Per Renzo Piano la situazione in Italia è chiara: la prevenzione dai terremoti deve partire anzitutto dalla mentalità delle persone. L’architetto e senatore a vita, tuttora impegnato nel piano Casa Italia, parla di una questione di cultura:
Molto più complicato metter mano a edifici in gran parte poveri e umili ma che messi insieme sono la grande bellezza d’Italia. E più ancora sconfiggere la «cultura della sfiga». Quella che spinge a dire: «che ci possiamo fare? La natura…». «Non ne possiamo più della cultura della “sfiga”. Basta. È indegna di noi. Della nostra intelligenza. Della nostra storia. La natura non è buona o cattiva: se ne infischia di noi. Inutile chiamarla in causa. Cosa saremmo se nei millenni non avessimo imparato a coprirci, scaldarci, arginare i fiumi? I terremoti ci sono sempre stati e sempre ci saranno. Ed è stupido fingere che non sia così. Bisogna imparare da Umberto Veronesi».
Piano riconosce all’oncologo recentemente scomparso il merito di esser riuscito a mettere le donne di fronte alla verità:
«Ebbe il coraggio di essere chiaro. Disse a tutte le donne: avete dei bellissimi seni ma quei seni sono anche una vostra fragilità.
Allo stesso modo occorre avere lo stesso coraggio con chi sa di vivere in territorio sismico ma ancora non prende provvedimenti, affidandosi piuttosto alla fortuna:
«I “terremotabili”: milioni di persone devono essere consapevoli di vivere in un Paese meraviglioso ma fragile. E non posso accettare che si tocchino…».
«C’è bisogno di verità e questa verità deve entrare nella testa della gente. Che deve accettare la realtà come in Giappone.
Ma il nemico da combattere è anzitutto nella mente delle persone:
«Ci sono persone che non fanno gli esami per paura di sapere che sono malate. Non vanno terrorizzate ma spinte a conoscere la propria casa, santo cielo, sì».
Come? Piano non esclude incentivi da parte dello Stato: degli aiuti pratici, per pungolare la consapevolezza degli abitanti delle zone a rischio.
«È necessaria una rivoluzione culturale. Questa operazione diagnostica deve essere accompagnata da un progetto con il quale il governo in qualche maniera ti aiuta, come ti aiuta per gli aspetti energetici».
E il termine “diagnosi” ricorre più volte nell’intervista, a confermare quanti punti in comune vi siano tra un organismo umano e una casa in ferro e cemento: per Renzo Piano anche un edificio è una creatura vivente, che può e deve godere delle stesse cure di cui la medicina è in grado per gli esseri umani:
«Quando metti una catena nei muri, oggi, non fai più come una volta che dovevi spaccare tutto. Ci sono strumenti laser che permettono soluzioni molto più efficaci lasciando gli abitanti dentro casa. La vicina che sta sotto non se ne accorge neanche. Come quando fai un’anestesia locale… Certo, non dappertutto saranno possibili interventi di difesa “leggeri”. Ma su dieci milioni di abitazioni a rischio almeno in nove…».
Allo stesso modo, come non esiste la sicurezza totale per un essere umano, non può esistere neanche per una casa: la natura “se ne infischia” in entrambi i casi. E allora:
«No: non esiste la sicurezza totale contro i terremoti come non esiste contro il cancro. Se affronti il problema, se ti curi, se fai quanto la scienza ti offre, però, sei meno esposto».
Ma intervenire sugli edifici offre spazi di manovra maggiori rispetto a un’operazione sul corpo umano: dà la possibilità di migliorare, e di gran lunga, il preesistente.
«Nel momento in cui ci metti mano, questi edifici devono pure diventare più belli. Più funzionali. Più ecologici. Più luminosi. Questo è il Paese che ha inventato la bellezza! Non possiamo pensare a interventi utilissimi ma che producano Frankenstein edilizi».
Infine, una cura speciale deve essere riservata alle scuole:
«La scuola non deve cadere. Deve dunque esser fatta in un certo modo. Di legno, ad esempio. Materiale fantastico. Ecologico. L’auditorium dell’Aquila è stato fatto con 2200 metri cubi di legno: in Val di Fiemme quei 2200 metri cubi si riformano in sei ore. Parlo di scuole piccole, ovvio. Su misura dei borghi appenninici che sono più esposti. Borghi che possono stare anche senza una farmacia, non senza una scuola».