Legge di Bilancio, Matteo Renzi: “RIlievi Ue? Basta egoismi, diano una mano sui migranti”

Sulla Legge di Bilancio appena varata dal governo rischia di innescarsi un nuovo scontro tra Roma e Bruxelles. Ad accendere la miccia è stato il presidente del Consiglio Matteo Renzi, in una intervista al Tg1. Rispondendo sui possibili rilievi che la Commissione potrebbe fare sulla manovra, il premier ha spiegato: “Sono curioso capire quali rilievi. L’Ue – ha aggiunto – vuole discutere le nostre spese immigrazioni? Ho un’idea brillante idea: inizino a darci mano loro, mentre stanno prevalendo gli egoismi e non la solidarietà. Appena ci iniziano a dare una mano, le spese si abbasseranno”.

Sul fronte europeo, secondo quanto spiegato oggi da Repubblica, sarebbe stata accolta decisamente male la decisione del governo di fissare l’asticella del defict al 2,3%. L’accordo con i massimi livelli dell’esecutivo Ue sarebbe stato di arrivare al massimo al 2,2%. L’ulteriore aumento fissato in extremis dal capo del governo italiano sarebbe stato interpretato come un blitz non concordato e su cui la Ue non vorrebbe transigere. Rimanendo pronta, sempre secondo quanto riportato da Repubblica, a bocciare la manovra già entro il prossimo 30 ottobre.

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Matteo Renzi stretto tra Mosca e Washington sceglie la battuta: “Con la Nato volevamo invadere la Russia”

Per Matteo Renzi il bilaterale con Barack Obama martedì prossimo alla Casa Bianca avrebbe dovuto essere una sorta di marcia trionfale verso il Consiglio europeo del 20 ottobre. Da Washington il premier conta di arrivarci carico di endorsement americano sulla flessibilità, sulla crescita e sulla crisi dei migranti, nonché forte del sostegno di Barack Obama, che ha deciso di dedicare all’Italia l’ultimo bilaterale della sua presidenza. Invece l’appuntamento si sta facendo difficile. Soprattutto dopo la conferma da parte del segretario della Nato Jens Stoltenberg dell’invio di soldati italiani al confine fra la Lettonia e la Russia: notizia decisa al vertice di Varsavia quest’estate, già nota, ma spiegata oggi da Stoltenberg in un’intervista a La Stampa. Ora l’incontro alla Casa Bianca cade in una fase di rapporti al minimo e di massima tensione tra Mosca e l’Occidente, con l’Italia in imbarazzo a gestire un delicatissimo equilibrio, compromesso anche dall’indagine dell’Fbi sul presunto ruolo di Mosca dietro lo scandalo delle mail che ha coinvolto Hillary Clinton.

È per questo che oggi al Colle, al consueto pranzo con il presidente Sergio Mattarella che precede il Consiglio europeo, Renzi ha fatto ricorso all’arma di riserva: fare una battuta per tentare di sdrammatizzare la tensione creatasi con Mosca. “Si stava progettando il piano di invasione della Russia…”, ha detto arrivando al Quirinale. Non è un caso che la battuta sia trapelata fino ai media: scientemente, per sciogliere il gelo con Mosca che nel pomeriggio aveva commentato lapidariamentre tramite il ministero degli Esteri: “La politica della Nato è distruttiva. L’Alleanza è impegnata nella costruzione di nuove linee di divisione in Europa invece che di profonde e solide relazioni di buon vicinato”.

Il pranzo al Quirinale non è andato oltre la battuta di Renzi sul caso Nato-Russia. Si è concentrato invece sui temi del Consiglio europeo della settimana prossima: dall’immigrazione al trattato commerciale con gli Usa e – questo sì – i rapporti tra Usa e Ue, partendo dall’assunto che ieri lo stesso Mattarella ha ritenuto opportuno sottolineare alla celebrazione del 50esimo anniversario della Nato Defense College in Italia. E cioè che “la via del dialogo rimane centrale, no ad una nuova guerra fredda”.

Ma il caso diplomatico si è creato comunque. Ed è a questo punto che il ministro Paolo Gentiloni si affretta a precisare: l’invio dei militari italiani non deve essere considerato un’aggressione verso Mosca, “ma una politica di rassicurazione e difesa dei nostri confini come Alleanza Atlantica”. Si tratta solo di “140 soldati”, dice il titolare della Farnesina. “L’Italia ha dato la disponibilità per fornire una compagnia con numeri non molto consistenti all’interno di una organizzazione che prevede il coinvolgimento di moltissime nazioni della Nato. Noi, in questo contesto, saremo con i nostri militari in Lettonia”, sottolinea pure il ministro della Difesa, Roberta Pinotti, che tra l’altro non ha partecipato al pranzo al Colle “perché i temi trattati non erano di competenza del ministero”, fanno sapere dal suo entourage.

Ad ogni modo, l’incendio non si spegne. Il clima è troppo incandescente anche a livello di dibattito interno. Prende parola persino l’ex premier Enrico Letta, di solito più schivo e invece stavolta con “più di un dubbio” sulle mosse atlantiche.

Quello di Letta è un carico da 90 che appesantisce un clima già infuocato dagli attacchi dell’opposizione. Beppe Grillo: “Renzi e Napolitano ci trascinano verso la guerra”. E ancora: “La Russia è un partner essenziale non un nemico”. Su Twitter il M5s lancia l’hashtag #vogliolapace. Erasmo Palazzotto, componente di Sinistra Italiana in commissione Esteri alla Camera, considera “uno scandalo che si parli dell’invio dei militari italiani dando per scontata la ratifica del Parlamento quando il Parlamento non ne ha nemmeno discusso”. Renato Brunetta di Forza Italia: “No ad una nuova guerra fredda. Il governo riferisca in Parlamento”. Matteo Salvini della Lega: “Una follia anti-russa. Chi fa prove di guerra con la Russia e’ matto o e’ in malafede. Armi e soldati usiamoli contro l’Isis, non contro chi lo combatte!”

Il governo si trova stretto tra gli impegni nell’Alleanza Atlantica, la necessità di non rovinare i rapporti con Mosca e l’esigenza di non rifiutare l’abbraccio di Obama, utilissimo a Renzi in questa fase di ennesima trattativa con l’Unione Europea sui conti pubblici e anche sull’immigrazione, altro ingrediente del menu del pranzo al Quirinale. Perché Renzi spera nel sostegno di Washington anche per la crisi dei profughi. Non a caso, con Renzi alla Casa Bianca ci sarà anche Giusi Nicolini, la sindaca di Lampedusa. Non a caso alcuni giorni fa, riferendo sul prossimo Consiglio Europeo alla Camera, il premier ha ricordato: “Il presidente Obama, in un importante articolo pubblicato nei giorni scorsi, ha sottolineato la contraddizione di un mondo più prospero che mai, ma accompagnato da una inquietudine crescente”. Ad aprile il presidente Usa ha bacchettato l’Europa sui migranti: “Il mondo non ha bisogno di muri”. Un messaggio che oggi torna utile al governo di Roma, visto che Germania e Austria stanno per chiedere il prolungamento dei controlli alle frontiere.

Sui profughi Renzi si prepara a battere i pugni sul tavolo al Consiglio europeo del 20 e 21 ottobre prossimi. La richiesta è di tagliare i fondi europei ai paesi (prevalentemente dell’est) che non accolgono i migranti. E’ un’arma un po’ spuntata visto che il blocco di Visegrad (Polonia. Repubblica Ceca, Slovacchia e Ungheria) gode di appoggi forti a Berlino e non si piegherà facilmente, come si è visto finora del resto. Ma Renzi vuole provarci ugualmente: deve, per il bene della campagna referendaria e per seminare sperando in un futuro più generoso magari l’anno prossimo dopo le elezioni in Germania, meta che appare lontanissima.

Anche per questo mercoledì a Bruxelles il capogruppo dei socialisti all’Europarlamento Gianni Pittella lancia quelli che definisce “gli Stati generali” dei progressisti insieme al leader del Labour Jeremy Corbyn, il portoghese Antonio Costa, Lady Pesc Federica Mogherini, il vicepresidente della Commissione Ue Frans Timmermans e ci sarà persino ‘l’arci-nemico’ di Renzi, Massimo D’Alema, come presidente della Feps. L’idea è cercare di seminare bene e meglio in vista delle prossime elezioni europee nel 2009.
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Verso lo scontro frontale fra Matteo Renzi e minoranza in direzione Pd. Le promesse di modifiche all’Italicum non bastano

Ribadire che la volontà di cambiare la legge elettorale “è reale” ma “senza forzature” e, soprattutto, non da soli. E, dunque, non prima di aver consultato maggioranza e opposizione. Insomma, non prima del referendum. È questa la linea Maginot di Matteo Renzi che nella Direzione del Partito Democratico in programma lunedì pomeriggio proverà a tener fede alla linea aperturista degli ultimi tempi senza, però, concedere ulteriori spazi di mediazione alla minoranza. Anche perché la convinzione è che l’obiettivo sia un altro: attaccare lui.

La rottura sul referendum sembra ormai giunta a un punto di non ritorno e il premier avrebbe letto con molta irritazione le interviste con cui Pier Luigi Bersani e Roberto Speranza annunciavano il loro No al ddl Boschi poche ore prima che il partito si riunisse a via del Nazareno proprio per discutere delle modifiche all’Italicum che da mesi invocano. “Tempo scaduto”, “solo chiacchiere”, dicono i due esponenti dell’opposizione interna.

Il premier – raccontano – sarebbe stato colto di sorpresa soprattutto dal tono tranchant di Bersani anche perché, spiegano, le colombe erano al lavoro da giorni perché domani si arrivasse a un documento comune. Una freddezza, quella del segretario, che emerge durante l’intervista a L’Arena su Rai1. Renzi decide di non cogliere l’occasione del salotto televisivo per lanciare un segnale di apertura e, anzi, commenta caustico l’uscita dell’ex segretario dem. “Io dico soltanto una cosa, Bersani – è la sua risposta – ha votato Sì tre volte alla Camera. Se poi cambia opinione per il referendum, ciascuno si farà una sua valutazione sul perché. Questa riforma non l’ho scritta io di nascosto a Rignano sull’Arno al mio pc”. La linea – insomma – è quella di dimostrare che l’incoerenza sta negli altri e, di conseguenza, anche le ragioni della rottura. D’altra parte – aggiunge – è “un anno e mezzo che mi danno contro”. Sebbene ribadisca che personalizzare l’appuntamento sia stato un errore, il presidente del Consiglio si dice anche convinto che in molti stanno orientando il loro voto per “antipatia” nei suoi confronti e questo – aggiunge – mostra “scarsa visione per il Paese”.

La proposta che dovrebbe essere messa sul piatto della discussione della Direzione è quella di affidare a una delegazione formata dai capigruppo Ettore Rosato e Luigi Zanda e da Lorenzo Guerini, un compito “esplorativo” nei confronti di tutte le altre forze politiche. “Bisogna costruire le condizioni per le modifiche, pensare che in sei settimane, mentre è in discussione la legge di bilancio, si chiuda questa partita sarebbe una forzatura”, spiega un renziano. Una mossa il cui effetto dovrebbe essere quello di “stanare” la minoranza, perché la convinzione è che il punto di approdo reale non sia la modifica della legge elettorale. La scelta di Pier Luigi Bersani di votare No al referendum sulla riforma costituzionale – dice esplicitamente il ministro dei Beni culturali, Enrico Franceschini – “penso sia motivata da altro”, “il tema vero è che nel Pd e fuori dal Pd si sta utilizzando il tema referendario per contrastare Renzi”.

Dalla minoranza, ovviamente, l’accusa è ribaltata: è il segretario – dicono – che continua a fare solo melina senza alcuna proposta concreta. La direzione di domani, spiega Roberto Speranza, “è l’ultima possibilità, però non per annunci generici: il governo e la sua maggioranza hanno prodotto il disastro dell’Italicum, ora senza una loro vera iniziativa ogni mossa e invito al Parlamento, è una perdita di tempo”. La richiesta è quella di mettere in discussione il doppio turno, esattamente la norma che finora Renzi ha difeso più strenuamente.
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Referendum. Matteo Renzi non teme l’assist di Moscovici: risultati concreti sulla flessibilità

In Italia ”c’è una minaccia populista. E’ per questo che sosteniamo gli sforzi di Renzi affinché sia un partner forte all’interno dell’Ue”. E ancora: “Ho fiducia che l’Italia se la caverà come sempre e risolverà i problemi con il nostro aiuto”. Sul piano concreto: la Commissione Ue è pronta a “considerare” le richieste di italiane di flessibilità per “le spese per i rifugiati” e per il “terremoto”. Pierre Moscovici parla a Washington e sembra un renziano. Il commissario agli Affari economici dell’Ue si schiera con il premier italiano nella difficile sfida per il referendum e, particolare non da poco, non crea disturbo a Roma. Perché, è la lettura che danno da Palazzo Chigi, il socialista Moscovici porta risultati palpabili: il suo ok oggi permette di sperare di chiudere la legge di stabilità abbastanza agevolmente. Il resto sono speculazioni astratte.

Insomma l’effetto ‘John Phillips’ non c’è. Le parole di Moscovici sono musica per le orecchie di Renzi anche se a pronunciarle è il commissario di un’Europa che ormai non suscita simpatia in nessun paese del continente. Stavolta il premier e i suoi non reagiscono con gelo, imbarazzo e distanza come è accaduto tre settimane fa, quando l’ambasciatore statunitense Phillips si è azzardato a dire che “una vittoria del no al referendum metterebbe a rischio gli investimenti americani in Italia”. Con Moscovici, commissario e uomo di mediazione nella squadra di Juncker, questo non succede. Anzi. A Roma sono contenti.

Primo perché l’ok di Moscovici sulla flessibilità, seppur non definitivo in quanto la partita con la Commissione si chiuderà tra un mesetto, lascia ben sperare sulla quadratura del cerchio anche per il 2016. E poi non è indifferente il mezzo con cui il commissario decide di dare il suo messaggio. Lo fa in un’intervista a Bloomberg, agenzia economica, e a Washington a margine dei lavori del Fondo Monetario internazionale. Dice Moscovici: “Abbiamo detto chiaramente cosa è la flessbilità nel gennaio 2015. Dobbiamo incoraggiare i paesi che creano molti investimenti, lo abbiamo fatto con l’Italia. Aiutare i paesi che portano avanti riforme strutturali affinché possano avere più tempo, lo abbiamo fatto con l’Italia. Abbiamo detto che saremmo pronti a considerare spese per la crisi di rifugiati o un terremoto o un Paese che soffre attacchi terroristici come il Belgio. Si tratta di flessibilità precise, limitate e chiaramente spiegate. In generale un Paese deve rispettare i criteri e ridurre il debito, è il principale problema di Italia e Belgio”.

Insomma, questa è l’Europa che si schiera con Renzi e si incarica di ‘garantire’ per l’Italia oltreoceano, quasi volesse calmare le acque dopo le dichiarazioni di Phillips e spingere sulla vittoria del sì al referendum. Ma c’è di più. I Dem di stanza tra Bruxelles e Strasburgo tracciano un ponte ideale tra Moscovici e Jean Claude Juncker, che ieri ha usato le stesse parole di Renzi: “Il vertice di Bratislava è stato un fallimento” sui migranti. Sostanzialmente gli ‘amici’ in Commissione Ue sono almeno due per Renzi: il commissario e il presidente, “determinati a difendere la stabilità di governo in Italia per tutelare un’Europa messa male: l’Italia di Renzi è diventata fondamentale per l’Ue”, ragionano in casa Dem a Bruxelles.

Eppure al referendum sulla Brexit, i commissari Ue si sono tenuti prudentemente a distanza dalla campagna elettorale di David Cameron per non urtare gli euroscettici del Regno Unito, anche se non è servito. Eppure per il referendum greco Juncker, Martin Schulz e altri leader Ue sono entrati a gamba tesa nella campagna elettorale per difendere gli accordi con la troika, non riuscendo a scongiurare la vittoria del no, ‘oxi’. Comunque abbia agito, l’Europa ha sempre perso la scommessa con i referendum.

Ma per l’Italia l’assist di Moscovici non rischia di danneggiare la campagna per il sì, dicono fonti vicine al premier che a Bratislava invece ha rotto con Merkel e Hollande per i mancati risultati sui migranti, convinto che un po’ di distanza con l’Ue faccia bene alla campagna per il sì. La ricetta però non si applica a Moscovici che sta seguendo passo dopo passo il cammino della legge di stabilità italiana, è in continuo contatto con Padoan e poi non è Katainen o Schauble. Insomma non è percepito come il ‘cattivo’ della situazione, bensì la ‘colomba’ contro i falchi, colui che ha le chiavi per liberare la manovra economica 2016.

Lo dimostra anche il fatto che stavolta, a differenza del caso Phillips, non scoppia la polemica politica. Anche se sia Arturo Scotto di Sinistra Italiana che Renato Brunetta di Forza Italia intervengono. “Ci mancava solo Moscovici. La politica economica dell’Europa dovrebbe essere decisa per rendere migliore la vita dei cittadini più deboli, non per salvare Renzi da improbabili minacce neopopuliste”, dice Scotto. ‘In Italia minaccia populista’. Moscovici offende popolo italiano. Democrazia fa paura a certa Ue. C’è da riflettere. Questa Europa non ci piace”, twitta Brunetta. Ma non si sviluppa un incendio di dichiarazioni.

“Apprendiamo che la Commissione europea apre alla flessibilità, è pronta a considerare alcune spese straordinarie, come quelle per la crisi di rifugiati o per le conseguenze di un terremoto ed altri eventi traumatici – dice invece Laura Garavini, dell’Ufficio di Presidenza del Gruppo del Pd alla Camera – E’ una buona notizia ed è anche la prova che la battaglia del governo Renzi per una Europa più giusta e solidale sta buttando giù qualche muro. Eppur si muove?”.
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Quando il neo assessore M5s di Roma Massimo Colomban applaudiva Matteo Renzi (VIDEO)

Il pentastellato assessore di Roma fresco di nomina Giovanni Colomban, imprenditore scelto dalla Raggi, in passato applaudiva Renzi. “Io ho sempre optato per gli innovatori – spiegava infatti Colomban al Corriere Veneto il 28 febbraio 2014, sei giorni dopo l’insediamento del nuovo esecutivo – e Renzi lo è. Aspettiamo che i suoi annunci siano seguiti dai fatti, ma abbiamo fiducia”.. Qualche settimana più tardi, il 18 marzo, nella trasmissione “Coffee Break” su La 7, elogiava la flessibilità del Jobs Act, ospite anche il neoministro Giuliano Poletti.

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Referendum, Gustavo Zagrebelsky Vs Matteo Renzi: scontro tra due mondi sulla tirannia della maggioranza

Lo scontro tra due mondi opposti. Divisi su tutto, persino sull’idea stessa di democrazia. E’ questo il leit motiv dello confronto tv tra il costituzionalista Gustavo Zagrebelsky e il presidente del Consiglio Matteo Renzi in onda su La7.

A 64 giorni dal referendum il premier e il giurista, moderati da Enrico Mentana, si confrontano sul “merito” della riforma costituzionale che sarà sottoposta alla consultazione del 4 dicembre. Da una parte chi l’ha promossa per uscire dalla “palude”, dall’altro il “professorone” in prima fila per arginare la “deriva autoritaria” nel caso di vittoria del Sì. Ma si capisce, guardando il duello, che a dividere i due interlocutori non sono solo gli articoli e le modifiche apportate al testo costituzionale, quanto una differenza ontologica della concezione del sistema democratico. “Le elezioni in democrazia non si vincono – dice a un certo punto Zagrebelsky – Chi prevale nelle elezioni non ha ‘vinto’ ma è colui che gli elettori hanno incaricato di un grave compito. Mentre il ‘vincere’ comporta che ci siano degli ‘sconfitti’, che non conteranno nulla”.

“Il cittadino ha il dovere di decidere chi vince alle elezioni e l’Italicum è già una legge proporzionale”, ribatte Renzi. “Il Senato conta meno, perchè non si può continuare con un sistema che scambia la complessità e l’arzigogolo con la democrazia”, aggiunge il premier. Semplificazione contro complessità.

Renzi ha il dente avvelenato nei confronti del costituzionalista per quell’appello firmato contro la “deriva autoritaria”: “Lei ha firmato l’appello ‘Libertà e Giustizia’ che parla di svolta autoritaria: questo appello a mio giudizio è offensivo verso l’Italia. La svolta anti democratica c’è, ed è dove si incarcerano giornalisti, insegnanti, magistrati, non in un Paese in cui si tagliano il Cnel e qualche centinaia di poltrone”, ha attaccato il premier. E poi ha aggiunto: “Con la riforma si semplifica la vita delle persone e si riducono costi della politica, si riducono le poltrone”.

Ma il professore Zagrebelsky, col piglio del docente, ribatte: “L’instabilità del nostro paese deriva dal fatto che è un sistema politico molto complesso. Con questa riforma c’è un rischio di concentrazione dei poteri al vertice e il rischio di passare dalla democrazia all’oligarchia”, spiega ancora Zagrebelsky osservando come degli stessi sistemi costituzionali applicati a diverse realtà possano portare ad esiti diversi. “La Costituzione di Bokassa è molto simile a quella degli Usa. Ma la resa è completamente diversa”, afferma citando il noto dittatore della Repubblica Centrafricana. E rimarca la svolta autoritaria: “Il significato di queste riforme è conservativo, servono a blindare un sistema sempre più oligarchico. I fautori del No pensano che le vere riforme si fanno sul corpo, ovvero sulla classe politica, perché riformi se stessa”.

Poi si passa alle nuove modalità per l’elezione del Presidente della Repubblica: “Oggi è richiesta maggioranza assoluta dei due terzi, calcolata sul numero dei componenti delle Camere. Quando si abolisce il requisito dei componenti vuol dire che un numero anche minimo di presenti con una parte del Parlamento eventualmente assente può eleggersi il suo Capo dello Stato. E questo in un parlamento nel quale ci sono deputati che passano da uno schieramento all’altro per valutazioni non sempre limpidissime”.

Il presidente del Consiglio difende invece il sistema introdotto dalla riforma: “Sono radicalmente in dissenso da lei. Con l’Italicum la maggioranza avrebbe il 55% dei seggi: con il sistema di voto previsto oggi, dal quarto scrutinio la maggioranza semplice può eleggersi il presidente della Repubblica. Il Parlamento invece ha previsto di alzare il quorum fino al settimo scrutinio quando i 3/5 dei votanti previsti sono una norma di chiusura. Ma nessuno può pensare che c’è una minoranza così assurda da andar via per far eleggere il presidente”.

Zagrebelsky resta convinto della svolta autoritaria, derivante dal combinato disposto riforme – Italicum. Combinata con questa legge elettorale, la riforma “raggiunge un risultato di premierato assoluto, più forte del presidenzialismo”, ha affermato il giurista aggiungendo che il ddl Boschi è più forte di quella voluta da Silvio Berlusconi. “Ma che sta dicendo? Lei sta dicendo una cosa che non è vera”, replica Renzi che attacca: “La sua parte culturale si è sempre preoccupata di andare contro Berlusconi. Noi abbiamo smosso la palude, perché non volete parlare di futuro?”.

Tuttavia Renzi riconosce che la legge elettorale ha un elemento da correggere: “Il meccanismo dei capolista non piace nemmeno a me ed è una delle cose che vorrei cambiare”, ha annunciato il premier.

Il dibattito al calor bianco – seppur condito dal “profondo rispetto” espresso numerose volte dal premier al giurista – è la rappresentazione plastica dell’incomunicabilità di due mondi contrapposti, ma al tempo stesso orbitanti nell’idea di “sinistra”. Dove nemmeno il metodo per riformare il sistema istituzionale è condiviso: “Il problema – dice Zagrebelsky – è la complessità politica, non è legata alle regole scritte nella Costituzione. Quello del presidente mi sembra il ragionamento del debole che vuole le regole per diventare forte. Ma le regole non rendono forte nessuno se è debole”.

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Matteo Renzi alla ricerca della pax referendaria. Mano tesa a: Cgil, agricoltori, destra, Bersani… Solo con D’Alema e Di Maio…

“Siccome oggi è il compleanno di Silvio Berlusconi e Pier Luigi Bersani facciamo un applauso a tutti e due. Sono nati nello stesso giorno. E siccome ieri abbiamo chiuso il primo accordo sulle pensioni, mi voglio allargare: oggi è anche il compleanno della Cgil. Compie 110 anni”. Sì, è Matteo Renzi che parla, ma quello ‘buono’: il lato (inedito) che ha deciso di utilizzare per cercare la pax referendaria in vista del fatidico 4 dicembre.

Passata l’estate, la strategia inclusiva pensata già a luglio diventa realtà. Il premier si tuffa nella campagna referendaria per il sì, pancia a terra e giri per le città, gesti studiati anche a Palazzo Chigi e annunci che cercano una cosa sola: pace e voti in vista del 4 dicembre. Renzi ha deciso di sfrondare l’albero dei nemici storici. Magistrati e sindacalisti in primis. Non li attacca più. Anzi li ‘abbraccia’ ogni volta che può per legarli al sì nel giorno che stabilirà il destino della sua carriera politica.

Nel mirino, che ormai serve solo a lanciare fiori metaforici e giammai cannonate al vetriolo, c’è persino lei: la vituperata Cgil. Già due mesi fa, il premier ha pianificato la sua strategia di ‘corteggiamento’, annunciando già allora la nuova e inedita fase di concertazione con i sindacati sulle pensioni. “Ma poi decide il governo”, diceva allora. Frase puntuta, nei mesi arrotondata, fino a svanire. Non a caso.

Ieri è arrivato l’accordo sulle pensioni, oggi Renzi se lo rivende ricordando da galantuomo il compleanno della Cgil a Perugia, in una delle ormai numerosissime tappe di campagna elettorale. Vero è che a luglio con i suoi non pensava che la Cgil si sarebbe schierata per il no al referendum, cosa che invece è successa. Ma poco importa. Con l’estensione della quattordicesima, il premier pensa di aver conquistato una buona fetta di pensionati, il grosso degli iscritti alla Cgil.

Con i magistrati la storia è un po’ diversa, ma il filo strategico è lo stesso. Martedì sera, in conferenza stampa dopo il consiglio dei ministri, Renzi parla del disegno di legge sul processo penale, quello che accorcia i tempi di prescrizione di reati come la corruzione. Testo fermo da tempo al Senato, eppure il premier non è ancora convinto di metterci la fiducia. “Noi abbiamo fatto delle regole che secondo me sono buone – dice – ma io ci penso su due volte a mettere la fiducia su una cosa che Davigo definisce provvedimenti dannosi o inutili, su atti della giustizia che vogliono aiutare i magistrati, con i magistrati che dicono che sono dannosi. Tendenzialmente escludiamo il voto di fiducia”. Vero è che il presidente dell’Anm ha espresso critiche sul testo. Ma è vero anche che il testo è fermo in Senato per le critiche dei centristi di Verdini e di Alfano. Tuttavia, il premier prova comunque a fare bella figura con i magistrati. Ci prova.

E poi c’è il resto. Oggi per dire è andato alla giornata nazionale dell’extravergine italiano organizzata dalla Coldiretti a Firenze. E annuncia: “Nel quadro economico del Def a cui seguirà la legge di stabilità del 15 ottobre abbiamo previsto che la parte di Irpef agricola che pagate sia cancellata a partire dal 2017″. Chissà se la platea si convince. Si direbbe di no, a giudicare dai fischi partiti all’indirizzo del palco quando il segretario generale Vincenzo Gesmundo schiera l’associazione sul sì al referendum. Però Renzi ci prova.

Come ha provato a incontrare gli ambientalisti e varie categorie professionali subito dopo il terremoto per esporre il piano di prevenzione anti-sismica ‘Casa Italia’. Un’intera giornata di ‘udienze’ a Palazzo Chigi, insieme al project manager Giovanni Azzone, rettore del Politecnico di Milano. Dovevano rivedersi entro la fine di settembre, però. Ma ancora non c’è traccia dei nuovi incontri.

E poi Renzi prova ad adescare l’elettorato di destra con la storia del Ponte sullo stretto. E’ la destra degli imprenditori che ha in mente. Tenta di riportarli alla sua ragione dopo aver perso la scommessa con i moderati alle scorse amministrative, quando si è scoperto che da destra molti voti sono andati al M5s. Ad ogni modo oggi difende la scelta. A Perugia dice: “I voti di destra? Chi non li prende resta minoranza…”.

Quelli che proprio lo fanno imbestialire, quelli con i quali non tenta strategie di seduzione, anzi continua a usare tattiche di attacco, sono Massimo D’Alema e Luigi Di Maio, evidentemente persi alla causa. “D’Alema – dice a Perugia – sui punti della riforma, per storia personale, è totalmente d’accordo. Ma siccome ha come obiettivo la distruzione di una persona e di un’esperienza, fa la sua battaglia. Auguri. D’Alema è un esperto di lotta fratricida in casa. Citofonare Romano Prodi e Walter Veltroni per sapere di che stiamo parlando. Se si fosse impegnato a combattere il centrodestra quanto ha combattuto i suoi compagni di partito, questo Paese sarebbe diverso”.

Quanto a Di Maio, la prende dal no alle Olimpiadi, sancito oggi dal voto dell’assemblea capitolina. Ma non attacca Virginia Raggi, fedele alla scelta di non attaccare un “sindaco eletto” che i renziani considerano in crisi nei rapporti con il movimento. Renzi invece attacca Di Maio: “Qualcuno dice che i soldi delle Olimpiadi li destineranno alle periferie. Mi auguro che ci sia qualcuno che li aiuti e li riporti alla ragionevolezza perché i soldi delle Olimpiadi, per definizione, vanno dove si fanno le Olimpiadi. Non è difficile. Anche senza email, questo basta un sms e si capisce”. Il riferimento è all’email della Raggi sulle indagini giudiziarie a carico dell’assessore capitolino Muraro, che Di Maio dice di non aver letto bene.

Domani sera negli studi di Enrico Mentana su La7, Renzi terrà l’atteso faccia a faccia con il costituzionalista Gustavo Zagrebelsky, alfiere del comitato del no. Ma con lui l’intento non è l’attacco, bensì il merito della riforma. Avanti così in una inedita tattica diplomatica fino al 4 dicembre. Passando per l’appuntamento clou della campagna del sì: la Leopolda edizione 2016, fissata nel weekend 18-20 novembre, a due settimane esatte dal referendum.
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