Indifferenti ai diritti: sul fine vita e utero in affitto il governo gioca a nascondino e il Parlamento è bloccato da anni

Per il momento, si potrebbe dire che la volontà di intervento del governo Gentiloni su alcuni temi è inversamente proporzionale all’importanza e all’urgenza che gli stessi hanno per i cittadini, e soprattutto al vuoto legislativo che su questi si è creato nel corso degli anni. La debolezza dell’esecutivo su questioni che toccano da vicino l’esistenza di milioni di cittadini, al pari di temi storici coma lavoro e sicurezza, è stata messa a nudo negli ultimi giorni dalla vicenda di Dj Fabo, ma l’impressione di impotenza è stata rafforzata dopo l’arrivo, in giornata, della clamorosa ordinanza della Corte di Appello di Trento, che ha riconosciuto la piena genitorialità a una coppia gay dopo la nascita di due gemelli grazie all’utero in affitto.

Due questioni che ormai da anni inchiodano la magistratura a un ruolo di surrogato della politica, sullo sfondo di un far west legislativo che, a quanto pare, rimarrà tale, almeno per questa legislatura. Difficile interpretare in altro modo la dichiarazione del ministro della Salute Lorenzin sulla triste storia di Dj Fabo, che in ogni caso non spingerà il governo a mettere mano alla legislazione in materia.

Il ministro ha fatto intendere che il governo preferisce lanciare la palla nel campo di un Parlamento che da vari anni e legislature non è riuscito nemmeno a fare arrivare in aula un testo sul testamento biologico. Allo stesso modo, sulla sentenza di Trento si è assistito oggi a una sorta di fiera del silenzio, da parte di Palazzo Chigi, dove i telefoni dei diretti interessati hanno squillato a vuoto e si è rivelata un’impresa difficilissima il carpire informazioni o semplici orientamenti sulle future mosse del governo su questo fronte. L’impressione, stando a quello che è filtrato da alcuni ambienti ministeriali, è che non si potrà mettere mano al dossier adozioni gay, anche se questo che era stato tra l’altro indicato come di stretta urgenza da parte del precedente esecutivo, all’indomani dell’approvazione della legge sulle unioni civili.

Una legge che il governo Renzi era riuscito a portare a casa proprio grazie a un compromesso al ribasso che consisteva nello stralcio della parte relativa alla stepchild adoption, su cui l’ala cattolica della maggioranza e dello stesso governo aveva posto un veto insormontabile.

A questo era seguita l’approvazione alla Camera di una serie di mozioni che invitavano l’esecutivo a occuparsi della questione, che però sono rimaste lettera morta. Dopo mesi, le distanze all’interno della maggioranza sono rimaste immutate, e se un governo nel complesso solido come quello presieduto da Matteo Renzi non era riuscito a sbloccare l’impasse, difficilmente potrebbe riuscire nell’impresa il governo Gentiloni, costretto a muoversi con una debolezza congenita data dall’incerta prospettiva politica. Elementi che inducono a pensare che eutanasia, testamento biologico, adozioni gay continueranno ad essere, per i prossimi mesi, esclusivamente il terreno di uno scontro sterile e ideologico tra laici e cattolici, così come è stato anche oggi.
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Parlamento Ue, Antonio Tajani eletto presidente, a Strasburgo vince l’equilibrio pro-tedesco

Antonio Tajani, 63 anni, eurodeputato del Ppe, monarchico in gioventù, berlusconiano in età matura, ex commissario europeo nell’era Barroso: è lui il successore del socialista Martin Schulz alla presidenza del Parlamento Europeo. A Strasburgo si cambia segno. E così cambia segno tutta la legislatura europea nata nel 2014 o quello che ne rimane. Si passa dalla spinta anti-austerity, che da Roma aveva contato molto sul sostegno di Juncker, alle pulsioni anti-flessibilità dei tedeschi impegnati nella loro campagna elettorale per le legislative di fine anno.

Il responso arriva intorno alle 21, in quarta votazione. Tajani fa il pieno di 351 voti, contro i 282 del candidato socialista Gianni Pittella. Oltre ai Popolari, per il berlusconiano votano i liberali di Guy Verhofstadt, rocambolesco cerimoniere dell’accordo per Tajani dopo aver fallito con il M5s, e i Conservatori di Helga Stevens. Per Tajani vota anche chi non sta più con Berlusconi in Italia: come Raffaele Fitto, eurodeputato del gruppo dei Conservatori che comprendono anche i Tories di David Cameron. Non vota per Tajani invece Matteo Salvini con i suoi 4 leghisti eletti, almeno non nelle dichiarazioni ufficiali. E non toccano palla né Nigel Farage, né Marine Le Pen, che si tengono lontanissimi dalla contesa tra i due partiti tradizionali.

Mentre in aula scorrono per tutta la giornata gli scrutinii sul nuovo presidente, mentre nei corridoi continuano le riunioni e le trattative tra i gruppi sui voti, mentre si compie la disfatta del candidato socialista Gianni Pittella, la voce insistente dice che la regìa di questa nuova presidenza sta fuori da questo palazzo: a Bruxelles. Precisamente a metà strada tra gli uffici del presidente della Commissione Ue Jean Claude Juncker e i socialisti tedeschi. Obiettivo comune: garantire la stabilità in Parlamento, frenare l’assalto all’austerity.

Nel pomeriggio, al briefing con i giornalisti a Strasburgo, il portavoce della Commissione Margaritis Schinas smentisce le voci. “Ciò che sta avvenendo qui riguarda solo il Parlamento, noi non abbiamo un ruolo. Ma siamo interessati a che ci sia una maggioranza qui con cui lavorare e per questo vediamo tre punti di riferimento: Pittella, Tajani, Verhofstadt. Siamo fiduciosi nel fatto che una maggioranza ci sarà”.

Naturalmente nemmeno Schinas smentisce l’obiettivo principale di Juncker: garantire la stabilità dopo la fine del patto tra socialisti e popolari che finora gli ha garantito il governo della Commissione. E’ questo che si intende per ‘regìa’ di Juncker sulla nuova presidenza del Parlamento. Ed è per questo che, mesi fa, il presidente della Commissione veniva dato, insieme a Schulz, come il vero artefice della candidatura di Verhofstadt, poi ritiratosi dalla corsa a favore di Tajani. Nel loro schema, Verhofstadt era il tentativo di mantenere in vita la coalizione tra Pse e Ppe. Schema fallito, perché Pittella lancia la sua candidatura anti-austerity. Ma grazie a Verhofstadt la stabilità viene comunque trovata, a spese di equilibri politici che risultano completamente ribaltati.

Pur senza annunci ufficiali, Juncker e Schulz sono sempre stati dalla stessa parte della barricata in questa tornata. Altrimenti non si spiegherebbe la decisione di Schulz di dimettersi dalla presidenza dell’Europarlamento a dicembre, a sorpresa, senza aver prima avvertito il gruppo o il capogruppo Pittella, informato solo la sera prima. Il cambio di segno a favore di equilibri pro-tedeschi inizia da lì.

Da quel punto in poi, Schulz è il candidato per le prossime legislative in Germania, probabile ministro di un nuovo governo di coalizione con la Merkel. Un risultato al quale i socialisti tedeschi contano di arrivare non certo con una campagna elettorale anti-austerity. Nell’elettorato tedesco infatti la flessibilità non è argomento popolare. Nel frattempo, Matteo Renzi perde il referendum costituzionale, si dimette e sbiadisce il 40 per cento incassato dal Pd alle europee: unica benzina per le spinte socialiste anti-austerity contro una tornata elettorale europea vinta in massa dai popolari e dagli euroscettici nel 2014.

Ora, un presidente del Parlamento appartenente al Ppe nell’ottica tedesca è più funzionale rispetto a un presidente socialista e per giunta italiano. Proveniente cioè da un paese che è finito di nuovo nel mirino della commissione Ue sui conti pubblici. Si doveva scegliere e l’Europa ha scelto Berlino. Il che conviene anche a Juncker, che conserva la presidenza senza spasmi.

Da questa storia, pare che i liberali abbiano guadagnato una vicepresidenza della Commissione Europea. I rumors vogliono che Juncker stia per assegnare a un esponente dell’Alde l’incarico lasciato dalla bulgara Kristallina Georgieva, che a inizio anno ha traslocato alla Banca Mondiale. I Conservatori invece entrano di fatto nella stanza dei bottoni del Parlamento insieme a Tajani e soprattutto insieme a Verhofstadt, nominato da Schulz capo negoziatore di Strasburgo sulla Brexit e confermato da Tajani. Insomma, un asso in più nella manica per gli eurodeputati Tories.

Ne fanno le spese i socialisti. Si indebolisce il grido di battaglia sulla flessibilità che negli ultimi anni – obtorto collo – era diventata una bandiera anche per Juncker. Ora i falchi passano all’incasso. Secondo alcuni rumors, persino i Verdi tedeschi avevano difficoltà a votare Pittella perché interessati a stringere un accordo di grande coalizione con la Merkel in Germania.

Pittella comunque ottiene il grosso dei voti dei Verdi e quelli del Gue. Ma non basta. La sinistra finisce in minoranza. La famiglia socialista è così debole da non riuscire nemmeno a ipotizzare un attacco sul fatto che ora il Ppe ha praticamente occupato tutte le alte cariche europee: dalla Commissione al Consiglio passando per il Parlamento. Piuttosto, ora parte lo psicodramma tra i socialisti. “E’ tutto aperto”, allarga le braccia una parlamentare del Pse.
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