Il Sole 24 Ore, il presidente di Confindustria Vincenzo Boccia: “Ridurre la nostra quota? Tutto è possibile”

“Ridurre la nostra quota? In teoria tutto è possibile, mi fate domande sul regno del possibile, e sul regno del possibile le dico di sì, poi entreremo nel merito nei prossimi giorni”. Così Vincenzo Boccia, presidente di Confindustria, in merito a una possibile riduzione della quota del 67,5% detenuta nel gruppo Sole 24 Ore.

Sui tempi dell’aumento di capitale, però, Boccia non si sbilancia: “Non ci sono novità, stiamo aspettando che ci informino a livello di amministratori sulle ipotesi di fabbisogno, dopo di che convocheremo un consiglio generale di Confindustria e dibatteremo. Il consiglio non è ancora convocato, faremo un consiglio generale monotematico, ma se non abbiamo dati non andiamo avanti”.

Questa settimana dovrebbe riunirsi il cda del Sole e definire il piano di salvataggio, solo dopo i vertici di Confindustria si riuniranno. Quindi prima di Pasqua? “Penso di sì poi vediamo. Siamo tranquilli, dobbiamo aspettare i tempi, se non ci dicono il merito, il quantum, la modularità del fabbisogno”, spiega Boccia.


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Sondaggio Scenari Politici, per avere la maggioranza l’unica opzione possibile sono le “larghissime intese” tra Renzi, Alfano e Berlusconi

“La sera delle elezioni sapremo chi governerà per i successivi cinque anni”. Era riassunto in questa frase dell’ex premier Matteo Renzi l’impianto dell’Italicum, la legge elettorale bocciata per buona parte dalla Corte Costituzionale. Ma quell’impianto è saltato: la Consulta ha cassato il ballottaggio. E la soglia del 40% per far scattare il premio di maggioranza resta, allo stato attuale, un miraggio per tutte le forze politiche in campo. In queste condizioni, se si andasse al voto, per avere una maggioranza sia alla Camera che al Senato le larghe intese non basterebbero. Ci vorrebbero le “larghissime intese”, e anche in questo caso la governabilità non sarebbe certo assicurata. L’ipotesi non è da scartare: dopo una riunione con Renzi al Nazareno, il presidente del Pd Matteo Orfini, in un’intervista all’Huffington Post, ha fissato il termine ultimo per trovare un’intesa tra i gruppi parlamentari sulla legge elettorale: dieci giorni, al massimo. Senza accordo, non ha lasciato spazio a dubbi: si va a elezioni con le leggi che ci sono.

In tal caso, “l’inciucio” sarebbe una strada forzata, secondo un sondaggio e relative simulazioni di Scenari Politici per HuffPost. Andiamo con ordine.

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Per quanto riguarda la Camera dei Deputati, si andrebbe al voto con un sistema proporzionale con premio che scatta se raggiunta la soglia del 40% (ribattezzato dal M5S come Legalicum). Laddove, come facilmente pronosticabile, non venisse raggiunta, la ripartizione dei seggi verrebbe fatta su base proporzionale. Fissata la soglia di maggioranza a 316 seggi, ci sarebbe un solo modo per poter assicurare la fiducia a un governo: le larghissime intese. Ovvero l’arco parlamentare composto da Partito Democratico, Forza Italia, Alleanza Popolare e Südtiroler Volkspartei. In particolare: 201 deputati per il Pd, 91 per FI, 20 per Ap e 5 per Svp. In questo modo, 317 seggi potrebbero assicurare, almeno sulla carta, la tenuta di un governo. Ma è evidente che un equilibrio così precario produrrebbe un esecutivo pronto a cadere alla prima folata di vento.

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Se invece i dem si alleassero con la sinistra (un ritorno all’Unione, in sintesi) si fermerebbero a 232 seggi a Montecitorio. Il Centrodestra unito che vede insieme Silvio Berlusconi, Angelino Alfano, Matteo Salvini e Giorgia Meloni (un ritorno al Popolo della Libertà, per intendersi) non supererebbe la soglia di 224 eletti. Ci sarebbe solo una via d’uscita per governare, una sorta di conventio ad excludendum da Prima Repubblica che tenga fuori i partiti ‘antisistema’ come M5S, Lega Nord e FdI: larghissime intese tra Renzi, Berlusconi e Alfano. E forse neanche basterebbero.

Situazione grossomodo analoga per il Senato redivivo. Per eleggere i membri di Palazzo Madama si andrebbe al voto, anche in questo caso, con un sistema proporzionale su base regionale, frutto dell’ex legge Calderoli (il cosiddetto Porcellum) depurata dal premio di maggioranza bocciato nel dicembre 2013 dalla Corte Costituzionale (che ha preso il nome di Consultellum).

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Accantonando per un attimo le differenze tra le leggi elettorali che regolano l’elezione per le due Camere (differenza sulle soglie di sbarramento, coalizioni ammesse al Senato ma non alla Camera), anche in questo caso, stando alle simulazioni di Scenari Politici, l’unica compagine in grado di votare la fiducia a un governo sarebbe composta da Pd (112), Forza Italia (44), Alleanza Popolare (5), Svp (3), per un totale di 164 seggi con soglia di maggioranza fissata a 158 scranni. A Palazzo Madama, quindi, le larghissime intese produrrebbero un margine di sicurezza più ampio rispetto alla Camera.

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Altre soluzioni? Niente da fare: anche un’ipotetica alleanza post-elettorale tra tutte le forze antisistema, con Movimento 5 Stelle (96), Lega Nord (36), Fratelli d’Italia (9) e altri di centrodestra raggiungerebbe la soglia di 146 seggi al Senato. Troppo pochi. E se il Pd ha intenzione di tener fede alle condizioni che ha posto, non resta molto tempo alle forze parlamentari per trovare un accordo. In caso contrario, le larghe intese sono a portata di mano. Larghissime, pardon.

Ripartizione su base regionale dei seggi al Senato con il Consultellum
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Intenzioni di voto al 28 gennaio
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