In Italia 176.554 migranti accolti nel 2016, otto volte i numeri del 2013. Missione di Marco Minniti a Malta e Nord Africa

Sono 176.554 i migranti accolti nel nostro Paese al 31 dicembre 2016, un numero 8 volte superiore rispetto a solo tre anni fa, cioè al 2013. Erano 103.792 nel 2015, 66.066 nel 2014, appena 22.118 nel 2013. È la “fotografia” di una realtà drammatica che non “fissa” solo i flussi degli sbarchi, ma è il “fermo immagine” di quanti poi rimangono stanzialmente nel nostro Paese.

A rendere noti i dati è stato il Ministero dell’Interno, secondo cui 137.218 migranti sono presenti nelle strutture temporanee, 14.694 nei Centri di prima accoglienza, 820 negli hotspot. Solo 23.822 occupano i cosiddetti posti Sprar, il Sistema protezione richiedenti asilo e rifugiati. Cioè persone cui è stato riconosciuto lo status di rifugiato, in fuga da guerre e da conflitti. La regione che ne ospita il maggior numero si conferma ancora la Lombardia, con il 13%, davanti a Piemonte (8%), Veneto (8%), Lazio (8%), Campania (8%), Sicilia (8), Emilia Romagna (7%), Toscana (7%) e Puglia (7%).

Questi dati sono anche maggiormente impressionanti se paragonati ai dati dell’Agenzia Onu per i rifugiati (Unhcr) secondo la quale nel 2016 gli arrivi dal mare in Europa sono stati 361.678 (181.405 in Italia più 173.447 in Grecia), contro oltre 1.015.078 del 2015. E anche oggi solo a Catania sono arrivati 131 migranti soccorsi nel Canale di Sicilia sulla nave Gregoretti della Guardia Costiera. Ad Augusta sono arrivati invece 386 migranti a bordo della nave Aquarius di SOS Mediterranee.

Che cosa significa? Che gli arrivi in Italia nel 2016 sono stati tre volte meno, ma le persone accolte sul nostro territorio sono state quasi il doppio. Non è un caso che i numeri del Viminale siano stati resi noti in concomitanza con il primo viaggio all’estero di un ministro del nuovo governo Gentiloni, il ministro dell’Interno Marco Minniti, che è stato in Tunisia martedì e oggi a Malta – dal 1 gennaio presidente di turno Ue.

Missione appunto dedicata all’emergenza migranti e all’emergenza terrorismo (già sono stati presi contatti anche per un viaggio di Minniti in Libia). “Oggi, la migrazione non riguarda solo alcuni Paesi del Mediterraneo. È diventata un motivo di preoccupazione per tutta l’Europa e tutti i Paesi debbono unirsi per cercare di trovare una soluzione comune” hanno affermato Minniti e l’omologo maltese, Carmelo Abela, a La Valletta. Abela ha detto di essere consapevole che il futuro dell’Unione dipenderà essenzialmente dalle decisioni che gli Stati membri prenderanno in questo frangente per far fronte al fenomeno migratorio.

Intanto in Italia è tornata al calor bianco la polemica sulla riapertura di un Cie in ogni regione. Beppe Grillo boccia la proposta Minniti. “Aprire un Cie per regione rallenterebbe solo le espulsioni degli immigrati irregolari e non farebbe altro che alimentare sprechi, illegalità e mafie con pesanti multe (pagate dai cittadini italiani) per la violazione di sentenze della Corte di Giustizia Europa e della Corte Costituzionale in materia di diritti umani. È necessario identificare chi arriva in Italia, scovare i falsi profughi, espellere rapidamente gli immigrati irregolari nel giro di qualche giorno, senza parcheggiarli in inutili Cie spesso gestiti dalle mafie, accogliere chi ha diritto d’asilo ed integrare seriamente gli immigrati regolari. Sono cose che il M5S afferma con buonsenso da anni”. Questa la ricetta del Movimento 5 Stelle. Anzi per Di Maio su Twitter “i Cie ingrassano le cooperative amiche del governo”.

La proposta di un Cie in ogni Regione d’Italia “la giudichiamo negativamente. Ci chiediamo che significato ha aumentare il numero di questi centri” ha dichiarato il responsabile immigrazione della Caritas Italiana, Oliviero Forti, in un’intervista al Tg2000 sulla tv dei vescovi . “Abbiamo lottato e lavorato insieme alle istituzioni – ha aggiunto Forti – affinché si riducesse il numero dei Cie. Abbiamo verificato che sono costosi, inefficaci e non riescono a raggiungere l’obiettivo per cui sono nati cioè identificare le persone e nei casi previsti dalla legge rimpatriarle forzatamente nei loro Paesi. La vicenda di Cona – ha proseguito Forti – racconta che l’accoglienza nei grandi centri non funziona perché si mette a repentaglio la vita delle persone come è accaduto alla donna ivoriana che, a quanto pare, non è stata soccorsa nei tempi e nei modi dovuti. Ma soprattutto crea delle condizioni di invivibilità. Chiediamo, dunque, che l’accoglienza sia diffusa con piccoli numeri sul tutto il territorio nazionale» ma «la maggior parte dei Comuni oggi non vuole migranti sul proprio territorio”.

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Angelino Alfano: “Al lavoro per intese sui rimpatri dei migranti irregolari. Accelerare le espulsioni”

“Sono al lavoro per concludere accordi che diminuiscano gli arrivi impedendo le partenze. C’è un triangolo di Paesi fondamentale: il Niger, con cui siamo vicini a chiudere un accordo, la Tunisia e la Libia”. Lo annuncia il ministro degli Esteri, Angelino Alfano, in un’intervista alla Stampa in cui definisce inaccettabile la rivolta di Cona: “Noi ci muoviamo con rigore e umanità, abbiamo salvato molte vite ma non possiamo accettare da nessuno violazioni delle regole. Per questo dobbiamo accelerare su espulsioni e rimpatri”.

“All’Onu dobbiamo portare l’attenzione sulla sicurezza e i grandi flussi migratori del Mediterraneo, e dobbiamo affrontare il problema alla radice: sono i conflitti che hanno sconvolto la Siria e l’Iraq all’origine dei flussi di milioni di rifugiati”, dichiara Alfano. Anche al G7 di Taormina “vorrei che ci fosse una postura accentuata sulla sicurezza nel Mediterraneo e il contrasto al traffico di esseri umani”.

Sul fronte della sicurezza, “viviamo in un sistema di terrorismo globale che non ammette risposte nazionali”, afferma Alfano, che si dice “non ancora soddisfatto” della cooperazione europea. “Conosco i tempi dello Stato di diritto, ma qui ci sono le lentezze, le balbuzie di Stati che non scambiano informazioni. Dobbiamo rilanciare l’idea di una difesa comune: l’anniversario del Trattato di Roma, a marzo, sarà un energico rilancio del progetto europeo”.

Nell’intervista Alfano risponde al generale libico Haftar, che ieri ha accusato l’Italia di essersi schierata dalla parte sbagliata: “Non abbiamo fatto una scelta a favore di qualcuno, sosteniamo il governo riconosciuto dall’Onu e aiutiamo chi lotta contro il terrore, compresi i feriti di Haftar”.
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Migranti, Viktor Orban contro Matteo Renzi: “È nervoso perché l’Italia è in difficoltà”. Ancora scontro tra Roma e Budapest

“La politica interna italiana è un terreno difficile. L’Italia ha difficoltà di bilancio con un deficit che aumenta, mentre stanno arrivando in massa i migranti, con spese ingenti. Renzi ha tutte le ragioni di essere nervoso”. Così il premier ungherese Viktor Orban, secondo quanto riporta Mti, dopo lo scontro di ieri sui migranti.

“La compassione – ha aggiunto – non cambia il fatto che l’Italia ha il dovere di adempire agli obblighi” di Schengen, “ma non lo fa”, “è anche vero che l’Ue non dà una mano in modo sufficiente all’Italia”.

La stoccata di Orban a Renzi arriva dopo due giorni di polemiche tra Roma e Budapest. L’altro ieri il ministro degli Esteri ungherese, Peter Szijjarto aveva criticato il premier italiano perché “fraintende completamente la situazione: sta attaccando i paesi dell’Europa centrale i quali rispettano le regole comuni mentre l’Italia non adempie i propri obblighi derivanti dall’appartenenza alla zona Schengen”. Un’uscita alla quale aveva replicato il ministro degli Esteri Paolo Gentiloni con un tweet: “Con muri e referendum l’Ungheria ha sempre rivendicato di violare le regole europee sulle migrazioni. Ora almeno eviti di dare lezioni all’Italia”.

L’attacco di Budapest è arrivato dopo che Renzi aveva annunciato che l’Italia è pronta a mettere il veto sul bilancio europeo se paesi come l’Ungheria e la Slovacchia non accoglieranno i migranti come previsto dagli accordi Ue.


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La Commissione Ue scrive, Matteo Renzi se ne infischia: “La manovra resta com’è”. E alza il tiro sui migranti

Alla fine la Commissione Europea scrive. Lettere per sette paesi dell’Ue: Italia, Belgio, Finlandia, Cipro, Spagna, Portogallo e Lituania. Qui a Roma nelle caselle email del ministero del Tesoro la missiva è arrivata ieri sera. Oggi è pubblica sul sito ufficiale della Commissione Ue. Nella sostanza si chiede ciò che era trapelato nei giorni scorsi. E non sono buone notizie per Matteo Renzi e Pier Carlo Padoan. Entro giovedì 27 ottobre infatti dovranno fornire chiarimenti su: deficit strutturale che cresce dello 0,4 per cento invece di diminuire dello 0,6; spese per migranti e sisma del 24 agosto, quantificate nella manovra in 6,8 miliardi di euro (0,4 per cento del pil). Ma per ora Renzi e Padoan rispondono picche. Anzi con la lettera europea entra di fatto nel vivo il braccio di ferro tra Roma e Bruxelles sul bilancio italiano 2017, con un occhio a quello europeo per gli anni a venire. Su questi Renzi promette “il veto” se verranno confermate le risorse per quei paesi che non accolgono i migranti. Di più: se vince il sì, programma di mettere a soqquadro il ‘Fiscal Compact’. Di questa intenzione, il premier ha già accennato in recenti apparizioni tv, e c’è da scommetterci che la stessa sarà rilanciata nella manifestazione di sabato del Pd.

“C’è da mettere il veto”, dice Renzi a Porta a Porta parlando della discussione sul bilancio Ue 2020-2026 che inizierà l’anno prossimo. “Noi mettiamo i soldi se in cambio degli oneri ci sono gli onori. I soldi non passano attraverso i muri. Sai che c’è? Che se non ci aiutate, non mettiamo più i soldi”. E ancora: “Il governo Monti ha stabilito che diamo 20 miliardi e ne riceviamo 12, ma se Ungheria, Slovacchia ci fanno la morale sui nostri soldi e poi non ci danno una mano sui migranti non va bene”.

Fin dall’inizio della tenzone con Bruxelles, il premier ha intrecciato la questione ‘manovra economica’ con la questione migranti. Tradotto: c’è chi dà e non riceve dall’Ue, come i paesi Mediterranei. E chi invece ha mandato a monte il piano Juncker di redistribuzione dei profughi eppure non viene punito dall’Ue: è il caso dei paesi dell’Est, il cosiddetto blocco di Visegrad (Ungheria, Slovacchia, Polonia e Repubblica Ceca).

Quanto alla lettera Ue sulla manovra: “Di violazioni alle regole europee cene sono tante. La Francia da 9 anni è sopra il 3%, la Spagna ha un deficit che è il doppio del nostro, sul 5%. Il nostro debito è cresciuto dello 0,1% dal 2015, tutti gli altri molto di più a parte la Germania. Ma questa discussione non serve a niente. Io vado avanti per conto dell’Italia, non per conto mio. L’Italia ha rispettato tutte le regole. Abbiamo dato il deficit al 2% e uno 0,3% che è dato dalle clausole eccezionali per terremoto e immigrati. E questa cosa io sono pronto a difenderla in capo al mondo…”.

I toni con Bruxelles sono questi. E l’intenzione è di confermare punto per punto una manovra che mette in difficoltà una Commissione Europea che comunque vuole negoziare con l’Italia e aiutare Renzi a vincere il referendum del 4 dicembre. E’ per questo che Palazzo Berlaymont potrebbe non esprimere un giudizio definitivo entro quella data, ma comunque – come confermano anche oggi fonti alte della Commissione all’Huffpost – entro la fine di novembre diranno la loro su tutte le leggi di bilancio dei paesi Ue. A Renzi tutto questo non interessa. E nemmeno a Padoan. Anzi, “non c’è niente di più popolare che lo scontro con l’Ue”, osserva a distanza Martin Schulz, presidente dell’Europarlamento, citando una frase che ormai a Bruxelles è diventata quasi un adagio.

La manovra “è definita nel dettaglio e sarà mantenuta”, spiega quindi anche il ministro dell’Economia Padoan ospite a ‘Politics’. Cosa più importante: il governo italiano confermerà con Bruxelles non solo i 6,8 miliardi di euro di spese su migranti e terremoto (le circostanze eccezionali riconosciute dai trattati) ma anche quel deficit strutturale in crescita che preoccupa tanto i commissari Ue perché, come scrivono nella lettera, viene meno ai patti con cui l’anno scorso la Commissione ha accordato all’Italia 19 miliardi di euro di flessibilità. “Se mandano la lettera a noi, dovrebbero mandare libri e un’enciclopedia a chi non accoglie i migranti”, è il mantra di Renzi.

La battaglia sulla legge di stabilità è propedeutica a quella sulla modifica dei Trattati che nei piani di Renzi inizia a marzo dell’anno prossimo in occasione dei 60 anni del Trattato di Roma, che sarà celebrato alla presenza di tutti i leader europei. “Il Fiscal compact ha una data di scadenza: 5 anni”, dice sempre il premier. Approvato nel 2012, scade l’anno prossimo: ecco perché il 2017 è il tempo giusto per sferrare l’attacco. Sempre però che il premier vinca il referendum costituzionale del 4 dicembre. A Bruxelles vogliono aiutarlo pur sapendo che, dopo, i falchi (soprattutto tedeschi) dell’austerity si potrebbero ritrovare sotto attacco, proprio nell’anno di campagna elettorale per le legislative a Berlino. Però a Bruxelles non vedono alternative a Renzi, come garanzia di stabilità in Italia, per ora.

E’ questa la cornice nella quale Padoan si ritroverà faccia a faccia con Moscovici venerdì prossimo a Bratislava, proprio all’indomani della risposta italiana a Bruxelles: picche. Il ministro e il commissario all’Economia saranno entrambi relatori ad un seminario sul “rafforzamento dell’Unione monetaria in tempi di crisi”. Ci sarà anche il ministro delle Finanze tedesco Wolfgang Schauble.

Ma Renzi ha in mente un’altra data per irrobustire la sua battaglia europea in chiave di campagna referendaria. Vale a dire: 18-19 novembre a Berlino. C’è il vertice dei capi di Stato e di governo di Italia, Francia, Gran Bretagna, Germania convocato da Angela Merkel. Ma la Cancelliera ha invitato anche Barack Obama che proprio all’Europa dedicherà così la sua ultima missione all’estero da presidente degli Usa. Dopo la due-giorni all’insegna della crescita e del no all’austerity alla Casa Bianca, Renzi arriva a Berlino convinto dell’assist dell’amico Barack. Dovrà solo stare attento a non raccogliere troppi consensi espliciti al sì per il referendum: magari da Merkel o da altri leader Ue. Potrebbero essere controproducenti.
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Matteo Renzi al Consiglio Ue con la spinta di Obama: e spunta un primo ok sulle spese per i migranti in legge di stabilità

“L’Italia sta facendo la propria parte, ma in termini di solidarietà da parte di troppi paesi non ho visto altrettanto impegno”. Palazzo Justus Lipsius, Bruxelles: prima sessione del Consiglio europeo di ottobre. Sui migranti. Matteo Renzi prende la parola di fronte agli altri 27 leader e il presidente della Commissione europea Jean Claude Juncker. Oggi si sente forte, gonfio del sostegno di Barack Obama su tutta la linea, dal no all’austerity alla solidarietà per i profughi. Tanto che qui a Bruxelles riferisce agli eurodeputati delle preoccupazioni del presidente Usa sull’Europa: “L’Europa preoccupa il mondo”. Si diffonde voce che abbia aggiunto: “Più della Siria”. Smentita di Palazzo Chigi. Ad ogni modo, in questo Consiglio l’Italia ottiene qualcosa, anche se poco.

In sostanza Renzi ottiene che la bozza finale del vertice riconosca gli sforzi fatti dall’Italia per l’accoglienza dei migranti. Anche quelli finanziari. E’ musica per le orecchie di Renzi, anche se non risolve tutti i problemi. Significa che, mentre va avanti il braccio di ferro con la Commissione Europea, un pezzo di manovra economica è di fatto licenziato: quello sulle spese ai migranti.

Ecco il passaggio del documento finale che fa felice il premier: “Occorrono maggiori sforzi per ridurre il numero di migranti irregolari, in particolare dall’Africa, e migliorare i tassi di rimpatrio. Riconoscendo il considerevole contributo, anche di natura finanziaria, apportato negli ultimi anni dagli Stati nembri in prima linea, il Consiglio europeo…”.

Non è un’autentica novità. Le spese per i migranti non sono mai state messe in discussione dalla Commissione che sta esaminando la manovra italiana. Figurano infatti come ‘clausole eccezionali’ da scorporare dal patto di stabilità e crescita. Però Renzi non sottovaluta il risultato raggiunto: lo considera un primo buon auspicio su una manovra che continua a destare perplessità a Bruxelles per il deficit troppo alto.

Oggi tra l’altro non ne ha neanche parlato con Juncker. Con il presidente della Commissione solo un saluto ma nessun incontro a margine del Consiglio Ue, nessun contatto per sapere della manovra. Quasi a voler sottolineare una cautela reciproca. Da un lato infatti Renzi non ripete quanto affermato ieri: “Aspettiamo la procedura di infrazione contro i paesi che non accolgono i migranti…”, non contro l’Italia per la legge di stabilità 2016. Sa che il messaggio cadrebbe nel vuoto: sono tre giorni che Juncker ripete che “la solidarietà non si può imporre”. E in più la Commissione fa sapere che c’è ancora un altro anno di tempo per aprire le procedure di infrazione contro i paesi dell’est. In sostanza è tutto rimandato. Ma dall’altro lato, nessuno attacca l’Italia per la manovra in deficit, nemmeno i falchi dell’austerity che di solito non si lasciano sfuggire l’occasione.

E’ così che Renzi tenta di guadagnarsi l’ok della Commissione sulla legge di stabilità. Puntando anche sulla debolezza dell’Unione, incapace di imporre sanzioni, aprire procedure di infrazione, farsi rispettare. Un vuoto che Renzi spera di sfruttare in attesa di imprimere una svolta ai trattati europei: il primo appuntamento in questo senso è previsto a marzo in Italia in occasione delle celebrazioni del 60esimo anniversario del Trattato di Roma. Lo ha spiegato oggi agli eurodeputati Dem, che il premier ha voluto incontrare apposta prima del Consiglio europeo. Obiettivo: spingerli a mobilitarsi per il referendum costituzionale, soprattutto al sud dove non a caso Renzi sarà domani sera direttamente da Bruxelles. Destinazione Palermo, Trapani e Messina. E sabato, inoltre, Renzi svelerà anche il logo del vertice G7 previsto a Taormina a maggio. Senza la vittoria del sì, non può programmare niente, a partire dalla data italiana di marzo.

La prima giornata a Bruxelles dopo la full immersion americana finisce così. L’alto rappresentante per la politica estera, Federica Mogherini, illustra al Consiglio europeo i primi risultati della sperimentazione del ‘migration compact’ con 5 paesi africani: Mali, Senegal, Niger, Etiopia e Nigeria. E in più il documento finale parla finalmente di Africa e immigrazione nel Mediterraneo centrale. Sostanzialmente ciò che Renzi non aveva ottenuto al vertice informale di Bratislava a settembre, scatenando l’inferno (verbale) contro Angela Merkel e Francois Hollande. Anche con loro due oggi nessun bilaterale. La Cancelliera in giacca rossa che si abbina solo alle scarpe scarlatte di Theresa May se ne sta lontana anche nella foto di gruppo. L’epoca del direttorio a tre – Roma, Parigi, Berlino – è decisamente tramontata, per il momento.

E c’è da dire che le nuove concessioni all’Italia sono controbilanciate da una nuova presa di posizione dei paesi dell’est che chiedono di tener conto dei loro no espressi in passato. In più Germania, Svezia, Slovenia e Austria riescono a infilare nel documento finale la possibilità di mantenere i controlli alle frontiere, vale a dire la sospensione di Schengen.

Al succo, l’Europa resta fredda. Il premier pensa al calore di Obama. Ne parla diffusamente anche con gli europarlamentari tanto da rasentare l’incidente diplomatico. Dopo l’incontro infatti si diffonde la voce secondo cui Renzi avrebbe riferito agli europarlamentari di un Obama preoccupato più per la crisi dell’Europa che della Siria. Assurdo. Allarme. Scatta la smentita di Palazzo Chigi: ci sono entrambe le preoccupazioni ma l’una non va collegata all’altra. Ma il tema è troppo ghiotto per non essere funzionale alla narrazione di un premier che ora esige riconoscimenti anche europei da mettere insieme a quelli a stelle e strisce.
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Legge di Bilancio, Matteo Renzi: “RIlievi Ue? Basta egoismi, diano una mano sui migranti”

Sulla Legge di Bilancio appena varata dal governo rischia di innescarsi un nuovo scontro tra Roma e Bruxelles. Ad accendere la miccia è stato il presidente del Consiglio Matteo Renzi, in una intervista al Tg1. Rispondendo sui possibili rilievi che la Commissione potrebbe fare sulla manovra, il premier ha spiegato: “Sono curioso capire quali rilievi. L’Ue – ha aggiunto – vuole discutere le nostre spese immigrazioni? Ho un’idea brillante idea: inizino a darci mano loro, mentre stanno prevalendo gli egoismi e non la solidarietà. Appena ci iniziano a dare una mano, le spese si abbasseranno”.

Sul fronte europeo, secondo quanto spiegato oggi da Repubblica, sarebbe stata accolta decisamente male la decisione del governo di fissare l’asticella del defict al 2,3%. L’accordo con i massimi livelli dell’esecutivo Ue sarebbe stato di arrivare al massimo al 2,2%. L’ulteriore aumento fissato in extremis dal capo del governo italiano sarebbe stato interpretato come un blitz non concordato e su cui la Ue non vorrebbe transigere. Rimanendo pronta, sempre secondo quanto riportato da Repubblica, a bocciare la manovra già entro il prossimo 30 ottobre.

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Ungheria, referendum sulle quote dei migranti non raggiunge quorum. Ma per Orban contano i tanti “no”

Alla quasi unanimità ma senza raggiungere il quorum del 50%, l’Ungheria ha detto di no per referendum all’obbligo di accogliere profughi per alleggerire il carico di altri paesi dell’Ue, come Italia e Grecia. Ma non lo ha fatto con il minimo di consistenza plebiscitaria che aveva chiesto il premier nazionalista-conservatore ed euroscettico Victor Orban, vincitore, ma in una certa misura anche sconfitto, del referendum.

In serata, con le urne chiuse alle 19:00, i primi exit poll davano una vittoria del no con 3,2 milioni di voti e una quota del 95%, di cinque punti superiore a quanto previsto dai sondaggi. L’affluenza pero’, come annunciato dall’Ufficio elettorale nazionale e’ stata del 43,42% soltanto: il quorum del 50% non e’ stato raggiunto e dunque la consultazione non e’ valida secondo la legge in vigore, a dimostrazione che gli appelli al boicottaggio dell’esile opposizione ungherese, assieme alla tradizionale disaffezione per lo strumento referendario, si sono fatti sentire. Secondo Orban, comunque, cambia poco: già dopo aver votato in mattinata in una scuola elementare del suo quartiere a Buda, ha detto che “non importa se il referendum risulterà valido o meno: conseguenze giuridiche ci saranno comunque. L’importante è che i no siano maggioranza”. Il premier ha annunciato inoltre che “la cosa più importante” per lui e’ quella di poter andare a Bruxelles già questa settimana per “condurre negoziati” e ottenere che non sia obbligatorio per l’Ungheria accogliere “il tipo di gente” che “noi non vogliamo”, ha aggiunto con implicito riferimento a potenziali terroristi e musulmani.

Orban ha sottolineato che gli ungheresi dono “orgogliosi” di essere “i primi”, e “sfortunatamente” anche “gli unici” a votare in un referendum “sulla questione dei migranti”. A Bruxelles, dove la consultazione non avrebbe avuto valore anche se il quorum fosse stato raggiunto, Orban troverà un muro: il presidente del Parlamento europeo, il tedesco Martin Schulz, ha definito “un gioco pericoloso” quello del premier ungherese di far votare su decisione da lui stesso avallate in sede comunitaria e riguardanti l’accoglienza solo “solo di circa 1.300 profughi” sui 160 mila che devono essere smistati in partenza da Italia e Grecia. Fra le possibili conseguenze di cui ha parlato il premier, c’è anche una modifica della costituzione ungherese per vietare di accogliere in Ungheria cittadini stranieri senza l’approvazione del Parlamento ungherese. Insomma proprio il senso del quesito del referendum per il quale il governo ha fatto una campagna che l’opposizione ha definito xenofoba e islamofoba.

Orban si e’ speso con toni epocali (voto di “significato epocale” non solo per l’Ungheria ma anche per l’intera Unione europea) drammatizzando anche con un impegno a dimissioni in caso di un’impossibile vittoria dei sì. La sua propaganda in difesa dell’Europa “cristiana” e quella dei suoi uomini più vicini che hanno spesso battuto il tasto del nesso profughi-terroristi, ha pagato dunque solo in parte. Una campagna che peraltro ha ricevuto l’appoggio del partito di estrema destra Jobbick che si innesta su una politica di chiusura sul fenomeno delle migrazioni: la rete metallica srotolata ai confini meridionali dopo la crisi dei profughi che l’anno scorso ha visto transitare per l’Ungheria quasi 400 mila migranti. Ma soprattutto l’aver accolto solo 508 richiedenti asilo, respingendone otto su dieci, con una durezza che dovrebbe ripetersi quest’anno. E tanto per scoraggiare chi volesse mettersi in marcia sulla rotta balcanico-ungherese, le autorità di Budapest si comportano in un modo che ha spinto Amnesty International ha parlare di “orribile” trattamento.

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