Google lancia un nuovo servizio VPN: ecco cosa devi sapere

Google ha recentemente lanciato un nuovo servizio VPN, disponibile per gli utenti di Google One, il servizio di abbonamento premium di Google. In questo articolo, analizzeremo i principali aspetti di questo nuovo servizio VPN, tra cui sicurezza, privacy e prestazioni.

Cos’è la VPN di Google?

La VPN di Google è un servizio VPN disponibile esclusivamente per gli utenti di Google One, il servizio di abbonamento premium di Google. La VPN di Google consente agli utenti di proteggere la propria privacy e la propria connessione Internet, fornendo una connessione sicura a Internet tramite un server VPN.

Come funziona la VPN di Google?

La VPN di Google funziona collegando il dispositivo dell’utente a un server VPN remoto tramite una connessione crittografata. Una volta collegato al server VPN, il traffico Internet dell’utente viene crittografato e il suo indirizzo IP viene nascosto, proteggendo la privacy dell’utente e impedendo a terze parti di monitorare la sua attività online.

Quali sono i vantaggi della VPN di Google?

La VPN di Google offre una serie di vantaggi, tra cui la protezione della privacy e della sicurezza online, l’accesso a contenuti geograficamente limitati e l’aumento della velocità di connessione.

Quanto costa la VPN di Google?

La VPN di Google è disponibile solo per gli utenti di Google One, il servizio di abbonamento premium di Google. Il costo di Google One inizia da $ 1,99 al mese per 100 GB di spazio di archiviazione e l’accesso alla VPN di Google è incluso in tutti i piani di Google One.

Quali sono le opzioni di server disponibili nella VPN di Google?

Attualmente, la VPN di Google offre server in oltre 50 paesi in tutto il mondo.

La VPN di Google tiene traccia della mia attività online?

No, Google afferma che la VPN di Google non tiene traccia della tua attività online o delle informazioni sui siti web che visiti mentre utilizzi il servizio.

Come posso iniziare a utilizzare la VPN di Google?

Per iniziare a utilizzare la VPN di Google, devi essere un utente di Google One. Una volta che hai effettuato l’accesso a Google One, puoi attivare la VPN di Google dalle impostazioni dell’app Google One.

La VPN di Google rallenterà la mia connessione Internet?

Mentre l’utilizzo di una VPN può ridurre la velocità della connessione Internet, Google afferma che la sua VPN è progettata per essere veloce e non influire significativamente sulla velocità di connessione.

È possibile utilizzare la VPN di Google su più dispositivi?

Sì, la VPN di Google può essere utilizzata su un massimo di cinque dispositivi contemporaneamente.

La VPN di Google è sicura?

Google afferma che la VPN di Google utilizza una crittografia di livello militare per proteggere i dati degli utenti e offre una protezione avanzata contro le minacce online, come phishing e malware. Tuttavia, è importante notare che nessuna VPN può garantire al 100% la sicurezza

Oltre alla sicurezza, privacy e prestazioni, ci sono altri fattori da considerare quando si utilizza una VPN, come la compatibilità con diversi dispositivi e la politica di registrazione dei dati. Fortunatamente, la VPN di Google sembra essere una scelta solida per gli utenti che cercano una VPN affidabile e facile da usare.

La VPN di Google offre un’ampia compatibilità con diversi dispositivi, tra cui computer desktop e portatili, smartphone Android e iOS e tablet. Inoltre, è possibile utilizzare la VPN di Google su un massimo di cinque dispositivi contemporaneamente, il che la rende una scelta ideale per famiglie o gruppi di utenti.

In termini di politica di registrazione dei dati, Google afferma che la VPN di Google non registra la cronologia di navigazione dell’utente o altre informazioni personali identificabili. Tuttavia, Google raccoglie alcune informazioni di base sull’utilizzo della VPN, come il volume di dati utilizzati e la durata della connessione, al fine di migliorare il servizio.

La VPN di Google sembra anche offrire una buona esperienza utente, con un’interfaccia semplice e intuitiva e un processo di installazione e configurazione rapido e facile. Inoltre, la VPN di Google sembra essere veloce e affidabile, con server in oltre 50 paesi in tutto il mondo per garantire una connessione veloce e stabile.

Tuttavia, come con qualsiasi servizio VPN, è importante considerare anche i potenziali svantaggi. Ad esempio, alcune VPN possono essere bloccate da servizi di streaming come Netflix e Hulu, rendendo impossibile guardare contenuti geograficamente limitati. Inoltre, alcune VPN possono anche avere un impatto sulla velocità di connessione, specialmente durante l’uso di attività ad alta larghezza di banda come lo streaming video o i giochi online.

In definitiva, la VPN di Google sembra essere una scelta solida per gli utenti di Google One che cercano una VPN facile da usare e affidabile. Con una vasta gamma di server in tutto il mondo, un’ampia compatibilità con diversi dispositivi e una politica di registrazione dei dati trasparente, la VPN di Google sembra essere una scelta ideale per gli utenti che cercano una VPN sicura e affidabile. Tuttavia, come con qualsiasi servizio VPN, è importante fare la propria ricerca e considerare attentamente i potenziali vantaggi e svantaggi prima di decidere se la VPN di Google è giusta per te.

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Google lancia un nuovo servizio VPN: ecco cosa devi sapere

Nuovo direttore de La Nazione, Rossi: “Auguri di buon lavoro ad Agnese Pini”

FIRENZE – Cambio alla guida dello storico quotidiano fiorentino La Nazione. Al direttore uscente Francesco Carrassi succede Agnese Pini, prima donna alla direzione della testata che ha da pochi giorni compiuto 160 anni di vita.
 
“Faccio i migliori auguri di buon lavoro – ha detto il presidente Enrico Rossi -, a nome di tutta la giunta regionale, al nuovo direttore di una testata così importante e diffusa in tutta la Toscana. E, al tempo stesso, ringrazio per il grande lavoro svolto fino ad oggi Francesco Carrassi, che ha sempre dimostrato grande equilibrio e capacità”.

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Nuovo incendio in una pineta a San Lorenzo a Merse nel Comune di Sovicille

FIRENZE – Nuovo incendio in località San Lorenzo a Merse, nel comune di Sovicille (Siena). Sul posto, oltre al personale a terra, stanno lavorando tre elicotteri del servizio antincendio boschivo regionale e sono in arrivo anche mezzi aerei nazionali.
 
Lo comunica il servizio antincendio boschivo della Regione Toscana che ha già disposto e attrezzato le squadre per seguire e contrastare gli sviluppi dell’incendio. 
 
Le fiamme sono divampate in una pineta di pini marittimi con un fitto sottobosco di eriche.
Sul posto operano anche squadre Aib che stavano facendo addestramento presso il centro regionale e che la Soup ha attivato convogliandole in zona.   
Nella stessa località, anche se su un altro versante, era divampato un incendio – il primo della stagione –  mercoledì 5 giugno.
 
 
Si sottolinea l’importanza di segnalare tempestivamente eventuali focolai al numero verde della Sala operativa regionale 800.425.425 o al 115 dei Vigili del Fuoco.
 

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Legge elettorale, nuovo rinvio alla Camera. I lavori in commissione procedono a rilento e l’approdo in aula slitta ancora

Nulla da fare per la riforma della legge elettorale, che registra l’ennesimo rinvio alla Camera. L’ufficio di presidenza della commissione Affari costituzionali di Montecitorio, infatti, ha preso atto che l’esame della riforma non potrà terminare entro lunedì 27 marzo, data in cui è calendarizzata in aula, e ha concordato di inviare una lettera alla presidente della Camera, Laura Boldrini, per comunicare l’impossibilità dell’approdo in aula la settimana prossima.

Il presidente della commissione, Andrea Mazziotti, ha auspicato che a partire da domani, “ci sia un dibattito concreto” sulla riforma e non “solo sulle rispettive proposte di bandiera”, in modo da arrivare “al più presto” a un testo base che consenta di fissare la data per la presentazione degli emendamenti. Durante la seduta del pomeriggio, Mazziotti ha concluso l’illustrazione sulle proposte di riforma, che intanto sono arrivate a 29: oggi si sono aggiunte quelle a firma Valiante, La russa, Lupi e Costantino.

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Potere contro potere. Trump sfida di nuovo i giudici con il Travel ban e dà un altro schiaffo all’intelligence

Non si placa la tempesta istituzionale innescata dalle ultime mosse del presidente Trump. Lo scontro tra poteri è ormai all’ordine del giorno, con la Casa Bianca che continua a sfidare sia la magistratura che le agenzie d’intelligence. Il nuovo bando sull’immigrazione – subito definito “legale” dal segretario alla Giustizia Jeff Sessions – rappresenta una nuova sfida al potere giudiziario. Malgrado le differenze rispetto alla prima versione, infatti, il nuovo ordine esecutivo non solo non stravolge, ma conferma l’impianto del precedente. A differenza del primo decreto, questa seconda versione esclude dalla “lista nera” l’Iraq ed esplicita che il bando non vale per i detentori di green card e per chi è già in possesso di un visto. Il testo, più dettagliato rispetto al primo, insiste sulla funzione del bando: garantire la sicurezza nazionale. Ma ha comunque incontrato le critiche dei democratici e degli attivisti per i diritti umani, secondo cui si tratta di un altro Muslim ban, sebbene più sfumato.

Sul fronte dell’intelligence, l’attacco a Obama – accusato di aver ordinato intercettazioni illegali alla Trump Tower durante la campagna elettorale – ha alzato il livello dello scontro, spingendo a intervenire anche il direttore dell’Fbi, James Comey. Il quale ha esortato il Dipartimento di Giustizia a respingere pubblicamente le accuse di Trump al suo predecessore, prendendosi un altro schiaffo in faccia – l’ennesimo – dalla squadra di The Donald.

Trump non accetta le dichiarazioni di Comey sulla falsità delle accuse al suo predecessore, ha dichiarato la portavoce della Casa Bianca Sarah Huckabee Sanders in un’intervista all’emittente Abc. “Chiediamo solo che il Congresso faccia il proprio lavoro, che la Commissione Intelligence della Camera indaghi”, ha aggiunto la Sanders.

Da difficili che erano, i rapporti tra la Casa Bianca e le agenzie d’intelligence – Fbi e Nsa – sono diventati impossibili, dopo la raffica di tweet con cui Trump ha accusato Obama di aver fatto intercettare i suoi telefoni durante la campagna elettorale, agitando lo spettro del Nixon/Watergate. Accuse talmente gravi da spingere il numero uno dell’Fbi a chiedere al ministero della Giustizia di smentire pubblicamente le asserzioni del presidente. Ma la Casa Bianca non sembra disposta ad alcuna marcia indietro, anzi: tramite una sua portavoce, Trump ha fatto sapere di non credere alle dichiarazioni di Comey (secondo cui lo spionaggio non si è mai verificato) e ribadito la richiesta di un’indagine da parte della Commissione Intelligence della Camera dei Rappresentanti.

Dopo la smentita di Obama, che ha bollato le accuse come falsità assolute, l’intervento di Comey ha riacceso la lotta tra la nuova amministrazione e le agenzie d’intelligence, già accusate da Trump di essere dietro alle molte fughe di notizie che hanno caratterizzato l’avvio della sua presidenza. Questa volta, però, per i big dell’intelligence Trump l’ha sparata troppo grossa: intercettazioni di quel genere, infatti, sarebbero illegali, dato che il presidente statunitense non ha il potere di ordinare l’ascolto delle conversazioni telefoniche di qualsiasi cittadino. A dirimere la questione dovrebbe essere il Congresso, con un’indagine affidata appunto alla Commissione sui servizi della Camera.

Lo staff presidenziale ha detto che non ci saranno più commenti fino a nuovi sviluppi e, tornato a Washington dalla sua residenza in Florida, Trump non ha effettivamente rilanciato in alcun modo. Ma i media – in particolare il Washington Post, in un lungo articolo oggi in apertura del sito – lo descrivono un presidente “infuriato” per le fughe di notizie, in particolare, sui contatti tra i suoi collaboratori e la Russia.

Nell’epoca delle fake news, persino i collaboratori di The Donald faticano a trovare una linea comune sulla genesi dell’attacco a Obama. Secondo il New York Times, le “prove” da cui nascono le accuse di Trump si riducono alle dichiarazioni di un conduttore radiofonico conservatore, Mark Levine, e a un articolo apparso su Breitbart, il sito “trumpista” guidato fino a qualche tempo fa da Steve Bannon, attuale capo della strategia della Casa Bianca.

Questa la ricostruzione del NyTimes:

Giovedì, nella sua trasmissione radiofonica serale, il conduttore Mark Levine ha parlato di come l’amministrazione Obama, nei suoi ultimi mesi, abbia cercato di fermare l’avanzata di Trump alla presidenza. Parlando di tattiche da “Stato di polizia”, ha suggerito che proprio le azioni di Obama dovessero essere oggetto di un’inchiesta congressuale. Poche ore dopo un articolo su Breitbart rilanciava le accuse. Non è chiaro se qualcuno abbia messo sul tavolo di Trump l’articolo o se il presidente lo sia andato a cercare da sé. Fatto sta che venerdì mattina, alla Casa Bianca – rivela ancora il New York Times – Trump era di pessimo umore. E, nel corso di una tempestosa riunione, ha accusato lo staff della comunicazione di aver mal gestito la vicenda Sessions. Ancora furioso, quando sabato si è svegliato a Mar-a-Lago, la sua residenza a Palm Beach, in Florida, ha cominciato a twittare facendo notare, tra l’altro, che anche la stessa Nancy Pelosi, e quindi membri dell’amministrazione Obama, avevano incontrato l’ambasciatore russo.

Il paradigma dello scontro va in scena anche all’interno della Casa Bianca, dove crescono le difficoltà per il capo dello staff Reince Priebus, fin dall’inizio in competizione con lo stratega Bannon. Secondo quanto scrive Politico, Priebus viene accusato di non delegare nulla, forse per bloccare l’accesso diretto al presidente a suoi sottoposti, e quindi di passare al volo da una riunione all’altra, con risultati inconcludenti. “La sua è pura incompetenza, manca di strategia, di capacità organizzativa”, afferma una delle fonti citate da Politico, mentre un’altra sentenzia: “C’è insofferenza da parte di molti, compreso il presidente, per il fatto che le cose non stanno andando nel verso desiderato. Reince, che sia giusto o no, è quello che finirà per prendersi la colpa”.


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Massimo D’Alema certifica la scissione e presenta di fatto un nuovo partito: a sinistra per parlare ai delusi di Renzi e Grillo

Alle 19.30, a Lecce, cuore del suo Salento, Massimo D’Alema parla già da ex Pd: “La scissione non è un dramma o una tragedia. Certo non è una festa, ma è anche l’inizio di un processo di costruzione di un nuovo centrosinistra”. Pausa, tra gli applausi di una sala che non aspettava altro.

Roma è lontana, come le mediazioni che di ora in ora si consumano. Ed è lontano anche il Pd, a meno di 48 ore dall’assemblea di domenica. D’Alema chiede una “svolta profonda”, un “congresso vero”, ma, al tempo stesso, fa capire che non ci crede, convinto che, come ha spiegato nell’intervista al Corriere, Renzi non concederà nulla perché ha fretta di fare subito un plebiscito per puntare sul voto anticipato: “Renzi sa che sul lungo periodo può perdere tutto, e dunque accelererà. L’uomo ha ambizioni modeste, sa bene che non prende il 40 per cento, e punta a portare in Parlamento un gruppo di fedelissimi che gli ubbidiscano”.

Nell’intervento di D’Alema, oltre un’ora e mezza, c’è tutta l’antica sapienza del capo comunista alla vigilia di un passaggio storico. C’è l’abilità tattica di chi porta l’asticella in alto, consapevole che, nelle ultime ore, c’è chi può cedere a mediazioni al ribasso. La telefonata di Renzi a Emiliano, ad esempio, suona certo come una smentita di Delrio e del suo celebre fuori-onda, ma anche come un modo per tentare l’area dei dubbiosi attorno al governatore della Puglia sperando di staccarli dagli ex Pci. I codici della grammatica politica, avrà pensato D’Alema, avrebbero suggerito una telefonata a Bersani se mai Renzi avesse voluto aprire una trattativa vera. E invece ciò che sarà descritta come una mediazione in realtà è uno sgarro.

Ecco il discorso teso a scavare un punto di non ritorno nella trattativa o presunta tale. Ma non solo. Un’ora e mezza, per indicare la prospettiva, partendo dall’analisi del mondo, della nuova destra, non più liberista ma protezionista, passando per le politiche neoliberiste del governo Renzi, fino ad arrivare ai compiti del partito nella fase attuale, nel “radicale mutamento di scenario”. Partito che non è più il Pd. Il lìder Maximo parla di un “movimento in grado di tornare in mezzo al popolo” di fronte alla “deriva neocentrista del Pd”, ne tratteggia profilo, interlocutori e anima. Non una compagnia di combattenti e reduci che fa testimonianza, ma un movimento che “tenga aperta la prospettiva di una ricomposizione unitaria”: “Un movimento di questo tipo può raccogliere quelli che non votano più, quelli che non voterebbero mai più il Pd di Renzi, ne conosco svariate migliaia, e sarebbe in grado anche di contendere l’elettorato ai Cinque stelle”.

Nel decennale del Partito democratico e, per gli amanti del genere, nel più evocativo centenario della rivoluzione d’Ottobre, nella rottura del Pd l’auspicio di D’Alema è la rinascita di un centro-sinistra a due gambe, evocativa dello schema Margherita e Ds, in forma nuove: “La somma dei voti che questi due movimenti possono raccogliere è assai maggiore di quelli che può prendere il Pd”. Uno, appunto, è quello che nascerà dalla rottura di domenica, l’altro è il Pd, in cui è in atto da tempo una deriva neocentrista nelle politiche, su banche lavoro, utilizzo della flessibilità e nel partito.

“Iniettare populismo a bassa intensità non è un vaccino contro il populismo”, “se ci si mette a fare gli imitatori di Grillo e di Salvini gli elettori sceglieranno l’originale”, “non si sconfigge il populismo senza rimettere in campo un popolo”. C’è, nel primo discorso sul movimento che verrà, anche un tentativo, anche interno, di raddrizzare la linea su una scissione presentata e attaccata come una “scissione sul calendario”. Fredda, come fu la famosa fusione fredda che diede vita al Pd con la somma di Ds e Margherita. Tutto il discorso è teso a “politicizzare” la rottura, dandole solennità storica e ideale, con parole d’ordine che suscitino più entusiasmo e passione di uno statuto “scritto male”. E che rende le primarie un “plebiscito manipolato”, come accaduto a Napoli dove “aveva vinto Bassolino” (uno che guarda con interesse al nuovo movimento) o in Liguria “dove aveva vinto Cofferati” (altro interlocutore).

Meno due. E sabato all’iniziativa di Testaccio saliranno sul palco Speranza-Rossi-Emiliano. Al termine si chiuderanno in una stanza per scrivere un documento appello da portare all’assemblea di domenica: richiesta di una svolta, congresso a ottobre, sostegno del governo con qualche correzione di rotta. Bersani è pronto e non crede agli spifferi che raccontano di aperture di Renzi. Né lo convincono le mozioni degli affetti, ovvero le valanghe di appelli da ogni dove: “Ognuno – dicono i suoi – si deve prendere le sue responsabilità. Abbiamo posto questioni politiche, senza risposte, il sentiero è tracciato”. D’Alema è già oltre. Per non sbagliare gli organizzatori dell’evento a Testaccio hanno scelto canzoni molto evocative. A partire da Malarazza, di Domenico Modugno, che parla della ribellione degli ultimi di fronte ai padroni. “Tu ti lamenti, ma che ti lamenti? Pigghia nu bastune e tira fora li denti”.
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Rimini. Renzi riunisce gli amministratori Pd ma si ferma solo per lanciare il nuovo azzardo: 40 per cento per evitare il caos

“Non possiamo essere accusati per la riforma costituzionale e poi anche per le complicazioni assurde della sconfitta. Prima il rischio autoritario e ora le larghe intese… C’è un modo per evitare il caos: arrivare al 40 per cento!”. La sala del Palacongressi di Rimini viene giù in applausi. Matteo Renzi, figura tutta in nero casual sul palco, è a metà del suo intervento di un’ora davanti agli amministratori locali del Pd. Si è già goduto la standing ovation quando lo hanno chiamato sul palco. Roberto Speranza e Nico Stumpo, i due bersaniani venuti in terra ‘ostile’, si guardano intorno sperduti e poi sono costretti ad alzarsi anche loro. Renzi d’altronde non li attacca, non attacca nemmeno Massimo D’Alema che da Roma ha evocato la scissione del Pd. Il segretario pensa invece a fissare il prossimo azzardo: conquistare il 40 per cento alle prossime elezioni col premio di maggioranza per governare. Un voto che Renzi vuole vicino perché “l’Italia torni a contare in Europa e non giochi in serie B”.

E’ la sua nuova roulette russa (politica). Ma nella continua scommessa Renzi trova la sua ragion d’essere (politica). Lo ha fatto puntando al referendum, dopo la batosta delle amministrative. Lo fa di nuovo adesso, dopo la sconfitta referendaria. Il sistema proporzionale disegnato dalla sentenza della Consulta sull’Italicum gli sta bene. “Verificheremo in Parlamento se si potrà cambiare”, dice timidamente a Rimini. L’offerta alle altre forze politiche – leggi: a Forza Italia – è di cambiare subito, se si vuole. Una finestra di disponibilità che si chiude, se non si va al voto entro giugno, dicono i suoi. La scommessa è in questo pacchetto.

Al 40 per cento “noi ci siamo abituati”, dice pensando alle europee del 2014 e con una punta di polemica implicita contro la minoranza interna. Nei pensieri di tutti c’è il Massimo D’Alema che ha appena finito di evocare la scissione da Roma. Dalla prima fila, Speranza ascolta nervoso: c’era pure lui da D’Alema prima di venire qui. Ma Renzi non polemizza con gli anti-renziani del Pd: li ignora. E’ convinto che i bersaniani non seguiranno Massimo: bloccati da quell’8 per cento di soglia che complica l’accesso al Senato per le forze più piccole. Non a caso agita il drappo rosso dei posti in Parlamento come davanti a tori pronti per la corrida: “I capilista sono cento, poi ci sono le preferenze… E lo dico a qualcuno…”. Non sono tanti, ma ce n’è per più di qualcuno.

Semplifica. “La prossima competizione elettorale sarà una competizione a tre: il Pd, l’area di centrodestra che vedremo se sarà più vicina al Ppe o se Berlusconi e Salvini torneranno insieme, sembra Beautiful….”, risate in sala. E “…un’area indistinta… il M5s…”. Stop.

Renzi immagina dialoghi con Giuliano Pisapia per la costruzione di un centrosinistra. “Deve farlo però, iniziare subito”, avverte il ministro dell’Agricoltura Maurizio Martina che incrociamo al bar del Palacongressi. L’ex sindaco di Milano non vuole il listone unico, ma si vedrà. Il tutto passa attraverso accordi a livello territoriale, per le singole candidature in ogni singolo collegio. In modo da fare il pieno per scongiurare il rischio di dover governare con Berlusconi dopo il voto. Eventualità che Renzi ha ben presente e mette nel conto. Ma preferisce puntare alto: sfida aperta al M5s. Altro che D’Alema. “I giornalisti si aspettano che replicheremo ad altre assemblee: ma gli è andata male. Riprovare prego. L’avversario politico non è chi cerca di fare polemica nella nostra area, ma chi scommette sulla paura, l’individualismo, l’insicurezza…”.

Dunque i cinquestelle, quelli che possono contendere il tanto agognato 40 per cento. Con le loro “post-verità”. E quelle “trasmissioni televisive con i giornalisti che le cavalcano… Ma dov’è l’ordine dei giornalisti in questi casi?!”, urla il segretario e qui l’assemblea si scatena con lui in altrettante urla e applausi. Speranza e Stumpo restano impassibili. Il segretario è in campagna elettorale, anche se non lo dice. “Prima o poi si voterà, entro un anno o quando sarà. Ma c’è un solo modo per non farlo: dichiarare guerra a qualcuno e mi sembra un po’ forte…”. Qui anche i due bersaniani accennano un sorriso, cedono alla battuta. Poco dopo Speranza si sganascia dalle risate quando Renzi racconta della sua vita attuale, più famiglia e meno politica. “Mi piace fare la spesa. L’altro giorno ho incontrato uno al supermercato che mi ha detto: ‘Ma tu che ci fai qui? Io comunque ho votato no’. Gli ho risposto: allora, hai capito che ci faccio qui…”.

La battuta non gli manca. Del resto, a Rimini ci è arrivato riposato nel primo pomeriggio, direttamente da casa a Pontassieve. Si è risparmiato la “carrellata” (parole sue) di amministratori che si alternano sul palco dal mattino. Ci sono i governatori Nicola Zingaretti e Stefano Bonaccini. I sindaci che lui coccola, come Mattia Palazzi di Mantova, il fedelissimo Antonio Decaro di Bari, Dario Nardella di Firenze. Solo per citare alcune delle presenza di un Palacongressi gremitissimo. A Rimini – kermesse dedicata a Jessica, una delle vittime dell’hotel Rigopiano, “militante del Pd” – però Renzi ci resta solo per il tempo del suo intervento, poi due chiacchiere con i fedelissimi nel backstage, anche lì parlano del M5s e Orfini ne approfitta per spedire un tweet al loro indirizzo. E poi via di nuovo a casa: a Rimini Renzi ha convocato gli amministratori locali del Pd per due giorni ma lui ci resta solo per un paio d’ore, nemmeno domani sarà qui.

La possibilità di andare al voto lo ha distratto di nuovo dalle ‘beghe’ della nuova segreteria. Scomparsa di nuovo all’orizzonte. Renzi è lì che combatte con la finestra elettorale per tornare in pista, possibilmente da premier. Per far tornare l’Italia in pista, dice lui, pensando a Bruxelles che minaccia la procedura di infrazione contro Roma per mancata riduzione del debito.

“Ci sono paesi che hanno sforato il 3 per cento e non hanno procedure di infrazione – attacca Renzi – Abbiamo un’Europa che anziché riflettere sul futuro, su Trump, i populismi, si mette a mandare letterine con il tal parametro, il comma, il protocollo…”. E’ la tavola imbandita della prossima campagna elettorale. La miccia si potrebbe accendere già la prossima settimana, sempre che il governo superi i timori di Padoan e risponda no alla Commissione sulla manovra correttiva. A quel punto, confermano fonti renzianissime di governo, si potrebbe determinare un’accelerazione che potrebbe finire con il voto anticipato, a giugno ma perché no finanche ad aprile.

Se D’Alema da Roma si prepara ad “ogni evenienza” imbastendo una scissione, Renzi si prepara ad ogni evenienza convocando la direzione del Pd per il 13 febbraio. Potrebbe essere quella che decide l’accelerazione verso le urne, chissà. Tra i suoi c’è qualche perplessità. Matteo Richetti avverte che non bisognerebbe correre a tutti i costi verso il voto, “ci sono cose da fare prima…”. Ma Renzi così si gioca la sua partita, con il 40 per cento da acchiappare. “Non pensiamo che il nostro compito sia rassegnarci ai tempi cupi, anche se abbiamo perso la battaglia. Il livido fa male ma quando si perde, ci sono vari modi per reagire…”. E sparisce in una nuvola di abbracci e selfie.
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Il nuovo spot dell’Adidas in una casa di riposo insegna che la libertà è quello che abbiamo di più prezioso

Bastano un paio di scarpe per sentirsi veramente liberi. Partendo da questa semplice verità, il regista moldavo Eugen Merher ha creato un nuovo spot per la Adidas ambientandolo in una casa di riposo e facendo commuovere il mondo intero.

Il protagonista del video è un ex atleta, ormai costretto a soggiornare in una casa di riposo e a non poter mai uscire dalla struttura che lo ospita. Ritrovate per caso un paio di scarpe vecchie – di marca Adidas, ovviamente -, nasce di nuovo in lui la voglia di correre, di uscire da quella che percepisce come una prigione, di sentirsi finalmente libero.

L’uomo tenta allora più volte di fuggire, correndo, via di lì, ma il personale infermieristico dell’ospizio riesce a bloccarlo ogni volta prima di aver guadagnato la porta di uscita. Questo intristisce molto l’anziano, che si chiude nel mutismo e nella depressione, specie quando quella che sembra essere la direttrice della struttura gli toglie le sue adorate scarpe.

I suoi amici – anziani rinchiusi come lui – riescono però a “rubare” le Adidas dall’armadietto della donna, dando il coraggio all’ex atleta di provare un’ultima volta la sua fuga. Riuscendo a bloccare l’intervento degli infermieri, gli amici dell’uomo decretano il suo successo, in un finale che fa scendere più di qualche lacrima a chi guarda il video.

In realtà, il trionfo della libertà e della vita grazie a un paio di scarpe da ginnastica sembra non aver interessato molto l’Adidas, che non ha commissionato il girato, realizzato in autonomia dal giovanissimo Eugen, allievo della Filmacademy Baden-Wuerttemberg. “Abbiamo provato a spedire all’azienda il video, ma loro non hanno reagito” ha spiegato il regista in erba all’Huffington Post.

Evidentemente il brand tedesco non ha compreso l’importanza del cosiddetto storytelling dei valori, ormai in voga nel mondo del marketing e secondo cui raccontare i valori dell’azienda è ormai diventato il modo più efficace per fidelizzare i clienti. Non a caso, nelle ultime ore la Samsung ha portato avanti una operazione molto simile per il pubblico indiano, realizzando un spot con protagonisti dei non vedenti.

La viralità dello spot, tuttavia, potrebbe far cambiare idea alla Adidas.

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Roma, nuovo flop della Giunta M5S. Dei 137mln concessi dal Tesoro per coprire i debiti solo 70 saranno utilizzati

“Crediamo di riuscire ad affrontare circa 70 milioni di debiti fuori bilancio”. L’assessore capitolino al Bilancio Andrea Mazzillo, in un’intervista al TGR Lazio, ammette nei fatti che il Comune di Roma non riuscirà a impegnare per intero i 137 milioni di spazi d’economia concessi alla Capitale dal Ministero di Economia e finanza a fronte dei 215 milioni di debiti fuori bilancio che gravano sulle casse comunali. “D’altronde – spiega Mazzillo – la disponibilità del Mef ci è giunta ai primi di dicembre”. In pratica, secondo la Giunta targata Virginia Raggi, non ci sarebbe stato abbastanza tempo per la programmazione. Sta di fatto che si prospetta un nuovo flop per M5S dal momento che sarà utilizzata solo poco più della metà dei fondi messi a disposizione per coprire i debiti passati. Tuttavia – sempre secondo quanto riferisce l’assessore – sarebbero stati recuperati anche altri spazi fino a raggiungere quota 180 milioni.

Tra uffici capitolini, commissione Bilancio e Assemblea è in corso una vera e propria maratona. Da domani fino a poche ore prima del brindisi di saluto al nuovo anno, sperando che per Raggi sia migliore del precedente, l’Assemblea capitolina lavorerà, in extremis, per approvare le delibere della Giunta e non perdere i soldi concessi dal Mef. Se entro il 31 dicembre i consiglieri comunali non approveranno delibere equivalenti all’intera cifra, tutto ciò non impegnato tornerà nelle casse dello Stato e, secondo quanto anticipato da Mazzillo, 67 milioni torneranno indietro.

Nel calderone dei debiti c’è un po’ di tutto: da saldi a vecchi fornitori, a liquidazioni di contenziosi, buche, scuole, spese per feste e iniziative nei municipi, poi alcune delibere più consistenti, bisognose di giustificazioni più articolate e che molto probabilmente arriveranno sul fil di lana, come quella riguardante l’azienda trasporti. Nella prima seduta della commissione Bilancio guidata dal presidente M5S Marco Terranova con cui il 23 dicembre scorso è partito il conto alla rovescia per il salvataggio di queste risorse, i commissari hanno affrontato le prime 17 delibere, potendone approvare solo 16 per un importo complessivo di appena 2,8 milioni, perché una risultava incompleta. Oggi nella prima seduta di Giunta dopo la pausa natalizia, è stato varato un ulteriore pacchetto su cui la commissione Bilancio si esprimerà per poi passare all’esame dell’Aula. Insomma, in Campidoglio si lavora con l’acqua alla gola sperando di non affondare, anche se su quasi la metà dei soldi è stata già alzata bandiera bianca.

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Francia, primarie centro destra: vince Francois Fillon contro Alain Juppé. Marine Le Pen ha il suo nuovo rivale

Marine Le Pen sembra avere un nuovo rivale, con il quale dovrà confrontarsi sullo stesso terreno di gioco per convincere i francesi prima delle elezioni presidenziali del prossimo anno.

François Fillon si è aggiudicato il ballottaggio delle primarie dei Républicans con il 68,3% delle preferenze, distaccando di 37 punti Alain Juppé, rimasto fermo al 31,6%. Un risultato provvisorio che verrà confermato solamente in tarda serata. In quest’ultima settimana il sindaco di Bordeaux non è riuscito a colmare lo scarto accumulato domenica scorsa al primo turno, quando il suo rivale ha riportato un risultato del tutto inaspettato, ottenendo il 44% delle preferenze.
L’ex premier di Sarkozy è stato protagonista di un’improvvisa escalation che nell’ultimo mese lo ha proiettato in cima alle preferenze. Le proposte moderate di Juppé non hanno convinto gli elettori di destra, che si sono orientati verso idee più radicali e gaulliste.

L’affluenza di oggi ha testimoniato l’importanza data dai francesi a queste primarie, le prime organizzate nella storia della destra e considerate da molti come uno dei principali test in vista delle prossime presidenziali, previste tra maggio e aprile del prossimo anno. Alle 17h00 avevano già votato 2,9 milioni di persone, una mobilitazione leggermente maggiore rispetto a quella del primo turno, che alla stessa ora aveva registrato 2,8 milioni di elettori.

La candidatura di Fillon all’Eliseo costringerà i suoi avversari a ridisegnare le strategie preparate in questi ultimi mesi. L’uscita di scena di Sarkozy e Juppé ha stravolto tutti i piani, costringendo analisti e osservatori a disegnare nuovi scenari politici.

Nonostante un programma centrato su misure fortemente liberali nel campo del lavoro e dell’industria (taglio di 500mila posti di funzionari pubblici, abolizione delle 35 ore e riduzione di 110 miliardi sulla spesa pubblica) , Fillon si posiziona in diretta concorrenza con il Front National di Marine Le Pen grazie ad una serie di proposte sociali di stampo conservatore e nazionalista. La presunta amicizia con il presidente russo Vladimir Putin, l’endorsement della Manif pour Tous, (movimento cattolico contrario ai matrimoni omosessuali), e le sue posizioni antiabortiste e ultracattoliche potrebbero attirare le simpatie dell’elettorato dell’estrema destra francese, livellando così lo svantaggio che i Républicains avrebbero nei confronti del partito lepenista.

Uno scenario, questo, totalmente smentito dai vertici del Front National, che non hanno perso tempo nel prendere le distanze dal candidato repubblicano, attaccandolo sulle sue proposte economiche. Secondo il vice presidente, Florian Philippot, i progetti presentati da Fillon conterrebbero alcune idee di una “violenza inaudita”, dal carattere “ultra liberale” e “euro-liberale”. Il numero due del Front National ha poi definito la figura del candidato repubblicano come una “Tatcher con 30 anni di ritardo”.

Questa competizione tra destra ed estrema destra potrebbe andare a vantaggio del Partito Socialista, lacerato da una crisi interna che ne sta mettendo a repentaglio la stabilità.

In un’intervista rilasciata questa mattina a Le Journal de Dimanche, il Primo Ministro Manuel Valls non ha escluso una sua candidatura alle prossime primarie della sinistra, previste per il 22 e 29 gennaio. “Prenderò la mia decisione con coscienza” ha detto Valls, riconoscendo che “nelle ultime settimane il contesto è cambiato”. Parole, queste, pronunciate nell’attesa che anche François Hollande sciolga le riserve su una sua eventuale discesa in campo. Secondo indiscrezioni trapelate in questi giorni, la dirigenza del partito vedrebbe di buon occhio una candidatura del Primo Ministro, dato nei sondaggi al 65% contro Hollande, fermo al 23%.

Il tasso di impopolarità del Presidente è ai minimi storici, con solo il 4% dei francesi che giudicano positivamente il suo operato. Un record in negativo che prima di oggi nessun presidente della V° Repubblica aveva mai raggiunto. Ma senza il suo rivale storico, Nicolas Sarkozy, Hollande potrebbe tentare un ultimo, disperato, tentativo.

Contro le sue posizioni conservatrici, giudicate spesso reazionarie, la sinistra dovrebbe tornare sui suoi passi, rivedendo alcune decisioni prese durante quest’ultimo mandato, prima fra tutte la tanto contestata riforma del lavoro.
Per riuscire nell’impresa, l’intero partito socialista dovrà far fronte all’avanzata delle destre francesi in modo compatto e unito, un atteggiamento che per il momento sembra essere lontano dalla realtà.
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