Il governo prepara la ‘manovrina’ per l’Ue, gelo del Pd con Padoan. Renzi dice no a tasse e privatizzazioni

Il rapporto debito/Pil si è “finalmente stabilizzato ma è interesse nazionale ridurlo con un aggiustamento contenuto del percorso di consolidamento”, scrive Pier Carlo Padoan via tweet: sintetico, dritto al punto per far capire che non ci sono margini. Insomma, le privatizzazioni sono necessarie, non si può tornare indietro. Così come è inevitabile una correzione dei conti da fare entro fine aprile, come conferma anche Gentiloni a fine giornata. Il governo infatti deve varare una manovra correttiva di 3,4 miliardi di euro, come chiede la Commissione Ue che oggi ha scelto di non aprire una procedura di infrazione verso Roma ma di aspettare aprile. La manovra dovrà essere condotta in porto nei prossimi due mesi. Pena una procedura di infrazione contro l’Italia a maggio. Al ritorno da Bruxelles, dopo la riunione dell’Ecofin, Padoan entra a Palazzo Chigi per discuterne con il premier Paolo Gentiloni. Cioè con colui che deve mediare tra il Pd di Matteo Renzi e il Tesoro. Le frizioni tra l’ex premier e il ministro dell’Economia non si sono placate. Anzi minacciano di acuirsi sull’onda della ‘manovra bis necessaria’.

Di fronte all’annuncio di Padoan il Pd di Renzi resta freddo. Gelo in Transatlantico alla Camera tra i parlamentari del Pd. “Il governo farà una sua proposta e valuteremo”, ci dice il capogruppo Dem Ettore Rosato, tono pacato ma distaccato rispetto a quanto sta avvenendo a Palazzo Chigi, dove Padoan sta appunto discutendo con Gentiloni dove andare a prendere i 3,4 miliardi per soddisfare l’Ue.

“E’ vero che dobbiamo confrontarci con l’Ue e rispondere ma siamo stati mille giorni al governo senza alzare le tasse: non vorremmo smentirci all’ultimo minuto”, mette in chiaro Rosato. “Quanto alle privatizzazioni: abbiamo già detto più volte che per noi Poste e ferrovie sono asset di valenza sociale, dunque non si toccano”, aggiunge, andando a colpire uno dei cavalli di battaglia del Tesoro per ridurre il debito.

Anche oggi a Bruxelles Padoan ha difese le privatizzazioni. “La via maestra per ridurre il debito è la crescita – ha spiegato il ministro – le privatizzazioni hanno diversi motivi, uno dei quali è la riduzione del debito”. Un invito a pensarci su: “E’ di oggi la notizia che la privatizzazione di Enav è stata premiata quale migliore Ipo d’Europa”.

Affermazioni che cadono nel giorno in cui il presidente e reggente del Pd Matteo Orfini chiama ad uno “stop delle privatizzazioni” e a due settimane dall’invito a “riflettere sulle privatizzazioni delle Fs” avanzato dal ministro dei Trasporti Graziano Delrio nella direzione Dem del 13 febbraio scorso. Il Pd di Renzi resta di questa idea e ritiene di aver trovato sponda niente meno che in Romano Prodi.

Delrio ha letto infatti come un punto a suo favore l’editoriale del professore bolognese sul Messaggero di domenica scorsa. ‘Ultimo bivio per il futuro dei servizi pubblici’, è il titolo. L’argomentazione: “Mentre il processo di privatizzazione delle aziende operanti in regime di concorrenza è intellettualmente semplice, la messa sul mercato delle imprese con grande contenuto di utilità sociale e operanti in situazione di monopolio naturale deve essere portata avanti tenendo conto di tutti i conseguenti gravami. Per questo motivo gli altri grandi paesi europei sono stati estremamente prudenti a procedere alle privatizzazioni di questi settori”.

Se lo dice il padre nobile del centrosinistra, sarà vero: è l’argomento di forza nella disputa col Tesoro.

Eppure proprio oggi Renzi si è sbilanciato a favore del governo, scrivendo dalla California che “sta facendo molte cose importanti di cui si parla poco…”. La manovrina annunciata da Padoan è il boccone indigesto che Renzi non aveva messo in conto di digerire a gennaio, quando la Commissione ha chiesto la correzione dello 0,2 per cento del pil. Ora ci siamo. Rosato esclude che la manovra bis possa essere la buccia di banana per scivolare fino al voto anticipato a giugno. “Io sono stato un sostenitore del voto anticipato ma ormai quella finestra si è chiusa”, dice.

Riaprirla per Renzi vorrebbe dire mettere in crisi il rapporto con Dario Franceschini, che su input del Colle ha sempre cercato di frenare le ansie di tornare al voto al più presto. E si sa che l’appoggio del ministro per i Beni Culturali è fondamentale per vincere il congresso del Pd: Renzi non può perderlo.

E’ questa la cruna dell’ago da cui dovrà passare il rapporto tra Pd e governo. Padoan cerca di far ingoiare la pillola. “Se la Commissione non avesse riconosciuto la legittimità delle ragioni italiane (spese legate a causa di forza maggiore come il terremoto e il flusso di migranti) l’esigenza di correzione dei conti sarebbe stata almeno tripla”, dice da Bruxelles. Ma questo non basta a lenire le preoccupazioni di un Pd incastrato tra la manovrina che non voleva e la difficoltà di tornare al voto a giugno per evitarla.
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E Matteo Renzi segretario prepara la nuova scalata al Pd. La mission: evitare la congiura delle correnti

La prima cosa che un parlamentare renzianissimo chiede quando al telefono gli leggiamo il sondaggio di Scenaripolitici per Huffington Post secondo cui Matteo Renzi deve restare il leader per il 52 per cento degli elettori del centrosinistra è: “Ma gli altri sono uniti o no?”. Vale a dire: tra i vari Franceschini, Orlando, Bersani, Orfini e tutti gli altri, c’è un nome che spicca e c’è qualcuno che manca? Tradotto: alcune di queste aree figurano come alleate oppure no? Domande non casuali perché adesso che non è più premier, adesso che gli è rimasta solo la carica di segretario del Pd, Renzi vuole evitare la ‘congiura’ della varie correnti Dem contro di lui.

Domenica a Pontassieve con la famiglia. Black out totale con i media. Non è da Renzi. Gioca ad allontanarsi dal palcoscenico per poi tornare. Aveva finanche lasciato trapelare di voler disertare la direzione del Pd domani. Ma era solo un giochetto per vedere l’effetto che fa. È durato meno di 24 ore: domani al Nazareno il segretario ci sarà. L’obiettivo ultimo è restare sulla scena ma per farlo il segretario Dem scruta i movimenti interni al Pd, pur convinto che l’unica chiave sia guadagnare consenso fuori dal partito, con un giro di ri-legittimazione in camper a partire da metà gennaio, dopo una vacanza all’estero con la famiglia per le vacanze di Natale. Anche lì, black out totale o quasi: un’assenza che resta presenza.

“Ai milioni di italiani che vogliono un futuro di idee e speranze per il nostro Paese dico che non ci stancheremo di riprovare e ripartire. Ci sono migliaia di luci che brillano nella notte italiana. Proveremo di nuovo a riunirle. Facendo tesoro degli errori che abbiamo fatto ma senza smettere di rischiare: solo chi cambia aiuta un Paese bello e difficile come l’Italia”, scrive su Facebook alle 2 di notte, appena tornato a Pontassieve dopo le trattative romane sul governo.

Ad ogni modo, domani invece Renzi sarà al Nazareno e terrà la sua relazione alla direzione del Pd riunita per la seconda volta nel giro di questa settimana di crisi di governo post-referendum. All’ordine del giorno c’è la fiducia parlamentare da accordare – pare già mercoledì – al nuovo governo Gentiloni. Ma il segretario comincerà ad abbozzare la discussione sul congresso da sviluppare poi in assemblea nazionale domenica 18 (forse a Milano).

Il timing gli è chiaro. Partenza a metà gennaio, congressi nei circoli ma soprattutto primarie a metà marzo massimo, voto a giugno. Ciò che si muove o si potrà muovere nel Pd gli è meno chiaro. Dal giorno della sconfitta, le correnti sono in fermento. L’idea di disertare la direzione domani era anche un modo per prendere le distanze dalle correnti. Puntare subito fuori dal Pd, tra quegli elettori di centrosinistra che nei sondaggi lo riconoscono ancora come leader, rivolgersi a loro piuttosto che a un partito che ormai lo sopporta. In direzione lancerà la volata per il congresso e avvierà la resa dei conti con la minoranza del no.

Ma la riflessione che lo interroga è sulla sua maggioranza nel partito. Con Franceschini c’è una sorta di tregua armata. Subito dopo la sconfitta i primi sintomi del nuovo clima, il braccio di ferro sul voto subito o meno, il segretario costretto a frenare. Prima volta che ci riescono con Renzi. Ora nasce un governo Gentiloni, voluto dal segretario che in questo l’ha spuntata. E proprio domani, mentre la direzione nazionale del Pd sarà nel pieno della discussione, il premier incaricato potrebbe salire al Colle a sciogliere la riserva. Ma d’ora in poi come si muoveranno le correnti?

Un nome: Andrea Orlando. Il guardasigilli, che dovrebbe essere confermato al dicastero di via Arenula anche nel governo Gentiloni, non è più in ottimi rapporti con Matteo Renzi, da quando il disegno di legge sul processo penale è finito sul binario morto in Senato. Argomento troppo spinoso da affrontare in campagna referendaria, messo da parte come quello sulla tortura o il cognome materno. Invece Orlando continua ad avere buoni rapporti con Gianni Cuperlo e anche con Pier Luigi Bersani. Ora: tra Cuperlo che ha votato sì al referendum e Bersani che ha votato no, c’è un divario forse incolmabile. Tanto più che Cuperlo ha cominciato a muoversi insieme con la sinistra di Giuliano Pisapia, la sinistra del sì fuori dal Pd nell’ottica di una ricostruzione del centrosinistra. Tra Orlando e Bersani però qualche renziano comincia a non escludere alleanze in nome della vecchia ditta. Operazione “nostalgia Ds” la chiamano.

Renzi non la teme, convinto com’è di avere più capacità di leadership degli altri. Ma se ne guarda lo stesso. Per lui è vitale che le altre aree si presentino divise al congresso, che non si saldino su un unico nome contro il suo. Ecco il perché del camper in giro per l’Italia. “E’ tutto da costruire”, dice un fedelissimo. Renzi si prepara a ri-scalare il Pd con il solito aiuto da fuori. Promette giri in ogni federazione e tra i giovani, coloro che più di ogni altra fascia sociale gli hanno voltato le spalle al referendum. “Le primarie sono aperte”, ricordano i suoi, convinti che questo basti a legare la maggioranza del partito alla leadership di Renzi. A cominciare da Areadem di Franceschini.

Lo scenario a cui punta il segretario è ‘io contro lo spezzatino’, insomma. Certo si ritroverà come avversari i governatori Michele Emiliano ed Enrico Rossi. C’è chi fa anche il nome di Sergio Chiamparino, per completare il quadro dei presidenti di regione candidati alla segreteria. Ma “ognuno per conto suo e senza leader”, esulta il renziano cui abbiamo letto il sondaggio di Huffington Post. Basterà?

La scommessa è così aperta che, pur ragionando ormai in termini di proporzionale o semi-proporzionale per trovare al più presto un accordo con Berlusconi e andare al voto, nella cerchia del segretario non sono più tanto sicuri nemmeno di questo. “Se l’operazione di ricostruzione della leadership di Renzi dovesse andar bene, perché non insistere sul maggioritario”, ci dice un altro renziano di prima fascia. Forse perché si allungherebbero i tempi per andare al voto, sempre che sia semplice per Renzi staccare la spina al governo del suo fidato Gentiloni a primavera. Forse, la sfida più difficile.
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