“Nicole è morta mentre la abbracciavo. Ci ha insegnato a vivere ogni attimo”. Parla la mamma a cui i colleghi avevano donato le ferie

Nicole non ce l’ha fatta: la piccola, affetta da tetraparesi spastica, è morta tra le braccia di sua madre la sera della vigilia di Natale. La sua storia però resterà un esempio di altruismo, quello dei colleghi della mamma, Michela Lorenzin, che le avevano regalato parte delle proprie ferie per permetterle di trascorrere tempo con la sua bambina.

“L’ho tenuta in braccio fino alla fine. E anche dopo. Nicole è mancata così, in un abbraccio tenero”. Era serena? “Era serena, non ha sofferto, è stata brava, non mi ha fatto disperare neppure questa volta. Era lì, con me, la tenevo posata al mio cuore… ed è volata via”.

Michela adesso sorride: è quello che vorrebbe Nicole. Parlando dei suoi ultimi giorni al Corriere della Sera, ricorda solo tanti bei momenti.

“Sono venuti a trovarci a casa alcuni volontari travestiti da pagliacci. E poi è arrivato Babbo Natale e Nicole non la smetteva di sorridere. Sotto la barba c’era un mio collega, che mi aveva regalato tre settimane di ferie. Mia figlia conquistava il cuore di tutte le persone che incontrava: ha vissuto poco ma è riuscita a farsi amare da tutti”.

Questo è solo l’ultimo dei gesti di altruismo da parte dei colleghi che hanno alleviato il dolore delle ultime ore di Nicole e della sua famiglia.

“La nostra è un’azienda che funziona, in crescita, e quindi gran parte di loro li conoscevo solo di vista e in pochi, fino a quel momento, sapevano dei problemi di mia figlia. Sono rimasti sorpresi, perché al lavoro ero sempre sorridente. Non potevano sapere che ero così felice perché c’era Nicole a darmi la serenità necessaria a superare qualunque giornata. Anche quelle più difficili, quando la notte non si chiudeva occhio perché gli allarmi suonavano e io e mio marito dovevamo intervenire con l’aspiratore per liberarle le vie aeree”.

Dietro tanta serenità si nasconde ancora più forza: e proprio questo è il regalo, l’ultimo, che Nicole ha fatto a sua madre.

“Ero una donna fragile e invece Nicole mi ha insegnato la forza e il coraggio di vivere l’amore infinito, la speranza per il futuro e la gioia. È questo che mi ha trasmesso, è meraviglioso” (…) “Quando brontolavo per qualche motivo, mi riprendeva lamentandosi come per dire: ‘Mamma non devi essere arrabbiata’. E allora mi veniva da ridere e le rispondevo: ‘Hai ragione, ho capito…’. Funzionava così il nostro rapporto: era una vitamina di felicità. Questo è l’insegnamento più importante che ci ha lasciato”.

Tornando a quella tragica notte, Michela parla di un “abbraccio di arrivederci”. Mentre la sua bambina volava via, ai suoi genitori e alle persone a loro più vicine è rimasto un grande insegnamento:

“La vita è bella. Nonostante le difficoltà, il dolore, le cattiverie, la vita è bella. E poi, con tutta questa solidarietà che abbiamo ricevuto, la vicenda di Nicole dimostra a tutti che il tempo è prezioso, e come tutte le cose preziose va donato per dare una mano alle persone che amiamo”.

La catena di solidarietà non finisce però qui. Michela e Igor Lago, il padre di Nicole, in questi giorni si sono attivati per fare in modo che Nicole continui a vivere, aiutando chi sta ancora soffrendo come è successo a lei.

“Io e mio marito vogliamo che Nicole aiuti anche loro. Tutti i soldi raccolti in questi giorni e fuori dalla chiesa verranno devoluti all’“Isola che c’è”, l’hospice pediatrico di Padova che sostiene i bambini come lei, che soffrono di patologie complicate. È una struttura molto bella, e se grazie a nostra figlia potranno aiutare anche soltanto un bimbo in più, sarebbe un meraviglioso traguardo. Lei, da lassù, sarà ancora più contenta”.

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Un biglietto d’amore per la moglie ogni mattina: così il padre di Hud ha commosso il figlio e, poi, il web intero

“Da quando ne ho memoria, mio padre si è alzato ogni mattina alle 05:00 per preparare il caffè a mia madre e lasciarle un messaggio d’amore”. È questo il post che Hud (@EhrichHudson) ha pubblicato su Twitter nel mese di ottobre, riscuotendo un successo probabilmente inaspettato per lui.

Il post dell’adolescente, accompagnato dalle foto dei post-it nelle tazzine del caffè e sparsi sui tavoli, da allora continua ad essere virale, tra commenti e retweet di chi ha apprezzato il bel gesto dell’uomo.

Il web non è rimasto indifferente di fronte ai tanti messaggini scritti su bigliettini a forma di stelle e cuoricini per la sua Alona e in molti devono aver invidiato quei risvegli così dolci.


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Referendum, Matteo Renzi e gli scenari post-voto: in ogni caso, urne anticipate

Vince il sì, vince il no e non ci sarà nessun forse. Domenica notte, mentre aspetterà i risultati con i suoi fedelissimi, Matteo Renzi comincerà a mettere a fuoco la sua risposta. Piano A: la vittoria. Il premier resta in carica e si prepara alla campagna elettorale per le politiche. Piano B: la sconfitta. Il premier resta in carica solo per l’approvazione della legge di stabilità, come gli chiederebbe Sergio Mattarella, congela le dimissioni e comunque affila le armi per le urne. Comunque vada, sarà voto anticipato. O almeno questa è la via d’uscita immaginata da Renzi. Anche se in caso di vittoria del sì, i renziani sono più restii ad ammetterlo.

Piano A Gli elettori consegnano a Renzi l’agognata vittoria. A risultato certo, Renzi si presenta davanti alle telecamere e tiene la conferenza stampa della rivincita. La rivincita rispetto ai sondaggi che in questa ossessiva campagna referendaria hanno sempre dato il no vincente. Da notare: solo alle europee, quando il Pd incassò il 40,8 per cento, Renzi tenne una conferenza stampa nella notte dello scrutinio. Era il 2014 e l’ex sindaco di Firenze era appena arrivato a Palazzo Chigi. Nelle altre tornate – amministrative, sempre molto meno generose con il Pd – ha rimandato le conferenze stampa al giorno dopo. In alcuni casi, le ha saltate a piè pari, come per le comunali 2015 quando partì per l’Afghanistan, visita a sorpresa dai “ragazzi” del contingente italiano.

Il discorso della vittoria tenterebbe di limitare i trionfalismi, della serie ‘ora serve unità’. Ma Renzi in cuor suo comincerebbe a sentirsi davvero legittimato da un voto popolare con il quale finora non si è mai confrontato. Non è un caso se il termine di paragone usato dal premier nel comizio di chiusura di campagna a Firenze sia stato il suo discorso per le primarie per la premiership del centrosinistra 4 anni fa, quelle perse contro Pier Luigi Bersani. “Quello fu il comizio della sconfitta, questo è invece è il comizio della vittoria”, ha detto in piazza della Signoria. Gli sarà difficile contenere orgoglio e trionfo.

È per questo che, con un occhio alla consulta che prima o poi dirà la sua sull’Italicum, i suoi abbozzano una possibile strategia. Che guarda al voto anticipato nel 2017. Per ora è idea che sta tra i desiderata. “Dovrà tener conto degli alleati – dice un renziano doc – di Alfano, di tutti quelli che chiedono la modifica della legge elettorale”. E anche della minoranza Dem che ha scelto di votare sì con la promessa di rivedere l’Italicum. Dunque, percorso complicato quello che porta al voto nel 2017 in caso di vittoria del sì. Il punto è che Renzi potrebbe averne bisogno per legittimarsi definitivamente anche a livello europeo. Visto che a partire dalla celebrazione dei 60anni del Trattato di Roma a marzo, subito dopo quello che spera sia un ok della commissione europea sulla legge di stabilità, Renzi vorrebbe assestare il colpo finale contro l’austerity. “Se vinciamo, gli diciamo che non vogliamo più essere il loro bancomat, il loro portafoglio!”, dice sempre a piazza della Signoria aizzando la folla contro l’Europa che sui profughi non si muove.

Piano B Gli elettori scelgono il no, si schierano con l’accozzaglia. Renzi non si capacita. Niente conferenza stampa nella notte più buia della sconfitta. Il giorno dopo sale al Colle per un confronto con Sergio Mattarella. Priorità: mettere il paese al sicuro dalle speculazioni dei mercati, che a quel punto si saranno già scatenati alla ricerca di un nuovo ordine. Dunque, niente dimissioni prima che il Senato – quel Senato che è ancora lì, uscito intatto dalla lavatrice del voto popolare – abbia approvato in via definitiva la legge di bilancio appena licenziata dalla Camera. Dimissioni congelate e via alla ricerca dello show down per azzerare tutto e arrivare al voto anticipato.

Ma qui iniziano gli interrogativi seri. Renzi resta segretario del Pd. Ma un minuto dopo la sconfitta è lì a studiare le mosse della sua maggioranza nel partito. Primo punto: “Se perdiamo anche solo con il 45 per cento, quella percentuale è tutta di Matteo”, dicono i suoi. “E’ come se portassimo a casa ancora una volta il risultato delle europee del 2014, con la differenza che stavolta il merito è tutto di Renzi che in questa campagna è stato più o meno solo contro tutti…”. Se così fosse, il premier-segretario lo farebbe pesare al momento delle scelte nel partito, nella direzione che convocherà dopo il voto, nel congresso che a questo punto parte subito. Ma questo non elude la domanda: cosa faranno i non-renziani e non-renzianissimi?

Vale a dire: Orfini, Orlando, Franceschini e poi Delrio, Richetti. Renzi resta il loro leader più spendibile a livello comunicativo, ma è azzoppato. Quanto Pd Renzi continuerà ad avere alle spalle, sopratutto nei gruppi parlamentari? Mattarella gli potrebbe chiedere di tornare davanti alle Camere per una nuova fiducia, magari scontata, stando agli innumerevoli inviti a restare che arrivano da tutti i ministri nonché dall’estero, da Obama al Financial Times e il New York Times. Ma Renzi si porrà la domanda: mi conviene?

Vuole restare al governo. Ma dopo la sconfitta ha un problema. Lui, il leader che si professa nuovo e non attaccato alla poltrona, dovrà trovare un’ottima giustificazione per un eventuale reincarico. Con Mattarella e i sostenitori in Parlamento dovrà raccontare una storia che non lo riduca al rango dei ‘rottamati’. Possibilmente una storia credibile. Potrà essere la storia della stabilità, della necessità di garantire un ordine. Ma a Renzi potrebbe non bastare. Avrà bisogno di un pulpito per recuperare la verginità politica perduta. Un pulpito esterno alle responsabilità di governo. Ma riuscirà a convincere il Pd a dare l’ok alla nascita di un governo di transizione (Grasso, Boldrini?) sul quale poi però scatenerà i suoi fulmini, in competizione già da campagna elettorale con Grillo?

Scenario complicato. Ed è ancora più complicato immaginare un governo Padoan, Calenda o Franceschini – i nomi più gettonati nelle chiacchiere di Transatlantico – a meno che in cuor suo Renzi non abbia deciso di cuocerli alla ‘Letta maniera’ una volta che arrivano a Palazzo Chigi.

Ecco perché, ogni scenario di sconfitta passa per un Renzi bis. A meno che Renzi non decida davvero di mollare la politica subito. Ma questa opzione non sembra essere all’orizzonte. O almeno non c’è alcun segno visibile che la annunci. A meno che il no non arrivi come un’inondazione. A quel punto gli scenari tratteggiati col bilancino sarebbero travolti.
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Vincenzo De Luca potrà fare il commissario della Sanità campana con un controllo ogni 6 mesi

La furbata è servita. Il presidente della Regione Campania Vincenzo De Luca potrà diventare commissario della Sanità della sua regione. Ma per fare passare questa norma senza provocare troppe polemiche, si è trovato un escamotage. Il commissario della Sanità sarà infatti soggetto a verifiche ogni sei mesi: insomma, una specie di tagliando. È questo il contenuto del testo riformulato dell’emendamento alla manovra presentato in commissione Bilancio alla Camera, accantonato martedì in seguito a numerose critiche.

La formula è quella di consentire al presidente della Regione di diventare commissario della propria sanità regionale ma a patto che ogni sei mesi si verifichi che il suo operato sia conforme ai piani di rientro e che la performance sui livelli essenziali di assistenza sia positiva.

Il testo precisa che “i tavoli tecnici, con cadenza semestrale, in occasione delle periodiche riunioni di verifica, producono una relazione ai ministri della Salute e dell’Economia e delle finanze, da trasmettersi al Consiglio dei ministri, con particolare riferimento al monitoraggio dell’equilibrio di bilancio e dell’erogazione dei livelli essenziali di assistenza”.

Molto critica con l’emendamento, la grillina Silvia Giordano, che intervenendo in commissione Bilancio alla Camera ha detto: “Questa è una marchetta bella e buona perché i voti di De Luca vi fanno di un comodo impressionante, abbiate l’onestà di ammettere che volete solo i suoi voti”. C’è poi la Lega Nord che ha annunciato, per voce di Barbara Saltamartini, che occuperà la sala del Mappamondo, dove si stanno svolgendo i lavori, se si voterà l’emendamento.

Il cosiddetto emendamento De Luca ha fatto infuriare le opposizioni perché in questo si è visto un favore politico del governo al presidente della Regione Campania in cambio di un appoggio robusto al Sì in vista del referendum del prossimo 4 dicembre. Proprio nel Sud infatti il Sì risulta in difficoltà.

Di fatti, dopo una battaglia in commissione, e dopo che il ministro Beatrice Lorenzin aveva espresso parere contrario, l’ordine è stato diramato da palazzo Chigi: forzate, fatelo passare. L’ordine dei lavori ha poi previsto una discussione serale, dopo i tg, quando i riflettori sono spenti. Basta un sì, insomma, a Roma sull’emendamento, in Campania nelle urne.

E i pezzi da novanta piombano, per l’ultimo miglio, nel feudo del governatore. Giovedì Luca Lotti è a Salerno mentre il ministro del lavoro Giuliano Poletti si confronterà con Stefano Caldoro a Napoli. A Napoli invece arriva sabato il fiore dei sindaci di fede renziana: Dario Nardella, Matteo Ricci, Giorgio Giuseppe Falcomatà e Antonio Decaro, il sindaco di Bari diventato presidente dell’Anci proprio per rastrellare voti al Sud. Il Mattino parla anche di un’altra tappa di Matteo Renzi, di qui al 4 dicembre, sempre nella Campania di De Luca.

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