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Giunta Raggi, l’assessore alle Partecipate Massimo Colomban ai 5 Stelle: “L’onestà non basta, primi mesi poco efficienti”
È arrivato dal nord Italia inviato dalla Casaleggio Associati per dare una mano a Virginia Raggi – i maligni dicono “commissariare” – per gestire le enormi difficoltà di gestione di Roma Capitale. Il bilancio dei primi mesi che fa Massimo Colomban, imprenditore trevigiano oggi assessore alle Partecipate, sulle pagine del Messaggero non è positivo.
“È innegabile che i primi mesi della Raggi sono stati poco efficienti e non molto produttivi. È la testimonianza che non basta essere onesti per governare, servono esperienze e soprattutto capacità manageriali che il M5S dovrà creare al proprio interno o reperire velocemente all’esterno. Detto questo, la gestione di Roma è di una complessità enorme. E a me non va di entrare in polemiche strumentali verso un Movimento fatto di giovani, sicuramente onesti, che devono però affrontare il passaggio da protesta e contestazione, al più complesso e gravoso compito della gestione. Purtroppo non sarà facile né per loro, né per i professionisti che li stanno affiancando, come il sottoscritto, stante il ginepraio burocratico e dissesto finanziario trovato”.
L’eredità ricevuta è pesantissima, spiega l’assessore, Atac e Ama sono “tecnicamente fallite”, per cui il Governo “deve farsi carico di salvarle”.
“Non pensavo la situazione fosse così deteriorata. Le partecipate dal Campidoglio sono società che, se agissero nel privato, sarebbero già fallite da tempo; ma siccome svolgono servizi pubblici essenziali come i trasporti e la nettezza urbana, non possono fermarsi o fallire. Società che hanno privilegiato la spesa corrente in personale, salari e stipendi, anziché investire in strutture e macchine, che ora sono per il 30-50% da rottamare. Per farlo, servono ingenti risorse che, sommate ai debiti e agli indebitamenti bancari, portano il buco, le necessità economiche di cassa, fra i 2 ed i 3 miliardi”.
Serve più collaborazione fra Campidoglio e Palazzo Chigi.
“Un’idea potrebbe essere tirare una linea, azzerare il pregresso come si fa in tutte le società che si vogliono rilanciare, aggiungendo ai 12 miliardi del debito storico di Roma questi 3 miliardi accumulati dal 2008 al 2016, che potrebbero essere restituiti nei prossimi decenni con un tasso di interesse pari al tasso dei titoli di stato. Altrimenti il nostro sforzo sarà inutile”.
Dodici addii di peso in sei mesi: il Campidoglio ai tempi di Virginia Raggi. Tanto caos sulle nomine e pochi provvedimenti
Sei mesi, poco meno di duecento giorni, vissuti ad altissima tensione. Sembra di trovarsi sulle montagne russe e invece si è in Campidoglio ai tempi di Virginia Raggi, dove per esempio in un solo giorno si sono registrate anche cinque dimissioni di peso. Tanto caos che ha gettato la Giunta capitolina in un pantano da cui il sindaco prova a uscire ma con grande difficoltà. In rari casi il sindaco è entrato in contatto con la città, a parte alcuni blitz con l’allora assessore Paola Muraro per verificare, di persona, pulizia e decoro, e in particolare il corretto smaltimento dei rifiuti. Al di là di queste apparizioni popolari, il primo semestre del Movimento 5 Stelle alla guida di Roma sarà ricordato più per le nomine firmate con relative marce indietro, che per i provvedimenti messi a punto dalla Giunta capitolina, che segnano in pratica un nulla di fatto e una svolta ancora molto lontana rispetto agli annunci sbandierati in campagna elettorale.
Come primo atto Virginia Raggi sceglie di avere Daniele Frongia capo di Gabinetto, tuttavia vengono subito sollevati dubbi di compatibilità con la legge Severino essendo stato consigliere comunale nella precedente amministrazione. Dubbi che vengono successivamente fugati ma Raggi intanto ha deciso di averlo al suo fianco come vicesindaco e gli viene revocato l’incarico. Al suo posto arriva Carla Raineri, giudice della Corte di Appello di Milano. Si dimetterà a seguito di un parere dell’anticorruzione che contesta un errore nel tipo di contratto scelto dal Campidoglio per inquadrare il suo ruolo. In pratica la retribuzione concordata era troppo alta. “Lo stipendio non c’entra – spiega il magistrato – pensavo di dover garantire la legalità, ma la verità è un’altra”. A seguire, nello stesso giorno, arrivano le dimissioni del super-assessore al Bilancio, Marcello Minenna, dirigente della Consob. Per lui erano venute meno le condizioni politiche per continuare in assenza del magistrato a capo di Gabinetto, con cui lavorava in tandem. Poche ore dopo si registrano le dimissioni del direttore generale e dell’amministratore unico di Atac Marco Rettighieri e Armando Brandolese, e dell’amministratore unico di Ama, l’azienda rifiuti, Alessandro Solidoro.
All’inizio dell’amministrazione targata 5Stelle, Raffaele Marra viene nominato vice capo di Gabinetto vicario. Si scatena una polemica interna al Movimento: il dirigente comunale in passato ha avuto ruoli apicali sia con la giunta comunale di Gianni Alemanno che con quella regionale di Renata Polverini. Viene considerato uno del “Raggio Magico”, cioè un uomo che influenza le scelte del sindaco, così viene descritto dalla stessa Raineri. Adesso Marra si trova in carcere per corruzione, avrebbe ricevuto una tangente nel 2013 dall’immobiliarista Sergio Scarpellini quando era a capo del dipartimento per le Politiche abitative. Prima però che scoppiasse lo scandalo giudiziario, Marra era stato trasferito, in seguito sempre alle polemiche all’interno del Movimento, a capo del personale ed è finito sotto accusa per la promozione del fratello Renato a capo del dipartimento Turismo.
Tornando all’assessorato al Bilancio, la sostituzione è complicata. La sindaca nomina Raffaele De Dominicis, ex procuratore generale della Corte dei Conti del Lazio. Dura in carica due giorni: si scopre che è indagato per abuso d’ufficio e quindi Raggi ne revoca l’incarico. Al suo posto arriverà Andrea Mazzillo, ex Pd e anche lui finito nel mirino degli ortodossi. Mentre Massimo Colomban, uomo di Davide Casaleggio imposto dai vertici per sanare una situazione allo sbando, va alle Partecipate.
Tra veti e scontri all’interno del Movimento dove l’ala ortodossa, compreso Beppe Grillo, ha chiesto al sindaco di azzerare il ‘Raggio Magico’, formato in particolare da Raffaele Marra e Salvatore Romeo, arriva su quest’ultimo il parere dell’anticorruzione: lo stipendio è troppo alto. Con una delibera ad hoc viene ridimensionato da 120mila a 93mila euro. E poi ancora nella notte tra lunedì 12 e martedì 13 dicembre l’assessore all’Ambiente Paola Muraro, difesa anche lei dalla sindaca contro tutto e tutti, rassegna le dimissioni dopo aver ricevuto un avviso di garanzia nell’ambito dell’inchiesta sui rifiuti. Sotto la lente di ingrandimento della Procura ci sono i rapporti tra l’allora consulente di Ama e il duo Fiscon-Panzironi travolti nell’inchiesta di Mafia Capitale.
In tutto questo marasma inizia a scricchiolare la poltrona di Paolo Berdini, assessore all’Urbanistica entrato in rotta di collisione con la maggioranza. Come se non bastasse il 15 dicembre la Guardia di Finanza entra in Campidoglio e acquisisce una serie di atti e documenti relativi alle nomine di dirigenti dell’amministrazione Raggi. Il blitz degli investigatori è legato all’inchiesta della Procura di Roma che procede contro ignoti per verificare la regolarità delle nomine dei dirigenti Raffaele Marra, Carla Raineri, Salvatore Romeo decise dal sindaco Raggi. Il giorno dopo Marra viene arrestato con l’accusa di aver intascato una tangente nel 2013 quando in Campidoglio era a capo del dipartimento per le politiche abitative. Da questo momento in poi Grillo “minaccia” Raggi di toglierle il simbolo del Movimento 5 Stelle. Il sindaco si arrende e rinuncia, dopo tante pressioni, al suo ‘Raggio magico’. Daniele Frongia si dimette da vice sindaco e al suo posto arriva l’assessore Luca Bergamo. Anche Salvatore Romeo è costretto a lasciare la segretaria.
Andando invece agli atti rivendicati in questi mesi dal comune Roma vi è in particolare lo sblocco del salario accessorio, garantendo circa 300 euro in più in busta paga ai dipendenti comunali. Poi ancora la lotta all’abusivismo. La sindaca ha chiesto infatti al Comandante della Polizia Locale di intensificare il contrasto ai parcheggiatori abusivi. L’amministrazione ha chiesto anche un aumento della videosorveglianza e della presenza dei vigili sul territorio nell’ambito del ‘piano sicurezza’ della Capitale. Ancora da Palazzo Senatorio sottolineano che entro settembre 2017 sarà aperta la stazione della metro San Giovanni come proseguimento della linea C1, tuttavia si tratta di un progetto già approvato dalla vecchia amministrazione. Invece l’attuale Giunta capitolina ha bloccato la prosecuzione. Infine il trasporto pubblico: sono stati presentati i primi 25 bus consegnati ad Atac, su un totale di 150 che andranno a rinnovare la flotta dell’azienda dei trasporti romana. Da menzionare infine il tormentato No alle Olimpiadi annunciato dal sindaco.
Fino a questo momento, ogni giorno la Giunta guidata da Virginia Raggi, eletta con il 67% dei voti dei romani, ha dovuto affrontare un guaio. Ora però si teme quello più pericoloso. Cioè che il sindaco possa essere raggiunta da un avviso di garanzia dopo che l’Autorità anticorruzione ha dichiarato illegittima la nomina di Renato Marra, fratello di Raffaele, a capo del dipartimento del Turismo a causa di un presunto conflitto di interessi di cui Raggi era a conoscenza. I vertici pentastellati ragionano già su come affrontare la nuova grana.
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M5S, fra tre mesi Roberto Fico sarà capogruppo alla Camera. Gli ortodossi prendono la guida dei gruppi parlamentari
Il cambio di passo, o per lo meno di umore, all’interno del Movimento 5 Stelle lo segnano i deputati: Roberto Fico sarà il nuovo vicecapo gruppo alla Camera. In gergo grillino questo si traduce nel fatto che fra tre mesi sarà il nuovo capogruppo. Sarà dunque lui a guidare i deputati nel momento più critico della legislatura, quello che secondo i rumors potrebbe portare al voto. Fico, diviso ormai da Luigi Di Maio da visioni del Movimento contrapposte, ha già sfidato il ‘delfino’ di Beppe Grillo nella corsa alla candidatura a premier e da capogruppo potrebbe guidare i deputati riportandoli all’idea originale del Movimento, quella dell’uno vale uno. Come ha spiegato di recente, in un solo concetto: “Senza personalismi”. Con Fico capogruppo, dopo che il Direttorio a causa delle beghe interne al Movimento non esiste più, potrebbe essere inaugurato un nuovo corso, dove a farne da padrone potrebbe esserci un testa a testa tra Fico e Di Maio, che nei fatti è già iniziato con il ‘caso Roma’ che non accenna a placarsi.
Dopo che il sindaco Virginia Raggi ha nominato Luca Bergamo suo vice e Pinuccia Montanari assessore all’Ambiente, quando tutto doveva ripartire sulla strada giusta, una nuova bomba le è scoppiata tra le mani. L’Organismo di revisione dei conti della Capitale (Oref) ha sonoramente bocciato il Documento unico di programmazione contenuto nel bilancio di previsione del Campidoglio, poiché “non chiaro negli obiettivi di gestione da raggiungere”. I revisori, valutando il Dup proposto dalla Giunta Raggi, spiegano che “pur mostrando una tendenza verso politiche di contenimento della spesa, tuttavia non evidenzia in modo esaustivo gli obiettivi di gestione, nei quali si declinano politiche, programmi e progetti dell’ente rilevabili nel breve periodo, in termini di efficacia ed efficienza”.
Inoltre “non sono espresse le politiche da adottare circa il recupero delle entrate, più volte oggetto di raccomandazione dei Revisori e che costituisce uno degli aspetti più drammatici e critici di Roma Capitale”. Insomma il documento redatto dall’assessore al Bilancio Andrea Mazzillo, che Raggi avrebbe voluto come vicesindaco salvo subire lo stop di Grillo, è da rifare e con grande imbarazzo Marcello De Vito, presidente dell’assemblea capitolina, ha dovuto sospendere la seduta poiché non era possibile andare avanti nel dibattito. Mentre i gruppi di opposizione hanno cominciato a urlare “a casa, a casa”, il capogruppo M5S Paolo Ferrara difende la Giunta dicendo che “il Pd in testa è senza pudore. Applaudono su uno scenario difficile che hanno creato loro stessi nel corso degli anni, con amministrazioni di opposto colore politico ma di uguale risultato: una situazione drammatica per la Capitale, che stiamo cercando con tutte le forze di risolvere”. Ciò non toglie però che il documento, secondo l’Oref, è stato redatto in modo sbagliato. Dunque, un nuovo stallo, che si somma a tutte le altre nomine da portare ancora a termine.
Per questa ragione Beppe Grillo e Davide Casaleggio continuano a tenere gli occhi aperti sul Campidoglio. Il garante del M5S e il figlio del cofondatore del Movimento, che ormai riveste un ruolo sempre più di primo piano, in queste ore continuano a lavorare sulle vicende capitoline, dopo l’ultima burrasca che ha portato all’arresto di Raffaele Marra e a un millimetro dalla rottura Virginia Raggi. Così il sindaco sarà affiancata da due fedelissimi dei vertici 5 Stelle: i deputati Alfonso Bonafede e Riccardo Fraccaro, quest’ultimo nominato di recente ‘probiviro’, ovvero chiamato a decidere con i colleghi Paola Carinelli e Nunzia Catalfo dei procedimenti disciplinari interni ai 5 Stelle.
Fraccaro e Bonafede, negli ultimi due giorni hanno fatto la ‘spola’ tra Campidoglio e Montecitorio. I due fanno parte del gruppo di supporto ai Comuni del M5S, da cui la città di Roma era esclusa, ma data l’emergenza e considerato che il mini-direttorio, a causa di numerose incomprensioni non esiste più, saranno gli occhi Grillo sulla Capitale. Raggi ha dichiarato di non sentirsi commissariata, ma le scelte delle ultime ore sembrano convergere tutte in questa direzione, anche perché è da Roma che passa la possibilità che i 5Stelle arrivino a Palazzo Chigi. Chi sarà il candidato premier, se Di Maio o Fico, ancora non è dato saperlo. Sta di fatto che nessuno esclude che nella partita possa entrare anche Alessandro Di Battista.
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Vincenzo De Luca potrà fare il commissario della Sanità campana con un controllo ogni 6 mesi
La furbata è servita. Il presidente della Regione Campania Vincenzo De Luca potrà diventare commissario della Sanità della sua regione. Ma per fare passare questa norma senza provocare troppe polemiche, si è trovato un escamotage. Il commissario della Sanità sarà infatti soggetto a verifiche ogni sei mesi: insomma, una specie di tagliando. È questo il contenuto del testo riformulato dell’emendamento alla manovra presentato in commissione Bilancio alla Camera, accantonato martedì in seguito a numerose critiche.
La formula è quella di consentire al presidente della Regione di diventare commissario della propria sanità regionale ma a patto che ogni sei mesi si verifichi che il suo operato sia conforme ai piani di rientro e che la performance sui livelli essenziali di assistenza sia positiva.
Il testo precisa che “i tavoli tecnici, con cadenza semestrale, in occasione delle periodiche riunioni di verifica, producono una relazione ai ministri della Salute e dell’Economia e delle finanze, da trasmettersi al Consiglio dei ministri, con particolare riferimento al monitoraggio dell’equilibrio di bilancio e dell’erogazione dei livelli essenziali di assistenza”.
Molto critica con l’emendamento, la grillina Silvia Giordano, che intervenendo in commissione Bilancio alla Camera ha detto: “Questa è una marchetta bella e buona perché i voti di De Luca vi fanno di un comodo impressionante, abbiate l’onestà di ammettere che volete solo i suoi voti”. C’è poi la Lega Nord che ha annunciato, per voce di Barbara Saltamartini, che occuperà la sala del Mappamondo, dove si stanno svolgendo i lavori, se si voterà l’emendamento.
Il cosiddetto emendamento De Luca ha fatto infuriare le opposizioni perché in questo si è visto un favore politico del governo al presidente della Regione Campania in cambio di un appoggio robusto al Sì in vista del referendum del prossimo 4 dicembre. Proprio nel Sud infatti il Sì risulta in difficoltà.
Di fatti, dopo una battaglia in commissione, e dopo che il ministro Beatrice Lorenzin aveva espresso parere contrario, l’ordine è stato diramato da palazzo Chigi: forzate, fatelo passare. L’ordine dei lavori ha poi previsto una discussione serale, dopo i tg, quando i riflettori sono spenti. Basta un sì, insomma, a Roma sull’emendamento, in Campania nelle urne.
E i pezzi da novanta piombano, per l’ultimo miglio, nel feudo del governatore. Giovedì Luca Lotti è a Salerno mentre il ministro del lavoro Giuliano Poletti si confronterà con Stefano Caldoro a Napoli. A Napoli invece arriva sabato il fiore dei sindaci di fede renziana: Dario Nardella, Matteo Ricci, Giorgio Giuseppe Falcomatà e Antonio Decaro, il sindaco di Bari diventato presidente dell’Anci proprio per rastrellare voti al Sud. Il Mattino parla anche di un’altra tappa di Matteo Renzi, di qui al 4 dicembre, sempre nella Campania di De Luca.
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Mps, via libera al piano industriale. Il titolo vola in Borsa a +28%. Ora si aprono due mesi decisivi per il futuro di Siena
Via libera del consiglio d’amministrazione di Mps al nuovo piano industriale con cui presentarsi al mercato per chiedere i 5 miliardi di euro necessari a ripulire il bilancio della banca da 27,7 miliardi di sofferenze e ad alzare le coperture sugli altri crediti deteriorati ancora sui libri della banca. Il via libera al piano è arrivato nel corso di un consiglio-fiume, iniziato alle 10 di mattina e protrattosi fino a sera nel corso del quale sono stati anche approvati i conti del terzo trimestre e convocata l’assemblea che, a fine novembre, dovrà approvare l’aumento fino a cinque miliardi di euro necessario a ricostituire i requisiti patrimoniali chiesti dalla Bce.
In attesa di conoscere i numeri del piano, che secondo indiscrezioni potrebbe prevedere un utile superiore al miliardo al 2019 per la banca ripulita, il titolo ha registrato l’ennesimo rally di Borsa, chiudendo con un poderoso rialzo del 28,28% a 0,34 euro, tra scambi pari al 14,7% del capitale. Da martedì scorso le azioni hanno raddoppiato il loro valore – la capitalizzazione è ora di 1 miliardo di euro – ed è passato di mano oltre il 50% del capitale sulle voci di contatti con grandi fondi sovrani (Qatar, Kuwait, Abu Dhabi), ricchi investitori (da Blackrock a George Soros) ed hedge fund. Nessuno ha per ora assunto impegni di sottoscrizione ma chi farà richiesta potrà accedere a una data room subordinatamente alla sottoscrizione di un accordo di riservatezza. Ad alimentare la corsa del titolo ha contribuito anche il ‘piano B’ messo a punto dal banchiere ed ex ministro, Corrado Passera, che punta a ridurre l’ammontare dell’aumento di capitale attorno agli 1-1,5 miliardi di euro grazie all’intervento di alcuni grandi fondi Usa (tra cui Atlas e Warburg Pincus).
Dopo l’approvazione del piano industriale si aprono due mesi decisivi per Mps, nel corso dei quali si capirà se la ‘soluzione di mercato’ auspicata dal governo e a cui lavorano gli advisor Jp Morgan e Mediobanca riuscirà a risolvere i problemi dell’istituto senese, allontanando una volta per tutte le spettro del ‘bail-in’.
Domani il piano messo a punto dall’amministratore delegato Marco Morelli verrà presentato al mercato e alla stampa dopodiché inizierà il road-show di un paio di settimane tra gli investitori per convincerli a puntare sulla ‘nuova’ Mps, ripulita da 27,7 miliardi di sofferenze. Tappe fondamentali saranno Londra, dove Morelli si fermerà da mercoledì a venerdì, e New York, dove il banchiere volerà la prossima settimana.
A fine novembre si terrà l’assemblea per approvare l’aumento di capitale fino a cinque miliardi di euro, il cui esatto ammontare sarà definito, a ridosso dell’assise, sulla base della disponibilità degli obbligazionisti subordinati a convertire i propri bond in azioni e dell’impegno di eventuali anchor investor (sono circolati i nomi di Qatar, Kuwait, Cina, oltre che di grandi investitori come Blackrock, Soros e Paulson) a prenotare fette importanti della ricapitalizzazione.
Per ottenere il via libera dell’assemblea straordinaria (l’aumento è senza diritto di opzione, dunque penalizzante per gli attuali soci) servirà la partecipazione di almeno il 20% del capitale e il sostegno della maggioranza. Ma più dei quorum assembleari la vera incognita è rappresentata dall’esito del referendum del prossimo 4 dicembre. In caso di vittoria del ‘sì’, il consorzio di collocamento avrebbe ‘una storia’ da vendere insieme alla azioni Mps, quella di un Paese che fa le riforme e di un premier ben saldo alla sua guida. In tal caso l’aumento partirebbe tra il 6 e il 7 dicembre per concludersi prima di Natale. Ma se dovesse vincere il no, l’aumento verrebbe rinviato al 2017, con esiti molto incerti, per sottrarre Mps alla volatilità che si abbatterà sul mercato.
Poco prima dell’aumento, sulla base dell’interesse suscitato tra gli investitori, verrà anche definito il prezzo a cui verranno vendute le nuove azioni mentre contestualmente all’aumento verranno ceduti i 27,7 miliardi di sofferenze a un veicolo che dovrà successivamente cartolarizzarle, grazie all’intervento di Atlante e a un prestito-ponte di 5 miliardi di Jp Morgan.
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Roma, la crisi è nei numeri Due vittorie in due mesi – La Gazzetta dello Sport
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Roma, la crisi è nei numeri Due vittorie in due mesi
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