Nomine partecipate, slittano i tempi. Resta forte il marchio renziano: Matteo Del Fante a Poste (e non solo)

Come se Matteo Renzi fosse ancora a palazzo Chigi: un giro di nomine “fiorentino”, nella regia e anche nei principali attori, è quello che si definisce in serata per Poste, Eni, Enel, Finmeccanica, Terna e le principali aziende di stato. E che sarà ufficializzato a ore, di certo entro la riapertura delle borse di lunedì mattina. Proprio come tre anni fa quando i posti strategici da assegnare, cemento di ogni governo, furono a giudizio di molti il principale movente della defenestrazione del governo Letta.

La priorità non cambia, sia pur nel mutato contesto con Renzi nei panni di ex premier e di ex segretario. E sancisce il nuovo di boa del renzismo: il ritorno in campo e una lunga marcia che va ben oltre le prossime elezioni politiche, perché gli uomini chiave nei posti chiave, avendo mandato di tre anni, le supereranno.

Il caso più eclatante è Poste Italiane, dove arriva l’ennesimo fiorentino, antica conoscenza di Renzi: Matteo Del Fante, formazione Jp Morgan, già direttore generale di Cassa Depositi e Prestiti e da tre anni a.d. di Terna, la società che gestisce la rete elettrica. Prenderà il posto di Francesco Caio, nonostante i risultati del manager che in questi tre anni ha triplicato gli utili. E nonostante la difesa del ministro Padoan. La sua “colpa” principale è stata quella di aver rotto con la Cisl – non con gli altri sindacati, che si sono schierati con lui – che nell’azienda è la sigla più forte. E che, sussurrano i maligni, è forte anche in vista delle primarie del Pd.

Il passaggio di Del Fante alle Poste libera la casella Terna. Una fonte di governo a tarda sera dice: “Il quadro delle nomine è pressoché chiuso, il problema è Terna dove c’è un braccio di ferro tra Renzi e il Tesoro”. Il nome dell’ex premier (e di Maria Elena Boschi) è Alberto Irace, oggi a capo di Acea. Altro “fiorentino”, come appartenenza politica, anche se cagliaritano nei natali: ha guidato dal 2009 al 2014 la Publiacqua, società toscana che ha avuto nel cda Maria Elena Boschi, Erasmo D’Angelis e che oggi è presieduta da Filippo Vannoni, uno degli accusatori di Lotti nell’affaire Consip. In alternativa Luigi Ferraris, capo dello Finanze di Poste, molto stimato da Padoan o Francesco Sperandini, altro tecnico a capo del Gse (gestore del servizio elettrico), anch’egli stimato dalla Boschi.

Prima della partenza di Padoan per il G20 di Baden Baden, è stato invece già comunicato ai diretti interessati l’avvicendamento a Finmeccanica, dove l’ex banchiere Alessandro Profumo, prenderà il posto di Mauro Moretti, dimissionato non per i suoi risultati, considerati positivi dal mercato e dal governo, ma per la condanna a sette anni in primo grado nel processo sulla strage di Viareggio. Un profilo, quello di Profumo, molto “finanziario” per formazione, alla guida del cuore pulsante delle strategie industriali che in molti ci invidiano. I rumors, in ambienti finanziari, parlando di un grande attivismo di Marco Carrai proprio sul dossier Finmeccanica, sia sul fronte amministratore delegato sia su quello della presidenza, ruolo ricoperto da Gianni De Gennaro. Proprio l’ossessione renziana per gli uomini di mercato è stata determinate per l’opzione Profumo, preferito alla soluzione interna che portava a Fabrizio Giulianini, attualmente alla guida dell’area elettronica della difesa di Leonardo-Finmeccanica.

Confermati i due amministratori delegati che Renzi aveva scelto nel 2014 per Eni e Enel, Claudio Descalzi e Francesco Starace. E saranno confermati anche tutti i fiorentini: Alberto Bianchi, tesoriere della Fondazione Open, dovrebbe rimanere in Enel, Fabrizio Landi nel cda di Finmeccanica, Elisabetta Fabbri in quello di Poste. Come tre anni fa, anche se con Renzi che (formalmente) non è più a palazzo Chigi. Con l’eccezione di qualche critico, come Francesco Boccia. Che, fiutata l’aria, a metà pomeriggio chiede formalmente a Renzi e Padoan che “nessun candidato alle primarie possa incidere nel processo delle nomine”. E si richiama alla “grammatica” istituzionale del governo Prodi che in un contesto analogo – era in scadenza nel 2008 – lasciò l’onere e l’onore delle nomine al governo che a breve avrebbero scelto di elettori. Già, la grammatica istituzionale.
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Virginia Raggi commissariata, il sindaco di Roma accetta le condizioni poste da Grillo: via il Raggio Magico (Frongia e Romeo)

Un tentativo, vano, di andare avanti da sola. Anche senza il simbolo del Movimento 5 Stelle, magari con l’appoggio esterno di Fratelli d’Italia, a cui emissari – viene riferito – avrebbero bussato alla porta. Poi la resa davanti a numeri ballerini e che con ogni probabilità l’avrebbero vista senza una maggioranza in consiglio comunale. Virginia Raggi, assediata dai consiglieri M5S, ha accettato le condizioni che Beppe Grillo e buona parte di loro guidati dal capogruppo Paolo Ferrara e dal presidente dell’assemblea Marcello De Vito le hanno posto nelle ultime ventiquattro ore. Ovvero essere nei fatti commissariata, rinunciare al suo ‘Raggio magico’, a quella cerchia ristretta che ha consigliato il sindaco in questi sei mesi di amministrazione e di cui faceva parte anche Raffaele Marra, capo del personale ed ex vice capo di gabinetto, arrestato per corruzione.

Via quindi Salvatore Romeo capo della segretaria, via anche il vicesindaco Daniele Frongia e mai più un ritorno dell’assessore Paola Muraro raggiunta da un avviso di garanzia. “Al termine delle ultime due riunioni di maggioranza e dopo un confronto con il garante Beppe Grillo abbiamo stabilito di dare un segno di cambiamento”, scrive Raggi: “Daniele Frongia ha deciso di rinunciare al ruolo di vicesindaco mantenendo le deleghe alle Politiche giovanili e allo Sport. Contestualmente Salvatore Romeo ha deciso di dimettersi dall’incarico di capo della Segreteria politica. Al contempo a breve avvieremo una nuova due diligence su tutti gli atti già varati”. Insomma, un’analisi approfondita di tutto ciò che è stato fatto finora. E da questo momento in poi se Raggi vorrà continuare ad amministrare la Capitale dovrà confrontarsi di più con i consiglieri e soprattutto con i vertici M5S in un spirito di condivisione, che il sindaco avrebbe garantito, messa alle strette, nel corso di una riunione drammatica. “Sulle nomine ho fatto degli errori, ma possiamo ripartire insieme”, avrebbe detto. Ovviamente, c’è un’altra condizione necessaria per andare avanti: bisognerà rivedere anche la nomina che ha portato Renato Marra, fratello di Raffaele, a capo del dipartimento Turismo con un aumento di stipendio e tutti gli atti firmati dall’ex braccio destro del sindaco, ora in prigione.

Il leader pentastellato mette il sigillo, per ora: “Roma va avanti con Raggi sindaco del MoVimento 5 Stelle. Sono stati fatti degli errori che Virginia ha riconosciuto: si è fidata delle persone più sbagliate del mondo. Da oggi si cambia marcia. Bisogna riparare agli errori fatti per fugare ogni dubbio”. Quindi, “l’attività fatta da persone che si sono dimostrate inaffidabili sarà attentamente vagliata e opportunamente annullata o riesaminata da cima a fondo”. Poi è come se il leader cercasse alibi: “Governare Roma è più difficile di governare il Paese. Lo sapevamo e non intendiamo sottrarci, c’è bisogno del supporto di tutto il MoVimento 5 Stelle per vincere questa battaglia. Combatteremo con le unghie e con i denti perché Roma cambi, ma in un ambiente così corrotto e marcio dobbiamo aspettarci di tutto. A breve defineremo un codice etico che regola il comportamento degli eletti del MoVimento 5 Stelle in caso di procedimenti giudiziari. Ci stanno combattendo con tutte le armi comprese le denunce facili che comunque comportano atti dovuti come l’iscrizione nel registro degli indagati o gli avvisi di garanzia. Nessuno pensi di poterci fermare così”. Un modo per mettere le mani avanti e che lascia intendere che non si esclude nulla, neanche un avviso di garanzia al sindaco.

Il post di scomunica scritto ieri da Grillo e fatto circolare per far arrivare a Raggi il messaggio che a breve le sarebbe stato tolto il simbolo è servito da deterrente per convincerla a rinunciare a Romeo e Frongia. Nelle ore della sua resistenza, in una giornata convulsa, De Vito e Ferrara, quest’ultimo insieme ad altri tre consiglieri ieri ha parlato con Grillo, hanno fatto trapelare che non avrebbero continuato l’esperienza capitolina senza il simbolo del Movimento. A un certo punto del pomeriggio l’agenzia di stampa Adnkronos scrive che Raggi avrebbe detto ai suoi più stretti collaboratori: “Non mi riconosco più nel Movimento”. La frase successivamente smentita da fonti del Campidoglio, ma sta di fatto che la tensione è altissima e che non è escluso che un concetto del genere sia potuto scappare dal momento che i consiglieri capitolini, nel corso della riunione convocata a mezzanotte, in preda al nervosismo generale, seppur senza un voto, hanno comunque espresso la loro posizione quando l’ipotesi che il Comune di Roma non avesse più il simbolo M5S si faceva sempre più reale.

Il commissariamento, con annesso azzeramento del ‘raggio magico’, non soddisfa del tutto i più ortodossi del Movimento che venerdì hanno espresso a lungo la necessità di mandare via il sindaco con una soluzione drastica nel nome del progetto M5S e perché già le sono state date troppe possibilità. Grillo si era quasi convinto nonostante dicesse ancora che “Roma è Roma e perderla significa ammettere che non siamo capaci quando invece non è così”. Ma temporeggiare, secondo i duri e puri, non serve a nulla. Alla fine è stato Davide Casaleggio a decidere di concedere al sindaco ancora una giornata di tempo. E così è stato: Raggi ha convocato la maggioranza e ha accettato le condizioni. Rinunciare a Frongia vicesindaco significa cedere la casella a un esponente che le faccia da contraltare e che faccia capo alla fronda che oggi l’avrebbe sfiduciata. Che in pratica la controlli e supervisioni su ciò che fa. Tuttavia, la sospensione di Raggi dal Movimento, se la situazione giudiziaria dovesse precipitare (e Grillo ha già parlato con gli avvocati), è sempre lì sul tavolo.
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