Conti pubblici, Dombrovskis elogia l’impegno dell’Italia sulla manovra. Padoan: “Direzione giusta”

“Sulla correzione dei conti pubblici, pari allo 0,2% del Pil, c’è un impegno molto concreto reiterato da tutti i ministri e da tutto l’establishment. Il tempo ci dirà come andrà la manovra che verrà varata in primavera”. A sottolinearlo è il vicepresidente della Commissione Ue, Valdis Dombrovskis, al termine dell’incontro al Mef con il ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan.

“L’Italia avrà quest’anno una crescita di circa l’1%. E’ una ripresa modesta, è molto importante rimanere in rotta rispetto alla traiettoria fiscale e di riforme” continua Dombrovskis.

A stretto giro risponde soddisfatto Padoan. “I nostri sforzi vengono riconosciuti, stiamo andando nella direzione giusta” ha detto il ministro dell’Economia precisando che nel bilaterale non sono state approfondite misure specifiche sul debito. Tuttavia “la crescita nominale pensiamo migliorerà sia in termini di Pil che di inflazione”, ha aggiunto.
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Il governo prepara la ‘manovrina’ per l’Ue, gelo del Pd con Padoan. Renzi dice no a tasse e privatizzazioni

Il rapporto debito/Pil si è “finalmente stabilizzato ma è interesse nazionale ridurlo con un aggiustamento contenuto del percorso di consolidamento”, scrive Pier Carlo Padoan via tweet: sintetico, dritto al punto per far capire che non ci sono margini. Insomma, le privatizzazioni sono necessarie, non si può tornare indietro. Così come è inevitabile una correzione dei conti da fare entro fine aprile, come conferma anche Gentiloni a fine giornata. Il governo infatti deve varare una manovra correttiva di 3,4 miliardi di euro, come chiede la Commissione Ue che oggi ha scelto di non aprire una procedura di infrazione verso Roma ma di aspettare aprile. La manovra dovrà essere condotta in porto nei prossimi due mesi. Pena una procedura di infrazione contro l’Italia a maggio. Al ritorno da Bruxelles, dopo la riunione dell’Ecofin, Padoan entra a Palazzo Chigi per discuterne con il premier Paolo Gentiloni. Cioè con colui che deve mediare tra il Pd di Matteo Renzi e il Tesoro. Le frizioni tra l’ex premier e il ministro dell’Economia non si sono placate. Anzi minacciano di acuirsi sull’onda della ‘manovra bis necessaria’.

Di fronte all’annuncio di Padoan il Pd di Renzi resta freddo. Gelo in Transatlantico alla Camera tra i parlamentari del Pd. “Il governo farà una sua proposta e valuteremo”, ci dice il capogruppo Dem Ettore Rosato, tono pacato ma distaccato rispetto a quanto sta avvenendo a Palazzo Chigi, dove Padoan sta appunto discutendo con Gentiloni dove andare a prendere i 3,4 miliardi per soddisfare l’Ue.

“E’ vero che dobbiamo confrontarci con l’Ue e rispondere ma siamo stati mille giorni al governo senza alzare le tasse: non vorremmo smentirci all’ultimo minuto”, mette in chiaro Rosato. “Quanto alle privatizzazioni: abbiamo già detto più volte che per noi Poste e ferrovie sono asset di valenza sociale, dunque non si toccano”, aggiunge, andando a colpire uno dei cavalli di battaglia del Tesoro per ridurre il debito.

Anche oggi a Bruxelles Padoan ha difese le privatizzazioni. “La via maestra per ridurre il debito è la crescita – ha spiegato il ministro – le privatizzazioni hanno diversi motivi, uno dei quali è la riduzione del debito”. Un invito a pensarci su: “E’ di oggi la notizia che la privatizzazione di Enav è stata premiata quale migliore Ipo d’Europa”.

Affermazioni che cadono nel giorno in cui il presidente e reggente del Pd Matteo Orfini chiama ad uno “stop delle privatizzazioni” e a due settimane dall’invito a “riflettere sulle privatizzazioni delle Fs” avanzato dal ministro dei Trasporti Graziano Delrio nella direzione Dem del 13 febbraio scorso. Il Pd di Renzi resta di questa idea e ritiene di aver trovato sponda niente meno che in Romano Prodi.

Delrio ha letto infatti come un punto a suo favore l’editoriale del professore bolognese sul Messaggero di domenica scorsa. ‘Ultimo bivio per il futuro dei servizi pubblici’, è il titolo. L’argomentazione: “Mentre il processo di privatizzazione delle aziende operanti in regime di concorrenza è intellettualmente semplice, la messa sul mercato delle imprese con grande contenuto di utilità sociale e operanti in situazione di monopolio naturale deve essere portata avanti tenendo conto di tutti i conseguenti gravami. Per questo motivo gli altri grandi paesi europei sono stati estremamente prudenti a procedere alle privatizzazioni di questi settori”.

Se lo dice il padre nobile del centrosinistra, sarà vero: è l’argomento di forza nella disputa col Tesoro.

Eppure proprio oggi Renzi si è sbilanciato a favore del governo, scrivendo dalla California che “sta facendo molte cose importanti di cui si parla poco…”. La manovrina annunciata da Padoan è il boccone indigesto che Renzi non aveva messo in conto di digerire a gennaio, quando la Commissione ha chiesto la correzione dello 0,2 per cento del pil. Ora ci siamo. Rosato esclude che la manovra bis possa essere la buccia di banana per scivolare fino al voto anticipato a giugno. “Io sono stato un sostenitore del voto anticipato ma ormai quella finestra si è chiusa”, dice.

Riaprirla per Renzi vorrebbe dire mettere in crisi il rapporto con Dario Franceschini, che su input del Colle ha sempre cercato di frenare le ansie di tornare al voto al più presto. E si sa che l’appoggio del ministro per i Beni Culturali è fondamentale per vincere il congresso del Pd: Renzi non può perderlo.

E’ questa la cruna dell’ago da cui dovrà passare il rapporto tra Pd e governo. Padoan cerca di far ingoiare la pillola. “Se la Commissione non avesse riconosciuto la legittimità delle ragioni italiane (spese legate a causa di forza maggiore come il terremoto e il flusso di migranti) l’esigenza di correzione dei conti sarebbe stata almeno tripla”, dice da Bruxelles. Ma questo non basta a lenire le preoccupazioni di un Pd incastrato tra la manovrina che non voleva e la difficoltà di tornare al voto a giugno per evitarla.
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Mps ottiene ok Ue al sostegno per la liquidità. Gentiloni e Padoan duri con Bce. Bankitalia: allo Stato onere da 6,6 miliardi

Le richieste della Bce su Mps sono pesanti, ma qualche margine di trattativa c’è. Nella conferenza stampa di fine anno, il premier Paolo Gentiloni è tornato sulla polemica con Francoforte, che ha chiesto una ricapitalizzazione da 8,8 miliardi per Montepaschi, contro i 5 previsti prima dell’intervento dello Stato. “Non sono abituatissimo e un po’ mi ha colpito avere notizie così ‘ex abrupto’ il giorno di Natale – ha detto il presidente del Consiglio – ma terremo il punto”.

Dall’Ue è intanto arrivato il primo via libera all’intervento dello Stato in Mps. La Commissione ha accolto la richiesta dell’Italia di prolungare fino al 30 giugno 2017 lo scudo per la liquidità per le banche italiane e di usarlo con Montepaschi.
Adesso Bankitalia e il Tesoro hanno uno scampolo di tempo per dare alla banca senese il loro assenso – che è praticamente scontato – permettendole così di emettere bond garantiti dalla Stato. Fra gli addetti ai lavori, c’è chi ha notato come la comunicazione dell’Ue sia arrivata proprio all’indomani dell’uscita del ministero delle finanze tedesco, che aveva chiesto agli organismi europei di assicurare il rispetto delle regole da parte dell’Italia.

Il totale delle passività che Mps emetterà nel corso del 2017 è di 15 miliardi, in modo da riportare gradualmente la liquidità ai livelli di fine 2015. La banca potrà seguire due strade: emettere nuove obbligazioni e usare i ‘vecchi’ bond come garanzia per ottenere liquidità dalla Bce. In entrambi i casi, la garanzia pubblica porta il rating della banca a quello dello Stato, con abbassamento dei costi per l’istituto. Su tutto questo, il Cda farà il punto domani.

Riguardo la trattativa con le istituzioni europee, “siccome sarà un processo lungo alcuni mesi – ha spiegato il premier – ci sarà dialogo e confronto. Abbiamo fatto le nostre valutazioni e collaboreremo con maggiore spirito costruttivo possibile”.
Certo, ha aggiunto, “il fatto che si debbano mettere non quattro, ma 6,6 miliardi, è oggetto di discussione con la vigilanza della Bce, ma non mette in discussione la tranquillità, la capienza e la rilevanza del nostro intervento”. D’altronde, ha aggiunto Gentiloni, “quello che abbiamo fatto” per intervenire sulle banche in difficoltà, “non si conclude con il decreto” da 20 miliardi. Nella discussione con le istituzioni europee, ha assicurato, il governo farà di tutto “per tenere al centro la salvaguardia dei risparmiatori”. Il primo passo in quella direzione è stato fatto “con il decreto salva risparmio – ha spiegato Gentiloni – la cui attuazione sarà lunga e complicata, non ce lo nascondiamo, ma che è una decisione strategica”. Anche Bankitalia fa sapere che il coinvolgimento nel salvataggio della banca potrà essere “attenuato” per quei clienti che abbiano obbligazioni subordinate vendute “non rispettando corrette regole di trasparenza”.

Al governo resta l’amaro in bocca per il comportamento di Francoforte. In un’intervista al Sole 24 Ore, il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan ha detto che sarebbe stato utile conoscere i “criteri” seguiti per determinare l’aumento di capitale per Mps: “La mancanza di informazione – ha spiegato – si traduce in opacità”. Dall’intervista sono emersi anche diversi spunti sul nuovo piano industriale e sul futuro dei vertici della banca. “Daremo un’occhiata al cda – ha detto – ma l’ad Morelli non è in discussione”. Mentre sulla cessione dei crediti deteriorati, punto centrale di ogni azione di ristrutturazione dell’istituto: “Atlante come soggetto che si accollava le sofferenze non c’è più”.

BANKITALIA FA I CONTI. L’onere complessivo per lo Stato ammonta a 6,6 miliardi di euro. Nel dettaglio, è pari a 4,6 miliardi di euro l’onere immediato che comporterà per lo Stato la ricapitalizzazione precauzionale di Mps, cifra alla quale vanno aggiunti i circa 2 miliardi necessari per il successivo ristoro dei sottoscrittori di obbligazioni retail, che porterebbero il totale a 6,6 miliardi. L’onere a carico dei soggetti diversi dallo Stato, invece, sarebbe pari a circa 2,2 miliardi. Il costo totale, pertanto, si commisura a 8,8 miliardi. In particolare, 6,3 miliardi occorrono per riallineare il Cet1 ratio alla soglia dell’8 per cento; di questi, circa 4,2 sarebbero coperti dal burden sharing dei titoli subordinati e circa 2,1 sarebbero forniti dallo Stato. Altri 2,5 miliardi sono poi necessari per raggiungere la soglia di Total capital ratio (Tcr) dell’11,5 per cento, per compensare il venir meno, per il burden sharing, dei titoli subordinati (strumenti patrimoniali di minore qualità) computati nel Total capital. In questo modo il totale raggiunge quota 8,8 miliardi.


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Il nuovo terremoto rafforza le ragioni di Roma contro Bruxelles: ecco la risposta di Padoan alla Commissione Ue

Il sisma della notte scorsa non cambia la sostanza della risposta italiana alla Commissione Europea sulla manovra economica ma certo rafforza la posizione del governo Renzi. Il caso insomma fa la sua parte, pur catastrofica per le popolazioni colpite. E’ un fatto se stamane, dopo una notte di scosse e paura nel centro Italia, a Bruxelles la portavoce del Commissario Pierre Moscovici, Annika Breidthardt, sia stata costretta dagli eventi a tornare su quei “costi per l’emergenza in risposta a catastrofi naturali” che “secondo le regole Ue” sono “esclusi dal calcolo degli sforzi strutturali di uno Stato durante la valutazione del rispetto delle regole del Patto di stabilità e crescita”. A Roma si diffonde lo stesso ottimismo che ha colto il premier Matteo Renzi venerdì scorso a Bruxelles quando il Consiglio europeo ha riconosciuto “gli sforzi italiani, anche quelli economici” per accogliere i migranti. Terremoto e profughi sono infatti i due capisaldi di spesa sui quali non a caso fa leva l’attesa risposta del ministro del Tesoro Pier Carlo Padoan alla lettera della Commissione Europea.

Si tratta di una semplice email, indirizzata al Vice Presidente Dombrovskis e al Commissario Moscovici. “Dear Valdis, dear Pierre”, scrive con fare informale Padoan. La missiva viene pubblicata sul sito del ministero di via XX Settembre e su quello della Commissione Europea, quello dove ci sono tutte le leggi di bilancio presentate dagli Stati membri con le relative lettere della squadra Juncker per l’Italia e altri sei paesi (Lituania, Finlandia, Belgio, Spagna, Portogallo, Cipro). Un testo di sei pagine (incluse le tabelle) in cui il Tesoro fornisce nuovi argomentazioni per cui le spese per la ricostruzione post-sisma e messa in sicurezza del territorio e quelle per l’accoglienza dei profughi devono essere scorporate dal patto di Stabilità e crescita.

La missiva parte dal peggioramento delle condizioni economiche globali. “Questo significa che l’economia italiana sta ancora soffrendo condizioni cicliche difficili – si legge – e si appresta ad un più graduale aggiustamento verso gli obiettivi di medio termine, che resta il pareggio di bilancio nel 2019”. E’ per questo che il deficit strutturale non scende, spiega il Tesoro nella risposta a Bruxelles. Ma anche per via delle “spese straordinarie su migranti e rischio sismico”.

I costi straordinari dell’accoglienza saranno lo “0,2 per cento del pil per il 2017”. “Il numero di migranti e rifugiati arrivati sulle nostre coste o salvati dalla nostra marina e guardia costiera è aumentato quest’anno – continua la lettera per l’Ue – e c’è il rischio concreto che questo trend persista nel 2017. Fino al 26 ottobre 156.705 migranti sono stati salvati nel 2016, più dell’intero 2015”. E’ la prima volta che il governo mette nero su bianco l’aumento degli arrivi: prima dell’estate insisteva nel dire che i profughi sbarcati non erano aumentati rispetto all’anno scorso. Invece la lettera per l’Ue diventa l’occasione per l’ennesima invettiva italiana sull’immigrazione.

“Il numero degli immigrati arrivati in Italia nel 2016 è di tre volte superiore a quello del 2013 e ancor più rispetto al 2011-2012”. E ancora: “I confini esterni dovrebbero essere responsabilità comune. L’Italia sta giocando un ruolo critico nella difesa dei confini esterni dell’Ue e ha fatto sforzi finanziari eccezionali per l’Unione Europea per assolvere i suoi compiti umanitari”. Perciò “le spese per le operazioni di soccorso, prima assistenza sanitaria, accoglienza ed educazione per più di 20mila minori non accompagnati sono stimate in 3,3 miliardi di euro nel 2016 e 3,8 mld nel 2017 in uno scenario stabile. Ma se il flusso dovesse continuare a crescere con il ritmo che ha avuto di recente, la spesa salirebbe a 4,2 miliardi di euro”. E inoltre “va sottolineato che diversamente da altri Stati europei l’Italia non include i costi aggiuntivi per l’integrazione sociale dei migranti, perchè non sono direttamente correlate alla gestione dei confini esterni”.

Per quanto riguarda invece i costi del rischio sismico, “il governo nel 2017 avrà spese considerevoli per l’assistenza post-terremoto e la ricostruzione, per un totale di 2,8 miliardi di euro. Inoltre, data la frequenza di terremoti distruttivi e la sofferenza che hanno causato alle popolazioni italiane, il governo intende portare avanti un programma aggiuntivo per affrontare il rischio sismico con più forza che in passato. Questa azione è necessaria per assicurare per esempio i nostri 42mila edifici scolastici, il 30 per cento dei quali richiedono manutenzione strutturale o devono essere completamente ricostruiti”. Oltre agli “investimenti pubblici” destinati a questo obiettivo, nella legge di bilancio “aumentano” anche “gli incentivi fiscali per gli interventi anti-sismici per le abitazioni private” per un costo di “2 miliardi di euro” sul budget del 2016. La somma degli investimenti pubblici e degli incentivi fiscali per gli interventi anti-sismici fa lo “0,2 per cento del pil”.

Ora la Commissione Europea ha tempo fino alla fine di novembre per esprimere un nuovo parere. Mentre il 9 novembre, diffonderà le previsioni economiche d’autunno per tutta l’Ue. A Roma non si aspettano altri bracci di ferro. Non prima del referendum costituzionale del 4 dicembre. La risposta della Commissione Juncker dovrebbe essere ‘provvisoria’, un parere teso a prendere tempo fino al 5 dicembre, quando si riunirà l’Eurogruppo. Il braccio di ferro contro il governo di Roma potrebbe iniziare solo allora. Domani intanto a Bratislava il ministro Pier Carlo Padoan avrà modo di toccare con mano la reazione di Moscovici in un bilaterale ad hoc a margine di una conferenza sull’Unione monetaria.

Se Renzi vince il referendum è sua intenzione cominciare da subito la battaglia per cambiare il Patto di stabilità e crescita e il Fiscal Compact, battaglia che gli assorbirà tutto il 2017, peraltro anno di campagna elettorale verso le politiche del 2018 (se non prima, secondo alcune voci di Palazzo). E come per la campagna referendaria la critica all’Europa sarà il cavallo di battaglia del premier anche in vista delle elezioni per il rinnovo della legislatura di governo. Già da ora Renzi ha lanciato il suo sasso nel pozzo delle tensioni europee, minacciando il veto italiano sui fondi ai paesi che non accolgono i migranti nella discussione sul prossimo bilancio europeo 2020-2026 che inizierà l’anno prossimo. Roba che ha già scatenato reazioni in Ungheria. “Se l’Italia rispettasse le regole, allora ci sarebbe minore pressione migratoria nell’Unione europea”, attacca il ministro degli Esteri ungherese Peter Szijjarto. Gli risponde a tono il titolare della Farnesina Paolo Gentiloni: “Con muri e referendum l’Ungheria ha sempre rivendicato di violare le regole europee sulle migrazioni. Ora almeno eviti di dare lezioni all’Italia”.

Scintille destinate a intensificarsi, se Renzi resta in sella vincendo il referendum. Se invece lo perde, lo scenario è tutto da disegnare anche a Bruxelles, dove sperano comunque che il premier italiano non faccia la fine di David Cameron messo ko dalla Brexit.
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Matteo Renzi e Pier Carlo Padoan, parole grosse per smorzare Bruxelles

“Un’Italia capace di fare le riforme a casa propria è più autorevole in Europa”. Una frase che Matteo Renzi più volte, negli ultimi tempi, ha ripetuto. Tuttavia, mai come in questi giorni rende evidente quanto siano legati i due fronti – le due “battaglie storiche” per dirla con le sue parole – che il premier sta combattendo: quella a Bruxelles sulla legge di Bilancio e quella in Italia sul referendum.

Vincere l’una per vincere anche l’altra. E viceversa. Come mai in passato, il presidente del Consiglio sta facendo la voce grossa con l’Europa. E non soltanto lui. Perché le sue parole fanno il paio con quelle del ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan, che, in un’intervista a ‘Repubblica’ – sentenzia che se l’Ue dovesse bocciare la manovra italiana “sarebbe l’inizio della fine”. Un intervento di cui, ovviamente, il premier era al corrente.

Tecnicamente, la disputa si gioca sullo 0,1% del Pil, ossia 1,6 miliardi di lire. Già domani potrebbe arrivare all’Italia (e ad altri cinque Paesi) la lettera con una richiesta di chiarimenti da parte di Bruxelles. I dubbi, sul fronte delle entrate, riguarderebbero le troppe una-tantum, mentre tra le uscite le perplessità ricadrebbero soprattutto sul piano nazionale di salvaguardia antisismica, considerato strutturale e non emergenziale.

Di fronte all’arrivo della missiva, sostanzialmente, Renzi scrolla le spalle e sminuisce. “Quante volte l’ha mandata? Sempre. A quanti Paesi? Almeno 5 o 6. E’ il fisiologico dialogo tra istituzioni”, afferma. Quanto a quel controverso 0,1% più, il presidente del Consiglio sostiene che non sta lì in punto della questione. “Io – spiega – voglio difendere l’Italia, nella battaglia storica perchè il bilancio europeo tenga insieme diritti e doveri”. Un tema che si ricollega, nelle parole del presidente del Consiglio, anche a quello dell’accoglienza. “Non stiamo litigando con l’Europa. Stiamo dicendo – insiste – che in passato l’Italia ha detto sempre di sì a tutto, ma noi siamo contributori dell’Europa: ogni anno diamo 20 miliardi e ne riprendiamo solo 12. Possiamo cominciare a far sì che quelli che prendono i soldi prendano anche i migranti? Ma i Paesi dell’Est salvati dalla Ue oggi chiudono le porte”.

Certo, spiegano fonti Pd, nello scegliere dei toni così duri, non è stata estranea a Renzi la consapevolezza di quanta presa la battaglia contro l’Europa-matrigna abbia su una parte dell’elettorato. Soprattutto, a destra. Dove, per ammissione dello stesso premier, è necessario andare a pescare se si vuole vincere il referendum costituzionale. Dalle opposizioni parlamentari, però, arriva anche un’altra accusa: quella di aver riempito il decreto fiscale di mance e marchette “per accalappiare consenso ai fini del referendum” (parole di Brunetta). Ed ecco che le due battaglie tornano ad incrociarsi.

A quelle stesse opposizioni, tuttavia, Renzi, lancia un appello affinché condividano la sfida europea. “Io spero – afferma – che la nostra proposta di rimettere in discussione il bilancio europeo e le regole economiche venga portata avanti anche a dispetto del referendum: nel 2017 discuteremo del Fiscal compact” che dovrà o meno essere inserito nei Trattati. “Spero – insiste – che tutto il Paese ci sia su questi temi”.
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