Ribadire che la volontà di cambiare la legge elettorale “è reale” ma “senza forzature” e, soprattutto, non da soli. E, dunque, non prima di aver consultato maggioranza e opposizione. Insomma, non prima del referendum. È questa la linea Maginot di Matteo Renzi che nella Direzione del Partito Democratico in programma lunedì pomeriggio proverà a tener fede alla linea aperturista degli ultimi tempi senza, però, concedere ulteriori spazi di mediazione alla minoranza. Anche perché la convinzione è che l’obiettivo sia un altro: attaccare lui.
La rottura sul referendum sembra ormai giunta a un punto di non ritorno e il premier avrebbe letto con molta irritazione le interviste con cui Pier Luigi Bersani e Roberto Speranza annunciavano il loro No al ddl Boschi poche ore prima che il partito si riunisse a via del Nazareno proprio per discutere delle modifiche all’Italicum che da mesi invocano. “Tempo scaduto”, “solo chiacchiere”, dicono i due esponenti dell’opposizione interna.
Il premier – raccontano – sarebbe stato colto di sorpresa soprattutto dal tono tranchant di Bersani anche perché, spiegano, le colombe erano al lavoro da giorni perché domani si arrivasse a un documento comune. Una freddezza, quella del segretario, che emerge durante l’intervista a L’Arena su Rai1. Renzi decide di non cogliere l’occasione del salotto televisivo per lanciare un segnale di apertura e, anzi, commenta caustico l’uscita dell’ex segretario dem. “Io dico soltanto una cosa, Bersani – è la sua risposta – ha votato Sì tre volte alla Camera. Se poi cambia opinione per il referendum, ciascuno si farà una sua valutazione sul perché. Questa riforma non l’ho scritta io di nascosto a Rignano sull’Arno al mio pc”. La linea – insomma – è quella di dimostrare che l’incoerenza sta negli altri e, di conseguenza, anche le ragioni della rottura. D’altra parte – aggiunge – è “un anno e mezzo che mi danno contro”. Sebbene ribadisca che personalizzare l’appuntamento sia stato un errore, il presidente del Consiglio si dice anche convinto che in molti stanno orientando il loro voto per “antipatia” nei suoi confronti e questo – aggiunge – mostra “scarsa visione per il Paese”.
La proposta che dovrebbe essere messa sul piatto della discussione della Direzione è quella di affidare a una delegazione formata dai capigruppo Ettore Rosato e Luigi Zanda e da Lorenzo Guerini, un compito “esplorativo” nei confronti di tutte le altre forze politiche. “Bisogna costruire le condizioni per le modifiche, pensare che in sei settimane, mentre è in discussione la legge di bilancio, si chiuda questa partita sarebbe una forzatura”, spiega un renziano. Una mossa il cui effetto dovrebbe essere quello di “stanare” la minoranza, perché la convinzione è che il punto di approdo reale non sia la modifica della legge elettorale. La scelta di Pier Luigi Bersani di votare No al referendum sulla riforma costituzionale – dice esplicitamente il ministro dei Beni culturali, Enrico Franceschini – “penso sia motivata da altro”, “il tema vero è che nel Pd e fuori dal Pd si sta utilizzando il tema referendario per contrastare Renzi”.
Dalla minoranza, ovviamente, l’accusa è ribaltata: è il segretario – dicono – che continua a fare solo melina senza alcuna proposta concreta. La direzione di domani, spiega Roberto Speranza, “è l’ultima possibilità, però non per annunci generici: il governo e la sua maggioranza hanno prodotto il disastro dell’Italicum, ora senza una loro vera iniziativa ogni mossa e invito al Parlamento, è una perdita di tempo”. La richiesta è quella di mettere in discussione il doppio turno, esattamente la norma che finora Renzi ha difeso più strenuamente.
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