Terremoto, Renzi annuncia il nuovo decreto ma senza risorse. Si rimanda alla legge di bilancio, opposizioni all’attacco

A nuovo devastante terremoto segue nuovo decreto, ma – almeno per ora – le risorse restano pressoché immutate. Nel corso della conferenza, al termine del consiglio dei ministri, dice il premier: “Le risorse necessarie sono già stanziate nella legge di Stabilità, perché c’è un ampio margine. Se ci sarà bisogno di ulteriori risorse metteremo ulteriori risorse”.

La notizia della prima riunione del governo dopo il terremoto più forte dai tempi dell’Irpinia è –paradossalmente – in una parola che proprio in Irpinia diventò sinonimo di incubo: container, il provvisorio che diventa definitivo. Perché, di fronte all’ansia delle popolazioni, alla preoccupazione di vivere una condizione di sradicamento, da migranti nel proprio paese (leggi qui la rabbia a Norcia), Renzi ha deciso una “ricostruzione in quattro fasi”. La prima, di qui a Natale: gli alberghi. La seconda, entro Natale, sono i container: “è meno piacevole della casetta di legno – spiega il premier – spendiamo un po’ di più, ma ci consente di riportare lì la gente partendo dall’assunto che le tende a dicembre a Norcia e dintorni sono un problema”. Entro primavera estate, “si va avanti con la costruzione delle casette di legno”. Quarta: “la ricostruzione vera e propria per mettere le case a regola d’arte”.

Sarà scritto in un nuovo decreto, che sarà presentato di qui a venerdì. Mossa che, al netto dei titoli che danno l’idea della risposta, “faremo un decreto”, si presta alla malizia delle opposizioni. Perché fare un decreto 2 sul terremoto, visto che il decreto 1 – arrivato da poco in Senato – non è stato convertito? Non bastava un emendamento? Il punto fermo di tutta la storia, come spesso accade, sono i soldi. Perché un qualunque decreto – a legge di bilancio aperta – può utilizzare le risorse dell’anno in corso, dunque del 2016, altrimenti incide sui saldi della manovra. Quindi sarà un decreto con assai poche risorse, come effettivamente ammette il premier.

L’impostazione della conferenza stampa, ma più in generale della gestione del terremoto, da parte di Renzi viaggia da giorni su due piani. Quello verbale, fatto di toni determinati con l’Europa: “Se dopo quello che è accaduto qualcuno mi parla di regole europee significa che ha perso la testa”. Quello sostanziale, fatto di cifre che, al momento non tornano. L’HuffPost ha documentato come ci sia un forte gap tra la flessibilità ottenuta in Europa (3,4 miliardi) e i soldi stanziati sul terremoto nella manovra (leggi qui articolo): 600 milioni ora certi. Il resto è nel regno delle ipotesi più che delle certezze: 200 milioni dal 2018 al 2047, per la cosiddetta ricostruzione privata. Il che significa che, già adesso, si prevede una ricostruzione di 30 anni.

Ed è proprio sulle cifre che, gli “appelli” alla collaborazione sono già caduti. Perché il premier chiede di votare le sue misure. E le opposizioni invocano un confronto per ridiscuterle. Il capogruppo di Sinistra Italiana, Arturo Scotto, proprio citando la ricostruzione dell’HuffPost annuncia una interrogazione parlamentare: “La presenteremo perché è evidente è troppo poco per dire che c’è una svolta, con 600 milioni di euro su 3,4 miliardi di flessibilità. Avevamo proposto un punto di Pil per un grande piano per la sicurezza, la prevenzione e la cura del territorio. Su quello avremmo collaborato”. Duro anche Brunetta, che parla di “imbroglio” del governo: “La nostra mission sarà di presentare emendamenti per smontare e cancellare le marchette, nella manovra e nel decreto, di Renzi e Padoan e per destinare tutte le risorse e i fondi necessari alle popolazioni colpite dal sisma”. Anche per i 5Stelle “i conti non tornano”. La cifra era stata già stanziata prima della scossa di domenica. E resta invariata.
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Migranti, Viktor Orban contro Matteo Renzi: “È nervoso perché l’Italia è in difficoltà”. Ancora scontro tra Roma e Budapest

“La politica interna italiana è un terreno difficile. L’Italia ha difficoltà di bilancio con un deficit che aumenta, mentre stanno arrivando in massa i migranti, con spese ingenti. Renzi ha tutte le ragioni di essere nervoso”. Così il premier ungherese Viktor Orban, secondo quanto riporta Mti, dopo lo scontro di ieri sui migranti.

“La compassione – ha aggiunto – non cambia il fatto che l’Italia ha il dovere di adempire agli obblighi” di Schengen, “ma non lo fa”, “è anche vero che l’Ue non dà una mano in modo sufficiente all’Italia”.

La stoccata di Orban a Renzi arriva dopo due giorni di polemiche tra Roma e Budapest. L’altro ieri il ministro degli Esteri ungherese, Peter Szijjarto aveva criticato il premier italiano perché “fraintende completamente la situazione: sta attaccando i paesi dell’Europa centrale i quali rispettano le regole comuni mentre l’Italia non adempie i propri obblighi derivanti dall’appartenenza alla zona Schengen”. Un’uscita alla quale aveva replicato il ministro degli Esteri Paolo Gentiloni con un tweet: “Con muri e referendum l’Ungheria ha sempre rivendicato di violare le regole europee sulle migrazioni. Ora almeno eviti di dare lezioni all’Italia”.

L’attacco di Budapest è arrivato dopo che Renzi aveva annunciato che l’Italia è pronta a mettere il veto sul bilancio europeo se paesi come l’Ungheria e la Slovacchia non accoglieranno i migranti come previsto dagli accordi Ue.


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La Commissione Ue scrive, Matteo Renzi se ne infischia: “La manovra resta com’è”. E alza il tiro sui migranti

Alla fine la Commissione Europea scrive. Lettere per sette paesi dell’Ue: Italia, Belgio, Finlandia, Cipro, Spagna, Portogallo e Lituania. Qui a Roma nelle caselle email del ministero del Tesoro la missiva è arrivata ieri sera. Oggi è pubblica sul sito ufficiale della Commissione Ue. Nella sostanza si chiede ciò che era trapelato nei giorni scorsi. E non sono buone notizie per Matteo Renzi e Pier Carlo Padoan. Entro giovedì 27 ottobre infatti dovranno fornire chiarimenti su: deficit strutturale che cresce dello 0,4 per cento invece di diminuire dello 0,6; spese per migranti e sisma del 24 agosto, quantificate nella manovra in 6,8 miliardi di euro (0,4 per cento del pil). Ma per ora Renzi e Padoan rispondono picche. Anzi con la lettera europea entra di fatto nel vivo il braccio di ferro tra Roma e Bruxelles sul bilancio italiano 2017, con un occhio a quello europeo per gli anni a venire. Su questi Renzi promette “il veto” se verranno confermate le risorse per quei paesi che non accolgono i migranti. Di più: se vince il sì, programma di mettere a soqquadro il ‘Fiscal Compact’. Di questa intenzione, il premier ha già accennato in recenti apparizioni tv, e c’è da scommetterci che la stessa sarà rilanciata nella manifestazione di sabato del Pd.

“C’è da mettere il veto”, dice Renzi a Porta a Porta parlando della discussione sul bilancio Ue 2020-2026 che inizierà l’anno prossimo. “Noi mettiamo i soldi se in cambio degli oneri ci sono gli onori. I soldi non passano attraverso i muri. Sai che c’è? Che se non ci aiutate, non mettiamo più i soldi”. E ancora: “Il governo Monti ha stabilito che diamo 20 miliardi e ne riceviamo 12, ma se Ungheria, Slovacchia ci fanno la morale sui nostri soldi e poi non ci danno una mano sui migranti non va bene”.

Fin dall’inizio della tenzone con Bruxelles, il premier ha intrecciato la questione ‘manovra economica’ con la questione migranti. Tradotto: c’è chi dà e non riceve dall’Ue, come i paesi Mediterranei. E chi invece ha mandato a monte il piano Juncker di redistribuzione dei profughi eppure non viene punito dall’Ue: è il caso dei paesi dell’Est, il cosiddetto blocco di Visegrad (Ungheria, Slovacchia, Polonia e Repubblica Ceca).

Quanto alla lettera Ue sulla manovra: “Di violazioni alle regole europee cene sono tante. La Francia da 9 anni è sopra il 3%, la Spagna ha un deficit che è il doppio del nostro, sul 5%. Il nostro debito è cresciuto dello 0,1% dal 2015, tutti gli altri molto di più a parte la Germania. Ma questa discussione non serve a niente. Io vado avanti per conto dell’Italia, non per conto mio. L’Italia ha rispettato tutte le regole. Abbiamo dato il deficit al 2% e uno 0,3% che è dato dalle clausole eccezionali per terremoto e immigrati. E questa cosa io sono pronto a difenderla in capo al mondo…”.

I toni con Bruxelles sono questi. E l’intenzione è di confermare punto per punto una manovra che mette in difficoltà una Commissione Europea che comunque vuole negoziare con l’Italia e aiutare Renzi a vincere il referendum del 4 dicembre. E’ per questo che Palazzo Berlaymont potrebbe non esprimere un giudizio definitivo entro quella data, ma comunque – come confermano anche oggi fonti alte della Commissione all’Huffpost – entro la fine di novembre diranno la loro su tutte le leggi di bilancio dei paesi Ue. A Renzi tutto questo non interessa. E nemmeno a Padoan. Anzi, “non c’è niente di più popolare che lo scontro con l’Ue”, osserva a distanza Martin Schulz, presidente dell’Europarlamento, citando una frase che ormai a Bruxelles è diventata quasi un adagio.

La manovra “è definita nel dettaglio e sarà mantenuta”, spiega quindi anche il ministro dell’Economia Padoan ospite a ‘Politics’. Cosa più importante: il governo italiano confermerà con Bruxelles non solo i 6,8 miliardi di euro di spese su migranti e terremoto (le circostanze eccezionali riconosciute dai trattati) ma anche quel deficit strutturale in crescita che preoccupa tanto i commissari Ue perché, come scrivono nella lettera, viene meno ai patti con cui l’anno scorso la Commissione ha accordato all’Italia 19 miliardi di euro di flessibilità. “Se mandano la lettera a noi, dovrebbero mandare libri e un’enciclopedia a chi non accoglie i migranti”, è il mantra di Renzi.

La battaglia sulla legge di stabilità è propedeutica a quella sulla modifica dei Trattati che nei piani di Renzi inizia a marzo dell’anno prossimo in occasione dei 60 anni del Trattato di Roma, che sarà celebrato alla presenza di tutti i leader europei. “Il Fiscal compact ha una data di scadenza: 5 anni”, dice sempre il premier. Approvato nel 2012, scade l’anno prossimo: ecco perché il 2017 è il tempo giusto per sferrare l’attacco. Sempre però che il premier vinca il referendum costituzionale del 4 dicembre. A Bruxelles vogliono aiutarlo pur sapendo che, dopo, i falchi (soprattutto tedeschi) dell’austerity si potrebbero ritrovare sotto attacco, proprio nell’anno di campagna elettorale per le legislative a Berlino. Però a Bruxelles non vedono alternative a Renzi, come garanzia di stabilità in Italia, per ora.

E’ questa la cornice nella quale Padoan si ritroverà faccia a faccia con Moscovici venerdì prossimo a Bratislava, proprio all’indomani della risposta italiana a Bruxelles: picche. Il ministro e il commissario all’Economia saranno entrambi relatori ad un seminario sul “rafforzamento dell’Unione monetaria in tempi di crisi”. Ci sarà anche il ministro delle Finanze tedesco Wolfgang Schauble.

Ma Renzi ha in mente un’altra data per irrobustire la sua battaglia europea in chiave di campagna referendaria. Vale a dire: 18-19 novembre a Berlino. C’è il vertice dei capi di Stato e di governo di Italia, Francia, Gran Bretagna, Germania convocato da Angela Merkel. Ma la Cancelliera ha invitato anche Barack Obama che proprio all’Europa dedicherà così la sua ultima missione all’estero da presidente degli Usa. Dopo la due-giorni all’insegna della crescita e del no all’austerity alla Casa Bianca, Renzi arriva a Berlino convinto dell’assist dell’amico Barack. Dovrà solo stare attento a non raccogliere troppi consensi espliciti al sì per il referendum: magari da Merkel o da altri leader Ue. Potrebbero essere controproducenti.
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Matteo Renzi e Pier Carlo Padoan, parole grosse per smorzare Bruxelles

“Un’Italia capace di fare le riforme a casa propria è più autorevole in Europa”. Una frase che Matteo Renzi più volte, negli ultimi tempi, ha ripetuto. Tuttavia, mai come in questi giorni rende evidente quanto siano legati i due fronti – le due “battaglie storiche” per dirla con le sue parole – che il premier sta combattendo: quella a Bruxelles sulla legge di Bilancio e quella in Italia sul referendum.

Vincere l’una per vincere anche l’altra. E viceversa. Come mai in passato, il presidente del Consiglio sta facendo la voce grossa con l’Europa. E non soltanto lui. Perché le sue parole fanno il paio con quelle del ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan, che, in un’intervista a ‘Repubblica’ – sentenzia che se l’Ue dovesse bocciare la manovra italiana “sarebbe l’inizio della fine”. Un intervento di cui, ovviamente, il premier era al corrente.

Tecnicamente, la disputa si gioca sullo 0,1% del Pil, ossia 1,6 miliardi di lire. Già domani potrebbe arrivare all’Italia (e ad altri cinque Paesi) la lettera con una richiesta di chiarimenti da parte di Bruxelles. I dubbi, sul fronte delle entrate, riguarderebbero le troppe una-tantum, mentre tra le uscite le perplessità ricadrebbero soprattutto sul piano nazionale di salvaguardia antisismica, considerato strutturale e non emergenziale.

Di fronte all’arrivo della missiva, sostanzialmente, Renzi scrolla le spalle e sminuisce. “Quante volte l’ha mandata? Sempre. A quanti Paesi? Almeno 5 o 6. E’ il fisiologico dialogo tra istituzioni”, afferma. Quanto a quel controverso 0,1% più, il presidente del Consiglio sostiene che non sta lì in punto della questione. “Io – spiega – voglio difendere l’Italia, nella battaglia storica perchè il bilancio europeo tenga insieme diritti e doveri”. Un tema che si ricollega, nelle parole del presidente del Consiglio, anche a quello dell’accoglienza. “Non stiamo litigando con l’Europa. Stiamo dicendo – insiste – che in passato l’Italia ha detto sempre di sì a tutto, ma noi siamo contributori dell’Europa: ogni anno diamo 20 miliardi e ne riprendiamo solo 12. Possiamo cominciare a far sì che quelli che prendono i soldi prendano anche i migranti? Ma i Paesi dell’Est salvati dalla Ue oggi chiudono le porte”.

Certo, spiegano fonti Pd, nello scegliere dei toni così duri, non è stata estranea a Renzi la consapevolezza di quanta presa la battaglia contro l’Europa-matrigna abbia su una parte dell’elettorato. Soprattutto, a destra. Dove, per ammissione dello stesso premier, è necessario andare a pescare se si vuole vincere il referendum costituzionale. Dalle opposizioni parlamentari, però, arriva anche un’altra accusa: quella di aver riempito il decreto fiscale di mance e marchette “per accalappiare consenso ai fini del referendum” (parole di Brunetta). Ed ecco che le due battaglie tornano ad incrociarsi.

A quelle stesse opposizioni, tuttavia, Renzi, lancia un appello affinché condividano la sfida europea. “Io spero – afferma – che la nostra proposta di rimettere in discussione il bilancio europeo e le regole economiche venga portata avanti anche a dispetto del referendum: nel 2017 discuteremo del Fiscal compact” che dovrà o meno essere inserito nei Trattati. “Spero – insiste – che tutto il Paese ci sia su questi temi”.
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Matteo Renzi al Consiglio Ue con la spinta di Obama: e spunta un primo ok sulle spese per i migranti in legge di stabilità

“L’Italia sta facendo la propria parte, ma in termini di solidarietà da parte di troppi paesi non ho visto altrettanto impegno”. Palazzo Justus Lipsius, Bruxelles: prima sessione del Consiglio europeo di ottobre. Sui migranti. Matteo Renzi prende la parola di fronte agli altri 27 leader e il presidente della Commissione europea Jean Claude Juncker. Oggi si sente forte, gonfio del sostegno di Barack Obama su tutta la linea, dal no all’austerity alla solidarietà per i profughi. Tanto che qui a Bruxelles riferisce agli eurodeputati delle preoccupazioni del presidente Usa sull’Europa: “L’Europa preoccupa il mondo”. Si diffonde voce che abbia aggiunto: “Più della Siria”. Smentita di Palazzo Chigi. Ad ogni modo, in questo Consiglio l’Italia ottiene qualcosa, anche se poco.

In sostanza Renzi ottiene che la bozza finale del vertice riconosca gli sforzi fatti dall’Italia per l’accoglienza dei migranti. Anche quelli finanziari. E’ musica per le orecchie di Renzi, anche se non risolve tutti i problemi. Significa che, mentre va avanti il braccio di ferro con la Commissione Europea, un pezzo di manovra economica è di fatto licenziato: quello sulle spese ai migranti.

Ecco il passaggio del documento finale che fa felice il premier: “Occorrono maggiori sforzi per ridurre il numero di migranti irregolari, in particolare dall’Africa, e migliorare i tassi di rimpatrio. Riconoscendo il considerevole contributo, anche di natura finanziaria, apportato negli ultimi anni dagli Stati nembri in prima linea, il Consiglio europeo…”.

Non è un’autentica novità. Le spese per i migranti non sono mai state messe in discussione dalla Commissione che sta esaminando la manovra italiana. Figurano infatti come ‘clausole eccezionali’ da scorporare dal patto di stabilità e crescita. Però Renzi non sottovaluta il risultato raggiunto: lo considera un primo buon auspicio su una manovra che continua a destare perplessità a Bruxelles per il deficit troppo alto.

Oggi tra l’altro non ne ha neanche parlato con Juncker. Con il presidente della Commissione solo un saluto ma nessun incontro a margine del Consiglio Ue, nessun contatto per sapere della manovra. Quasi a voler sottolineare una cautela reciproca. Da un lato infatti Renzi non ripete quanto affermato ieri: “Aspettiamo la procedura di infrazione contro i paesi che non accolgono i migranti…”, non contro l’Italia per la legge di stabilità 2016. Sa che il messaggio cadrebbe nel vuoto: sono tre giorni che Juncker ripete che “la solidarietà non si può imporre”. E in più la Commissione fa sapere che c’è ancora un altro anno di tempo per aprire le procedure di infrazione contro i paesi dell’est. In sostanza è tutto rimandato. Ma dall’altro lato, nessuno attacca l’Italia per la manovra in deficit, nemmeno i falchi dell’austerity che di solito non si lasciano sfuggire l’occasione.

E’ così che Renzi tenta di guadagnarsi l’ok della Commissione sulla legge di stabilità. Puntando anche sulla debolezza dell’Unione, incapace di imporre sanzioni, aprire procedure di infrazione, farsi rispettare. Un vuoto che Renzi spera di sfruttare in attesa di imprimere una svolta ai trattati europei: il primo appuntamento in questo senso è previsto a marzo in Italia in occasione delle celebrazioni del 60esimo anniversario del Trattato di Roma. Lo ha spiegato oggi agli eurodeputati Dem, che il premier ha voluto incontrare apposta prima del Consiglio europeo. Obiettivo: spingerli a mobilitarsi per il referendum costituzionale, soprattutto al sud dove non a caso Renzi sarà domani sera direttamente da Bruxelles. Destinazione Palermo, Trapani e Messina. E sabato, inoltre, Renzi svelerà anche il logo del vertice G7 previsto a Taormina a maggio. Senza la vittoria del sì, non può programmare niente, a partire dalla data italiana di marzo.

La prima giornata a Bruxelles dopo la full immersion americana finisce così. L’alto rappresentante per la politica estera, Federica Mogherini, illustra al Consiglio europeo i primi risultati della sperimentazione del ‘migration compact’ con 5 paesi africani: Mali, Senegal, Niger, Etiopia e Nigeria. E in più il documento finale parla finalmente di Africa e immigrazione nel Mediterraneo centrale. Sostanzialmente ciò che Renzi non aveva ottenuto al vertice informale di Bratislava a settembre, scatenando l’inferno (verbale) contro Angela Merkel e Francois Hollande. Anche con loro due oggi nessun bilaterale. La Cancelliera in giacca rossa che si abbina solo alle scarpe scarlatte di Theresa May se ne sta lontana anche nella foto di gruppo. L’epoca del direttorio a tre – Roma, Parigi, Berlino – è decisamente tramontata, per il momento.

E c’è da dire che le nuove concessioni all’Italia sono controbilanciate da una nuova presa di posizione dei paesi dell’est che chiedono di tener conto dei loro no espressi in passato. In più Germania, Svezia, Slovenia e Austria riescono a infilare nel documento finale la possibilità di mantenere i controlli alle frontiere, vale a dire la sospensione di Schengen.

Al succo, l’Europa resta fredda. Il premier pensa al calore di Obama. Ne parla diffusamente anche con gli europarlamentari tanto da rasentare l’incidente diplomatico. Dopo l’incontro infatti si diffonde la voce secondo cui Renzi avrebbe riferito agli europarlamentari di un Obama preoccupato più per la crisi dell’Europa che della Siria. Assurdo. Allarme. Scatta la smentita di Palazzo Chigi: ci sono entrambe le preoccupazioni ma l’una non va collegata all’altra. Ma il tema è troppo ghiotto per non essere funzionale alla narrazione di un premier che ora esige riconoscimenti anche europei da mettere insieme a quelli a stelle e strisce.
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Matteo Renzi a Michelle Obama: “I tuoi discorsi sono meglio dei tuoi pomodori” (VIDEO)

“Sono da sempre un fan di Obama, a partire dal suo primo discorso in Illinois nel 2007 ma, dopo aver ascoltato i discorsi di Michelle in campagna elettorale, li ho trovati dello stesso livello. Penso che i tuoi discorsi siano meglio dei tuoi pomodori”. Così, scherzando, Matteo Renzi nel discorso di apertura alla cena di Stato alla Casa Bianca. Renzi ha poi ripreso il concetto di “bottega” come luogo in cui si condivide il lavoro per renderlo migliore possibile, come accade con l’amministrazione Obama. Per questa ragione il presidente Usa è stato paragonato a un maestro del Rinascimento: “Ci hai dato l’opportunità di lavorare insieme a te per migliorare il mondo e pensare al futuro come a un luogo di speranza”. Il premier ha poi scherzato: “I nostri popoli condividono a tavola vino e cibo così come condividono gli stessi valori: possiamo allora organizzare una visita a Firenze, andare agli Uffizi e al David, e poi fare non una cena di Stato, ma andare in una osteria per vedere se i pomodori italiani sono più buoni di quelli dell’orto di Michelle”.

Obama e Michelle accolgono Renzi e Agnese per la cena di Stato

Benigni alla cena di Obama: “Resto qui, sto cercando una cosetta vicino all’orto di Michelle”

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Matteo Renzi, visita alla Casa Bianca: premier “in the sky” grazie a Obama

“Guardatelo: è giovane, è bello, gli piace molto twittare”. Potrebbe bastare questa frase di Barack Obama per mandare Matteo Renzi letteralmente ‘in the sky’, in visibilio, tra nuvole sognanti di adorazione per gli Stati Uniti, “our best friend”, dice il premier italiano dalla South Lawn della Casa Bianca. E invece Obama va oltre. Il suo è più di un endorsement, va oltre la scelta pure altamente simbolica di dedicare all’Italia l’ultimo bilaterale della sua presidenza. Obama sbandiera il suo “tifo per Renzi” al referendum di dicembre, gli consiglia pubblicamente di “restare in politica a prescindere dal risultato”, si schiera con lui su flessibilità e migranti. Lo usa per la sua battaglia contro l’austerity di Berlino. Si schiera con lui contro un’Europa che proprio in queste ore alza il sopracciglio sulla legge di stabilità italiana e resta immobile sulla crisi dei profughi, lasciando Italia da sola. Per Renzi è il massimo, the best: nel cuore la speranza che l’assist di Obama gli porti bene, meglio che a David Cameron, costretto a dimettersi dopo la sconfitta su Brexit.

Tappeti rossi e quasi un’intera giornata insieme, due ore interminabili di conferenza stampa e una cena a base di agnolotti in tutta convivialità alla Casa Bianca: Barack e Michelle, Matteo e Agnese e le eccellenze italiane da Roberto Benigni e la moglie Nicoletta Braschi alla campionessa paralimpica Bebe Vio. “Sono particolarmente grato per la partnership con il mio buon amico Matteo Renzi”, esordisce Obama già prima del bilaterale. Il premier italiano “ha lanciato una visione di progresso che non affonda le sue radici nelle paure della gente ma nelle loro speranze. Sa che come nazioni e come individui abbiamo il potere di raggiungere grande cambiamento, in Italia sta sfidando lo status quo con coraggiose riforme”. “La nostra missione è “di seguir virtute e canoscenza”: Renzi risponde citando Dante, Benigni ne è contento, il premier pensa già a come sfruttare il prezioso assist a stelle e strisce dopodomani a Bruxelles, al Consiglio europeo.

Parlano la stessa lingua. Obama tenta l’italiano all’inizio, “buongiorno”. Renzi sfoggia il suo inglese imperfetto. Ma è solo una questione di idiomi. Il presidente uscente si spende per l’amico italiano come mai prima. “Le riforme lanciate da Renzi, soprattutto in campo economico, sono quelle giuste”, “Il sì al referendum aiuta l’Italia”. Renzi ironizza, pensando a Cameron e incrociando le dita: “Il 2016 finora non è stato un anno eccezionale per organizzare i referendum ma penso che quello italiano sia un messaggio molto semplice contro la burocrazia: se a dicembre vinceremo, le cose in Italia saranno più semplici e l’Italia sarà un paese più forte in Europa”.

Per Obama, Renzi è l’antidoto ai populismi in Europa, Renzi va soccorso nella battaglia contro l’austerity e nella crisi dei migranti, Renzi è un prezioso alleato contro l’Isis in Iraq, nell’offensiva di Mosul dove gli italiani sono impegnati a tutela della locale diga, e per la stabilizzazione della Libia. Simply the best. Anche se non è ancora perfezionata l’alleanza in funzione anti-Russia, unico argomento sul quale Renzi non si sbilancia in conferenza stampa, stretto com’è tra il fortissimo e storico asse con Washington e i legami che pure ci sono con Mosca (Roma è contraria alle nuove sanzioni verso la Russia, così come per le vecchie). Invece Obama cita eccome la Russia che “viola i principi di democrazia, libertà, integrità territoriale”, attacca Trump e i repubblicani che “hanno sempre criticato il nostro dialogo con Mosca e ora sostengono un candidato che continua a lodare Putin in un modo che non ha precedenti nella politica americana”.

Domani Vladimir Putin sarà a Berlino, ospite di Angela Merkel. Ed è proprio la Cancelliera che Obama chiama in causa quando si schiera con Renzi sul no all’austerity. “Diverse volte ho parlato con Merkel e Hollande sui modi per risolvere le crisi del 2008”, premette Obama senza timore di scomodare gli ‘avversari’ europei. “In questi anni negli Stati Uniti abbiamo fatto sgravi fiscali, salvato industrie, creato occupazione, reso le banche più trasparenti e abbiamo attratto investimenti. Non mi aspetto che quello che abbiamo fatto negli Usa venga trasferito in Europa. Ma so per certo che c’è una crescita molto lenta in Europa e che i giovani non entrano nel mercato del lavoro. Ora c’è anche maggiore fiducia nelle finanze pubbliche ed è il momento giusto per concentrarsi sulla crescita e fare investimenti. Draghi ha fatto molto per mantenere una traiettoria positiva in Europa ma da sola la politica monetaria della Bce non basta. Renzi ha fatto molto in termini di progressi reali, c’è più fiducia da parte dei mercati. E credo ci sia una connessione fra la stagnazione e gli impulsi populisti che sanno crescendo in Europa”.

Usando Renzi, Obama si toglie i sassolini dalle scarpe nei confronti di un’Europa che di fatto gli ha bloccato la firma del Ttip, il trattato commerciale con gli Stati Uniti. O che almeno non è stata capace di arginare la contrarietà di Francois Hollande. Renzi invece è stato sempre a favore ed è lì alla Casa Bianca per dirgli che non ha mai cambiato idea su questo. Ne parlano nel bilaterale nello Studio Ovale, dove parlano di Iraq e Libia. Ma a favore dell’amico italiano, ancora una volta Obama va oltre: sull’immigrazione.

“L’Europa deve essere in grado di risolvere questo problema e non lasciare uno Stato a risolvere il problema da solo. Noi siamo una federazione, è vero, ma mai lasceremmo uno Stato a risolvere il problema da solo e buona fortuna”. Dall’altro lato, Renzi ricorda il ‘migration compact’ italiano, finora mai applicato dall’Ue fino a scatenare lo strappo di Bratislava. “La questione Africa è stata abbandonata dall’Ue negli ultimi decenni – dice – Dobbiamo lavorare come la Commissione aveva immaginato pur senza la necessaria velocità. Ma prima di chiedere aiuto agli Usa bisogna che l’Ue faccia la sua parte. Non possiamo pensare di farci carico da soli dei problemi in Libia e Africa e giovedì al Consiglio europeo porremo la questione”.

Prima di ripartire, domani a Washington Renzi riuscirà a incontrare a pranzo lo staff della candidata Democratica alla Casa Bianca Hillary Clinton per preparare il terreno delle alleanze future dopo Obama. Giovedì sarà a Bruxelles, curioso di vedere la reazione degli altri partner europei rispetto a questo asse italo-americano: così intenso da risultare inedito.
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Legge di Bilancio, Matteo Renzi: “RIlievi Ue? Basta egoismi, diano una mano sui migranti”

Sulla Legge di Bilancio appena varata dal governo rischia di innescarsi un nuovo scontro tra Roma e Bruxelles. Ad accendere la miccia è stato il presidente del Consiglio Matteo Renzi, in una intervista al Tg1. Rispondendo sui possibili rilievi che la Commissione potrebbe fare sulla manovra, il premier ha spiegato: “Sono curioso capire quali rilievi. L’Ue – ha aggiunto – vuole discutere le nostre spese immigrazioni? Ho un’idea brillante idea: inizino a darci mano loro, mentre stanno prevalendo gli egoismi e non la solidarietà. Appena ci iniziano a dare una mano, le spese si abbasseranno”.

Sul fronte europeo, secondo quanto spiegato oggi da Repubblica, sarebbe stata accolta decisamente male la decisione del governo di fissare l’asticella del defict al 2,3%. L’accordo con i massimi livelli dell’esecutivo Ue sarebbe stato di arrivare al massimo al 2,2%. L’ulteriore aumento fissato in extremis dal capo del governo italiano sarebbe stato interpretato come un blitz non concordato e su cui la Ue non vorrebbe transigere. Rimanendo pronta, sempre secondo quanto riportato da Repubblica, a bocciare la manovra già entro il prossimo 30 ottobre.

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Matteo Renzi stretto tra Mosca e Washington sceglie la battuta: “Con la Nato volevamo invadere la Russia”

Per Matteo Renzi il bilaterale con Barack Obama martedì prossimo alla Casa Bianca avrebbe dovuto essere una sorta di marcia trionfale verso il Consiglio europeo del 20 ottobre. Da Washington il premier conta di arrivarci carico di endorsement americano sulla flessibilità, sulla crescita e sulla crisi dei migranti, nonché forte del sostegno di Barack Obama, che ha deciso di dedicare all’Italia l’ultimo bilaterale della sua presidenza. Invece l’appuntamento si sta facendo difficile. Soprattutto dopo la conferma da parte del segretario della Nato Jens Stoltenberg dell’invio di soldati italiani al confine fra la Lettonia e la Russia: notizia decisa al vertice di Varsavia quest’estate, già nota, ma spiegata oggi da Stoltenberg in un’intervista a La Stampa. Ora l’incontro alla Casa Bianca cade in una fase di rapporti al minimo e di massima tensione tra Mosca e l’Occidente, con l’Italia in imbarazzo a gestire un delicatissimo equilibrio, compromesso anche dall’indagine dell’Fbi sul presunto ruolo di Mosca dietro lo scandalo delle mail che ha coinvolto Hillary Clinton.

È per questo che oggi al Colle, al consueto pranzo con il presidente Sergio Mattarella che precede il Consiglio europeo, Renzi ha fatto ricorso all’arma di riserva: fare una battuta per tentare di sdrammatizzare la tensione creatasi con Mosca. “Si stava progettando il piano di invasione della Russia…”, ha detto arrivando al Quirinale. Non è un caso che la battuta sia trapelata fino ai media: scientemente, per sciogliere il gelo con Mosca che nel pomeriggio aveva commentato lapidariamentre tramite il ministero degli Esteri: “La politica della Nato è distruttiva. L’Alleanza è impegnata nella costruzione di nuove linee di divisione in Europa invece che di profonde e solide relazioni di buon vicinato”.

Il pranzo al Quirinale non è andato oltre la battuta di Renzi sul caso Nato-Russia. Si è concentrato invece sui temi del Consiglio europeo della settimana prossima: dall’immigrazione al trattato commerciale con gli Usa e – questo sì – i rapporti tra Usa e Ue, partendo dall’assunto che ieri lo stesso Mattarella ha ritenuto opportuno sottolineare alla celebrazione del 50esimo anniversario della Nato Defense College in Italia. E cioè che “la via del dialogo rimane centrale, no ad una nuova guerra fredda”.

Ma il caso diplomatico si è creato comunque. Ed è a questo punto che il ministro Paolo Gentiloni si affretta a precisare: l’invio dei militari italiani non deve essere considerato un’aggressione verso Mosca, “ma una politica di rassicurazione e difesa dei nostri confini come Alleanza Atlantica”. Si tratta solo di “140 soldati”, dice il titolare della Farnesina. “L’Italia ha dato la disponibilità per fornire una compagnia con numeri non molto consistenti all’interno di una organizzazione che prevede il coinvolgimento di moltissime nazioni della Nato. Noi, in questo contesto, saremo con i nostri militari in Lettonia”, sottolinea pure il ministro della Difesa, Roberta Pinotti, che tra l’altro non ha partecipato al pranzo al Colle “perché i temi trattati non erano di competenza del ministero”, fanno sapere dal suo entourage.

Ad ogni modo, l’incendio non si spegne. Il clima è troppo incandescente anche a livello di dibattito interno. Prende parola persino l’ex premier Enrico Letta, di solito più schivo e invece stavolta con “più di un dubbio” sulle mosse atlantiche.

Quello di Letta è un carico da 90 che appesantisce un clima già infuocato dagli attacchi dell’opposizione. Beppe Grillo: “Renzi e Napolitano ci trascinano verso la guerra”. E ancora: “La Russia è un partner essenziale non un nemico”. Su Twitter il M5s lancia l’hashtag #vogliolapace. Erasmo Palazzotto, componente di Sinistra Italiana in commissione Esteri alla Camera, considera “uno scandalo che si parli dell’invio dei militari italiani dando per scontata la ratifica del Parlamento quando il Parlamento non ne ha nemmeno discusso”. Renato Brunetta di Forza Italia: “No ad una nuova guerra fredda. Il governo riferisca in Parlamento”. Matteo Salvini della Lega: “Una follia anti-russa. Chi fa prove di guerra con la Russia e’ matto o e’ in malafede. Armi e soldati usiamoli contro l’Isis, non contro chi lo combatte!”

Il governo si trova stretto tra gli impegni nell’Alleanza Atlantica, la necessità di non rovinare i rapporti con Mosca e l’esigenza di non rifiutare l’abbraccio di Obama, utilissimo a Renzi in questa fase di ennesima trattativa con l’Unione Europea sui conti pubblici e anche sull’immigrazione, altro ingrediente del menu del pranzo al Quirinale. Perché Renzi spera nel sostegno di Washington anche per la crisi dei profughi. Non a caso, con Renzi alla Casa Bianca ci sarà anche Giusi Nicolini, la sindaca di Lampedusa. Non a caso alcuni giorni fa, riferendo sul prossimo Consiglio Europeo alla Camera, il premier ha ricordato: “Il presidente Obama, in un importante articolo pubblicato nei giorni scorsi, ha sottolineato la contraddizione di un mondo più prospero che mai, ma accompagnato da una inquietudine crescente”. Ad aprile il presidente Usa ha bacchettato l’Europa sui migranti: “Il mondo non ha bisogno di muri”. Un messaggio che oggi torna utile al governo di Roma, visto che Germania e Austria stanno per chiedere il prolungamento dei controlli alle frontiere.

Sui profughi Renzi si prepara a battere i pugni sul tavolo al Consiglio europeo del 20 e 21 ottobre prossimi. La richiesta è di tagliare i fondi europei ai paesi (prevalentemente dell’est) che non accolgono i migranti. E’ un’arma un po’ spuntata visto che il blocco di Visegrad (Polonia. Repubblica Ceca, Slovacchia e Ungheria) gode di appoggi forti a Berlino e non si piegherà facilmente, come si è visto finora del resto. Ma Renzi vuole provarci ugualmente: deve, per il bene della campagna referendaria e per seminare sperando in un futuro più generoso magari l’anno prossimo dopo le elezioni in Germania, meta che appare lontanissima.

Anche per questo mercoledì a Bruxelles il capogruppo dei socialisti all’Europarlamento Gianni Pittella lancia quelli che definisce “gli Stati generali” dei progressisti insieme al leader del Labour Jeremy Corbyn, il portoghese Antonio Costa, Lady Pesc Federica Mogherini, il vicepresidente della Commissione Ue Frans Timmermans e ci sarà persino ‘l’arci-nemico’ di Renzi, Massimo D’Alema, come presidente della Feps. L’idea è cercare di seminare bene e meglio in vista delle prossime elezioni europee nel 2009.
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Verso lo scontro frontale fra Matteo Renzi e minoranza in direzione Pd. Le promesse di modifiche all’Italicum non bastano

Ribadire che la volontà di cambiare la legge elettorale “è reale” ma “senza forzature” e, soprattutto, non da soli. E, dunque, non prima di aver consultato maggioranza e opposizione. Insomma, non prima del referendum. È questa la linea Maginot di Matteo Renzi che nella Direzione del Partito Democratico in programma lunedì pomeriggio proverà a tener fede alla linea aperturista degli ultimi tempi senza, però, concedere ulteriori spazi di mediazione alla minoranza. Anche perché la convinzione è che l’obiettivo sia un altro: attaccare lui.

La rottura sul referendum sembra ormai giunta a un punto di non ritorno e il premier avrebbe letto con molta irritazione le interviste con cui Pier Luigi Bersani e Roberto Speranza annunciavano il loro No al ddl Boschi poche ore prima che il partito si riunisse a via del Nazareno proprio per discutere delle modifiche all’Italicum che da mesi invocano. “Tempo scaduto”, “solo chiacchiere”, dicono i due esponenti dell’opposizione interna.

Il premier – raccontano – sarebbe stato colto di sorpresa soprattutto dal tono tranchant di Bersani anche perché, spiegano, le colombe erano al lavoro da giorni perché domani si arrivasse a un documento comune. Una freddezza, quella del segretario, che emerge durante l’intervista a L’Arena su Rai1. Renzi decide di non cogliere l’occasione del salotto televisivo per lanciare un segnale di apertura e, anzi, commenta caustico l’uscita dell’ex segretario dem. “Io dico soltanto una cosa, Bersani – è la sua risposta – ha votato Sì tre volte alla Camera. Se poi cambia opinione per il referendum, ciascuno si farà una sua valutazione sul perché. Questa riforma non l’ho scritta io di nascosto a Rignano sull’Arno al mio pc”. La linea – insomma – è quella di dimostrare che l’incoerenza sta negli altri e, di conseguenza, anche le ragioni della rottura. D’altra parte – aggiunge – è “un anno e mezzo che mi danno contro”. Sebbene ribadisca che personalizzare l’appuntamento sia stato un errore, il presidente del Consiglio si dice anche convinto che in molti stanno orientando il loro voto per “antipatia” nei suoi confronti e questo – aggiunge – mostra “scarsa visione per il Paese”.

La proposta che dovrebbe essere messa sul piatto della discussione della Direzione è quella di affidare a una delegazione formata dai capigruppo Ettore Rosato e Luigi Zanda e da Lorenzo Guerini, un compito “esplorativo” nei confronti di tutte le altre forze politiche. “Bisogna costruire le condizioni per le modifiche, pensare che in sei settimane, mentre è in discussione la legge di bilancio, si chiuda questa partita sarebbe una forzatura”, spiega un renziano. Una mossa il cui effetto dovrebbe essere quello di “stanare” la minoranza, perché la convinzione è che il punto di approdo reale non sia la modifica della legge elettorale. La scelta di Pier Luigi Bersani di votare No al referendum sulla riforma costituzionale – dice esplicitamente il ministro dei Beni culturali, Enrico Franceschini – “penso sia motivata da altro”, “il tema vero è che nel Pd e fuori dal Pd si sta utilizzando il tema referendario per contrastare Renzi”.

Dalla minoranza, ovviamente, l’accusa è ribaltata: è il segretario – dicono – che continua a fare solo melina senza alcuna proposta concreta. La direzione di domani, spiega Roberto Speranza, “è l’ultima possibilità, però non per annunci generici: il governo e la sua maggioranza hanno prodotto il disastro dell’Italicum, ora senza una loro vera iniziativa ogni mossa e invito al Parlamento, è una perdita di tempo”. La richiesta è quella di mettere in discussione il doppio turno, esattamente la norma che finora Renzi ha difeso più strenuamente.
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