Beppe blinda Virginia e mette a tacere gli ortodossi. Raggi: “Non mi dimetto. Alcuni contro di me? Me ne faccio una ragione”.

Beppe Grillo furioso. Non con Virginia Raggi bensì con chi, nel Movimento 5 Stelle, ha attaccato il sindaco di Roma per la polizza vita stipulata per “motivi affettivi”, nel gennaio 2016, in suo favore da Salvatore Romeo, divenuto ad agosto capo della segreteria con uno stipendio triplicato. Insomma, ancora una volta, il leader pentastellato nel pomeriggio ha mandato un chiaro messaggio ai naviganti, che in sostanza è riassumibile così: “Guai a chi parla, nessuna dichiarazione contro Virginia. Sarà lei e solo lei a parlare”. Decide così di far andare il sindaco in tv e affida la preparazione della performance a Rocco Casalino, il punto di raccordo tra i vertici del Movimento e Roma. “Nel Movimento alcuni contro di me? Ci sono persone che ti amano e persone che ti amano meno, facciamocene una ragione e andiamo avanti”, dirà ospite di ‘Bersaglio mobile’.

Il primo cittadino della Capitale viene quindi blindato ancora una volta da Grillo e Davide Casaleggio. Raggi va avanti. “Ho la fiducia del Movimento, ho anche sentito Grillo”. Niente dimissioni, anche se “non posso dire di non averci pensato, in questi mesi”, ammette. Dopo il diktat del leader, nessuno ha parlato ufficialmente né tra i pragmatici né tra gli ortodossi. Questi ultimi che, fino a poche ore prima delle indicazioni arrivate da Grillo, invocavano il giudizio della Rete, adesso sulla storia della polizza, sempre a taccuini chiusi, tendono a sminuire, come chiesto loro espressamente dal leader. Leader che non ha concesso, e per adesso non ha alcuna intenzione di farlo, il voto degli iscritti, anzi ha invitato tutti ad abbassare i toni e ad entrare nel merito della questione il meno possibile. Alessandro Di Battista, per esempio, nel post scriptum su Facebook annota: “Questa sera Virginia Raggi risponderà a tutte le domande”. Mentre Beppe Grillo condivide sul suo blog la nota in cui il sindaco dice che fino a ieri non era a conoscenza delle polizze assicurative.

Stessa linea difensiva utilizzata in tv. “A Romeo chiederò perché non mi ha avvertito, non averlo saputo è stata una cosa spiacevole. E quando lo vedrò – dice Raggi – gli chiederò di cambiare il beneficiario della polizza perché solo l’idea di questa polizza mi mette ansia”. Poi racconta di aver conosciuto l’ex capo della segreteria nel 2013, “lui ci ha aiutato tantissimo quando eravamo consiglieri di opposizione. Nel tempo si è consolidato il rapporto con tutti e quattro del gruppo, si è consolidata un’amicizia, lui ci ha presentato Raffaele Marra, poi era mortificato per averlo fatto. Per quanto riguarda Marra era una persona molto competente, in qualche modo ci ha fatto capire come funzionava la macchina del Comune”.

Sta di fatto che dopo l’interrogatorio fiume di ieri sul caso Marra e le rivelazioni sulle polizze vita, oggi a Palazzo Senatorio è trascorsa un’altra giornata campale. Nel bel mezzo arrivano anche le parole di Salvatore Romeo all’agenzia Ansa in cui si difende dicendo che le polizze “non hanno nulla a che vedere con il Movimento, né tantomeno sono state aperte a favore di suoi esponenti in modo da favorire Virginia Raggi piuttosto che un altro candidato alle primarie per la scelta del Sindaco di Roma. Grave e non vera è la tesi secondo cui le somme con cui sono state aperte tali polizze non sarebbero state in realtà mie ma di terzi, con ciò facendomi passare per un tesoriere occulto o un prestanome”.

Poco dopo Raggi aggiunge: “Credo che Romeo abbia commesso una grande leggerezza, voglio vederci la buona fede”. Poi chiede: “Basta gossip, sono sindaca di una capitale che deve rinascere”. “Non ho ricevuto un solo euro” dalle polizze, dirà poi, minacciando querele. E Romeo: “voglio chiarire che non c’è stata e non c’è alcuna relazione fra me e Virginia Raggi”. La procura fa sapere che le polizze per l’allora aspirante sindaca – una da 30 mila euro del gennaio 2016 e priva di scadenza, l’altra da 3.000 euro con scadenza 2019 – non hanno rilevanza penale “in quanto non emergerebbe un’utilità corruttiva”. Anche Romeo conferma di averle stipulate senza dirglielo: “Per una grande stima e amicizia nei suoi confronti”. Ma i pm vogliono comunque capire se ci fossero motivazioni diverse da quelle indicate dal titolare delle assicurazioni sulla vita.

Nel M5S i dubbi, seppur messi a tacere, rimangono tra i militanti e i consiglieri comunali che appaiono preoccupati e divisi. Si aspettano sviluppi giudiziari, qualcuno tra i corridoi di Camera e Senato teme che non sia finita qui. Intanto però toni bassi fino a nuovo ordine.
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Arresto di Marra, Beppe Grillo mette sotto tutela Virginia Raggi. Ortodossi M5S sul piede di guerra, leadership Di Maio traballa

Il Campidoglio e l’Hotel Forum distano pochi metri l’uno dall’altro. Oggi però lo spazio che separa la “casa” di Virginia Raggi e la residenza romana di Beppe Grillo sembra interminabile. Beppe è sempre più deluso da Virginia, sul futuro non può escludere nulla, neanche l’addio cioè il ritiro del simbolo M5S. Ufficialmente la protegge, ma la misura è colma. “Non possiamo permetterci di perdere Roma” dice ai suoi, ma la gestione del Campidoglio imbarazza il Movimento giorno dopo giorno. Il futuro di Virginia è legato a un filo sottile quanto la fiducia che il leader pentastellato ripone ancora in lei. “Le scuse non bastano”, dice Paola Taverna. Roberto Fico aggiunge: “Per me Marra non è un tecnico”, al contrario di quanto affermato dal sindaco. L’arresto di Raffaele Marra arriva dopo le dimissioni dell’indagata Paola Muraro, e tante altre grane giudiziarie, che molti temono non siano finite qui e possano raggiungere perfino la prima cittadina. In albergo il leader pentastellato apprende la notizia dell’arresto di Marra e prende il cellulare per chiamare subito la Raggi: “Te l’avevo detto, ora rimedia”. È furente. Virginia, dall’altro capo, nervosissima, scossa, praticamente in lacrime.

La sindaca vuole andare avanti, non ha alcuna intenzione di dimettersi. Grillo glielo consente, anche perché Roma è Roma, il Movimento non si può permettere di fallire così. Ma Virginia resta a patto che “non saranno commessi errori d’ora in avanti e che le decisioni importanti, come le nomine, avranno l’ok dei vertici”. Decidono la linea, viene scritto un comunicato, vidimato dal capo e così il sindaco va in scena davanti a una miriade di telecamere. Legge un foglio, chiede scusa ai romani, al Movimento e a Grillo che appunto “aveva sollevato perplessità”, ammette di aver sbagliato ad essersi fidata, tiene a dire però che Marra non era il suo braccio destro, ma “un dipendente qualunque”. Lo dice nonostante rimbombi ancora una sua vecchia frase: “Se va via lui, vado via anch’io”. L’imbarazzo per l’intera vicenda la porta a parlare per un minuto e mezzo e poi ad andare via senza rispondere alle domande.

La giornata è solo all’inizio. Le chat sono infuocate, sul blog di Beppe Grillo va in onda una sorta di web processo, fra tanti delusi e qualche strenuo difensore della sindaca. Nel pomeriggio i consiglieri litigano a Palazzo Senatorio mentre i parlamentari litigano all’Hotel Forum. È emergenza assoluta: i flash mob previsti a Siena e in Val di Susa per far dimenticare le vicende capitoline vengono annullati. “Impossibile nascondere i fatti e urlare onestà onestà in un momento così difficile per il Movimento”, ammette un deputato grillino che era pronto a prendere il pullman per la Toscana. Come forse mai successo prima, a parte pochi che preferiscono parlare a taccuini chiusi, la maggior parte dei parlamentari escono alla scoperto, nonostante la consegna del silenzio imposta dai vertici. È una reazione a catena: la spaccatura emersa sei mesi fa sul ‘caso Roma’, sulla gestione del Campidoglio e sulle nomine di Raffaele Marra e Salvatore Romeo, adesso viene fuori in tutta la sua interezza.

Roberta Lombardi entra nel quartier generale di Grillo e afferma: “Sono fiera di stare dalla parte giusta”. Era stata lei a parlare di Marra come un virus che ha infettato il Movimento. Su Facebook la pasionaria grillina affida il suo sfogo a una citazione di Martin Luther King, la cui morale è “no a vigliaccheria e vanagloria”. Il concetto viene condiviso da Carla Ruocco, Paola Taverna e Nicola Morra. Condivisione che nel linguaggio pentastellato vuol dire molto. Roberto Fico e Carlo Sibilia, dell’ex Direttorio, hanno già parlato. Fico ha definito la vicenda “molto grave” e chiede una riflessione, Sibilia dice che “così andiamo a sbattere”. Parole che avranno un certo peso nel lungo incontro con Grillo, al quale hanno partecipato Fico, Lombardi, Morra e Taverna, l’ala più critica ma soprattutto ortodossa del Movimento.

Sul banco degli imputati finisce Luigi Di Maio, anche lui presente al vertice e reo, secondo chi lo accusa, di aver difeso il sindaco e sottovalutato i problemi che Raggi ha creato in Campidoglio “fidandosi delle persone sbagliate”, tra queste anche l’assessore all’ex Ambiente Paola Muraro, raggiunta da un avviso di garanzia. Di Maio era venuto a conoscenza mesi fa dell’iscrizione nel registro degli indagati ma non disse niente al resto del Direttorio, da qui in poi una parte del Movimento gli si è rivoltata contro. Tanto che Danila Nesci chiede che vengano presi provvedimenti, mentre Giuseppe Brescia lo definisce “un piccolo stratega”. Anche Riccardo Nuti attacca “i volti che funzionano in tv”.

Oggi alla prova della leadership Di Maio tace, così come tace Alessandro Di Battista, assente alla riunione del Forum. Chi ha parlato viene rimproverato da Grillo: “Dobbiamo restare uniti, non possiamo farci vedere così”, avrebbe detto. Il filo diretto tra Campidoglio e Campidoglio è continuo. Tante le telefonate. Il leader dice a Raggi che adesso “vanno verificati tutti gli atti fatti da Marra” per vedere se vi sono irregolarità. La paura tra i grillini è che però la vicenda non sia finita qui, che presto possano venire fuori altre carte e altri avvisi di garanzia, forse per abuso d’ufficio. Per adesso la linea è distinguere la figura di Marra da quella del Movimento 5 Stelle. Fino a prova contraria. In quel caso anche scaricare il sindaco di Roma sarà possibile.

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Referendum e maltempo. Renzi mette i piedi nel fango a Torino: annullata la tappa da segretario Pd, ci si presenta da premier

Non vengo per via del maltempo. Anzi no: vengo per via del maltempo. Piemonte e Liguria sono flagellati dai temporali e le esondazioni dei fiumi. Matteo Renzi rimodula la campagna elettorale per il referendum. Via i panni del segretario del Pd, quelli che ormai è solito indossare in quest’ultimo scorcio di volata elettorale verso il 4 dicembre. Renzi si ricala nella parte di premier: annulla l’iniziativa elettorale di stasera a Torino, la sposta a domenica ma a Torino ci andrà comunque. Domattina alle 8 sarà con il governatore Sergio Chiamparino alla sede della Protezione civile per verificare di persona la situazione di emergenza causata dalle pesanti piogge di queste ore.

Lontani i tempi in cui il premier non si presentava nei luoghi dei disastri, naturali o meno. “I politici non fanno passerelle”, disse a proposito dell’alluvione a Genova due anni fa. Non si presentò se non mesi dopo. Ha smesso a luglio scorso con il tragico incidente ferroviario in Puglia: si presentò subito sui luoghi del disastro. Per non parlare del terremoto di agosto e di quello autunnale nelle regioni del centro Italia: tempo di organizzare la trasferta e Renzi è lì dagli sfollati ancora sotto shock per le scosse.

Il terremoto non è molto presente nel dibattito pubblico di questi ultimi giorni. Non in quello del premier. Né in quello dei media, concentrati su altre emergenze. Oggi c’è quella del maltempo al nord. E dove c’è emergenza, ormai Renzi risponde. Da premier. E allora: rinviata a domenica l’iniziativa elettorale di stasera al Lingotto. E’ lui stesso ad annunciarlo su twitter:

Ma il premier domani sarà comunque a Torino. “Giornata di apprensione per le notizie che arrivano dal Piemonte. Domani sarò personalmente a Torino nella sede della Protezione Civile Regionale col presidente Chiamparino”, annuncia in un post su Facebook che gli serve per parlare della visita di oggi allo stabilimento Fiat di Cassino, a caccia del voto operaio con di fianco Sergio Marchionne.

Ma la visita a Torino non si conclude con la tappa alla Protezione civile. Anzi, questo è il fuori-programma dettato dal maltempo. A metà mattinata Renzi parteciperà all’inaugurazione dell’Anno accademico degli Istituti di formazione dell’Esercito (evento già previsto quando in agenda c’era solo il Lingotto di stasera). Proprio come ha fatto giorni fa a Roma, garantendo una irrituale presenza di premier all’inaugurazione dell’anno accademico della scuola della Guardia di finanza: di solito ci va solo il ministro dell’Economia.

Domani poi il giro al nord si conclude con Milano: ore 14, firma del Patto per la Lombardia con il governatore leghista Roberto Maroni. Tappa che per Renzi è un mega-spot in casa del No.

Il premier-segretario si è ormai buttato a capofitto in una campagna referendaria maniacale nella cura dei dettagli. Via le iniziative che possono risultare inopportune, anche se elettorali. Anzi proprio perché elettorali, come quella prevista stasera a Torino. Confermate invece quelle che servono a valorizzare la funzione di ‘premier che fa’ a dispetto di chi pensa solo a “lamentarsi, dire che va tutto male, criticare soltanto”, come scrive Renzi su Facebook.

I panni di segretario del Pd e quelli di presidente del Consiglio, indossati o dismessi a seconda dell’occasione, garantiscono un giochetto che continua a guardare fisso al 4 dicembre. Puntato nella stessa direzione di tutti gli altri riflettori mediatici anche internazionali. Anche quello dell’Economist, per dire, che oggi si schiera con il no e benedice un governo tecnico in caso di sconfitta di Renzi. Il premier lo valuta come un aiuto: si dimostra che le elite finanziarie non stanno con il sì, spiegano i suoi. Manca poco più di una settimana al giorno della verità.
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Matteo Renzi mette la veste anti-establishment. “Vogliamo cambiare Italia e Ue”. Trump? “Da presidente sarà diverso”

Interpretare il cambiamento. Questa la strada che ha portato Donald Trump alla Casa Bianca, questa la figura che Matteo Renzi prova a interpretare per vincere il referendum, dopo il quale l’Italia “tornerà protagonista nel mondo”, e per riformare l’Europa.

“Penso che Donald Trump abbia interpretato il cambiamento in maniera più radicale rispetto a Hillary Clinton – afferma Matteo Renzi a Che Tempo Che Fa, su Raitre – C’è l’ansia di cambiare, di poter entrare nel futuro, con tutte le inquietudini di un futuro che fa anche paura. Io comprendo che ci sia un bisogno di cambiare, ma mi domando chi rappresenti in Europa o in Italia questo cambiamento, chi sia davvero anti-establishment. Io da due anni sono al governo di questo paese. Sto cercando un passettino alla volta di cambiare le cose. Cosa chiedono i cittadini che andranno a votare? Secondo me chiedono di voltare pagina e questa riforma è un treno che ripassa tra 20 anni, se ripassa, abbiamo fatto una fatica pazzesca ad arrivare fino a qua”. L’uomo del cambiamento, come Renzi prova a descriversi, è anche quello che non accetta la palude: “Se si deve Stare nel pantano è bene che ci vada qualcun altro”. dice, “vengano altri, i professionisti del galleggiamento”. Una frase che lascia intendere che in caso di vittoria del No confermerà quanto detto mesi fa, che lascerà Palazzo Chigi.

Renzi è pronto a collaborare con Donald Trump, ma aspetta di capire come si comporterà alla Casa Bianca. “La vittoria di Trump non era attesa, ora è difficile capire che presidente sarà, ma io credo che il Trump presidente sarà diverso dal Trump candidato”. Si sono sentiti al telefono, “ci siamo salutati con un ciao alla fine. Sono molto ottimista sul fatto che Italia e Stati Uniti istituzionalmente continueranno a lavorare bene, anche se poi ognuno ha le sue opinioni e valutazioni”.

Trump resta però un caso a parte. “Vedo molti politici italiani che si sono specializzati in commenti elettorali. Vedo Salvini – prosegue Renzi – che sembra che abbia vinto lui. Gli ricordo che le ultime vittorie elettorali della Lega sono a Gallarate e Cascina, non in Michigan e Wisconsin. Non è che quello che accade negli Usa si traduce nella vittoria della Le Pen in Francia o di Grillo in Italia”. I sondaggi spesso sbagliano, “spero anche in Italia, visto quello che dicono sul referendum” chiosa il premier.

Renzi pronta a presentarsi come l’uomo del cambiamento dell’Italia, tramite le riforme costituzionali, e dell’Europa. Il referendum è un’occasione storica, dice, “io ho 41 anni e vedo la fatica che si fa a cambiare le cose. Da qui a 20 giorni gli italiani decidono il loro futuro”. Cambia “la semplicità di fare investimenti, la velocità di fare le leggi”. Dopo, “se superiamo l’ostacolo saremo protagonisti in Europa e nel mondo” assicura Renzi. La novità politica è il suo sostegno al documento del Pd sulla legge elettorale, per spazzare via lo spettro del combinato disposto dell’Italicum con la riforma costituzionale. “Ma questo referendum non è il congresso del Pd, chi vuole farlo deve aspettare il 5 dicembre. Speriamo che li facciano anche gli altri, invece di stare su un blog o di far decidere tutto a uno”.

La battaglia europea prosegue, Renzi torna a minacciare di porre il veto sul bilancio. “L’Europa che conosco io non mi impedisce di mettere a posto le scuole, la stabilità dei burocrati a Bruxelles è meno importante della stabilità dei nostri ragazzi nelle scuole. Se c’è bisogno si mette il veto e l’anno prossimo faranno fatica a chiuderlo senza di noi. Se vogliono fare dei muri, non li faranno con i nostri soldi. Il sogno europeo è la pace e abbattere i muri”.

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Milan, Mr Bee mette una firma da 480 milioni di euro – TodaySport.it


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Milan, Mr Bee mette una firma da 480 milioni di euro
TodaySport.it
Entro il 30 settembre, Mr Bee dovrà versare nelle casse di Fininvest 480 milioni di euro. È il punto più appariscente dell'accordo tra il broker cino-thailandese e Silvio Berlusconi raggiunto sabato sera. Taechaubol, scrive il Corriere dello sport
FUMATA BIANCA AL MILAN: MR BEE ENTRA UFFICIALMENTE NEL CLUB ROSSONEROIn Terris
Milan: firmato patto vincolante con mr Bee, Berlusconi resterà presidenteLa Repubblica
Calciomercato: fumata bianca Milan-Bee, Mancini vuole meloAGI – Agenzia Giornalistica Italia
ANSA.it –Corriere della Sera –La Gazzetta dello Sport
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Ranking Uefa: la Serie A mette la Premier nel mirino – TGCOM


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Ranking Uefa: la Serie A mette la Premier nel mirino
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Tre squadre delle otto rimaste in corsa per un titolo europeo: il calcio italiano si è preso una bella rivincita dopo le recenti amarezze. Se è prestissimo per parlare di rinascita, in ottica ranking Uefa il passo in avanti della Serie A è di quelli importanti. In questa …
Champions, la Juve trema. Rischio derby in Europa LeagueLa Repubblica
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Juve, Napoli, Fiorentina: sorteggio alle 12 LIVETuttosport
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