Referendum. Matteo Renzi non teme l’assist di Moscovici: risultati concreti sulla flessibilità

In Italia ”c’è una minaccia populista. E’ per questo che sosteniamo gli sforzi di Renzi affinché sia un partner forte all’interno dell’Ue”. E ancora: “Ho fiducia che l’Italia se la caverà come sempre e risolverà i problemi con il nostro aiuto”. Sul piano concreto: la Commissione Ue è pronta a “considerare” le richieste di italiane di flessibilità per “le spese per i rifugiati” e per il “terremoto”. Pierre Moscovici parla a Washington e sembra un renziano. Il commissario agli Affari economici dell’Ue si schiera con il premier italiano nella difficile sfida per il referendum e, particolare non da poco, non crea disturbo a Roma. Perché, è la lettura che danno da Palazzo Chigi, il socialista Moscovici porta risultati palpabili: il suo ok oggi permette di sperare di chiudere la legge di stabilità abbastanza agevolmente. Il resto sono speculazioni astratte.

Insomma l’effetto ‘John Phillips’ non c’è. Le parole di Moscovici sono musica per le orecchie di Renzi anche se a pronunciarle è il commissario di un’Europa che ormai non suscita simpatia in nessun paese del continente. Stavolta il premier e i suoi non reagiscono con gelo, imbarazzo e distanza come è accaduto tre settimane fa, quando l’ambasciatore statunitense Phillips si è azzardato a dire che “una vittoria del no al referendum metterebbe a rischio gli investimenti americani in Italia”. Con Moscovici, commissario e uomo di mediazione nella squadra di Juncker, questo non succede. Anzi. A Roma sono contenti.

Primo perché l’ok di Moscovici sulla flessibilità, seppur non definitivo in quanto la partita con la Commissione si chiuderà tra un mesetto, lascia ben sperare sulla quadratura del cerchio anche per il 2016. E poi non è indifferente il mezzo con cui il commissario decide di dare il suo messaggio. Lo fa in un’intervista a Bloomberg, agenzia economica, e a Washington a margine dei lavori del Fondo Monetario internazionale. Dice Moscovici: “Abbiamo detto chiaramente cosa è la flessbilità nel gennaio 2015. Dobbiamo incoraggiare i paesi che creano molti investimenti, lo abbiamo fatto con l’Italia. Aiutare i paesi che portano avanti riforme strutturali affinché possano avere più tempo, lo abbiamo fatto con l’Italia. Abbiamo detto che saremmo pronti a considerare spese per la crisi di rifugiati o un terremoto o un Paese che soffre attacchi terroristici come il Belgio. Si tratta di flessibilità precise, limitate e chiaramente spiegate. In generale un Paese deve rispettare i criteri e ridurre il debito, è il principale problema di Italia e Belgio”.

Insomma, questa è l’Europa che si schiera con Renzi e si incarica di ‘garantire’ per l’Italia oltreoceano, quasi volesse calmare le acque dopo le dichiarazioni di Phillips e spingere sulla vittoria del sì al referendum. Ma c’è di più. I Dem di stanza tra Bruxelles e Strasburgo tracciano un ponte ideale tra Moscovici e Jean Claude Juncker, che ieri ha usato le stesse parole di Renzi: “Il vertice di Bratislava è stato un fallimento” sui migranti. Sostanzialmente gli ‘amici’ in Commissione Ue sono almeno due per Renzi: il commissario e il presidente, “determinati a difendere la stabilità di governo in Italia per tutelare un’Europa messa male: l’Italia di Renzi è diventata fondamentale per l’Ue”, ragionano in casa Dem a Bruxelles.

Eppure al referendum sulla Brexit, i commissari Ue si sono tenuti prudentemente a distanza dalla campagna elettorale di David Cameron per non urtare gli euroscettici del Regno Unito, anche se non è servito. Eppure per il referendum greco Juncker, Martin Schulz e altri leader Ue sono entrati a gamba tesa nella campagna elettorale per difendere gli accordi con la troika, non riuscendo a scongiurare la vittoria del no, ‘oxi’. Comunque abbia agito, l’Europa ha sempre perso la scommessa con i referendum.

Ma per l’Italia l’assist di Moscovici non rischia di danneggiare la campagna per il sì, dicono fonti vicine al premier che a Bratislava invece ha rotto con Merkel e Hollande per i mancati risultati sui migranti, convinto che un po’ di distanza con l’Ue faccia bene alla campagna per il sì. La ricetta però non si applica a Moscovici che sta seguendo passo dopo passo il cammino della legge di stabilità italiana, è in continuo contatto con Padoan e poi non è Katainen o Schauble. Insomma non è percepito come il ‘cattivo’ della situazione, bensì la ‘colomba’ contro i falchi, colui che ha le chiavi per liberare la manovra economica 2016.

Lo dimostra anche il fatto che stavolta, a differenza del caso Phillips, non scoppia la polemica politica. Anche se sia Arturo Scotto di Sinistra Italiana che Renato Brunetta di Forza Italia intervengono. “Ci mancava solo Moscovici. La politica economica dell’Europa dovrebbe essere decisa per rendere migliore la vita dei cittadini più deboli, non per salvare Renzi da improbabili minacce neopopuliste”, dice Scotto. ‘In Italia minaccia populista’. Moscovici offende popolo italiano. Democrazia fa paura a certa Ue. C’è da riflettere. Questa Europa non ci piace”, twitta Brunetta. Ma non si sviluppa un incendio di dichiarazioni.

“Apprendiamo che la Commissione europea apre alla flessibilità, è pronta a considerare alcune spese straordinarie, come quelle per la crisi di rifugiati o per le conseguenze di un terremoto ed altri eventi traumatici – dice invece Laura Garavini, dell’Ufficio di Presidenza del Gruppo del Pd alla Camera – E’ una buona notizia ed è anche la prova che la battaglia del governo Renzi per una Europa più giusta e solidale sta buttando giù qualche muro. Eppur si muove?”.
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Quando il neo assessore M5s di Roma Massimo Colomban applaudiva Matteo Renzi (VIDEO)

Il pentastellato assessore di Roma fresco di nomina Giovanni Colomban, imprenditore scelto dalla Raggi, in passato applaudiva Renzi. “Io ho sempre optato per gli innovatori – spiegava infatti Colomban al Corriere Veneto il 28 febbraio 2014, sei giorni dopo l’insediamento del nuovo esecutivo – e Renzi lo è. Aspettiamo che i suoi annunci siano seguiti dai fatti, ma abbiamo fiducia”.. Qualche settimana più tardi, il 18 marzo, nella trasmissione “Coffee Break” su La 7, elogiava la flessibilità del Jobs Act, ospite anche il neoministro Giuliano Poletti.

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Referendum, Gustavo Zagrebelsky Vs Matteo Renzi: scontro tra due mondi sulla tirannia della maggioranza

Lo scontro tra due mondi opposti. Divisi su tutto, persino sull’idea stessa di democrazia. E’ questo il leit motiv dello confronto tv tra il costituzionalista Gustavo Zagrebelsky e il presidente del Consiglio Matteo Renzi in onda su La7.

A 64 giorni dal referendum il premier e il giurista, moderati da Enrico Mentana, si confrontano sul “merito” della riforma costituzionale che sarà sottoposta alla consultazione del 4 dicembre. Da una parte chi l’ha promossa per uscire dalla “palude”, dall’altro il “professorone” in prima fila per arginare la “deriva autoritaria” nel caso di vittoria del Sì. Ma si capisce, guardando il duello, che a dividere i due interlocutori non sono solo gli articoli e le modifiche apportate al testo costituzionale, quanto una differenza ontologica della concezione del sistema democratico. “Le elezioni in democrazia non si vincono – dice a un certo punto Zagrebelsky – Chi prevale nelle elezioni non ha ‘vinto’ ma è colui che gli elettori hanno incaricato di un grave compito. Mentre il ‘vincere’ comporta che ci siano degli ‘sconfitti’, che non conteranno nulla”.

“Il cittadino ha il dovere di decidere chi vince alle elezioni e l’Italicum è già una legge proporzionale”, ribatte Renzi. “Il Senato conta meno, perchè non si può continuare con un sistema che scambia la complessità e l’arzigogolo con la democrazia”, aggiunge il premier. Semplificazione contro complessità.

Renzi ha il dente avvelenato nei confronti del costituzionalista per quell’appello firmato contro la “deriva autoritaria”: “Lei ha firmato l’appello ‘Libertà e Giustizia’ che parla di svolta autoritaria: questo appello a mio giudizio è offensivo verso l’Italia. La svolta anti democratica c’è, ed è dove si incarcerano giornalisti, insegnanti, magistrati, non in un Paese in cui si tagliano il Cnel e qualche centinaia di poltrone”, ha attaccato il premier. E poi ha aggiunto: “Con la riforma si semplifica la vita delle persone e si riducono costi della politica, si riducono le poltrone”.

Ma il professore Zagrebelsky, col piglio del docente, ribatte: “L’instabilità del nostro paese deriva dal fatto che è un sistema politico molto complesso. Con questa riforma c’è un rischio di concentrazione dei poteri al vertice e il rischio di passare dalla democrazia all’oligarchia”, spiega ancora Zagrebelsky osservando come degli stessi sistemi costituzionali applicati a diverse realtà possano portare ad esiti diversi. “La Costituzione di Bokassa è molto simile a quella degli Usa. Ma la resa è completamente diversa”, afferma citando il noto dittatore della Repubblica Centrafricana. E rimarca la svolta autoritaria: “Il significato di queste riforme è conservativo, servono a blindare un sistema sempre più oligarchico. I fautori del No pensano che le vere riforme si fanno sul corpo, ovvero sulla classe politica, perché riformi se stessa”.

Poi si passa alle nuove modalità per l’elezione del Presidente della Repubblica: “Oggi è richiesta maggioranza assoluta dei due terzi, calcolata sul numero dei componenti delle Camere. Quando si abolisce il requisito dei componenti vuol dire che un numero anche minimo di presenti con una parte del Parlamento eventualmente assente può eleggersi il suo Capo dello Stato. E questo in un parlamento nel quale ci sono deputati che passano da uno schieramento all’altro per valutazioni non sempre limpidissime”.

Il presidente del Consiglio difende invece il sistema introdotto dalla riforma: “Sono radicalmente in dissenso da lei. Con l’Italicum la maggioranza avrebbe il 55% dei seggi: con il sistema di voto previsto oggi, dal quarto scrutinio la maggioranza semplice può eleggersi il presidente della Repubblica. Il Parlamento invece ha previsto di alzare il quorum fino al settimo scrutinio quando i 3/5 dei votanti previsti sono una norma di chiusura. Ma nessuno può pensare che c’è una minoranza così assurda da andar via per far eleggere il presidente”.

Zagrebelsky resta convinto della svolta autoritaria, derivante dal combinato disposto riforme – Italicum. Combinata con questa legge elettorale, la riforma “raggiunge un risultato di premierato assoluto, più forte del presidenzialismo”, ha affermato il giurista aggiungendo che il ddl Boschi è più forte di quella voluta da Silvio Berlusconi. “Ma che sta dicendo? Lei sta dicendo una cosa che non è vera”, replica Renzi che attacca: “La sua parte culturale si è sempre preoccupata di andare contro Berlusconi. Noi abbiamo smosso la palude, perché non volete parlare di futuro?”.

Tuttavia Renzi riconosce che la legge elettorale ha un elemento da correggere: “Il meccanismo dei capolista non piace nemmeno a me ed è una delle cose che vorrei cambiare”, ha annunciato il premier.

Il dibattito al calor bianco – seppur condito dal “profondo rispetto” espresso numerose volte dal premier al giurista – è la rappresentazione plastica dell’incomunicabilità di due mondi contrapposti, ma al tempo stesso orbitanti nell’idea di “sinistra”. Dove nemmeno il metodo per riformare il sistema istituzionale è condiviso: “Il problema – dice Zagrebelsky – è la complessità politica, non è legata alle regole scritte nella Costituzione. Quello del presidente mi sembra il ragionamento del debole che vuole le regole per diventare forte. Ma le regole non rendono forte nessuno se è debole”.

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Matteo Renzi alla ricerca della pax referendaria. Mano tesa a: Cgil, agricoltori, destra, Bersani… Solo con D’Alema e Di Maio…

“Siccome oggi è il compleanno di Silvio Berlusconi e Pier Luigi Bersani facciamo un applauso a tutti e due. Sono nati nello stesso giorno. E siccome ieri abbiamo chiuso il primo accordo sulle pensioni, mi voglio allargare: oggi è anche il compleanno della Cgil. Compie 110 anni”. Sì, è Matteo Renzi che parla, ma quello ‘buono’: il lato (inedito) che ha deciso di utilizzare per cercare la pax referendaria in vista del fatidico 4 dicembre.

Passata l’estate, la strategia inclusiva pensata già a luglio diventa realtà. Il premier si tuffa nella campagna referendaria per il sì, pancia a terra e giri per le città, gesti studiati anche a Palazzo Chigi e annunci che cercano una cosa sola: pace e voti in vista del 4 dicembre. Renzi ha deciso di sfrondare l’albero dei nemici storici. Magistrati e sindacalisti in primis. Non li attacca più. Anzi li ‘abbraccia’ ogni volta che può per legarli al sì nel giorno che stabilirà il destino della sua carriera politica.

Nel mirino, che ormai serve solo a lanciare fiori metaforici e giammai cannonate al vetriolo, c’è persino lei: la vituperata Cgil. Già due mesi fa, il premier ha pianificato la sua strategia di ‘corteggiamento’, annunciando già allora la nuova e inedita fase di concertazione con i sindacati sulle pensioni. “Ma poi decide il governo”, diceva allora. Frase puntuta, nei mesi arrotondata, fino a svanire. Non a caso.

Ieri è arrivato l’accordo sulle pensioni, oggi Renzi se lo rivende ricordando da galantuomo il compleanno della Cgil a Perugia, in una delle ormai numerosissime tappe di campagna elettorale. Vero è che a luglio con i suoi non pensava che la Cgil si sarebbe schierata per il no al referendum, cosa che invece è successa. Ma poco importa. Con l’estensione della quattordicesima, il premier pensa di aver conquistato una buona fetta di pensionati, il grosso degli iscritti alla Cgil.

Con i magistrati la storia è un po’ diversa, ma il filo strategico è lo stesso. Martedì sera, in conferenza stampa dopo il consiglio dei ministri, Renzi parla del disegno di legge sul processo penale, quello che accorcia i tempi di prescrizione di reati come la corruzione. Testo fermo da tempo al Senato, eppure il premier non è ancora convinto di metterci la fiducia. “Noi abbiamo fatto delle regole che secondo me sono buone – dice – ma io ci penso su due volte a mettere la fiducia su una cosa che Davigo definisce provvedimenti dannosi o inutili, su atti della giustizia che vogliono aiutare i magistrati, con i magistrati che dicono che sono dannosi. Tendenzialmente escludiamo il voto di fiducia”. Vero è che il presidente dell’Anm ha espresso critiche sul testo. Ma è vero anche che il testo è fermo in Senato per le critiche dei centristi di Verdini e di Alfano. Tuttavia, il premier prova comunque a fare bella figura con i magistrati. Ci prova.

E poi c’è il resto. Oggi per dire è andato alla giornata nazionale dell’extravergine italiano organizzata dalla Coldiretti a Firenze. E annuncia: “Nel quadro economico del Def a cui seguirà la legge di stabilità del 15 ottobre abbiamo previsto che la parte di Irpef agricola che pagate sia cancellata a partire dal 2017″. Chissà se la platea si convince. Si direbbe di no, a giudicare dai fischi partiti all’indirizzo del palco quando il segretario generale Vincenzo Gesmundo schiera l’associazione sul sì al referendum. Però Renzi ci prova.

Come ha provato a incontrare gli ambientalisti e varie categorie professionali subito dopo il terremoto per esporre il piano di prevenzione anti-sismica ‘Casa Italia’. Un’intera giornata di ‘udienze’ a Palazzo Chigi, insieme al project manager Giovanni Azzone, rettore del Politecnico di Milano. Dovevano rivedersi entro la fine di settembre, però. Ma ancora non c’è traccia dei nuovi incontri.

E poi Renzi prova ad adescare l’elettorato di destra con la storia del Ponte sullo stretto. E’ la destra degli imprenditori che ha in mente. Tenta di riportarli alla sua ragione dopo aver perso la scommessa con i moderati alle scorse amministrative, quando si è scoperto che da destra molti voti sono andati al M5s. Ad ogni modo oggi difende la scelta. A Perugia dice: “I voti di destra? Chi non li prende resta minoranza…”.

Quelli che proprio lo fanno imbestialire, quelli con i quali non tenta strategie di seduzione, anzi continua a usare tattiche di attacco, sono Massimo D’Alema e Luigi Di Maio, evidentemente persi alla causa. “D’Alema – dice a Perugia – sui punti della riforma, per storia personale, è totalmente d’accordo. Ma siccome ha come obiettivo la distruzione di una persona e di un’esperienza, fa la sua battaglia. Auguri. D’Alema è un esperto di lotta fratricida in casa. Citofonare Romano Prodi e Walter Veltroni per sapere di che stiamo parlando. Se si fosse impegnato a combattere il centrodestra quanto ha combattuto i suoi compagni di partito, questo Paese sarebbe diverso”.

Quanto a Di Maio, la prende dal no alle Olimpiadi, sancito oggi dal voto dell’assemblea capitolina. Ma non attacca Virginia Raggi, fedele alla scelta di non attaccare un “sindaco eletto” che i renziani considerano in crisi nei rapporti con il movimento. Renzi invece attacca Di Maio: “Qualcuno dice che i soldi delle Olimpiadi li destineranno alle periferie. Mi auguro che ci sia qualcuno che li aiuti e li riporti alla ragionevolezza perché i soldi delle Olimpiadi, per definizione, vanno dove si fanno le Olimpiadi. Non è difficile. Anche senza email, questo basta un sms e si capisce”. Il riferimento è all’email della Raggi sulle indagini giudiziarie a carico dell’assessore capitolino Muraro, che Di Maio dice di non aver letto bene.

Domani sera negli studi di Enrico Mentana su La7, Renzi terrà l’atteso faccia a faccia con il costituzionalista Gustavo Zagrebelsky, alfiere del comitato del no. Ma con lui l’intento non è l’attacco, bensì il merito della riforma. Avanti così in una inedita tattica diplomatica fino al 4 dicembre. Passando per l’appuntamento clou della campagna del sì: la Leopolda edizione 2016, fissata nel weekend 18-20 novembre, a due settimane esatte dal referendum.
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Tennis, Us Open: Renzi vola a New York per il gran finale Pennetta-Vinci – La Repubblica


La Repubblica

Tennis, Us Open: Renzi vola a New York per il gran finale Pennetta-Vinci
La Repubblica
Il premier in partenza col presidente del Coni Malagò per assistere alla prima finale tricolore del Grande Slam. Emilano: "E' una vittoria di gruppo come deve essere per l'Italia". Il papà di Flavia: "Hanno mosso i primi passi insieme". 12 settembre 2015.
Us Open: l'impresa di Roberta Vinci VIDEOANSA.it
Roberta e Flavia, we lo you. Sono nella storia dello sportLa Gazzetta dello Sport
Finale Us Open, Renzi va a New YorkTGCOM
Il Sole 24 Ore –Corriere dello Sport.it –Sport Mediaset
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