La scomparsa di Marcello Martini, ex deportato, Barni: Un grande testimone per i nostri giovani

FIRENZE – La sua testimonianza sui campi di concentramento lasciava il segno: era sempre capace di trasmettere quella terribile memoria riuscendo a alleggerirla con un tocco di ironia tipicamente toscana. Era infatti originario di Montemurlo (Prato), Marcello Martini, morto oggi all’età di 89 anni.
Martini era una delle ultime memorie viventi dell’orrore nazista: a soli 14 anni aveva trascorso quasi un anno nell’inferno di Mathausen e in alcuni campi limitrofi come deportato politico, ma era riuscito miracolosamente a sopravvivere. Avrebbe poi trascorso gran parte della sua vita nei dintorni di Torino dove aveva lavorato come dirigente d’azienda.

“La scomparsa di Martini – ha commentato la vicepresidente della giunta regionale Monica Barni –  tocca nel profondo tutta la comunità toscana, a nome della quale vorrei esprimere alla famiglia le più sentite condoglianze. Martini ha vissuto dal di dentro la pagina più tragica della nostra storia recente, ma ha saputo anche riaprire più volte quella pagina per trasmettere direttamente ai giovani i valori fondanti della nostra umanità e il senso più profondo delle istituzioni democratiche”.

“In tante occasioni – ha proseguito la vicepresidente – ha partecipato alle iniziative della Regione sulla memoria e proprio nel gennaio scorso è stato insignito, insieme a altri sette sopravvissuti ai campi di sterminio, della medaglia d’oro “Pegaso” per aver spinto migliaia di giovani toscani a riflettere sulle conseguenze dell’indifferenza, del fascismo e della sua terribile guerra, “mostrando con la propria vita un esempio di resilienza, di spessore umano e morale”. La sua testimonianza resterà viva nei nostri cuori”.

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Asse Trump-May all’ombra di Churchill: “Ridiamo prosperità ai nostri popoli”

Chissà cosa direbbe il povero Winston Churchill a vedere il suo busto lì, sullo sfondo delle foto che immortalano l’incontro tra il presidente Usa Donald Trump e la premier britannica Theresa May. Chissà cosa direbbe nel vedere i due leader stringersi la mano e lanciare un nuovo atlantismo di fronte al suo volto di pietra, appropriandosi di quella “special relationship” fino a distorcerla e farle cambiare completamente segno. Già, perché c’è del paradossale nell’usare come simbolo di questo patto proprio l’uomo che guidò il Regno Unito nella Seconda guerra mondiale per salvare l’Europa ed estendere i valori democratici oltre i confini del proprio Paese.

Così, nell’epoca della post verità e dei “fatti alternativi”, Churchill si ritrova addirittura raddoppiato nella Casa Bianca di Donald Trump: oltre al busto originale che il neo presidente ha voluto riportare nello Studio Ovale il giorno del suo insediamento, c’è un secondo busto che May ha consegnato – in prestito – a Trump per suggellare il nuovo giro di walzer della “speciale relazione” tra Washington e Londra. Peccato che, nell’ottica di Churchill, quella relazione aveva ben altri orizzonti rispetto ai nazionalismi e alle chiusure su cui oggi i due leader convergono. Il neo atlantismo che interessa a Trump e May non ha nulla di quei valori e quegli ideali, e a noi non resta che solidarizzare con il povero Churchill, che si ritrova tirato per la giacca in un quadretto da cui si sarebbe verosimilmente sfilato.

Dopo le strette di mano, la conferenza stampa, la prima di Donald Trump dal giorno del suo insediamento. Si parte dalla “relazione tra Stati Uniti e Regno Unito”, che “non è mai stata così forte”. Il Regno Unito – scandisce Trump – “ha diritto all’autodeterminazione. Il popolo britannico indipendente è un fatto positivo per il mondo”. La Brexit? Trump si dice certo che “sarà una cosa fantastica per il Regno Unito”. Davanti a noi e ai nostri popoli ci sono giorni grandiosi”, assicura. La sintonia tra il presidente Usa e la premier britannica passa anche dal colore: per il loro primo incontro alla Casa Bianca entrambi scelgono il rosso fiammante, quasi a voler sottolineare anche dal punto di vista cromatico il carattere deciso delle loro politiche. Politiche il cui imperativo è lo stesso: “ridare prosperità ai nostri popoli”, dichiarano durante la conferenza stampa congiunta.

Entrambi i leader esprimono la volontà di stringere accordi commerciali bilaterali, pur sapendo che non potranno essere avviati fino a quando non sarà finalizzata l’uscita della Gran Bretagna dall’Ue. Sui rapporti commerciali, May evidenzia “l’ambizione” di dare prospettive alle rispettive economie facilitando il commercio tra le aziende dei due Paesi e di “approfondire” la relazione tra Uk-Usa specialmente ora che il Regno Unito sta lasciando l’Unione Europea.

La premier Tory sembra venuta a Washington anche ad attutire qualcuno degli acuti di Trump, proponendosi in cambio di intercedere ancora presso i partner europei. Così sulla Nato da una parte rassicura che Trump le ha confermato di essere “al 100% a favore dell’Alleanza”. E dall’altra promette la prima linea nell’esortare i partner atlantici a far fronte alle proprie responsabilità finanziarie, rispettando il 2% della spesa per la difesa.

Lotta all’Isis, Siria, Russia e rafforzamento delle relazioni commerciali tra Regno Unito e Stati Uniti. Questi i temi toccati nel corso del vertice, culminato in una conferenza stampa brevissima rispetto all’era Obama. Sulle sanzioni a Mosca May ribadisce che per sollevarle la precondizione è la piena attuazione degli accordi di Minsk sulla crisi ucraina, seguita dall’ammissione di Trump che è “troppo presto per parlarne con la Russia”.

Le divergenze certo non mancano. “Abbiamo parlato di molti temi, e continueremo a farlo in queste ore. Certo ci saranno delle divergenze su alcuni argomenti ma il punto importante nel rapporto che abbiamo è quello di avere un dialogo aperto e schietto”, afferma la premier. Rispondendo a una domanda su eventuali preoccupazioni in merito alle affermazioni di Trump in materia, ad esempio, di tortura o di aborto, May se la cava così: “Confermo che Trump mi ha ascoltato e io ho ascoltato lui, ed è questo lo scopo di un vertice bilaterale”. “Voglio essere chiara – assicura – ci sono molte questioni su cui Usa e Gb lavorano mano nella mano, ci sono molti punti di convergenza, ora possiamo partire per potenziare la nostra relazione, non solo negli interessi dei nostri Paesi ma di tutto il mondo”. Sotto lo sguardo di pietra di Churchill, le differenze si appianano e si pensa già al prossimo incontro. May, infatti, ha inviato ufficialmente la first couple a Londra per conto della regina Elisabetta II. La visita si terrà “più avanti entro il 2017”, quando il Regno Unito dovrebbe aver già avviato i negoziati per uscire dall’Ue. Allora sì che sarà più chiara l’influenza di questa “special relationship” su un’Europa che rischia di essere sempre più disgregata.

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