Matteo Renzi su Facebook live: “Basta bufale sul referendum. Beppe Grillo teme il Sì dei 5 Stelle”

Secondo appuntamento in due giorni per Matteo Renzi e il suo #matteorisponde. Il premier di nuovo su Facebook live per rispondere alle domande dei cittadini. “Questa è una serata che dedichiamo a chi non odia, ci sono alcune persone che utilizzano in modo virale la propaganda, le bufale e la Rete. Si può non essere d’accordo su tutto, ma dimostriamo che noi non viviamo di propaganda”, ha detto Renzi. Il presidente del Consiglio ha annunciato che ad Amatrice arriveranno le prime 20 casette entro Natale. Il premier ha attaccato nuovamente Mario Monti: “Oggi un grande esperto di tasse, Mario Monti, sostiene che da quando ci siamo noi ci sono più tasse. Non ricordo un governo che ha aumentato le tasse più di quello di monti, mai fidarsi dei governi tecnici”.

Renzi mostra il fac-simile della scheda elettorale per il nuovo Senato


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Renzi inciampa sui malati Ilva di Taranto e dà la colpa a Boccia per i fondi spariti. La replica: “Falso, ci sono resoconti e sms, ma non vorrei aprire il telefonino”

“A fare le cose senza tener conto delle regole succedono pasticci come è accaduto per la riforma della Pubblica Amministrazione che la Consulta ha poi in parte bocciato. E’ stato il Governo a negare il via libera sulle risorse per l’emergenza sanitaria tarantina. Ci sono i resoconti parlamentari e gli sms che lo dimostrano”, afferma Francesco Boccia al telefono con l’HuffPost senza nascondere il suo stupore. La polemica incrociata tra Palazzo Chigi, Camera e Regione Puglia sui 50 milioni spariti dalla legge di Bilancio per i malati dell’Ilva della città pugliese dura ormai da giorni. Il presidente del Consiglio ha però scaricato la colpa su Boccia, presidente della Commissione Bilancio di Montecitorio: “È lui che ha dichiarato inammissibile quell’emendamento, siamo alla mistificazione della realtà, noi siamo pronti a discutere al Senato”, ha detto il premier durante una conferenza stampa a Palazzo Chigi.

Ricostruzione totalmente falsa, dice Boccia all’HuffPost. “Per due volte, durante i lavori in Commissione, ho chiesto al governo il perché non ci fosse il via libera sull’emendamento Taranto. E mi sono sentito rispondere per due volte che non c’era l’ok dell’esecutivo. Punto. Tutto questo è corredato non solo dai riscontri parlamentari ma anche da decine di sms volati quella notte tra Camera, Mef e Palazzo Chigi. Non riduciamoci a questo, vorrei evitare di aprire il mio telefonino”.

Il premier inciampa così su Taranto. Un passo falso che può costare caro in termini di consenso nella settimana decisiva prima del referendum costituzionale di domenica. Soprattutto perché è nel Sud Italia che si sta concentrando l’attenzione del Governo per cercare di tirare la volata al Sì. Il Meridione, come dimostrato anche da uno studio dell’Istituto Cattaneo, sarà il vero ago della bilancia che deciderà le sorti della partita più importante per Renzi. E il premier non ci sta a passare come il leader dell’esecutivo che ha tolto risorse economiche a una città in condizioni sanitarie difficilissime come Taranto. Ma deve fare i conti con le smentite di Francesco Boccia e del Governatore Michele Emiliano.

L’emendamento in questione prevedeva la deroga al decreto ministeriale 70 sull’organizzazione dei servizi sanitari regionali per la Puglia, sbloccando così 50 milioni di euro per i malati Ilva. Ricostruisce Boccia: “Nella legge di Bilancio arrivata dal Governo c’erano 104 articoli. E dentro c’era di tutto, da cose importanti come l’Ape, le pensioni e le misure fiscali ad altre meno prioritarie, come la Ryder Cup, la coppa del mondo di sci, il centro di meteorologia europeo. Taranto non c’era. Se c’era la volontà politica avrebbero stanziato i soldi già lì, nell’articolato originario”.

Cosa accade poi? Secondo le regole parlamentari tutti gli emendamenti che non sono scritti a norma vengono stralciati. “Questo non lo decido io o Matteo Renzi, ma le leggi che vengono fatte rispettare da eccellenti uffici tecnici della Camera”. Gli emendamenti saltati perché inammissibili possono poi essere recuperati dal Governo o dal relatore. E qui Boccia dice come è andata. Il passo successivo è “la lista delle priorità fatta da maggioranza e presidente di Commissione in accordo con il Governo”. In questa fase vengono quindi recuperate tutte le proposte di modifica saltate (duemila su cinquemila di natura parlamentare più quelle di fonte governativa eliminate dall’articolato presentato da Palazzo Chigi). Tra queste c’è di tutto: dalla famosa Ryder Cup alla Coppa del Mondo di scii fino al centro meteorologico europeo. “Punto A: il Governo ha presentato gli emendamenti e Taranto non c’era, né prima né dopo. Punto B: il relatore ha presentato l’emendamento Taranto ma il governo ha negato il via libera. Nella notte tra il 23 e il 24 novembre è arrivato lo stop di Palazzo Chigi. Non c’è nessun mistero”.

Secondo Boccia c’è “uno stato di schizofrenia evidente” ma “suppongo che Renzi abbia detto quello che ha detto perché è stato informato in maniera errata. Ha detto una cosa da tanto al chilo”, conclude Boccia.

Ma il presidente del Consiglio non ha riservato parole affettuose neanche per il presidente della Regione Puglia Michele Emiliano, definendo la polemica da lui innescata “strumentale” dato che il “Governo ha messo 1,6 miliardi su Taranto”.

Anche Emiliano però non ci sta a passare per colpevole. E allora rifà i conti al premier: “Verifico che quanto ho spiegato al presidente Renzi durante la cosiddetta ‘rifirma del Patto per Taranto’ gli è nuovamente sfuggito. Rifacciamo i conti: gli 850 milioni del Contratto istituzionale per Taranto riguardano essenzialmente interventi programmati a valere su fondi regionali FAS 2000/2006 e FSC 2007/2013 e quindi precedenti all’insediamento dell’attuale governo. Il presidente del Consiglio parla di circa 1,6 miliardi per Taranto. Pertanto suppongo che gli ulteriori 750 milioni di euro siano da ricondurre ad interventi per la cosiddetta riambientalizzazione di Taranto, e su questo la comunità pugliese si riserva di valutarne gli effetti non appena saranno chiari gli interventi realizzati o da realizzare”.

Il governo nei giorni scorsi ha assicurato che riesaminerà la questione durante i lavori sulla legge di Bilancio al Senato. Proprio quel Senato che il governo si appresta a ridimensionare con la riforma costituzionale, laddove venisse approvata. Non è un bell’inizio di settimana per Renzi, a sei giorni dal fatidico 4 dicembre.
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Referendum e maltempo. Renzi mette i piedi nel fango a Torino: annullata la tappa da segretario Pd, ci si presenta da premier

Non vengo per via del maltempo. Anzi no: vengo per via del maltempo. Piemonte e Liguria sono flagellati dai temporali e le esondazioni dei fiumi. Matteo Renzi rimodula la campagna elettorale per il referendum. Via i panni del segretario del Pd, quelli che ormai è solito indossare in quest’ultimo scorcio di volata elettorale verso il 4 dicembre. Renzi si ricala nella parte di premier: annulla l’iniziativa elettorale di stasera a Torino, la sposta a domenica ma a Torino ci andrà comunque. Domattina alle 8 sarà con il governatore Sergio Chiamparino alla sede della Protezione civile per verificare di persona la situazione di emergenza causata dalle pesanti piogge di queste ore.

Lontani i tempi in cui il premier non si presentava nei luoghi dei disastri, naturali o meno. “I politici non fanno passerelle”, disse a proposito dell’alluvione a Genova due anni fa. Non si presentò se non mesi dopo. Ha smesso a luglio scorso con il tragico incidente ferroviario in Puglia: si presentò subito sui luoghi del disastro. Per non parlare del terremoto di agosto e di quello autunnale nelle regioni del centro Italia: tempo di organizzare la trasferta e Renzi è lì dagli sfollati ancora sotto shock per le scosse.

Il terremoto non è molto presente nel dibattito pubblico di questi ultimi giorni. Non in quello del premier. Né in quello dei media, concentrati su altre emergenze. Oggi c’è quella del maltempo al nord. E dove c’è emergenza, ormai Renzi risponde. Da premier. E allora: rinviata a domenica l’iniziativa elettorale di stasera al Lingotto. E’ lui stesso ad annunciarlo su twitter:

Ma il premier domani sarà comunque a Torino. “Giornata di apprensione per le notizie che arrivano dal Piemonte. Domani sarò personalmente a Torino nella sede della Protezione Civile Regionale col presidente Chiamparino”, annuncia in un post su Facebook che gli serve per parlare della visita di oggi allo stabilimento Fiat di Cassino, a caccia del voto operaio con di fianco Sergio Marchionne.

Ma la visita a Torino non si conclude con la tappa alla Protezione civile. Anzi, questo è il fuori-programma dettato dal maltempo. A metà mattinata Renzi parteciperà all’inaugurazione dell’Anno accademico degli Istituti di formazione dell’Esercito (evento già previsto quando in agenda c’era solo il Lingotto di stasera). Proprio come ha fatto giorni fa a Roma, garantendo una irrituale presenza di premier all’inaugurazione dell’anno accademico della scuola della Guardia di finanza: di solito ci va solo il ministro dell’Economia.

Domani poi il giro al nord si conclude con Milano: ore 14, firma del Patto per la Lombardia con il governatore leghista Roberto Maroni. Tappa che per Renzi è un mega-spot in casa del No.

Il premier-segretario si è ormai buttato a capofitto in una campagna referendaria maniacale nella cura dei dettagli. Via le iniziative che possono risultare inopportune, anche se elettorali. Anzi proprio perché elettorali, come quella prevista stasera a Torino. Confermate invece quelle che servono a valorizzare la funzione di ‘premier che fa’ a dispetto di chi pensa solo a “lamentarsi, dire che va tutto male, criticare soltanto”, come scrive Renzi su Facebook.

I panni di segretario del Pd e quelli di presidente del Consiglio, indossati o dismessi a seconda dell’occasione, garantiscono un giochetto che continua a guardare fisso al 4 dicembre. Puntato nella stessa direzione di tutti gli altri riflettori mediatici anche internazionali. Anche quello dell’Economist, per dire, che oggi si schiera con il no e benedice un governo tecnico in caso di sconfitta di Renzi. Il premier lo valuta come un aiuto: si dimostra che le elite finanziarie non stanno con il sì, spiegano i suoi. Manca poco più di una settimana al giorno della verità.
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Referendum, corpo a corpo di Renzi contro “l’accozzaglia”. E sulle critiche di Napolitano tira dritto

A dodici giorni dalla fatidica ora X del 4 dicembre Matteo Renzi, come in una mano di poker, cala sul tavolo l’all in: “Non sarò della partita nel caso in cui le cose vadano male, dico no agli inciuci”. Piatto. Torna cioè la grande politicizzazione del referendum, come quando disse, “se perdo lascio la politica”, frase che aveva fatto sobbalzare i fautori del sì mite alla Giorgio Napolitano, o pezzi di renzismo di governo. E li fa sobbalzare ancora.

Proprio tra il premier e il presidente emerito la diversità di approccio è totale. Sentite Napolitano, ospite di Porta a Porta: “È diventata una sfida aberrante. Non votiamo al referendum per giudicare Matteo Renzi, per quello ci sono le elezioni politiche. Si vota quello che è scritto nella legge. Si vota su quello, non sulle motivazioni di Renzi”. Il premier aveva appena finito di spiegare, e così farà nei prossimi giorni, che il destino del governo è invece appeso al referendum: “Se volete una classe politica aggrappata alla poltrona e che non cambi mai prendetela, perché io non sto cosi. Io sto qui se posso cambiare le cose. Non sto qui aggrappato al mantenimento di una carriera. Non ho niente da aggiungere al curriculum vitae”. (Leggi qui il disappunto di Napolitano sulla linea plebiscitaria di Renzi).

L’opposto, appunto, del confronto oggettivo e di merito, invocato da Napolitano, critico anche sul grillismo di una campagna tutta giocata sui costi della politica. Personalizzazione, politicizzazione, l’ora e mezzo di #Matteorisponde su facebook diventa un corpo a corpo contro “l’accozzaglia”. Sarà il mantra degli ultimi giorni, fino al gran finale, per cui ha già dato l’ordine di riempire una piazza nella sua Firenze. Un’impostazione che riflette, innanzitutto, l’indole. E che rottama tutti consigli. Sia quelli di Napolitano, fautore di un confronto nel merito sia quelli di Farinetti, che suggeriva di essere più simpatici. Né pacatezza né simpatia: il premier è convinto che solo il corpo a corpo sposti gli indecisi: “A questo punto – spiega uno dei suoi – chi si doveva fare un’idea di merito, se l’è già fatta. Gli informati sono informati. Ora si mobilita sul messaggio ‘meglio io degli altri”.

Ecco una raffica di attacchi, battute ad effetto, contro la cosiddetta “accozzaglia” e i suoi protagonisti: “l vero pasticcio rischiano di farlo loro il giorno dopo”, “stanno cercando dio fregarvi sulla riforma, ci raccontano balle, sentiamo il rumore di unghie che si aggrappano agli specchi”. I bersagli preferiti sono “D’Alema, De Mita, Monti, Brunetta, Grillo” che “pensano che con questo voto si possa tornare a un sistema con cui si fanno inciuci in Parlamento”. L’Innominato è Silvio Berlusconi, il cui faccione non a caso non compariva nella famosa foto dell’accozzaglia. Perché è chiaro che il premier punta al voto di Forza Italia e quel voto si conquista evocando parole d’ordine berlusconiane o rendendo plastico, nei confronti tv, che i nemici del sì sono gli stessi nemici di Berlusconi, da Travaglio a Landini. Ed è chiaro anche che, dal mondo berlusconiano, non arrivano segnali di particolare ostilità (leggi qui), dal no “tiepido” del Cavaliere alla riforma, fino al sostegno delle reti Mediaset.

Scamiciato, nel suo studio di palazzo Chigi dove sono tornate le bandiere europee, linguaggio che non ha nulla di istituzionale, il premier piccona i Cinque stelle, da Beppe Grillo a Rocco Casalino: “Casalino mi sta simpatico, non lo conosco personalmente e io al Grande fratello ero più per Taricone, ma Casalino è passato dalla casa del ‘Grande fratello’ alla casa del grande Senato”. Parla di poltrone, di Casta, in un evidente tentativo di rivolgersi all’elettorato pentastellato minando la credibilità dei suoi dirigenti: “Dico agli elettori M5s: volete continuare a pagare i fondi del Senato perché quelli della comunicazione abbiano i rimborsi delle bollette? Amici come prima, ma poi non vi lamentate della casta”.

“Il treno non ripassa”, “tornano instabilità e galleggiamento”, “col sì stessa assistenza sanitaria per tutti”, “quando votate pensate ai vostri figli”. Palazzo Chigi è più il super comitato del sì che la regia del governo. E sarà così, fino alla fine, a colpi di 5 iniziative al giorno, trasmissioni, tg. Nei momenti di pausa, dal cellulare del premier parte anche il training autogeno ai suoi: “Vinciamo noi, sono sicuro” è l’sms mandato a parecchi in questi giorni.

Insomma, all inn. Con una differenza rispetto all’inizio. E cioè che il premier non ha alcuna intenzione di lasciare la politica. Anzi, questa mobilitazione, in caso di sconfitta, ha già dentro la strategia per il dopo: “Prende il 49, il 48? – prosegue il fedelissimo – Bene, quello è tutto suo, mentre l’ammucchiata sta nel 51. A quel punto dirà: lascio palazzo Chigi e voglio vedere cosa riuscite a fare, mentre girerà il paese da capo del Pd scagliandosi contro i nemici del cambiamento”. Lo schema è tre mesi di governo per la legge elettorale e nuovo all inn. Almeno questo è quel che spifferano a 12 giorni dal voto, forse anche per esorcizzare la paura che, mai come in questo caso, la sconfitta avrebbe un solo padre. E alla mano successiva, inevitabilmente, ci sarebbero meno fish da puntare.
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L’Ue congela il giudizio sulla legge di biliancio: ecco perché la scelta conviene sia a Bruxelles che a Renzi

Tutto rimandato a dopo il referendum costituzionale. Se Matteo Renzi sarà ancora premier con in tasca la vittoria del sì, Bruxelles sarà ancora lì ad aspettarlo al varco. La parola d’ordine per descrivere cosa è accaduto alla legge di bilancio italiana dopo l’esame della Commissione europea è: congelamento. Da una parte la Commissione promette di tenere in conto le spese italiane su sisma e migranti ma di volerle controllare a gennaio (Moscovici). Dall’altra inserisce l’Italia nell’elenco di quei paesi che al giudizio finale di gennaio potrebbero essere bocciati e annuncia anche un rapporto sul debito alto per Italia e Belgio (Dombrovskis). Una posizione che di fatto ora segna uno stand-by: e conviene a tutti i player in gioco.

Innanzitutto conviene a Renzi, che infatti oggi si mantiene alla larga dai commenti sul parere della commissione, sfruttando l’effetto ‘freezer – chiamiamolo così – per concentrarsi sulle ultime settimane di campagna elettorale a questo punto sempre più pronunciate nella critica a questa Ue, sempre più anti-establishment per debellare il fantasma Trump che si aggira anche intorno a Palazzo Chigi. Il premier però torna a usare la bandiera europea, eliminata dalle sue recenti conferenze stampa. Anzi, a Cinisi, tappa del tour elettorale in Sicilia, addirittura la accarezza: “Bisogna avere la forza di dire a questa bandiera europea, che noi amiamo, che l’Unione europea si deve ricordare di essere una comunità non solo quando deve prendere i nostri soldi ma anche quando c’è da dare”.

Nelle stesse ore a Bruxelles, i Dem bloccavano definitivamente per questo mese la discussione sul bilancio pluriennale europeo: se ne riparla a dicembre. E poco prima, ad Atene, Barack Obama dava il suo ultimo discorso presidenziale in Europa sulla democrazia e il no all’austerity come antidoto ai populismi: dietro di lui, la bandiera greca, quella europea e quella statunitense. Ma comunque, chiuso l’affare delle bandiere, che gli ha portato in casa solo tempesta e polemiche, Renzi è lanciato nella critica all’Ue. Un altro assaggio probabilmente lo darà a Berlino venerdì, dopo il vertice con Merkel, Obama, May, Hollande e Rajoy: un vertice che senza il sale della polemica renziana anti-europea rischia di essere la foto dei rottamati da Trump.

Ma il congelamento conviene anche alla stessa Commissione Ue. Fin dall’inizio di questa storia, a Palazzo Berlaymont ha prevalso lo sforzo di non mettere i bastoni tra le ruote a Renzi in vista di un referendum che, se dovesse vincere il no, suonerebbe come un’altra Brexit per tutta l’istituzione europea. Insomma, a Bruxelles hanno deciso di rimandare il giudizio definitivo: più per l’Ue che per Renzi. E infatti il congelamento serve anche ad un altro scopo: equivale a dei paletti piantati dalla squadra Juncker in caso di vittoria del sì. Come dire: un modo per condizionare Renzi. A Bruxelles infatti sono consapevoli che, qualora il premier italiano uscisse vittorioso dal voto del 4 dicembre, dedicherebbe tutto l’anno prossimo (che coinciderà con la campagna per le politiche del 2018 o magari anticipate ad hoc) a picconare quello che rimane dell’austerity Ue, dal Fiscal Compact a tutto il patto di stabilità.

Ecco perché la Commissione oggi ci ha tenuto a mettere l’Italia insieme a Belgio, Cipro, Lituania, Slovenia, Finlandia: una ‘buona’ compagnia di paesi guardati a vista come a rischio, potrebbero “non rispettare il Patto di stabilità”, stabilisce il commissario Valdis Dombrovskis. In altre parole: potrebbero essere “non conformi” per debito e deficit alti (‘risk of non compliance’). D’altronde, solo 5 paesi dell’eurozona rispettano i requisiti del Patto: Germania, Estonia, Lussemburgo, Slovacchia e Olanda. Le loro leggi di bilancio sono risultate conformi agli obblighi comunitari, mentre Irlanda, Lettonia, Malta e Austria hanno presentato testi giudicati ‘sostanzialmente’ conformi ma potrebbero in una certa misura deviare dal percorso di avvicinamento all’obiettivo di bilancio a medio termine.

Insomma, con l’Italia la partita è rimandata. Ma stavolta la Commissione Ue sceglie di avvertire anche la Germania con il suo surplus commerciale fuori dalle regole Ue. E lo fa nelle raccomandazioni sulla politica di bilancio per il 2017: chi ha i conti in regola deve spendere di più per aiutare la crescita, chi non ha i conti in regola deve metterli a posto. Non a caso a Roma si preferisce più commentare il documento di Palazzo Berlaymont che di fatto comincia ad appiccicare la parola ‘fine’ alle politiche di austerity, piuttosto che esultare per il congelamento del parere sulla manovra economica.

“Se la Ue sta togliendosi di mezzo l’austerità e ha introdotto la novità di chiedere ai paesi che hanno spazi di bilancio per spendere che lo facciano, si tratta di una grande vittoria dell’Europa e l’Italia rivendica di essere il primo Paese ad averlo messo sul tavolo”, dice il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan a Porta a Porta. “Accogliamo con soddisfazione il documento della Commissione europea sulla necessità di una politica economica espansiva a livello di eurozona. E’ una novità importante che dà ragione alle nostre battaglie”, dice Patrizia Toia, capodelegazione del Pd al Parlamento europeo.

Se ne riparla a dicembre. Ma di certo Renzi non smetterà di parlarne di qui al 4 dicembre.
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Matteo Renzi mette la veste anti-establishment. “Vogliamo cambiare Italia e Ue”. Trump? “Da presidente sarà diverso”

Interpretare il cambiamento. Questa la strada che ha portato Donald Trump alla Casa Bianca, questa la figura che Matteo Renzi prova a interpretare per vincere il referendum, dopo il quale l’Italia “tornerà protagonista nel mondo”, e per riformare l’Europa.

“Penso che Donald Trump abbia interpretato il cambiamento in maniera più radicale rispetto a Hillary Clinton – afferma Matteo Renzi a Che Tempo Che Fa, su Raitre – C’è l’ansia di cambiare, di poter entrare nel futuro, con tutte le inquietudini di un futuro che fa anche paura. Io comprendo che ci sia un bisogno di cambiare, ma mi domando chi rappresenti in Europa o in Italia questo cambiamento, chi sia davvero anti-establishment. Io da due anni sono al governo di questo paese. Sto cercando un passettino alla volta di cambiare le cose. Cosa chiedono i cittadini che andranno a votare? Secondo me chiedono di voltare pagina e questa riforma è un treno che ripassa tra 20 anni, se ripassa, abbiamo fatto una fatica pazzesca ad arrivare fino a qua”. L’uomo del cambiamento, come Renzi prova a descriversi, è anche quello che non accetta la palude: “Se si deve Stare nel pantano è bene che ci vada qualcun altro”. dice, “vengano altri, i professionisti del galleggiamento”. Una frase che lascia intendere che in caso di vittoria del No confermerà quanto detto mesi fa, che lascerà Palazzo Chigi.

Renzi è pronto a collaborare con Donald Trump, ma aspetta di capire come si comporterà alla Casa Bianca. “La vittoria di Trump non era attesa, ora è difficile capire che presidente sarà, ma io credo che il Trump presidente sarà diverso dal Trump candidato”. Si sono sentiti al telefono, “ci siamo salutati con un ciao alla fine. Sono molto ottimista sul fatto che Italia e Stati Uniti istituzionalmente continueranno a lavorare bene, anche se poi ognuno ha le sue opinioni e valutazioni”.

Trump resta però un caso a parte. “Vedo molti politici italiani che si sono specializzati in commenti elettorali. Vedo Salvini – prosegue Renzi – che sembra che abbia vinto lui. Gli ricordo che le ultime vittorie elettorali della Lega sono a Gallarate e Cascina, non in Michigan e Wisconsin. Non è che quello che accade negli Usa si traduce nella vittoria della Le Pen in Francia o di Grillo in Italia”. I sondaggi spesso sbagliano, “spero anche in Italia, visto quello che dicono sul referendum” chiosa il premier.

Renzi pronta a presentarsi come l’uomo del cambiamento dell’Italia, tramite le riforme costituzionali, e dell’Europa. Il referendum è un’occasione storica, dice, “io ho 41 anni e vedo la fatica che si fa a cambiare le cose. Da qui a 20 giorni gli italiani decidono il loro futuro”. Cambia “la semplicità di fare investimenti, la velocità di fare le leggi”. Dopo, “se superiamo l’ostacolo saremo protagonisti in Europa e nel mondo” assicura Renzi. La novità politica è il suo sostegno al documento del Pd sulla legge elettorale, per spazzare via lo spettro del combinato disposto dell’Italicum con la riforma costituzionale. “Ma questo referendum non è il congresso del Pd, chi vuole farlo deve aspettare il 5 dicembre. Speriamo che li facciano anche gli altri, invece di stare su un blog o di far decidere tutto a uno”.

La battaglia europea prosegue, Renzi torna a minacciare di porre il veto sul bilancio. “L’Europa che conosco io non mi impedisce di mettere a posto le scuole, la stabilità dei burocrati a Bruxelles è meno importante della stabilità dei nostri ragazzi nelle scuole. Se c’è bisogno si mette il veto e l’anno prossimo faranno fatica a chiuderlo senza di noi. Se vogliono fare dei muri, non li faranno con i nostri soldi. Il sogno europeo è la pace e abbattere i muri”.

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Leopolda perfetta ma non si dice: scontri in piazza e il sì di Cuperlo. Ma Renzi non affonda: “Il fronte del no non è tutto violento”

Quella del 2016 è la Leopolda perfetta ma non si dice. A un mese dal referendum del 4 dicembre, un fronte del comitato del no si scontra con la polizia a 2 km dalla vecchia stazione di Firenze. Nelle stesse ore Gianni Cuperlo firma la bozza di riforma dell’Italicum con i renziani: schiaffo per i bersaniani del no. Tutto porta acqua al mulino del premier, questo dicono le facce, anzi i sorrisini, che incroci qui alla Leopolda. Ma Matteo Renzi resta nel backstage, anche dopo gli scontri. Soprattutto su questo punto non vuole affondare. I suoi si guardano intorno soddisfatti: a dispetto delle aspettative la Leopolda è piena. “Dovessimo perdere 51 a 49 questo è un tesoro vero cui attingere”, dice un fedelissimo lasciando chiaramente intendere che Renzi ha un futuro politico anche se perde il referendum.

E’ Dario Nardella che informa Renzi di cosa è successo fuori da qui. Il sindaco arriva trafelato da Palazzo Vecchio dove è rimasto quasi tutto il pomeriggio per seguire gli sviluppi delle contestazioni in piazza, in filo diretto con la Questura. “Ci sono andato giù pesante contro questi…”, dice arrabbiato al portavoce del premier Filippo Sensi, che incrocia prima di arrivare all’area palco. Piccolo briefing con Renzi: la decisione di mandare lui, Nardella, sul palco a denunciare “la violenza” e “le minacce”. “Manifestare il dissenso è un diritto ma usare la violenza per avere visibilità è ignobile, inaccettabile”, urla il sindaco tra gli applausi. “Da questo luogo del no alla violenza, diciamo che va bene il confronto ma non va mai bene attaccare una città, minacciare le persone: non è accettabile in una città e in un paese democratico!”.

Ecco fatto. Nardella come Giuliano Pisapia il primo maggio 2015 a Milano, quando la città meneghina fu sconvolta dagli scontri di piazza il giorno dell’inaugurazione dell’Expo. Certo, a Firenze la dinamica è stata molto più leggera. Ma per voce del sindaco e amico del premier, la Leopolda urla il suo no alla violenza e mezza campagna elettorale è fatta. Anche se Renzi non perde la prudenza con cui sta affrontando questa attesa referendaria. Resta ‘democristiano’, attento a non pestare i piedi di nessuno per allargare il più possibile il fronte del sì. Non confonde i manifestanti di oggi con tutto il comitato del no. “Una cosa sono i violenti, qualche centinaio. Altra è chi vota no, un fronte largo, variegato”, dice ai suoi. “Il fronte del no non è tutto dei violenti”.

Insomma, Renzi non cade nella trappola. Evita gli scivoloni e cerca di tenere saldo un timone che fibrilla a un mese dal voto. Mentre la polizia carica il corteo non autorizzato che vorrebbe arrivare alla Leopolda, sul palco della vecchia stazione il ministro Boschi e il cerimoniere di questa Leopolda Matteo Richetti, con i costituzionalisti Ceccanti, Vassallo, Pinelli, Clementi, si impegnano a smontare pezzo per pezzo le “Bufale del no”. Sul maxischermo passano in successione Travaglio, D’Alema, Casarini, Di Battista, ognuno con un appunto sulla riforma. Viene preso e sbranato, soprattutto da una Boschi in versione più ‘aggressive’.

Ma non ci sono domande libere dal pubblico. Tranne qualche tweet che viene richiamato e liquidato in poche parole. La regìa non lascia nulla al caso. La lezione sulla riforma, il ‘fact-checking’, come lo chiama Renzi si svolge senza scossoni, tra qualche fischio a D’Alema e pochi applausi. La sala si scatena con Nardella. E, dopo, con Pietro Bartolo, il medico che ogni giorno salva vite a Lampedusa: per lui anche Renzi torna sul palco e lo abbraccia davanti a fotografi e telecamere.

Oltre a Nardella, degli “sciamannati in piazza” parla Teresa Bellanova, viceministro allo Sviluppo economico, ex sindacalista, ex diessina, scatenata contro i bersaniani, D’Alema e i Dem del no. Parla a ruota libera tanto che le viene fuori vivido l’accento pugliese: “Hanno avuto responsabilità di governo superiori alle mie: perché non hanno fatto le riforme? Hanno avuto 30 anni di tempo, perché non lo hanno fatto?”. La platea si scalda anche per lei. Come ha fatto all’inizio del pomeriggio con Brunello Cucinelli, l’imprenditore del cachemire che vuole aiutare la ricostruzione di Norcia post-terremoto.

Gli scontri in piazza potrebbero tornare il 27 novembre, in una giornata di mobilitazione stavolta nazionale del fronte del no a Roma. A una sola settimana dal voto. Renzi e i suoi parlano di preoccupazione e amarezza. Ma contano sul fatto che tutto questo non nuoce alla campagna del sì.

“Vinceremo, ma se dovessimo perdere 51 a 49, questo è un tesoro vero cui attingere”, dice un renzianissimo guardando la Leopolda piena di gente. “Ieri non pensavamo di vedere così tanta gente ed eravamo preoccupati. Ora si può dire che questo è uno zoccolo duro su cui si può fare affidamento”. E’ lo zoccolo duro del renzismo, qui non ci sono altri modi di essere Pd. “Al contrario, se gli altri vincono, che se ne fanno di quel 51 o 52 per cento?”. Nella Leopolda, Renzi intravede un’altra vita politica anche se dovesse perdere. Domattina gli toccherà chiudere questa edizione: l’ultima prima del diluvio del 4 dicembre.
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Leopolda 2016 al via, Matteo Renzi da Bella ciao di piazza del Popolo al ritorno a casa per il referendum

Da ‘Bella ciao’ ai ‘Young the giant’, a ‘Imani’. Dalle tarantelle al rock degli adolescenti. Via le bandiere del Pd, manco a dirlo. In giro vedi solo cartelli giganti ‘E adesso il futuro, Leopolda 7’. Solo una settimana fa Matteo Renzi era in piazza del Popolo a cantare ‘O sole mio’ sul palco, di fronte ad una platea di militanti Dem, alla ricerca della sinistra da convincere per il referendum. Oggi è alla vecchia stazione di Firenze, seduto in prima fila, di fianco alla moglie Agnese, a gustarsi l’intervento dell’amico recuperato Matteo Richetti. Si apre ufficialmente la Leopolda 2016, la terza di governo. ‘#Cambiaverso’ in una sola settimana. Con la piazza di sabato scorso a Roma un unico tratto in comune: ‘Basta un sì’.

“Quando si torna alla Leopolda è come tornare a casa…”. Qui Renzi è sul palco a duettare con Richetti. Sono le 22.23, il premier non resiste alla tentazione del saluto. Che diventa la presentazione della scaletta dei tre giorni. Domani il clou nel pomeriggio, con “Maria Elena sulla riforma. L’obiettivo è disintegrare la riforma: dovete tirar fuori tutti i dubbi… Un fact checking”. Domenica poi “mi tolgo i sassolini dalle scarpe” contro quelli del no, per esempio “Salvini che ha la stessa idea di Monti…”. “Se vi va bene, ok. Sennò noi siamo per la deriva autoritaria e lo facciamo lo stesso”.

Le gag con Richetti giocano sempre sul filo dell’intesa ritrovata dopo oltre un anno di gelo. La Leopolda onore la città natale e “la fiction dei Medici” che la celebra. Non a caso Renzi la cita. “Domani Nardella farà da guida ai primi 100 che si registrano su Facebook”, è un modo per tirar dentro anche il sindaco. Tutto serve per il referendum.

All’ingresso della vecchia stazione di Firenze sono scomparsi i soliti gadget leopoldini. Ci sono solo magliette, tazze, penne e libri dedicati al referendum: ‘Basta un sì’. Ma è l’unico angolo dedicato esplicitamente alla consultazione del 4 dicembre, esattamente tra un mese. In questo la Leopolda è diversa anche dalla Festa del Pd di Catania, costellata di ‘Basta un sì’ in ogni dove. Ma è una Leopolda elettorale, connessa con la diversissima piazza di sabato scorso nella capitale. Lì Renzi cercava la sinista, qui cerca di ritrovare i suoi. Con l’ansia che magari non siano poi tutti.

Per la prima serata la stazione si riempie. Ma dall’organizzazione non nascondono una certa preoccupazione per la giornata di domani. Rispetto all’edizione dell’anno scorso sono tornati i tavoli tematici. Ci saranno anche i ministri del Pd ad animarli, ognuno sui propri temi di competenza, dal ministro Boschi – unico rappresentante di governo che parlerà anche sul palco – alla Pinotti, al ministro Padoan. Ma chi ha organizzato il tutto non nasconde che l’idea dei tavoli – grandi tavoli tondi con una decina di sedie ciascuno – è tornata per ovviare all’eventualità di una scarsa partecipazione. La terza Leopolda di governo fa paura, soprattutto sotto referendum.

Pochissimi i parlamentari presenti. Ci sono i renzianissimi della prima ora, David Ermini, Simona Bonafè, Ernesto Carbone, c’è Simona Malpezzi e pochi altri. Sono impegnati nei propri collegi elettorali nelle iniziative per il sì. C’è però la governatrice dell’Umbria Catiuscia Marini: “Sono qui per la mia gente…”. Perché questa è una Leopolda che sta a metà strada tra il terremoto nell’Italia centrale e le celebrazioni per i 50 anni dell’alluvione di Firenze, cui oggi ha partecipato anche il presidente della Repubblica Sergio Mattarella. E c’è pure l’ex sindaco de L’Aquila all’epoca del sisma del 2009, Stefania Pezzopane, senatrice Pd, a spiegare che questo non è il governo Berlusconi “interessato solo a inaugurare le case il giorno del compleanno del presidente…”.

Renzi cerca il pubblico largo, oltre il Pd, come al solito alla Leopolda. Ma dentro di sé spera che domani anche Gianni Cuperlo firmi la bozza di modifica dell’Italicum elaborata dalla commissione Dem. I suoi da Roma gli hanno assicurato che andrà così. E sarà uno schiaffo per la minoranza del no, riunita oggi a Bari intorno al governatore pugliese Michele Emiliano.

Quella del 2016 è la Leopolda della scommessa finale. Da Norcia a Lampedusa, dal terremoto ai migranti di cui domani parlerà Pietro Bartolo, il medico di Lampedusa. “C’è da ricostruire la chiesa di San Benedetto, patrono d’Europa, e anche un’Europa che continua a girarsi dall’altra parte quando si parla di immigrazione”, insiste Renzi.

Nei capannelli si parla del futuro: è l’ultima Leopolda? Chissà. “Il format sotto governo soffre un po’ – afferma un renzianissimo – ma alla fine Renzi non ci rinuncia. Sempre che vinca il referendum tra un mese…”. Se vince il no, è un altro mondo. E qui alla Leopolda si chiedono se i parlamentari assenti starebbero ancora dalla parte del segretario del Pd.
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Matteo Renzi alla camera ardente di Tina Anselmi a Castelfranco Veneto per rendere omaggio alla prima donna ministro

Il presidente del Consiglio, Matteo Renzi, si è recato a Castelfranco Veneto per rendere omaggio a Tina Anselmi, la prima donna ministro della Repubblica italiana scomparsa nella notte tra il 31 ottobre e il primo novembre all’età di 89 anni. Il premier, accompagnato dal sindaco di Castelfranco, Stefano Marcon, è entrato nella chiesetta del Cristo, di fianco al Duomo, dove è allestita la camera ardente. Il premier si è trattenuto una decina di minuti, incontrando le sorelle di Tina Anselmi, Maria e Gianna. Il presidente del Consiglio, accompagnato dal prefetto di Treviso, Laura Lega, è entrato poi per una breve visita nel vicino Duomo di Castelfranco, dove è custodita la celebra pala di Giorgione.

Renzi ha affidato a un tweet il suo ricordo su Tina Anselmi.

Il Comune ha proclamato il lutto cittadino per domani, giorno del funerale, che sarà celebrato dal vescovo di Treviso, Gianfranco Agostino Gardin alle 15.30 in Duomo. Le bandiere saranno esposte a mezz’asta sugli edifici pubblici, e alle 15, mezz’ora prima della cerimonia, saranno emessi una serie di rintocchi della campana della torre civica. Alle 12, invece, ci sarà un minuto di raccoglimento all’interno degli uffici pubblici. È stato sospeso ogni spettacolo e dalle 8 alle 18 sarà vietato il transito all’interno delle mura del castello.


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Matteo Renzi con Agnese in visita privata a Preci tra preghiera e ricostruzione, sulle orme della Regola benedettina

È il tempo della preghiera e arriverà quello della ricostruzione. Matteo Renzi segue la Messa di Ognissanti insieme alla comunità di Preci, colpita duramente dal terremoto, poi si ferma con loro per parlare, rassicurare, promettere impegno e lavoro per la ricostruzione.

Lui e la moglie Agnese arrivano all’ora della Messa. Una visita privata. A Preci, in Umbria, dove tutto il centro storico è stato evacuato, gli anziani e le donne dormono in una palestra, gli altri nelle proprie macchine. Al momento della comunione il premier e la moglie si mettono in fila per ricevere l’ostia, dietro di loro ci sono gli abitanti del paese che poi andranno a salutare e ad abbracciare uno per uno. La Messa, nel giorno di Ognissanti, è all’aperto nel giardino davanti la Chiesa, la cui facciata è stata lesionata dal sisma, e viene officiata dal vescovo di Spoleto-Norcia Renato Boccardo, il sacerdote che ha celebrato il matrimonio del premier e della moglie Agnese. A lanciare un messaggio al premier ci pensa il parroco di Preci, don Luciano Avenati: “Lasciateci restare qui. State tranquilli, siamo capaci di rimanere, almeno per un po’ per dire che qui la vita c’è. Se andiamo via tutti invece la vita muore”.

Il premier, al termine della Messa, va incontro alle persone, strette di mani, abbracci, parole di conforto, una partecipazione al dolore e alla sofferenza: “Sono qui per condividere insieme a mia moglie questi momenti”. Si avvicina il fornaio del paese, che gli dice: “Come faccio? Qui non abbiamo più pane. Né qui né in tutti gli altri paesi vicini”. E Renzi risponde: “Faremo qualcosa per accelerare”. Il messaggio in mezzo agli sfollati è: “Pezzo per pezzo ricostruiamo tutto. Un pezzo alla volta”. La preoccupazione è per un lavoro enorme, una sfida difficile, che richiederà “tanto tempo”. E ancora: “Non promettiamo miracoli, sono qui per dire che non sarà facile, ma ce la faremo”. Una donna in lacrime comincia a supplicare: “Non trattate male le nostre pecore, vi prego”. Il premier va ripetendo: “Coraggio, coraggio”. Tutto il paese spera e cerca conforto: “Premier, noi ci fidiamo di lei. Non molliamo”. E un’altra: “Mia mamma ha 102 anni e non è potuta venire a salutarla”. “C’è una signora di 102 anni?”, chiede Renzi: “Andiamo a salutarla, dov’è? Voglio salutarla”. E si infila nella palestra divenuta dormitorio.

Qui ci sono molte donne anziane. Agnese stringe le mani, chiacchiera con loro, Renzi poco più in là abbraccia un signore che scoppia a piangere, come molti qui a Preci, ma anche a Norcia e in tutti i paesi colpiti, quando pensano alle loro a case e al loro lavoro che non c’è più: “Vedere le bestie così mi fa male”. “Il problema dell’agroalimentare è fondamentale – riconosce Renzi – faremo delle strutture ad hoc e con i container tutti voi potrete restare nei vostri paesi. Chi arriva e promette miracoli fa danni, io dico che insieme ce la faremo”. Le signore anziane raccontano ad Agnese Renzi quanta paura hanno avuto, lei si avvicina e le abbraccia. “Aiutateci, non mandateci via, dove andiamo?”. Nella palestra c’è anche Asia, una ragazza incinta al nono mese: “Che ci ha detto Renzi? Ha detto che farà qualcosa”.

In molti queste rassicurazioni infondono speranza, per altri prevale la diffidenza, se non la rassegnazione: “Non abbiamo soluzioni, dobbiamo sperare che sia come dice. Se ha detto che a Natale arrivano i container è così”. Angelo Tranquillo racconta di aver chiesto a Renzi una burocrazia più veloce: “Ho un’azienda e con questo terremoto ho avuto un danno enorme. Mi sono morte due mila piccole trote, una frana ha chiuso un fiume e mi sono rimaste le trote senza acqua. In gran parte sono morte. Non so che fare”. Rossana non vuole dire il suo cognome, ma spiega: “Non voglio far sapere come mi chiamo perché poi pensano che voglio farmi pubblicità, non pensano che è una tragedia. Se andiamo via da qui finisce il paese, io non sono di qui ma lavoro a Preci in un albergo che è stato chiuso”. E ancora: “Questo paese mi ha dato lavoro, non posso tornare ad Andria. Spero che sia come dice Renzi, spero che arriveranno i container ma non ci credo, tutte parole, e poi?”.

Un gruppetto di persone intanto si organizza per ordinare delle casette: “Le nostre case sono nel centro storico e probabilmente saranno agibili, ma noi non vogliamo tornarci”. Arriva un’altra scossa, l’ennesima della giornata. “Vedete, non possiamo vivere ogni giorno così, in casa non si può stare. Prima devono sistemare tutto”. Adriano aggiunge: “Non dico che è facile, ma Renzi è lo Stato ed è lo Stato che decide cosa fare”. Il premier e la moglie vanno via lasciando a Preci angoscia e speranza.

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