Trump-Europa, niente luna di miele. Juncker: “Equilibri a rischio”. Obama avvertito dallo staff di Donald: non persegua sua agenda in politica estera

I due presidenti dell’Unione Europea, Donald Tusk e Jean Claude Juncker, hanno provato a usare ‘le buone maniere’ con Donald Trump il giorno dell’elezione alla Casa Bianca. Gli hanno scritto una lettera di congratulazioni, invitandolo a un vertice Usa-Ue al più presto. Nessuna risposta. Anzi, come prima mossa politica del suo mandato che ancora non è iniziato ufficialmente, Trump ha chiamato la premier britannica Theresa May invitandola a Washington “soon”. Il magnate Trump chiama Brexit per un’inedita alleanza di ‘nazionalismi pur internazionali’. A Bruxelles, ancora impegnata a gestire (o meglio subire) la partita post Brexit, è scattato l’allarme. E il fumantino Juncker si è accollato il compito di attaccare, di dire ciò che i preoccupatissimi capi di Stato e di governo europei non possono dire a Trump per motivi diplomatici. Finita la fase del fairplay con il nuovo presidente degli Usa.

Parlando agli studenti della Corte di Giustizia del Lussemburgo, in una conferenza su ‘I costruttori dell’Europa’, Juncker non usa mezzi termini. “E’ vero che l’elezione di Trump comporta dei rischi di vedere gli equilibri intercontinentali disturbati sui fondamentali e sulla struttura”, stabilisce. Il presidente della Commissione non si concede nemmeno il beneficio dell’attesa: aspettare per vedere se gli annunci di campagna elettorale rispecchieranno le azioni di Trump. “Ho una lunga vita politica – dice – ho lavorato con quattro presidenti Usa e ho constatato che tutto quello che si dice in campagna elettorale è vero un pò per tutti purtroppo”.

E ancora: “Gli americani in generale non prestano attenzione all’Europa. Trump ha detto in campagna elettorale che il Belgio è un villaggio da qualche parte nel nostro continente… In breve dobbiamo spiegare cos’è l’Europa. La mia idea francamente? Con Trump perderemo due anni, il tempo che impiegherà per fare il giro del mondo che non conosce”. E poi: Trump “ha delle attitudini nei confronti dei migranti e degli statunitensi non bianchi che non rispettano le convinzioni e i sentimenti europei”.

Pesante. Dichiarazioni incendiarie che gettano benzina sul fuoco peraltro già acceso da Trump dall’altra parte dell’oceano. Oggi il presidente neoeletto ha avuto il ‘buon gusto’ di avvertire Barack Obama a “non compiere passi rilevanti”, nella sua prossima visita in Europa. Il presidente uscente infatti è atteso venerdì prossimo a Berlino, per un vertice con Angela Merkel, Francois Hollande, Theresa May, il premier italiano Matteo Renzi, lo spagnolo Mariano Rajoy. Il rischio per Trump è di “mandare segnali contrastanti”, dice una fonte vicina al tycoon parlando al sito ‘Politico’. “Sulle questioni grandi, trasformative in cui il presidente Obama e il presidente eletto Trump non sono allineati, non penso che sia nello spirito della transizione tentare di far passare punti dell’agenda contrari alle posizioni” di Trump, è l’avvertimento.

Con Trump alla Casa Bianca tutto cambia nelle relazioni transatlantiche, a ritmo forsennato, con l’Europa sull’orlo di una crisi di nervi. Preoccupata per il disinteresse del nuovo presidente per i confini baltici, l’Ucraina, i paesi ex sovietici ora nell’Ue e il suo interesse invece a stabilire relazioni solide con Vladimir Putin. L’Ue rischia di essere al minimo ininfluente nei nuovi equilibri mondiali, messa in difficoltà dal rapporto privilegiato della nuova Casa Bianca con i britannici, cioè coloro che con la Brexit hanno concluso il primo atto di una crisi già avviata. Una Unione che annaspa nelle sue divisioni, la crisi dei migranti, il peso di un rapporto privilegiato tra Washington e Mosca rischia di opprimerla.

Di questo parla Juncker nel suo attacco che supera le cautele del capi di Stato e di governo. Merkel e anche Hollande hanno avuto il loro primo approccio telefonico con Trump soltanto oggi, dopo Matteo Renzi che ci ha parlato ieri sera. A sottolineare che persino il ruolo della Germania e della Francia, l’asse storico franco-tedesco che è da sempre cuore dell’Ue, viene ridimensionato da ‘The Donald’, schiacciato. La Cancelliera gli ha promesso “collaborazione” sulla base dei rapporti tradizionalmente molto buoni e amichevoli fra i due paesi”, ha detto il viceportavoce del governo, Georg Streiter, e l’ha invitato in Germania “al più tardi per il vertice del G20 dell’anno prossimo”. Pure Hollande si è mantenuto su canali diplomatici: 7-8 minuti di colloquio, “volontà di lavorare insieme”.

Ma intanto venerdì a Berlino sia Merkel che Hollande saluteranno Obama, per il suo ultimo viaggio presidenziale. E ci saranno anche Renzi, Rajoy e May. Rischia di essere la foto dei ‘rottamati’ da Trump, se non fosse per la presenza della premier britannica. Comunque vada sarà la foto di un passato asfaltato dall’ascesa politica e istituzionale del miliardario americano.
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La differenza tra Barack Obama e Donald Trump in due foto: l’amore per le donne contro il sessismo

Ha ricevuto una pioggia di critiche per le intercettazioni rubate in cui raccontava di averci provato pesantemente con una donna sposata e con una prostituta, mostrando di non aver certo rispetto per il gentil sesso. Ha pronunciato più volte in passato frasi infamanti verso le donne di ogni età, peso e razza, senza curarsi di essere neanche lontanamente politically correct.

Ma proprio questo atteggiamento sprezzante e provocatorio gli è tornato indietro come un boomerang nelle ultime settimane, facendogli perdere molti punti percentuali nei sondaggi che lo vedono contrapposto a Hillary Clinton per la corsa alla Casa Bianca. E questa foto dimostra perfettamente perché Donald Trump non sia di certo un uomo di stile.

Un addetto alle pubbliche relazioni, James Melville, ha voluto sottolineare quanta differenza ci sia tra l’uomo che potrebbe diventare presidente degli Stati Uniti alle prossime elezioni politiche americane e l’attuale premier in carica, Barack Obama. Per farlo ha postato sul suo profilo Twitter due foto, che ritraggono Obama e Trump in una medesima situazione, ma mostrando due comportamenti completamente differenti.

In una giornata di diluvio come tante, infatti, il primo presidente americano di colore e il miliardario del Queens hanno dovuto attraversare un luogo non protetto dalla pioggia, esponendosi alle intemperie. Accompagnati entrambi da due donne (dalla moglie Michelle nel caso di Obama e dalla collega Pam Bondi nel caso di Trump), i due avevano a disposizioni un solo ombrello. Usato, tuttavia, in maniera molto diversa.

Nella foto scattata nell’aprile del 2013 all’Andrews’ Air Force, Barack Obama – che si è sempre dimostrato molto cavalleresco e cortese nei confronti della moglie – ha lasciato che a coprirsi dalla pioggia copiosa fosse Michelle (nella foto sullo sfondo, in abito blu), camminando totalmente scoperto sotto il diluvio.

Al contrario, in una simile circostanza – era il 24 agosto del 2016, in Florida – il tycoon ha tenuto per sé l’ombrello, lasciando la repubblicana Pam Bondi – vicinissima a lui – a prendere l’acqua che scendeva giù dal cielo. Eppure, solo 3 anni prima la Bondi lo aveva graziato, rinunciando a perseguire un caso di frode riconducibile al biondo candidato alla Casa Bianca.

La foto ha fatto il giro del social network di San Francisco e ha ottenuto più di 15mila apprezzamenti in pochissimo tempo, per il suo evidente valore simbolico: la capacità del presidente in carica di prendersi cura degli altri e di rispettare le donne, contrapposta all’egoismo più basso, che non risparmia neanche i propri colleghi di partito.

“Un’immagine può veramente far capire molte cose, e questa lo fa” commenta un utente sotto il tweet di Melville, mentre un altro è più ironico e annota: “Quel che è certo è che la Casa Bianca deve investire nel comprare più ombrelli”. Ironia a parte, pare che gli elettori americani abbiano preso questa foto molto sul serio.
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Matteo Renzi al Consiglio Ue con la spinta di Obama: e spunta un primo ok sulle spese per i migranti in legge di stabilità

“L’Italia sta facendo la propria parte, ma in termini di solidarietà da parte di troppi paesi non ho visto altrettanto impegno”. Palazzo Justus Lipsius, Bruxelles: prima sessione del Consiglio europeo di ottobre. Sui migranti. Matteo Renzi prende la parola di fronte agli altri 27 leader e il presidente della Commissione europea Jean Claude Juncker. Oggi si sente forte, gonfio del sostegno di Barack Obama su tutta la linea, dal no all’austerity alla solidarietà per i profughi. Tanto che qui a Bruxelles riferisce agli eurodeputati delle preoccupazioni del presidente Usa sull’Europa: “L’Europa preoccupa il mondo”. Si diffonde voce che abbia aggiunto: “Più della Siria”. Smentita di Palazzo Chigi. Ad ogni modo, in questo Consiglio l’Italia ottiene qualcosa, anche se poco.

In sostanza Renzi ottiene che la bozza finale del vertice riconosca gli sforzi fatti dall’Italia per l’accoglienza dei migranti. Anche quelli finanziari. E’ musica per le orecchie di Renzi, anche se non risolve tutti i problemi. Significa che, mentre va avanti il braccio di ferro con la Commissione Europea, un pezzo di manovra economica è di fatto licenziato: quello sulle spese ai migranti.

Ecco il passaggio del documento finale che fa felice il premier: “Occorrono maggiori sforzi per ridurre il numero di migranti irregolari, in particolare dall’Africa, e migliorare i tassi di rimpatrio. Riconoscendo il considerevole contributo, anche di natura finanziaria, apportato negli ultimi anni dagli Stati nembri in prima linea, il Consiglio europeo…”.

Non è un’autentica novità. Le spese per i migranti non sono mai state messe in discussione dalla Commissione che sta esaminando la manovra italiana. Figurano infatti come ‘clausole eccezionali’ da scorporare dal patto di stabilità e crescita. Però Renzi non sottovaluta il risultato raggiunto: lo considera un primo buon auspicio su una manovra che continua a destare perplessità a Bruxelles per il deficit troppo alto.

Oggi tra l’altro non ne ha neanche parlato con Juncker. Con il presidente della Commissione solo un saluto ma nessun incontro a margine del Consiglio Ue, nessun contatto per sapere della manovra. Quasi a voler sottolineare una cautela reciproca. Da un lato infatti Renzi non ripete quanto affermato ieri: “Aspettiamo la procedura di infrazione contro i paesi che non accolgono i migranti…”, non contro l’Italia per la legge di stabilità 2016. Sa che il messaggio cadrebbe nel vuoto: sono tre giorni che Juncker ripete che “la solidarietà non si può imporre”. E in più la Commissione fa sapere che c’è ancora un altro anno di tempo per aprire le procedure di infrazione contro i paesi dell’est. In sostanza è tutto rimandato. Ma dall’altro lato, nessuno attacca l’Italia per la manovra in deficit, nemmeno i falchi dell’austerity che di solito non si lasciano sfuggire l’occasione.

E’ così che Renzi tenta di guadagnarsi l’ok della Commissione sulla legge di stabilità. Puntando anche sulla debolezza dell’Unione, incapace di imporre sanzioni, aprire procedure di infrazione, farsi rispettare. Un vuoto che Renzi spera di sfruttare in attesa di imprimere una svolta ai trattati europei: il primo appuntamento in questo senso è previsto a marzo in Italia in occasione delle celebrazioni del 60esimo anniversario del Trattato di Roma. Lo ha spiegato oggi agli eurodeputati Dem, che il premier ha voluto incontrare apposta prima del Consiglio europeo. Obiettivo: spingerli a mobilitarsi per il referendum costituzionale, soprattutto al sud dove non a caso Renzi sarà domani sera direttamente da Bruxelles. Destinazione Palermo, Trapani e Messina. E sabato, inoltre, Renzi svelerà anche il logo del vertice G7 previsto a Taormina a maggio. Senza la vittoria del sì, non può programmare niente, a partire dalla data italiana di marzo.

La prima giornata a Bruxelles dopo la full immersion americana finisce così. L’alto rappresentante per la politica estera, Federica Mogherini, illustra al Consiglio europeo i primi risultati della sperimentazione del ‘migration compact’ con 5 paesi africani: Mali, Senegal, Niger, Etiopia e Nigeria. E in più il documento finale parla finalmente di Africa e immigrazione nel Mediterraneo centrale. Sostanzialmente ciò che Renzi non aveva ottenuto al vertice informale di Bratislava a settembre, scatenando l’inferno (verbale) contro Angela Merkel e Francois Hollande. Anche con loro due oggi nessun bilaterale. La Cancelliera in giacca rossa che si abbina solo alle scarpe scarlatte di Theresa May se ne sta lontana anche nella foto di gruppo. L’epoca del direttorio a tre – Roma, Parigi, Berlino – è decisamente tramontata, per il momento.

E c’è da dire che le nuove concessioni all’Italia sono controbilanciate da una nuova presa di posizione dei paesi dell’est che chiedono di tener conto dei loro no espressi in passato. In più Germania, Svezia, Slovenia e Austria riescono a infilare nel documento finale la possibilità di mantenere i controlli alle frontiere, vale a dire la sospensione di Schengen.

Al succo, l’Europa resta fredda. Il premier pensa al calore di Obama. Ne parla diffusamente anche con gli europarlamentari tanto da rasentare l’incidente diplomatico. Dopo l’incontro infatti si diffonde la voce secondo cui Renzi avrebbe riferito agli europarlamentari di un Obama preoccupato più per la crisi dell’Europa che della Siria. Assurdo. Allarme. Scatta la smentita di Palazzo Chigi: ci sono entrambe le preoccupazioni ma l’una non va collegata all’altra. Ma il tema è troppo ghiotto per non essere funzionale alla narrazione di un premier che ora esige riconoscimenti anche europei da mettere insieme a quelli a stelle e strisce.
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Matteo Renzi a Michelle Obama: “I tuoi discorsi sono meglio dei tuoi pomodori” (VIDEO)

“Sono da sempre un fan di Obama, a partire dal suo primo discorso in Illinois nel 2007 ma, dopo aver ascoltato i discorsi di Michelle in campagna elettorale, li ho trovati dello stesso livello. Penso che i tuoi discorsi siano meglio dei tuoi pomodori”. Così, scherzando, Matteo Renzi nel discorso di apertura alla cena di Stato alla Casa Bianca. Renzi ha poi ripreso il concetto di “bottega” come luogo in cui si condivide il lavoro per renderlo migliore possibile, come accade con l’amministrazione Obama. Per questa ragione il presidente Usa è stato paragonato a un maestro del Rinascimento: “Ci hai dato l’opportunità di lavorare insieme a te per migliorare il mondo e pensare al futuro come a un luogo di speranza”. Il premier ha poi scherzato: “I nostri popoli condividono a tavola vino e cibo così come condividono gli stessi valori: possiamo allora organizzare una visita a Firenze, andare agli Uffizi e al David, e poi fare non una cena di Stato, ma andare in una osteria per vedere se i pomodori italiani sono più buoni di quelli dell’orto di Michelle”.

Obama e Michelle accolgono Renzi e Agnese per la cena di Stato

Benigni alla cena di Obama: “Resto qui, sto cercando una cosetta vicino all’orto di Michelle”

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Matteo Renzi, visita alla Casa Bianca: premier “in the sky” grazie a Obama

“Guardatelo: è giovane, è bello, gli piace molto twittare”. Potrebbe bastare questa frase di Barack Obama per mandare Matteo Renzi letteralmente ‘in the sky’, in visibilio, tra nuvole sognanti di adorazione per gli Stati Uniti, “our best friend”, dice il premier italiano dalla South Lawn della Casa Bianca. E invece Obama va oltre. Il suo è più di un endorsement, va oltre la scelta pure altamente simbolica di dedicare all’Italia l’ultimo bilaterale della sua presidenza. Obama sbandiera il suo “tifo per Renzi” al referendum di dicembre, gli consiglia pubblicamente di “restare in politica a prescindere dal risultato”, si schiera con lui su flessibilità e migranti. Lo usa per la sua battaglia contro l’austerity di Berlino. Si schiera con lui contro un’Europa che proprio in queste ore alza il sopracciglio sulla legge di stabilità italiana e resta immobile sulla crisi dei profughi, lasciando Italia da sola. Per Renzi è il massimo, the best: nel cuore la speranza che l’assist di Obama gli porti bene, meglio che a David Cameron, costretto a dimettersi dopo la sconfitta su Brexit.

Tappeti rossi e quasi un’intera giornata insieme, due ore interminabili di conferenza stampa e una cena a base di agnolotti in tutta convivialità alla Casa Bianca: Barack e Michelle, Matteo e Agnese e le eccellenze italiane da Roberto Benigni e la moglie Nicoletta Braschi alla campionessa paralimpica Bebe Vio. “Sono particolarmente grato per la partnership con il mio buon amico Matteo Renzi”, esordisce Obama già prima del bilaterale. Il premier italiano “ha lanciato una visione di progresso che non affonda le sue radici nelle paure della gente ma nelle loro speranze. Sa che come nazioni e come individui abbiamo il potere di raggiungere grande cambiamento, in Italia sta sfidando lo status quo con coraggiose riforme”. “La nostra missione è “di seguir virtute e canoscenza”: Renzi risponde citando Dante, Benigni ne è contento, il premier pensa già a come sfruttare il prezioso assist a stelle e strisce dopodomani a Bruxelles, al Consiglio europeo.

Parlano la stessa lingua. Obama tenta l’italiano all’inizio, “buongiorno”. Renzi sfoggia il suo inglese imperfetto. Ma è solo una questione di idiomi. Il presidente uscente si spende per l’amico italiano come mai prima. “Le riforme lanciate da Renzi, soprattutto in campo economico, sono quelle giuste”, “Il sì al referendum aiuta l’Italia”. Renzi ironizza, pensando a Cameron e incrociando le dita: “Il 2016 finora non è stato un anno eccezionale per organizzare i referendum ma penso che quello italiano sia un messaggio molto semplice contro la burocrazia: se a dicembre vinceremo, le cose in Italia saranno più semplici e l’Italia sarà un paese più forte in Europa”.

Per Obama, Renzi è l’antidoto ai populismi in Europa, Renzi va soccorso nella battaglia contro l’austerity e nella crisi dei migranti, Renzi è un prezioso alleato contro l’Isis in Iraq, nell’offensiva di Mosul dove gli italiani sono impegnati a tutela della locale diga, e per la stabilizzazione della Libia. Simply the best. Anche se non è ancora perfezionata l’alleanza in funzione anti-Russia, unico argomento sul quale Renzi non si sbilancia in conferenza stampa, stretto com’è tra il fortissimo e storico asse con Washington e i legami che pure ci sono con Mosca (Roma è contraria alle nuove sanzioni verso la Russia, così come per le vecchie). Invece Obama cita eccome la Russia che “viola i principi di democrazia, libertà, integrità territoriale”, attacca Trump e i repubblicani che “hanno sempre criticato il nostro dialogo con Mosca e ora sostengono un candidato che continua a lodare Putin in un modo che non ha precedenti nella politica americana”.

Domani Vladimir Putin sarà a Berlino, ospite di Angela Merkel. Ed è proprio la Cancelliera che Obama chiama in causa quando si schiera con Renzi sul no all’austerity. “Diverse volte ho parlato con Merkel e Hollande sui modi per risolvere le crisi del 2008”, premette Obama senza timore di scomodare gli ‘avversari’ europei. “In questi anni negli Stati Uniti abbiamo fatto sgravi fiscali, salvato industrie, creato occupazione, reso le banche più trasparenti e abbiamo attratto investimenti. Non mi aspetto che quello che abbiamo fatto negli Usa venga trasferito in Europa. Ma so per certo che c’è una crescita molto lenta in Europa e che i giovani non entrano nel mercato del lavoro. Ora c’è anche maggiore fiducia nelle finanze pubbliche ed è il momento giusto per concentrarsi sulla crescita e fare investimenti. Draghi ha fatto molto per mantenere una traiettoria positiva in Europa ma da sola la politica monetaria della Bce non basta. Renzi ha fatto molto in termini di progressi reali, c’è più fiducia da parte dei mercati. E credo ci sia una connessione fra la stagnazione e gli impulsi populisti che sanno crescendo in Europa”.

Usando Renzi, Obama si toglie i sassolini dalle scarpe nei confronti di un’Europa che di fatto gli ha bloccato la firma del Ttip, il trattato commerciale con gli Stati Uniti. O che almeno non è stata capace di arginare la contrarietà di Francois Hollande. Renzi invece è stato sempre a favore ed è lì alla Casa Bianca per dirgli che non ha mai cambiato idea su questo. Ne parlano nel bilaterale nello Studio Ovale, dove parlano di Iraq e Libia. Ma a favore dell’amico italiano, ancora una volta Obama va oltre: sull’immigrazione.

“L’Europa deve essere in grado di risolvere questo problema e non lasciare uno Stato a risolvere il problema da solo. Noi siamo una federazione, è vero, ma mai lasceremmo uno Stato a risolvere il problema da solo e buona fortuna”. Dall’altro lato, Renzi ricorda il ‘migration compact’ italiano, finora mai applicato dall’Ue fino a scatenare lo strappo di Bratislava. “La questione Africa è stata abbandonata dall’Ue negli ultimi decenni – dice – Dobbiamo lavorare come la Commissione aveva immaginato pur senza la necessaria velocità. Ma prima di chiedere aiuto agli Usa bisogna che l’Ue faccia la sua parte. Non possiamo pensare di farci carico da soli dei problemi in Libia e Africa e giovedì al Consiglio europeo porremo la questione”.

Prima di ripartire, domani a Washington Renzi riuscirà a incontrare a pranzo lo staff della candidata Democratica alla Casa Bianca Hillary Clinton per preparare il terreno delle alleanze future dopo Obama. Giovedì sarà a Bruxelles, curioso di vedere la reazione degli altri partner europei rispetto a questo asse italo-americano: così intenso da risultare inedito.
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