Potere contro potere. Trump sfida di nuovo i giudici con il Travel ban e dà un altro schiaffo all’intelligence

Non si placa la tempesta istituzionale innescata dalle ultime mosse del presidente Trump. Lo scontro tra poteri è ormai all’ordine del giorno, con la Casa Bianca che continua a sfidare sia la magistratura che le agenzie d’intelligence. Il nuovo bando sull’immigrazione – subito definito “legale” dal segretario alla Giustizia Jeff Sessions – rappresenta una nuova sfida al potere giudiziario. Malgrado le differenze rispetto alla prima versione, infatti, il nuovo ordine esecutivo non solo non stravolge, ma conferma l’impianto del precedente. A differenza del primo decreto, questa seconda versione esclude dalla “lista nera” l’Iraq ed esplicita che il bando non vale per i detentori di green card e per chi è già in possesso di un visto. Il testo, più dettagliato rispetto al primo, insiste sulla funzione del bando: garantire la sicurezza nazionale. Ma ha comunque incontrato le critiche dei democratici e degli attivisti per i diritti umani, secondo cui si tratta di un altro Muslim ban, sebbene più sfumato.

Sul fronte dell’intelligence, l’attacco a Obama – accusato di aver ordinato intercettazioni illegali alla Trump Tower durante la campagna elettorale – ha alzato il livello dello scontro, spingendo a intervenire anche il direttore dell’Fbi, James Comey. Il quale ha esortato il Dipartimento di Giustizia a respingere pubblicamente le accuse di Trump al suo predecessore, prendendosi un altro schiaffo in faccia – l’ennesimo – dalla squadra di The Donald.

Trump non accetta le dichiarazioni di Comey sulla falsità delle accuse al suo predecessore, ha dichiarato la portavoce della Casa Bianca Sarah Huckabee Sanders in un’intervista all’emittente Abc. “Chiediamo solo che il Congresso faccia il proprio lavoro, che la Commissione Intelligence della Camera indaghi”, ha aggiunto la Sanders.

Da difficili che erano, i rapporti tra la Casa Bianca e le agenzie d’intelligence – Fbi e Nsa – sono diventati impossibili, dopo la raffica di tweet con cui Trump ha accusato Obama di aver fatto intercettare i suoi telefoni durante la campagna elettorale, agitando lo spettro del Nixon/Watergate. Accuse talmente gravi da spingere il numero uno dell’Fbi a chiedere al ministero della Giustizia di smentire pubblicamente le asserzioni del presidente. Ma la Casa Bianca non sembra disposta ad alcuna marcia indietro, anzi: tramite una sua portavoce, Trump ha fatto sapere di non credere alle dichiarazioni di Comey (secondo cui lo spionaggio non si è mai verificato) e ribadito la richiesta di un’indagine da parte della Commissione Intelligence della Camera dei Rappresentanti.

Dopo la smentita di Obama, che ha bollato le accuse come falsità assolute, l’intervento di Comey ha riacceso la lotta tra la nuova amministrazione e le agenzie d’intelligence, già accusate da Trump di essere dietro alle molte fughe di notizie che hanno caratterizzato l’avvio della sua presidenza. Questa volta, però, per i big dell’intelligence Trump l’ha sparata troppo grossa: intercettazioni di quel genere, infatti, sarebbero illegali, dato che il presidente statunitense non ha il potere di ordinare l’ascolto delle conversazioni telefoniche di qualsiasi cittadino. A dirimere la questione dovrebbe essere il Congresso, con un’indagine affidata appunto alla Commissione sui servizi della Camera.

Lo staff presidenziale ha detto che non ci saranno più commenti fino a nuovi sviluppi e, tornato a Washington dalla sua residenza in Florida, Trump non ha effettivamente rilanciato in alcun modo. Ma i media – in particolare il Washington Post, in un lungo articolo oggi in apertura del sito – lo descrivono un presidente “infuriato” per le fughe di notizie, in particolare, sui contatti tra i suoi collaboratori e la Russia.

Nell’epoca delle fake news, persino i collaboratori di The Donald faticano a trovare una linea comune sulla genesi dell’attacco a Obama. Secondo il New York Times, le “prove” da cui nascono le accuse di Trump si riducono alle dichiarazioni di un conduttore radiofonico conservatore, Mark Levine, e a un articolo apparso su Breitbart, il sito “trumpista” guidato fino a qualche tempo fa da Steve Bannon, attuale capo della strategia della Casa Bianca.

Questa la ricostruzione del NyTimes:

Giovedì, nella sua trasmissione radiofonica serale, il conduttore Mark Levine ha parlato di come l’amministrazione Obama, nei suoi ultimi mesi, abbia cercato di fermare l’avanzata di Trump alla presidenza. Parlando di tattiche da “Stato di polizia”, ha suggerito che proprio le azioni di Obama dovessero essere oggetto di un’inchiesta congressuale. Poche ore dopo un articolo su Breitbart rilanciava le accuse. Non è chiaro se qualcuno abbia messo sul tavolo di Trump l’articolo o se il presidente lo sia andato a cercare da sé. Fatto sta che venerdì mattina, alla Casa Bianca – rivela ancora il New York Times – Trump era di pessimo umore. E, nel corso di una tempestosa riunione, ha accusato lo staff della comunicazione di aver mal gestito la vicenda Sessions. Ancora furioso, quando sabato si è svegliato a Mar-a-Lago, la sua residenza a Palm Beach, in Florida, ha cominciato a twittare facendo notare, tra l’altro, che anche la stessa Nancy Pelosi, e quindi membri dell’amministrazione Obama, avevano incontrato l’ambasciatore russo.

Il paradigma dello scontro va in scena anche all’interno della Casa Bianca, dove crescono le difficoltà per il capo dello staff Reince Priebus, fin dall’inizio in competizione con lo stratega Bannon. Secondo quanto scrive Politico, Priebus viene accusato di non delegare nulla, forse per bloccare l’accesso diretto al presidente a suoi sottoposti, e quindi di passare al volo da una riunione all’altra, con risultati inconcludenti. “La sua è pura incompetenza, manca di strategia, di capacità organizzativa”, afferma una delle fonti citate da Politico, mentre un’altra sentenzia: “C’è insofferenza da parte di molti, compreso il presidente, per il fatto che le cose non stanno andando nel verso desiderato. Reince, che sia giusto o no, è quello che finirà per prendersi la colpa”.


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M5s, intervista a Massimo Bugani: “Pronti a governare, ma servono persone preparate. Pizzarotti ha lasciato M5s per il potere”

“Se me lo chiede le dico sì, che siamo pronti per le urne e per governare: ma c’è bisogno di un progetto coeso, non possiamo lasciare più niente al caso. Abbiamo bisogno di gente preparata. Ci sono alcuni persone con cui stiamo collaborando – ma non posso dirle i nomi – e queste saranno importanti e decisive per portare il MoVimento a governare”. Di più non scuce. Massimo Bugani, capogruppo M5s a Bologna, da sempre vicino a Beppe Grillo e attivo nella Casaleggio Associati, osserva dall’alto della torre degli Asinelli la rapida evoluzione dei Cinque Stelle che, parola di Grillo, dopo la bocciatura all’Italicum sono pronti per una vittoria con il voto a primavera.

A gonfie vele nei sondaggi, ma con le realtà locali piene di problemi tra fuorusciti e indagati. Cosa succede nel MoVimento?
“Succede che manca esperienza nella gestione delle tensioni. Mi spiego: nei vecchi partiti chi inizia a far politica passa per ruoli nei quartieri, poi nei consigli cittadini e poi finisce magari in Regione. Un percorso con una rigidità militare che in qualche modo ti prepara, in cui i partiti quando c’è un problema si chiudono attorno a te. Da noi questa rigidità, nonostante le tante illazioni che vengono fatte, non esiste. Contano i cittadini, le idee del M5s, non i percorsi rigidi. Ma in qualche modo è una mancanza che alla fine la paghi: con la rapida crescita che abbiamo avuto, basta un piccolo errore che ti trovi sotto attacco da tutte le parti e fai fatica a difenderti”.

Attacchi che arrivano anche dagli ex cinquestelle. Dopo Effetto Parma di Pizzarotti è nato anche Effetto Genova dei fuorisciti consiglieri grillini. Sta nascendo un sotto movimento degli scontenti?
“Ma questa cosa c’è da sempre. E’ nata proprio nel sottobosco emiliano e ora si sta espandendo a macchia d’olio. Ci sarà sempre chi non si adatta, chi vuole andare alla ricerca di potere. Sì, non nego che in alcune città ci sono dei problemi, ma li stiamo gestendo. Diciamocelo: Grillo e Casaleggio hanno dato la possibilità a chiunque, a cittadini comuni, di candidarsi. E’ una cosa totalmente fuori dalle dinamiche di partito. E allora accade che si scoprono persone straordinarie come Di Battista o Di Maio, ma anche attivisti totalmente “sbagliati”, che non credono nei nostri valori”.

E allora come si fa a scegliere le persone giuste da candidare? Che consiglio darebbe a Grillo?
“Io posso parlare per Bologna. Da noi, a livello comunale, abbiamo sempre promosso persone conosciute, che abbiamo visto crescere fin dal 2005, gente fidata, che sappiamo come lavora, con cui costruire progetti chiari e visibili. L’unico consiglio che potrei dare a Beppe è di prendere una strada come questa, di guardare bene con chi lavori”.

Però con comunarie lampo o scelte fatte fra pochi iscritti il problema si ripresenta.

“Per me, se continueranno ad esserci persone che lasciano M5s perchè non si attengono o non credono nella linea, questo farà soltanto bene al MoVimento: migliorerà in maniera naturale. Spesso si tratta di persone che cercano visibilità ma che poi finiscono nell’anonimato. M5s ha dei dei doveri da rispettare, degli obiettivi da perseguire: può farlo solo chi ha una visione comune”.

Il riferimento è a Pizzarotti?
“Vale in generale. Pizzarotti, legittimamente, fa politica: solo che la fa in altri modi rispetto a M5s, con un’altra etica. Con suoi obiettivi, che poi sono obiettivi di potere. Lo stesso fece Favia, che come Federico aveva obbiettivi romani. E’ inutile che ci giriamo intorno: Pizzarotti è come una persona che vuole lasciare la moglie facendole crederle che la colpa è proprio della moglie. Ma non è così: lui ha voluto evitare le battaglie che sono nelle corde dei Cique Stelle, non ha creato la partecipazione con i cittadini, non ha fatto i dibattiti che facciamo ovunque, non si è impegnato sul referendum per la scuola. Lui ha scelto la sua strada, quella di dialogare con il potere. Non è la nostra”.

Per questo lei ha deciso di prendere in mano direttamente la situazione di Parma?

“Guardi, non è che la prendo in mano io. A Parma M5s di fatto non c’è mai stato: poco dopo le elezione si è visto che strada ha preso. Dunque siamo agli albori, dobbiamo ricostruire il moVimento. Io andrò a Parma l’8 febbraio prima di tutto per ringraziare due consiglieri (Nuzzo e Savani, i dissidenti, ndr) e con loro ragionare se ci sarà la possibilità per creare eventualmente una lista in vista delle amministrative. Ma è soltanto una fase iniziale. Sia chiaro, non abbandoneremo Parma”

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