Appello per 2 Stati in Medio Oriente ma non passa monito a Trump

Una conferenza di pace senza i due protagonisti quella voluta dalla Francia a Parigi, oltre 70 Paesi presenti e un risultato che – secondo il capo del Quai d’Orsay, Jean-Marc Ayrault – rappresenta “una mano tesa”. Esce rafforzata l’ipotesi della “soluzione a due Stati” e si raggiunge una dichiarazione finale. Ma sulla sala delle conferenze incombe l’avvento di Trump alla Casa Bianca e la sua minaccia di trasferire l’ambasciata Usa da Tel Aviv a Gerusalemme. Hanno insistito con decisione molti dei paesi arabi presenti affinché nella dichiarazione finale fosse inserito anche soltanto un accenno di censura alla possibilità che il presidente americano eletto, che si insedierà fra soli 5 giorni, possa rendere operativa la sua idea di considerare di fatto Gerusalemme capitale di Israele. Alla fine, secondo quanto si è appreso da fonti presenti al negoziato, gli arabi si sono convinti a cedere, ma Ayrault ha dovuto fare qualche sforzo in più esponendo diplomaticamente la Francia: “Sarebbe una decisione molto gravida di conseguenze”, ha detto il capo della diplomazia francese, aggiungendo che se ci fosse una decisione del genere si tratterebbe di “una provocazione”.

Lo stesso Ayrault ha parlato di una dichiarazione che rappresenta una “mano tesa” ai due governi, quello di Benyamin Netanyahu – che ha accusato questa conferenza di rappresentare “un passo indietro” e di essere “futile” – e quello di Abu Mazen, che era invece più che disponibile a partecipare ma che, per non irritare ulteriormente il governo israeliano, si è fatto in modo che non fosse presente nei locali del centro conferenze del Quai d’Orsay bensì in un altro edificio. La dichiarazione finale ricalca, grosso modo, quella stilata il 6 gennaio scorso in una preconferenza con alti funzionari e sherpa. E immaginata lo scorso giugno, in una prima edizione di questa conferenza, con un numero molto inferiore di partecipanti.

Oggi, all’ultimo momento, è saltata anche la presenza del nuovo segretario generale dell’Onu, Antonio Guterres, che si è fatto rappresentare dall’inviato speciale Onu per il Medio Oriente, Nickolay Mladenov. Presenti invece sia il segretario di Stato Usa uscente, John Kerry, sia l’alto rappresentante per la politica estera Ue, Federica Mogherini. Alfano ha insistito sul ruolo dell’Italia, determinante con il suo “contributo” per l’inserimento nella dichiarazione finale di almeno due elementi precisi: le violenze, l’incitamento al terrorismo, le parole ‘che infiammano’, tutti elementi dai quali vengono messe in guardia le due parti. E l’impossibilità di sostituire, in qualsiasi modo, “il negoziato diretto fra le due parti”, elemento indispensabile per ogni passo avanti. E’ emersa “una posizione equilibrata grazie anche al nostro contributo”, ha sottolineato il titolare della Farnesina, secondo il quale il problema del Medio Oriente non può ridursi agli insediamenti israeliani: “C’è il tema di chi incita alla violenza e chi considera eroi o martiri i terroristi. Finché sarà così, non ci sarà pace e sicurezza in Israele”.

La Conferenza di Parigi era stata convocata per rianimare un processo di pace che, agli occhi di Parigi, sta stagnando, e al quale farebbe ombra soprattutto la situazione siriana e quella più in generale dei territori in mano all’Isis. Il timore di Israele e Stati Uniti – stavolta concordi nella contrarietà ad inserire nella dichiarazione finale il nodo di Gerusalemme, Kerry si è opposto in modo piuttosto netto – era che un documento troppo sbilanciato diventasse la base di discussione domani a Bruxelles del Consiglio dei ministri degli Esteri Ue (al quale Alfano si recherà direttamente da Parigi); e soprattutto che desse sostanza a un’ipotetica ‘dichiarazione’ dell’altrettanto imminente riunione del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, che avrebbe potuto fare proprio il documento uscito dalla conferenza di oggi. Un’eventualità che la diplomazia ha dovuto sventare, a cinque giorni dall’insediamento di Trump alla Casa Bianca, un evento che ha pesato in modo determinante su un appuntamento già considerato soltanto simbolico come quello di Parigi.
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