Paola Perego alle Iene: “Prima dicono sì e poi si scusano. Il programma era stato approvato”

“Mi sento messa in mezzo in una cosa molto più grande di me”. Sono le parole di Paola Perego, pronunciate nell’intervista concessa a Le Iene per rispondere alle accuse ricevute dopo la messa in onda della “lista delle donne dell’est”, lista che ha portato alla chiusura del programma “Parliamone sabato” trasmesso su Rai 1.

Accuse di ogni tipo sono state scagliate sulla conduttrice, accuse a cui lei non sa dare una risposta: “Sono disorientata, spaventata. Non riesco a capire bene cosa sia questa violenza contro di me”. La Perego dice di essere confusa, di non rendersi ancora conto di quello che le è accaduto, ma di una cosa è certa: “Sono spaventata. Vedo i giornali e mi sembra una cosa surreale, che non sta capitando a me. Non ho ancora metabolizzato. Non me lo merito, credo di essere una brava persona.”. Poi un pensiero a tutte le persone che, come lei, hanno perso il lavoro dopo la chiusura del programma: “Sto male per tutte quelle persone che, fidandosi di me, mi hanno seguita in questo programma. Ora resteranno senza lavoro e avranno problemi a pagare l’affitto”.

parliamone sabato

Ma per la conduttrice c’è sicuramente altro: “C’è qualcosa di molto più grande. C’è gente che ha bestemmiato, hanno intervistato il figlio di Totò Riina facendogli l’altarino, abbiamo visto in televisione qualunque cosa”. Per la Perego il suo “era un gioco”. “È scoppiata la bomba – prosegue – ma la bomba non c’è. Hanno usato me come potevano usare forse qualcun altro. Forse è scomodo mio marito”. “Hanno chiuso il programma – spiega – e credo che rescinderanno anche il mio contratto, ma questo non è un problema, cioè io non sono quella persona che stanno descrivendo e chi mi conosce lo sa”.

Ma più che la rescissione del contratto, ciò che più ferisce la sensibilità della conduttrice è un’altra, come spiega nell’intervista a Le Iene, l’essere passata per una sessista insensibile: “Sì, perché non lo sono. Poi non posso stare qui a elencare i miei pregi o le cose che io ho fatto, ho anche otto mila miliardi di difetti, però io non sono quella persona che oggi è descritta sui giornali”. “Sì, può essere stata una pagina brutta, ma è incredibile perché dal niente è partita un’eco mostruosa su una cosa che non c’è, non esiste. È devastante. Non verrà mai fatta chiarezza. Gli argomenti in Rai vengono approvati prima di essere messi in onda dal capostruttura, dal direttore di rete. Mi hanno approvato questo argomento e mi hanno cassato il femminicidio perché non volevano che ne parlassimo perché non era con la linea editoriale”.

Un’accusa “pesante” come sottolinea la Iena, ma la Perego ribatte. “Prima l’approvano e poi si scusano. Ma di cosa? Ma di che stiamo parlando? Loro si sono dissociati da una cosa che avevano approvato e adesso fanno la figura di quelli che stanno salvando l’Italia da questo “mostro” che è sessista, che porta in televisione queste cose”. Poi sulla lista precisa: “Ha fatto casino perché è l’unica cosa che hanno visto, non hanno visto tutto il resto”. La conduttrice sostiene che il “programma andava visto, bisognava seguire la discussione e cogliere il lato ironico della cosa”. “Forse però – afferma – mi è venuta male perché non sono tanto ironica io”.

Poi ammette che quanto accaduto è “una pagina mediocre come tante altre” della televisione: “Ma mi vorrei scusare per la dichiarazione di Fabio Testi. Ho chiesto di non invitarlo più”. Poi la Iena le riporta le dichiarazioni della Boldrini, la quale ha affermato che la Perego abbia trattato “la donna come un animale domestico”. “Quando la signora Boldrini ancora non era in politica – risponde la conduttrice – e faceva televisione, io già lottavo per i diritti delle donne. Perché non sono sessista, ma non solo non lo sono, perché porto avanti una battaglia da sempre, perché è uno dei miei principi base, la difesa dei diritti delle donne principalmente. Fa male”.

“Dalle posizioni che hanno preso – conclude – è difficile tornare indietro. E poi sono dei codardi”
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Lingotto strapieno ma svuotato di proposte: Renzi riparte da Marchionne e garantismo, ma rimanda programma e alleanze

Nell’ultimo giorno del Lingotto renziano a Torino le sedie arrivano fino alla porta d’ingresso. Ne hanno aggiunte a centinaia nel tentativo di accomodare tutti. Per la chiusura, affidata a Matteo Renzi esattamente come l’apertura di venerdì, si presentano in migliaia (5 mila dicono gli organizzatori) e molti restano in piedi. Il Padiglione 1 è strapieno. Ma la kermesse di presentazione della mozione congressuale di Renzi si chiude senza proposte precise. La stesura della mozione è rimandata alla “prossima settimana”, dice il leader. Rimandato il tema spinosissimo delle alleanze: “Nessuno sa se ci sarà il maggioritario o il proporzionale…”.

I tre giorni di Torino servono però a rafforzare la direzione già nota: sul lavoro, fra i lavoratori e i datori di lavoro, o per semplificare tra Landini e Marchionne, Renzi sceglie ancora il secondo. Proprio lì, nei locali che una volta ospitavano gli operai che votavano Pci. Sulla giustizia, col caso Consip ancora aperto e Luca Lotti sulla graticola, ribadisce il garantismo.

Non è poco, mentre il dibattito su contenuti e alleanze agita la platea del Lingotto e polarizza le tensioni tra Orfini e Martina da una parte e i centristi di Franceschini dall’altra. Convitati di pietra: Ncd, Pisapia e finanche Mdp. Renzi tenta faticosamente di stare al centro. Elogia l’a.d. di Fiat, il suo amico Marchionne: “Il fatto che ci siano degli stabilimenti Fiat in Italia non significa la vittoria del capitalismo, ma che ci sono donne e degli uomini che sono tornati in fabbrica. Dieci anni fa non era scontato che la Fiat potesse avere insediamenti importanti in Italia”.

Attacca gli scissionisti del Pd e l’amarcord di sinistra: “Non si crea lavoro cantando Bandiera Rossa o facendo il pugno chiuso…”. Li attacca anche nel loro richiamo all’Ulivo. Questa è per Massimo D’Alema: “Sento parlare di Ulivo da parte di chi lo ha segato dall’interno, avverto apoteosi intorno all’Ulivo da parte di chi ha contribuito a far finire anticipatamente l’esperienza di Romano Prodi”. E mentre la platea si scatena, lui prova a continuare: “Se Prodi fosse stato anche capo del partito oltre che del governo non sarebbe andata così… Alcuni sono più esperti di xylella che di Ulivo”.

Renzi: “Parla di Ulivo chi ha mandato a casa Prodi”

Renzi non attacca Pisapia con cui immagina di poter dialogare, anche in nome dell’unica cosa che per ora li avvicina: il garantismo.

“Giustizia e non giustizialismo!”, scandisce dal palco. Luca Lotti, il ministro e braccio destro indagato per l’inchiesta Consip, lo ascolta in prima fila, seduto accanto a Martina, che corre in ticket con Renzi per la segreteria. “Un cittadino è innocente fino a sentenza passata in giudicato sempre e non a giorni alterni!”. Gli applausi anche qui crescono e lui si galvanizza: “I processi si fanno nei tribunali e non sui giornali, devono giudicare i giudici e non i commentatori; gli articoli sono quelli del codice penale e non quelli dei giornali!”. Fa sul serio tanto da inviare un “messaggio di solidarietà a Raggi indagata, perché noi non facciamo come il Movimento 5 Stelle. Anzi, Di Maio e Di Battista: rinunciate all’immunità e prendetevi le querele, venite in tribunale e vediamo chi avrà ragione e chi torto. Vi aspettiamo con affetto… e con gli avvocati”.

Renzi: ”Di Maio e Di Battista rinunciate a immunità e rivediamoci in tribunale”

Marchionne e garantismo. Sono le due direzioni di marcia che – non si sa come – stabiliscono un qualche ordine nel caos di contraddizioni del Lingotto. C’è chi ci sta comodo e chi meno. Ma tanto di proposte concrete, oggi non se ne parla. “La partita inizia adesso – dice Renzi – la mozione sarà scritta la prossima settimana, ma c’è il progetto per il Paese. Noi non sappiamo se il futuro è maggioritario o proporzionale, abbiamo le nostre idee, ma dopo il 4 dicembre quel disegno di innovazione istituzionale è più debole, la forza delle nostre idee è il confronto con gli altri e allora vincerà chi sarà più forte in termini di progetti e proposte”.

In platea c’è il premier Paolo Gentiloni. Standing ovation per lui quando Renzi lo cita e lo ringrazia dal palco. Eppure alla fine è stato proprio il premier a svuotare il Lingotto. Nel senso che Gentiloni avrebbe chiesto all’organizzatore dei contenuti, Tommaso Nannicini, di evitare proposte precise in materia di economia. Sarebbero servite solo a peggiorare la vita del governo, in quanto la tre giorni del Lingotto è di una parte del Pd, una parte dell’alleanza di governo. Meglio non mettere carri davanti ai buoi insomma, proprio nel periodo che serve a preparare il Def. E pazienza se, nelle intenzioni originarie di Renzi, il Lingotto doveva servire a elaborare le ricette di green economy studiate nel recente viaggio in Silicon Valley.

Il Lingotto serve invece a rilanciare la vecchia proposta renziana di “primarie per la scelta del presidente della Commissione europea: dal primo maggio chiederemo questo al Pse. Il prossimo presidente sarà scelto dal popolo: è un passaggio rivoluzionario e lo porterà il Pd”, dice Renzi. Ma soprattutto il Lingotto è servito a risollevare una leadership caduta in disgrazia. I sondaggi lo vedono in testa, saldamente, alle primarie del Pd.

“Vedo molto bene Matteo e Maurizio Martina insieme”, avverte il ministro Marco Minniti, uno dei più applauditi. Ma un partito moderno è un partito che ha una leadership forte: non c’è leader senza partito ma anche non c’è partito senza leader”. Sulla stessa linea Graziano Delrio: “I napoletani non avevano paura che Maradona giocasse troppo la palla: erano una squadra, ma senza Maradona non vincevano lo scudetto”.

E’ chiaro chi ha lo scettro del comando. O meglio: della sintesi. Perché dalla sconfitta referendaria in poi “tutto è cambiato”, ammette una fonte renziana. Non a caso, ogni corrente ha approfittato del Lingotto per piantare paletti intorno a Renzi. “Ma lui non ragiona ideologicamente come fanno Orfini e Martina”, spiega una fonte dell’area di Franceschini, “Renzi ragionerà con realismo. Oggi non ci sono più le condizioni che hanno dato vita al Pd. Abbiamo provato a sconfiggere i populismi con il bipolarismo ma non ci siamo riusciti. Ora si ragiona in termini proporzionali”. Insomma la ‘santa alleanza’ contro Lega e M5S.

Ma Renzi è cauto, non si scopre a sinistra per non alimentare le sirene dell’avversario Andrea Orlando. “Il passato è il futuro”, dice un renziano di prima fascia quando il Lingotto si è già svuotato, al termine della convention. “La Dc aveva al suo interno sinistra e destra, con un capo a fare sintesi”. Il progetto è questo, con Renzi segretario del Pd. Pure premier? Chissà, col proporzionale nulla è scritto, figurarsi le regole dello Statuto dem. Per tutto il resto, bisognerà aspettare.
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