Grandi Molini Italiani, partito l’iter per il potenziamento della banchina nel porto di Livorno

FIRENZE – E’ partito l’iter per la progettazione dei lavori di potenziamento della banchina Grandi Molini Italiani nel porto di Livorno. In una lettera inviata anche al presidente della Regione Toscana, Enrico Rossi, il commissario dell’Autorità di sistema portuale del mar Tirreno settentrionale ha infatti comunicato che è stato nominato il responsabile del procedimento.

La questione era stata trattata anche all’interno della cabina di regia territoriale per l’attuazione dell’Accordo di programma per Livorno presieduta da Rossi e in incontri convocati dal consigliere per il lavoro del presidente, Gianfranco Simoncini.

Per la Regione Toscana si tratta di un passo avanti verso l’obiettivo, condiviso con l’Amministrazione comunale, di consolidare la presenza della Grandi Molini a Livorno, che, dopo le difficoltà del passato  ha ripreso da tempo la produzione e che, grazie al potenziamento dell’infrastruttura, potrà contare sull’arrivo in porto di navi con maggiori capacità di carico.

L’auspicio, adesso, è che il procedimento vada avanti rapidamente per realizzare un’opera necessaria e già finanziata.

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Roberto Benigni da Sergio Mattarella per i David di Donatello: “Sono il portavoce del Pci, partito del cinema”

“Sono il portavoce del Partito del Cinema, del Pci”. Ha scherzato così Roberto Benigni, introducendo al Quirinale la cerimonia di presentazione dei film candidati al David di Donatello alla presenza del Capo dello Stato Sergio Mattarella e del ministro Dario Franceschini.

Benigni ha preso la parola a nome del Cinema italiano, ricordando gli articoli 9, 21 e 33 della Costituzione “sui quali si fonda la possibilità di fare cinema”. L’attore e regista premio Oscar ha poi scherzato sulle vicende politiche italiane e sui ritardi della legge elettorale: “Il Mattarellum… se avessi fatto io la legge elettorale sarebbe stato il Benignellum”.

“La perdite d’interesse che c’è ora per il cinema è una cosa terribile – ha aggiunto Benigni -, costituisce una perdita di felicità, gli autori hanno il dovere di spingere affinché il cinema diventi quello che sia, la perdita di interesse per il cinema indebolisce la nostra anima, le nostre emozioni”.

Il comico toscano ha continuato: “Il cinema fa bene alla salute, uno dovrebbe andare in farmacia e prendere due bustine della ‘Dolce Vita’, 5 grammi di ‘Otto e mezzo’. Sperperiamo l’allegria, dobbiamo essere felici per diffondere felicità”.

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Massimo D’Alema certifica la scissione e presenta di fatto un nuovo partito: a sinistra per parlare ai delusi di Renzi e Grillo

Alle 19.30, a Lecce, cuore del suo Salento, Massimo D’Alema parla già da ex Pd: “La scissione non è un dramma o una tragedia. Certo non è una festa, ma è anche l’inizio di un processo di costruzione di un nuovo centrosinistra”. Pausa, tra gli applausi di una sala che non aspettava altro.

Roma è lontana, come le mediazioni che di ora in ora si consumano. Ed è lontano anche il Pd, a meno di 48 ore dall’assemblea di domenica. D’Alema chiede una “svolta profonda”, un “congresso vero”, ma, al tempo stesso, fa capire che non ci crede, convinto che, come ha spiegato nell’intervista al Corriere, Renzi non concederà nulla perché ha fretta di fare subito un plebiscito per puntare sul voto anticipato: “Renzi sa che sul lungo periodo può perdere tutto, e dunque accelererà. L’uomo ha ambizioni modeste, sa bene che non prende il 40 per cento, e punta a portare in Parlamento un gruppo di fedelissimi che gli ubbidiscano”.

Nell’intervento di D’Alema, oltre un’ora e mezza, c’è tutta l’antica sapienza del capo comunista alla vigilia di un passaggio storico. C’è l’abilità tattica di chi porta l’asticella in alto, consapevole che, nelle ultime ore, c’è chi può cedere a mediazioni al ribasso. La telefonata di Renzi a Emiliano, ad esempio, suona certo come una smentita di Delrio e del suo celebre fuori-onda, ma anche come un modo per tentare l’area dei dubbiosi attorno al governatore della Puglia sperando di staccarli dagli ex Pci. I codici della grammatica politica, avrà pensato D’Alema, avrebbero suggerito una telefonata a Bersani se mai Renzi avesse voluto aprire una trattativa vera. E invece ciò che sarà descritta come una mediazione in realtà è uno sgarro.

Ecco il discorso teso a scavare un punto di non ritorno nella trattativa o presunta tale. Ma non solo. Un’ora e mezza, per indicare la prospettiva, partendo dall’analisi del mondo, della nuova destra, non più liberista ma protezionista, passando per le politiche neoliberiste del governo Renzi, fino ad arrivare ai compiti del partito nella fase attuale, nel “radicale mutamento di scenario”. Partito che non è più il Pd. Il lìder Maximo parla di un “movimento in grado di tornare in mezzo al popolo” di fronte alla “deriva neocentrista del Pd”, ne tratteggia profilo, interlocutori e anima. Non una compagnia di combattenti e reduci che fa testimonianza, ma un movimento che “tenga aperta la prospettiva di una ricomposizione unitaria”: “Un movimento di questo tipo può raccogliere quelli che non votano più, quelli che non voterebbero mai più il Pd di Renzi, ne conosco svariate migliaia, e sarebbe in grado anche di contendere l’elettorato ai Cinque stelle”.

Nel decennale del Partito democratico e, per gli amanti del genere, nel più evocativo centenario della rivoluzione d’Ottobre, nella rottura del Pd l’auspicio di D’Alema è la rinascita di un centro-sinistra a due gambe, evocativa dello schema Margherita e Ds, in forma nuove: “La somma dei voti che questi due movimenti possono raccogliere è assai maggiore di quelli che può prendere il Pd”. Uno, appunto, è quello che nascerà dalla rottura di domenica, l’altro è il Pd, in cui è in atto da tempo una deriva neocentrista nelle politiche, su banche lavoro, utilizzo della flessibilità e nel partito.

“Iniettare populismo a bassa intensità non è un vaccino contro il populismo”, “se ci si mette a fare gli imitatori di Grillo e di Salvini gli elettori sceglieranno l’originale”, “non si sconfigge il populismo senza rimettere in campo un popolo”. C’è, nel primo discorso sul movimento che verrà, anche un tentativo, anche interno, di raddrizzare la linea su una scissione presentata e attaccata come una “scissione sul calendario”. Fredda, come fu la famosa fusione fredda che diede vita al Pd con la somma di Ds e Margherita. Tutto il discorso è teso a “politicizzare” la rottura, dandole solennità storica e ideale, con parole d’ordine che suscitino più entusiasmo e passione di uno statuto “scritto male”. E che rende le primarie un “plebiscito manipolato”, come accaduto a Napoli dove “aveva vinto Bassolino” (uno che guarda con interesse al nuovo movimento) o in Liguria “dove aveva vinto Cofferati” (altro interlocutore).

Meno due. E sabato all’iniziativa di Testaccio saliranno sul palco Speranza-Rossi-Emiliano. Al termine si chiuderanno in una stanza per scrivere un documento appello da portare all’assemblea di domenica: richiesta di una svolta, congresso a ottobre, sostegno del governo con qualche correzione di rotta. Bersani è pronto e non crede agli spifferi che raccontano di aperture di Renzi. Né lo convincono le mozioni degli affetti, ovvero le valanghe di appelli da ogni dove: “Ognuno – dicono i suoi – si deve prendere le sue responsabilità. Abbiamo posto questioni politiche, senza risposte, il sentiero è tracciato”. D’Alema è già oltre. Per non sbagliare gli organizzatori dell’evento a Testaccio hanno scelto canzoni molto evocative. A partire da Malarazza, di Domenico Modugno, che parla della ribellione degli ultimi di fronte ai padroni. “Tu ti lamenti, ma che ti lamenti? Pigghia nu bastune e tira fora li denti”.
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Francia, Hamon supera Valls alle primarie del partito socialista. Vince il candidato anti establishment

La sinistra francese ha finalmente il suo candidato. Con il risultato (ancora provvisorio) di 58,65% a 41,35%, il frondista Benoît Hamon conferma l’exploit del primo turno, battendo Manuel Valls al ballottaggio delle primarie.

Al di là del risultato, il Partito Socialista può dirsi soddisfatto in termini affluenza. A metà pomeriggio avevano già votato 1,3 milioni di persone, il 22,8% in più rispetto a domenica scorsa.

Dopo Nicolas Sarkozy, l’elettorato d’oltralpe mette alla porta anche l’ex Primo Ministro, confermando quella voglia di cambiamento che si era già manifestata a novembre in occasione delle primarie della destra vinte da François Fillon. Ed è stata proprio la strategia del “tutto tranne Valls” la chiave di volta con cui Hamon è riuscito a rimontare nei sondaggi aggiudicandosi la candidatura alle prossime presidenziali. La sfida in questa seconda tornata elettorale ha visto contrapporsi le due “sinistre inconciliabili” che in questi ultimi anni hanno spaccato il partito a metà.

Dato inizialmente come favorito, nel corso della sua campagna elettorale Valls ha perso progressivamente punti, costretto a barcamenarsi tra un programma povero di novità e la difesa dell’operato del governo, il più impopolare nella storia della V Repubblica. Protezionista sul tema dei migranti, conservatore in campo delle politiche sociale e rigido sulla laicità di stato: le proposte dell’ex premier non hanno saputo convincere i simpatizzanti di sinistra, che hanno respinto la sua linea politica, giudicata troppo istituzionale.

Dal canto suo, l’ex ministro dell’istruzione ha saputo sfruttare al meglio la situazione, concentrando la sua campagna su alcune proposte innovatrici come il reddito universale di cittadinanza, argomento che in questi ultimi giorni ha occupato una buona parte del dibattito politico.

Oltre a contare sull’appoggio dell’amico Arnaud Montebourg (arrivato terzo al primo turno), Hamon ha ricevuto il sostegno di tutta l’ala frondista del partito, che con questa vittoria è riuscita a prendersi una rivincita sul governo di Hollande.

Nella settimana che ha separato i due turni, lo scontro tra i due candidati si è fatto più acceso, con il disperato attacco di Valls che si è scagliato contro il suo avversario tentando il tutto per tutto. Rimasto sulla difensiva, Hamon ha saputo gestire lo stress del rush finale, mostrandosi più sicuro e determinato.

Per il nuovo leader della sinistra, però, la strada per l’Eliseo è ancora lunga. Secondo gli ultimi sondaggi, il candidato del Partito Socialista si fermerebbe al quinto posto, lasciando a François Fillon e Marine Le Pen la sfida del ballottaggio.

Il primo compito del nuovo candidato sarà quello di riunire le gauche sotto un’unica bandiera, cercando di evitare una diaspora elettorale che andrebbe a favorire altri candidati, primo fra tutti Emmanuel Macron. La vittoria di Hamon potrebbe infatti giovare all’ex ministro dell’economia, che grazie alle sue proposte social-liberali avrebbe una forte influenza sui simpatizzanti di Valls. Secondo un’indiscrezione diffusa venerdì dal sito Europe 1, un gruppo di deputati vicino all’ex-premier sarebbe già pronto ad abbandonare il Partito Socialista per unirsi a Macron. A questo si aggiunge poi la figura di Jean-Luc Melenchon, ex-socialista candidato per la sinistra radicale, che andrebbe a rubare consensi proprio tra gli elettori di Hamon.

Il Partito socialista si ritrova così in balia dei suoi avversari, incapace di trattenere a sé quella base elettorale necessaria per ripartire. Per riacquistare credibilità, Hamon dovrà incarnare un’alternativa politica convincente, legata a quei valori della sinistra francese che in questi ultimi anni sembrano essersi persi.
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