Pirogassificatore Kme, la giunta regionale ha deciso di indire l’inchiesta pubblica

FIRENZE – Sul progetto di pirogassificatore della Kme in Garfagnana la giunta regionale ha deciso di indire un’inchiesta pubblica, la cui relazione finale sarà consegnata agli uffici preposti alla Via, la valutazione di impatto ambientale, avviata a gennaio e al momento sospesa per la necessità di acquisire ulteriore documentazione. Il percorso è stato approvato dalla giunta nel corso dell’ultima seduta di agosto.

“La giunta regionale ha deciso di favorire la massima partecipazione al procedimento – chiarisce l’assessore all’ambiente Federica Fratoni -, al fine di fugare qualsiasi dubbio sulla correttezza del percorso e sugli impatti ambientali del progetto. Le ragioni dell’ambiente, dello sviluppo e del lavoro possono e devono trovare un punto di equilibrio avanzato, per il quale la Regione sta lavorando. All’azienda – fa sapere l’assessore – abbiamo posto una condizione ambiziosa ma necessaria, ovvero che il quadro emissivo e il bilancio ambientale conseguenti alla realizzazione dell’impianto siano migliorativi rispetto alla situazione attuale. Invito quindi il comitato – conclude Fratoni – ad abbandonare posizioni preconcette e a partecipare a un percorso positivo e propositivo”.

L’inchiesta sarà condotta da un comitato composto da un presidente, indicato dall’autorità competente per la Via, e due commissari, nominati dal presidente stesso. Tre almeno saranno le audizioni previste, tutte aperte al pubblico. Nel corso dei lavori saranno esaminati il progetto e lo studio di impatto ambientale, nonché l’eventuale documentazione integrativa.

La Kme ha proposto la realizzazione di un nuovo gassificatore di rifiuti speciali non pericolosi, principalmente provenienti dal distretto della carta lucchese, per fornire energia elettrica allo stabilimento metallurgico e consentirne così il rilancio che consisterebbe nella riconversione dalla fusione termica alla fusione elettrica del rame e delle sue leghe, con la sostituzione degli attuali forni. Il progetto interessa i comuni di Barga e Gallicano.

 

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Raggi fa arrabbiare i Movimenti per l’acqua pubblica. Sgomberata la sede del Comitato: “Affossa una delle cinque stelle”

“La sindaca Raggi affossa una delle 5 stelle, quella dell’acqua pubblica”. È l’accusa del Forum dei Movimenti protagonista della campagna referendaria del 2011 e che da anni lotta per la ripubblicizzazione del servizio idrico in tutta Italia.

La stella dell’acqua pubblica “cade” a Roma stamattina, quando i vigili inviati dal dipartimento patrimonio del comune fanno capolino al Rialto, lo spazio occupato in via Sant’Ambrogio. L’edificio ospita anche la sede romana del Comitato Acqua Pubblica e il Forum ambientalista, e viene sgomberato, spiegano dal Forum, “impedendo l’accesso a tutti coloro che da anni quotidianamente fanno vivere uno spazio altrimenti abbandonato”.

Ed è subito polemica, visto che l’acqua pubblica è uno dei significati delle cinque stelle del Movimento di Beppe Grillo, insieme a mobilità sostenibile, sviluppo, connettività e ambiente.

“Gli uffici stanno agendo sull’onda di vecchie determine dirigenziali”, spiega Simona Savini, attivista del comitato romano per l’acqua pubblica. “La nostra era del 2015”. Queste determine “riguardano gli spazi di Roma che si trovano in una situazione simile alla nostra: magari non hanno avuto una concessione, o l’hanno avuta e non è mai stata finalizzata. Una storia che parte da lontano, dalle giunte precedenti”.

L’accusa, però, da parte di alcuni è anche per questa amministrazione: perché i cinque stelle si dicono contro gli sgomberi, ma a Roma negli ultimi mesi gli sgomberi non sono mancati. Perchè l’acqua pubblica è un pilastro del programma grillino, ma la sede degli attivisti viene sgomberata. “È qui che si è fatta la storia del movimento dell’acqua che ha portato alla vittoria del referendum del 2011”, si legge in una nota del Forum dei movimenti per l’acqua pubblica. Vittoria “spesso rivendicata dalla stessa giunta Raggi e dal Movimento 5 stelle. Evidentemente la loro prima stella si è prosciugata”.

Eppure la giunta sottolinea che la sua volontà politica è ben altra. L’assessore al Bilancio e Patrimonio di Roma Capitale, Andrea Mazzillo, ha spiegato subito dopo lo sgombero, che domani verrà sottoposta all’approvazione della Giunta Capitolina una memoria con cui verrà dato mandato agli uffici di sospendere i provvedimenti di rilascio degli immobili dati in concessione per attività senza fine di lucro, “nelle more dell’approvazione del nuovo Regolamento sulle concessioni in discussione presso la competente commissione Patrimonio di Roma Capitale”.

L’assessore “ha ribadito che la sua volontà politica non è quella di sgomberare questi spazi”, conferma Simona Savini dal Forum dopo l’incontro avuto nel pomeriggio proprio con Mazzillo. “Noi, però, siamo stati sgomberati oggi e non rientriamo in questa memoria. Non solo: lo stesso assessore ci ha detto di non essere convinto dell’efficacia della memoria stessa. Non è convinto che gli uffici la riterranno sufficiente per annullare le determine dirigenziali già fatte e quindi per gli sgomberi già decisi dai dirigenti”.

Una situazione “kafkiana”, insomma, secondo gli attivisti per l’acqua pubblica, “in cui la politica agisce ma l’ultima parola ce l’hanno gli uffici amministrativi che agiscono su mandato della Corte dei conti. Per ammissione dell’assessore, sono l’amministrazione e la Corte dei Conti a governare Roma”, chiosa Simona Savini.

Sullo sgombero del Rialto, Mazzillo assicura poi che l’amministrazione si è anche attivata per individuare “una collocazione alternativa” in considerazione “dell’importante attività di interesse pubblico e sociale svolta in particolare sui temi dell’acqua pubblica e dell’ambiente”.

Nel 2011, quando oltre 26 milioni di italiani hanno detto no alla privatizzazione dell’acqua e dei servizi pubblici locali, la sindaca di Roma Virginia Raggi ha fatto campagna referendaria attiva per l’acqua pubblica. Ma oggi, dicono gli attivisti, il bilancio della sua amministrazione per Roma è di “immobilismo”. Acea, la multiutility che fornisce il servizio idrico e di cui Roma Capitale è azionista di maggioranza con il 51%, “sta agendo come meglio crede”, aggiunge Simona Savini. “È partita alla conquista dell’acqua del centro Italia, realizzando quel progetto renziano di privatizzazione del servizio idrico che eravamo riusciti a bloccare fino ad adesso. In assenza di atti politici concreti da parte della giunta”. Un esempio? “Ha acquisito la parte privata di Acqualatina, passando sopra alla volontà di intere comunità locali visto che i comuni – con sindaci anche M5S – avevano fatto una delibera per ripubblicizzare, senza che il socio di maggioranza, il Comune di Roma, compiesse degli atti concreti”. O “inconcreti”: “Nonostante le nostre richieste, la sindaca Raggi non ha mai fatto dichiarazioni pubbliche. Dicono che il rischio sarebbe quello di far ballare il titolo in borsa e di essere denunciati per aggiotaggio”.

Dal M5S non si sbottonano. Qualcuno sottolinea il tempismo “peculiare” e “inedito” della burocrazia. “Noi possiamo dare un indirizzo agli uffici amministrativi”, spiegano dal Campidoglio. “Ovviamente gli uffici competenti agiscono in base alla legge e alle norme di riferimento: Corte dei conti e procura potrebbero chiedere conto di eventuali danni erariali”, giacché le situazioni come quella della sede del Forum per l’acqua pubblica era “non formalizzata”. E su Acea? “È una società quotata in borsa. Presto ci sarà un indirizzo politico, visto che c’è un piano di riorganizzazione di tutte le partecipate”.

Dal Forum si dicono “arrabbiati”, ma non si sentono traditi. “Non ci eravamo sposati con nessuno. Forse sono gli elettori e i deputati Cinque Stelle a sentirsi traditi, visto che molti hanno votato il movimento di Grillo proprio per quella stella del loro simbolo”, conclude Simona Savini.
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Legge di Bilancio, arriva il fondo unico per 10mila assunzioni nella Pubblica Amministrazioni: si va dai tribunali ai musei

Un fondo unico per sbloccare il turnover nella Pubblica Amministrazione e tornare ad assumere laddove ce n’è bisogno: più di 10 mila posti in concorso oltre a quanto già previsto per la sanità: dal personale per smaltire l’arretrato nei tribunali ad architetti per tenere in piedi il patrimonio artistico italiano. La novità sarà inserita in manovra, con uno stanziamento intorno ai 350-400 milioni.

Una fetta della torta da 1,9 miliardi destinata al pubblico impiego, dove il rinnovo del contratto dovrebbe fare la parte da leone: inizialmente il budget per l’aumento degli stipendi era stato fissato in 900 milioni, ma sarebbe in corso il tentativo per superare la soglia del miliardo, anche in risposta alle richieste dei sindacati, per ora tutt’altro che soddisfatti. Il resto delle risorse sarebbe dedicato alle forze dell’ordine, per cui è in arrivo il riordino delle carriere.

Il nuovo fondo per le assunzioni nascerebbe senza vincoli, che legano tot posti a un settore, e in aggiunta a quanto previsto per il reclutamento e le stabilizzazioni nella sanità e nella scuola, che vengono trattate a parte con appositi stanziamenti. Solo tra medici e infermieri sono stati già sbloccati ingressi per 7mila. E ora, grazie alle nuove risorse, le amministrazioni sotto organico potranno sforare i limiti imposti dal turnover, fermo al 25% nella maggior parte degli uffici (con i risparmi di 4 uscite si guadagna un’entrata).

L’Sos che segnala l’emergenza occupazionale è già stato lanciato dal comparto della giustizia, con tribunali e cancellerie in cronico affanno. In lizza per attingere al fondo ci sarebbe anche il ministero dei beni culturali, a caccia di nuove leve (tra archeologi, storici dell’arte, architetti, bibliotecari) per rinforzare le dotazioni a disposizione di musei e altri siti. L’Inps, come più vuole rilanciato dal presidente Tito Boeri, vuole mettere dentro 900 nuove professionalità. E, lo ha annunciato lo stesso premier Matteo Renzi, di sicuro saranno accresciute le unità che compongono le forze dell’ordine, dai carabinieri ai vigili del fuoco.

I sindacati, è il caso della Uil, mettono l’accento su tutti i precari, circa “80mila” da sistemare, ma soprattutto tornano a battere i pugni per incrementare le risorse per il rinnovo dei contratti: “é evidente che una miliardata è insufficiente”, dice la leader della Cisl, Annamaria Furlan. “Non ci siamo proprio”, aveva spiegato in un’intervista al Corriere della Sera, Susanna Camusso. C’è la possibilità che il Governo riesca ad innalzare la cifra inizialmente circolata (900 milioni per il triennio 2016-2018). Tuttavia c’è già chi sottolinea che non basterebbe: “una cifra di 1,2 miliardi di euro resta inaccettabile, visto che si tratterebbe di 35 euro lordi”, mette le mani avanti la Confsal Unsa. Il pressing per strappare un budget maggiore è destinato ad andare avanti nei prossimi giorni, in attesa di una convocazione da parte della ministra della P.a, Marianna Madia, quando entreranno in ballo anche le regole attraverso cui procedere al rinnovo, a cominciare dalla legge Brunetta.
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Virginia Raggi pubblica un video in diretta su Facebook dal ritiro della giunta: “I giornalisti pagherebbero per averlo”. Poi lo cancella

“Questo è quello che i giornalisti hanno chiamato conclave. Immagino che pagherebbero oro per avere queste immagini che noi facciamo vedere a voi”. Lo dice Virginia Raggi, sindaca di Roma, in un video girato con un telefonino dal raduno nei pressi di Anguillara e postato su Facebook. Nel video viene inquadrata la sua maggioranza e la sua giunta festosa in agriturismo. Raggi mostra la sua squadra che applaude e urla in coro “Virginia, Virginia”, ma le immagini sono sfocate. Motivo per cui, spiegano dall’entourage della sindaca, il video è stato poi cancellato. Ma qualcuno lo ha salvato e le immagini girano già sul web.

“Questa non era organizzata”, commenta Raggi in riferimento ai cori e saluta divertita: “A domani”. Poi la sindaca guardando il cellulare ammette: “Non so spegnerlo. La sto già pubblicando, dovrei spegnere…siamo in diretta…- aggiunge rivolta ai suoi che ridono – la domanda è come si spegne!”.

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Il Nyt pubblica dichiarazione redditi di Donald Trump: potrebbe avere evaso le tasse per 18 anni. La replica: “Falso”

Il New York Times ha ottenuto e pubblicato la dichiarazione dei redditi di Donald Trump per il 1995 e dall’analisi dei documenti effettuata da esperti consultati dal giornale emerge che l’attuale candidato repubblicano per la presidenza degli Stati Uniti ha usufruito di una detrazione tale che potrebbe poi avergli concesso, in maniera legale, di non pagare le imposte federali sul reddito per 18 anni.

I documenti ottenuti dal New York Times non sono mai stati resi pubblici prima e mostrano che nella dichiarazione dei redditi per il 1995 di Donald Trump risulta una perdita pari a 916 milioni di dollari e una deduzione fiscale di quella entità – si spiega – potrebbe appunto avergli consentito di godere legalmente dello ‘sconto’ sulle imposte federali per quasi due decenni successivi. Sebbene infatti il reddito di Trump soggetto a tassazione per gli anni successivi resti sconosciuto, dichiarare una tale perdita per quell’anno potrebbe averlo messo nelle condizioni di ‘cancellare’ oltre 50 milioni di dollari all’anno di reddito imponibile per oltre 18 anni. Gli esperti fiscalisti interpellati dal New York Times sottolineano come alcune regole fiscali particolarmente vantaggiose per i più facoltosi possono aver consentito a Trump di utilizzare la perdita dichiarata per cancellare una somma equivalente di reddito imponibile in un periodo di 18 anni. Una “indennità fiscale straordinaria”, nota il giornale, “che Trump ha tratto dallo sfascio finanziario che si lascio’ alle spalle all’inizio degli anni attraverso la cattiva gestione di tre casino’ ad Atlantic City, la sventurata incursione nel settore delle compagnie aeree e l’intempestivo acquisto del Plaza Hotel a Manhattan”. Trump ha declinato di commentare sui documenti, riferisce ancora il New York Times, ma il suo staff ha diffuso una nota che non contesta né conferma la somma indicata di 916 milioni di dollari.

LA REPLICA – “L’unica notizia qui è che un documento fiscale di oltre vent’anni fa è stato ottenuto illegalmente, un’ulteriore dimostrazione che il New York Times, come i media dell’establishment in generale, è un’estensione della campagna per Clinton, del Partito Democratico e dei loro speciali interessi globali”. E’ la replica, attraverso una nota diffusa dallo staff per la campagna elettorale di Donald Trump, alla pubblicazione da parte del New York Times di una dichiarazione dei redditi del tycoon risalente al 1995 e mai diffusa prima. Il candidato repubblicano per la presidenza degli Usa non ha infatti fino ad ora risposto alle richieste di pubblicare le sue dichiarazioni dei redditi. “Mr Trump è un uomo d’affari molto abile – si legge ancora nel comunicato – che ha la responsabilità verso i suoi affari, la sua famiglia e i suoi dipendenti di non pagare più tasse di quanto sia legalmente richiesto. Detto questo Mr Trump ha pagato centinaia di milioni di dollari in tasse”.

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