone. Moretti è stato condannato in qualità di ex a.d. di Rfi e la sentenza nei suoi confronti pesa come un macigno nonostante il risanamento messo in campo in casa Leonardo, che dopo sei anni ritornerà a staccare la cedola ai suoi azionisti. Troppo forte il fardello del passato per restare al posto di comando di una società strategica per lo Stato come l’ex Finmeccanica, dove invece resterà il presidente Giovanni De Gennaro.

Chi prova a resistere è invece Caio. L’ex a.d. di Avio e sponsorizzato dall’ex premier Enrico Letta nel 2014 ha dalla sua un utile netto in crescita e un dividendo superiore alle previsioni. Nessun problema con la giustizia, ma a pesare sulla sua posizione ci sono operazioni che sono sfuggite di mano a Poste, come Pioneer, ceduta da UniCredit ai francesi di Amundi. Una macchia in un curriculum impeccabile che si inserisce in un quadro più generale, dove a pesare è la diffidenza dei renziani, contrari alla privatizzazione di Poste, di cui Caio è convinto sostenitore. Di più. Il pressing dei renziani ha un obiettivo: rimpiazzare Caio con Del Fante. Un pressing che, spiegano le stesse fonti, ha buone probabilità di andare in porto. Se si dovesse verificare questo scenario per Terna ci sarebbe una doppia possibilità: Luigi Ferraris, chief financial officer di Poste, oppure Alessandro Profumo, con quest’ultimo che sarebbe in pole. Ferraris, infatti, sarebbe in lizza anche per sostituire Moretti a Leonardo.

La posizione di Caio è fortemente in bilico. Chi ha avuto modo di lavorare dentro Poste durante il suo mandato fa notare come la sua linea d’azione, confermata nel piano, è orientata a privilegiare “prodotti ad alto rischio” a discapito del radicamento sociale e degli obblighi del servizio universale che rappresentano settori con minore capacità di redditività. Un orientamento che non piace ai renziani che in più di un’occasione hanno criticato la strada delle “logiche di profitto a discapito dei servizi universali”. Ecco perché la poltrona di Caio balla ed è quella più calda.

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Attacco all’eredità di Matteo Renzi: Commissione Ue, Fmi e Berlino sul Dieselgate. Il governo resiste, Renzi punta al voto

La Commissione Europea chiede all’Italia una manovra aggiuntiva di 3,4 miliardi di euro. Il Fondo Monetario Internazionale taglia le stime di crescita del Belpaese. Il ministro dei trasporti tedesco Alexander Dobrindt chiede all’Ue di garantire che i modelli Fca Fiat500, Doblò e Jeep-Renegade siano ritirate dal mercato per violazioni delle norme sulle emissioni. E’ un attacco concentrico al cuore di ciò che Matteo Renzi ha lasciato nel momento in cui ha mollato Palazzo Chigi dopo la sconfitta al referendum del 4 dicembre.

L’eredità dell’ex premier è presa d’assalto. Prima di tutto dalla Commissione Europea, che prima del referendum aveva di fatto sospeso il giudizio su una legge di stabilità fatta anche quest’anno di sforamenti rispetto ai vincoli dell’austerity, per via delle spese per migranti e sicurezza. Eccolo qui, un primo giudizio è arrivato: l’Italia deve varare una manovra correttiva del valore di 3,4 miliardi di euro, fanno sapere da Palazzo Berlaymont.

E’ una doccia gelata per Roma, in un inverno già alquanto rigido. Già in mattinata, Padoan si riunisce per un’ora con il premier Paolo Gentiloni. Dal Tesoro insistono a dire che ancora dalla Commissione non è arrivata alcuna lettera ufficiale e che il confronto, mai interrotto con il commissario all’Economia Pierre Moscovici, continua. Al governo decidono di resistere all’attacco. Ma non è Gentiloni a parlare.

Per l’esecutivo parla il ministro Pier Carlo Padoan e per ora non cede. “Vedremo se sarà il caso di prendere misure ulteriori per rispettare gli obiettivi – dice – Ma la via maestra per abbattere il debito è la crescita: e questa resta la priorità del governo”.

Troppo presto per dire se siamo di fronte ad un nuovo braccio di ferro con l’Ue. Ma certo gli indizi ci sono tutti. Dal governo fanno sapere che non se ne parla di nuove tasse per riparare il debito. E comunque si parte da una trattativa con la Commissione per cercare di ridurre l’impatto dell’eventuale nuova manovra. E poi, questo è il secondo elemento di reazione del governo, a Roma non la chiamano ‘manovra correttiva’. Piuttosto, dice il viceministro all’Economia Enrico Morando si tratta di “misure di aggiustamento, ma senza penalizzare la crescita e senza ostacolare il contrasto alla povertà e all’eccesso di disuguaglianze”.

Insomma, anche con l’uso delle parole si cerca di attutire l’impatto dell’attacco all’eredità di Renzi. Padoan poi si dice “stupito” per la decisione dell’Fmi. “Le ragioni addotte per dire che la crescita sarà più bassa sono: che ci sarà più incertezza politica, che secondo me è difficile da argomentare perché il nuovo governo è in continuità con il precedente, e ci saranno problemi con le banche. Anche qui il governo ha preso importanti misure proprio per fronteggiare situazioni che non sono preoccupanti”.

Il punto è che, off the record, sono proprio il premier e i suoi a dirsi certi che “se avesse vinto il sì al referendum, questo attacco non ci sarebbe stato”. E’ questo il commento a caldo che trapela nei contatti tra Roma e Pontassieve, tra Palazzo Chigi e il quartier generale provvisorio del segretario Pd. “Monti ha votato no al referendum costituzionale: facciamoci una domanda, diamoci una risposta”, dice il renziano David Ermini. Insomma, dice un altro fedelissimo dell’ex premier, “non mi figuro uno scenario con Renzi ancora a Palazzo Chigi, vittorioso al referendum, e la Commissione che chiede una manovra correttiva…”.

Colpa di Gentiloni? “No, è che la voce grossa con l’Europa la si poteva fare dopo il 40 per cento preso alle europee. Adesso l’Italia potrà tornare ad avere voce nel capitolo europeo solo con nuove elezioni, legittimità popolare e un Pd che vinca…”, aggiunge un renziano della prima ora.

Commenti a denti stretti, con tanta amarezza e consapevolezza che di armi a disposizione non ce ne sono molte. Una cosa è certezza: di fronte all’attacco, Renzi e il suo successore a Palazzo Chigi cercano una stessa risposta. Tanto che nel pomeriggio a un certo punto si diffonde addirittura la voce di una nuova enews da parte dell’ex premier, la prima nel ruolo di segretario Pd. Poi ci ripensa.

Ma per lui lo scenario resta lo stesso: andare al voto al più presto. A maggior ragione di fronte al nuovo attacco straniero, che per ora conosce tre piste: Commissione, Fmi, la Germania che quest’anno ha la sua campagna elettorale per le politiche. “Fattore da non dimenticare – dicono i Dem a Bruxelles – useranno l’argomento Italia ai fini del voto…”.

Intanto a sera l’argomento lo usa Graziano Delrio, tornando ad attaccare Berlino sul Dieselgate. “Non accettiamo imposizioni per le campagne elettorali o le tensioni interne ad un paese – dice il ministro al Tg1 – La proposta tedesca è irricevibile: non si danno ordini a un paese sovrano come l’Italia, l’autorità di omologazione italiana è quella deputata a stabilire la correttezza dei dispositivi e noi l’abbiamo stabilito esattamente come loro hanno stabilito le irregolarità sulla Volkswagen. Queste sono le relazioni tra buoni vicini che si rispettano, noi non abbiamo niente da nascondere, per questo i dati sono a disposizione della commissione europea che ha messo in piedi una camera di mediazione”.
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