Matteo Renzi: “Una scissione di palazzo, disegno ideato e prodotto da D’Alema”

Dice che gli dispiace e che farà “di tutto perché si possa andare insieme”. Ma il buonismo verso gli ex compagni di viaggio finisce lì. Matteo Renzi preferisce non citare i nomi dei vari scissionisti che hanno dato vita a ‘Democratici e progressisti’. Tranne uno: Massimo D’Alema. E a lui che, nell’intervista a ‘Che tempo che fa’, la prima in tv dopo i mesi travagliati seguiti alla sconfitta nel referendum costituzionale, l’ex segretario del Pd imputa tutte le colpe della recente rottura. “Abbiamo fatto di tutto – dice – perchè chiunque non se ne andasse. Ma abbiamo avuto l’impressione che fosse un disegno già scritto, ideato e prodotto da D’Alema”.

Che la strategia fosse questa, si era già intuito nel pomeriggio quando, alle dichiarazioni di Roberto Speranza, che lo aveva accusato di essere fuggito in California mentre il suo partito implodeva, il vice segretario dem, Lorenzo Guerini, aveva risposto: “Arriverà un giorno in cui finalmente metteranno da parte l’odio personale e ci racconteranno cosa pensano dell’Italia”.

Nella sua narrazione, Renzi si trasforma addirittura in un rospo: non quello delle favole, ovviamente, ma piuttosto quello che gli ex Ds – dice – non hanno mai voluto digerire. “E’ come – è la sua metafora – se D’Alema e i suoi amici non abbiano mai mandato giù il rospo che uno che non fosse dei loro avesse combattuto nel Pd”.

“Nel mondo – rincara la dose – il problema della sinistra è Trump, è Le Pen. In Italia il problema sarei io? Rimettiamo al centro l’Italia. Io non ne posso più di questo dibattito. E oggi che ne sono fuori sono ancora più convinto che questo sia un Paese meraviglioso”.

L’ex segretario del Pd, insomma, dà tutta l’impressione di aver scelto chi mettere nel mirino, proprio come fece all’epoca della rottamazione, anche per separare “vecchio” e “nuovo”: ed è chiaro dove – a suo giudizio – si sente odore di stantio.
Anche per questo, Renzi ostenta il suo essere lontano dal potere, il non avere un seggio in Parlamento, non ambire a un vitalizio. Anzi, si descrive contento di aver ripreso il trolley e aver ricominciato a girare: da Scampia alla California. “Riparto da zero, con la forza delle idee. Ora – prosegue – tocca ai parlamentari, non a me. Ora fate le cose, non rinviate”, “c’è un altro capo. Lo stimo, gli voglio bene, ma tocca a lui. Io sono fuori, sono uscito”. Tanto fuori, sostiene, da non aver alcuna influenza sulla data delle prossime politiche. “Le elezioni – afferma – sono previste a febbraio del 2018, se Gentiloni vorrà votare prima lo deciderà lui”.

L’ex premier si mostra anche tranquillo sulle vicende giudiziarie che riguardano il padre in quel processo Consip a cui, in questi giorni, ha fatto riferimento anche il suo competitor alla segreteria, Michele Emiliano. “Essendo io un personaggio pubblico – osserva – non posso che dire che sto con i magistrati” ma “conosco mio padre e conosco i suoi valori”, però “i processi ci devono essere nelle Aule dei tribunali, non sui giornali”.
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Nel Palazzo si risente odore d’Ulivo. In un convegno a Montecitorio tante facce della stagione prodiana

Che dice, “si sente odore di Ulivo?” Forse per qualcuno del Pd è un fantasma, temendolo lo tiene alla larga ma nei palazzi della politica in questi giorni si sente, eccome. E ad alimentarlo è forse il rinnovato attivismo di Romano Prodi che nel giro di una settimana ha rilasciato diverse interviste, facendo sentire più volte come la pensa. A tutto campo: sull’Europa, su Trump e quel rammarico sullo stallo della politica italiana che non lo lascia per nulla sereno. Così la domanda maliziosa sull’aria ulivista che aleggia, arriva fino al parterre messo su da Walter Verini e Sandra Zampa. Con la padrona di casa Laura Boldrini viene presentato il racconto del viaggio ad Auschwitz di una scuola di Gaggio Montano in provincia di Bologna. Ragazzi accompagnati da Francesco Guccini che sessant’anni fa compose la canzone simbolo della tragedia dei campi di sterminio.

Verini e Zampa però non sono due parlamentari qualsiasi. Sono i due collaboratori più stretti di Walter Veltroni e Romano Prodi, ospiti eccellenti insieme a Guccini della ‘prima’ del docu-film.

Certo, la serata sollecitava tutt’altre riflessioni. Ma gli incontri che abbiamo fatto non potevano non farci notare parecchi altri indizi dell’aria di Ulivo che si respirava. E così tra i banchi dell’auletta di Montecitorio, oltre a Veltroni, abbiamo incrociato Arturo Parisi, Giovanna Melandri e Cesare Damiano, già ministri dei due governi del professore. “Si sente quell’odore di ulivo penetrante, quello dei frutti appena colti”, ci racconta un collaboratore che arriva quasi alle minacce per proteggere il suo anonimato. Sorridono i giornalisti Giovanni Minoli e Furio Colombo. Hanno fiutato anche loro guardando la carrellata di personaggi che “per puro caso” si sono ritrovati. Manca Pierluigi Bersani emiliano e nostalgico di quella stagione che “ci sarebbe voluto essere” ma l’appuntamento gli è sfuggito.

Serata toccante, la proiezione non lascia molto spazio alla politica e ai suoi scenari. “Sono una mummia”, ci risponde il professore che chiude la bocca sfoggiando quel sorriso sornione ed enigmatico che in tanti conoscono. Sul perché di tanto attivismo chiediamo aiuto a Sandra Zampa, punto di riferimento a Montecitorio per interpretare il pensiero prodiano. “Vuole dire a tutti datevi una mossa, l’Ulivo che non è irripetibile non significa altro che questo”, un centrosinistra riunito non è impossibile. Il progetto di Pisapia? Possibile che “lo veda bene”, come chiunque dia il suo apporto a rimettere insieme i pezzi. Il Professore prende la via dell’uscita con la moglie Flavia e Arturo Parisi. Allora riproviamo a stuzzicare sulla voglia di Ulivo che si sta facendo risentire. “Macché, ci vediamo in continuazione”, replica il compagno di ventura allargando le braccia, e “non è ancora primavera”. Già, non ancora.

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