Matteo Renzi mette la veste anti-establishment. “Vogliamo cambiare Italia e Ue”. Trump? “Da presidente sarà diverso”

Interpretare il cambiamento. Questa la strada che ha portato Donald Trump alla Casa Bianca, questa la figura che Matteo Renzi prova a interpretare per vincere il referendum, dopo il quale l’Italia “tornerà protagonista nel mondo”, e per riformare l’Europa.

“Penso che Donald Trump abbia interpretato il cambiamento in maniera più radicale rispetto a Hillary Clinton – afferma Matteo Renzi a Che Tempo Che Fa, su Raitre – C’è l’ansia di cambiare, di poter entrare nel futuro, con tutte le inquietudini di un futuro che fa anche paura. Io comprendo che ci sia un bisogno di cambiare, ma mi domando chi rappresenti in Europa o in Italia questo cambiamento, chi sia davvero anti-establishment. Io da due anni sono al governo di questo paese. Sto cercando un passettino alla volta di cambiare le cose. Cosa chiedono i cittadini che andranno a votare? Secondo me chiedono di voltare pagina e questa riforma è un treno che ripassa tra 20 anni, se ripassa, abbiamo fatto una fatica pazzesca ad arrivare fino a qua”. L’uomo del cambiamento, come Renzi prova a descriversi, è anche quello che non accetta la palude: “Se si deve Stare nel pantano è bene che ci vada qualcun altro”. dice, “vengano altri, i professionisti del galleggiamento”. Una frase che lascia intendere che in caso di vittoria del No confermerà quanto detto mesi fa, che lascerà Palazzo Chigi.

Renzi è pronto a collaborare con Donald Trump, ma aspetta di capire come si comporterà alla Casa Bianca. “La vittoria di Trump non era attesa, ora è difficile capire che presidente sarà, ma io credo che il Trump presidente sarà diverso dal Trump candidato”. Si sono sentiti al telefono, “ci siamo salutati con un ciao alla fine. Sono molto ottimista sul fatto che Italia e Stati Uniti istituzionalmente continueranno a lavorare bene, anche se poi ognuno ha le sue opinioni e valutazioni”.

Trump resta però un caso a parte. “Vedo molti politici italiani che si sono specializzati in commenti elettorali. Vedo Salvini – prosegue Renzi – che sembra che abbia vinto lui. Gli ricordo che le ultime vittorie elettorali della Lega sono a Gallarate e Cascina, non in Michigan e Wisconsin. Non è che quello che accade negli Usa si traduce nella vittoria della Le Pen in Francia o di Grillo in Italia”. I sondaggi spesso sbagliano, “spero anche in Italia, visto quello che dicono sul referendum” chiosa il premier.

Renzi pronta a presentarsi come l’uomo del cambiamento dell’Italia, tramite le riforme costituzionali, e dell’Europa. Il referendum è un’occasione storica, dice, “io ho 41 anni e vedo la fatica che si fa a cambiare le cose. Da qui a 20 giorni gli italiani decidono il loro futuro”. Cambia “la semplicità di fare investimenti, la velocità di fare le leggi”. Dopo, “se superiamo l’ostacolo saremo protagonisti in Europa e nel mondo” assicura Renzi. La novità politica è il suo sostegno al documento del Pd sulla legge elettorale, per spazzare via lo spettro del combinato disposto dell’Italicum con la riforma costituzionale. “Ma questo referendum non è il congresso del Pd, chi vuole farlo deve aspettare il 5 dicembre. Speriamo che li facciano anche gli altri, invece di stare su un blog o di far decidere tutto a uno”.

La battaglia europea prosegue, Renzi torna a minacciare di porre il veto sul bilancio. “L’Europa che conosco io non mi impedisce di mettere a posto le scuole, la stabilità dei burocrati a Bruxelles è meno importante della stabilità dei nostri ragazzi nelle scuole. Se c’è bisogno si mette il veto e l’anno prossimo faranno fatica a chiuderlo senza di noi. Se vogliono fare dei muri, non li faranno con i nostri soldi. Il sogno europeo è la pace e abbattere i muri”.

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Leopolda 2016 al via, Matteo Renzi da Bella ciao di piazza del Popolo al ritorno a casa per il referendum

Da ‘Bella ciao’ ai ‘Young the giant’, a ‘Imani’. Dalle tarantelle al rock degli adolescenti. Via le bandiere del Pd, manco a dirlo. In giro vedi solo cartelli giganti ‘E adesso il futuro, Leopolda 7’. Solo una settimana fa Matteo Renzi era in piazza del Popolo a cantare ‘O sole mio’ sul palco, di fronte ad una platea di militanti Dem, alla ricerca della sinistra da convincere per il referendum. Oggi è alla vecchia stazione di Firenze, seduto in prima fila, di fianco alla moglie Agnese, a gustarsi l’intervento dell’amico recuperato Matteo Richetti. Si apre ufficialmente la Leopolda 2016, la terza di governo. ‘#Cambiaverso’ in una sola settimana. Con la piazza di sabato scorso a Roma un unico tratto in comune: ‘Basta un sì’.

“Quando si torna alla Leopolda è come tornare a casa…”. Qui Renzi è sul palco a duettare con Richetti. Sono le 22.23, il premier non resiste alla tentazione del saluto. Che diventa la presentazione della scaletta dei tre giorni. Domani il clou nel pomeriggio, con “Maria Elena sulla riforma. L’obiettivo è disintegrare la riforma: dovete tirar fuori tutti i dubbi… Un fact checking”. Domenica poi “mi tolgo i sassolini dalle scarpe” contro quelli del no, per esempio “Salvini che ha la stessa idea di Monti…”. “Se vi va bene, ok. Sennò noi siamo per la deriva autoritaria e lo facciamo lo stesso”.

Le gag con Richetti giocano sempre sul filo dell’intesa ritrovata dopo oltre un anno di gelo. La Leopolda onore la città natale e “la fiction dei Medici” che la celebra. Non a caso Renzi la cita. “Domani Nardella farà da guida ai primi 100 che si registrano su Facebook”, è un modo per tirar dentro anche il sindaco. Tutto serve per il referendum.

All’ingresso della vecchia stazione di Firenze sono scomparsi i soliti gadget leopoldini. Ci sono solo magliette, tazze, penne e libri dedicati al referendum: ‘Basta un sì’. Ma è l’unico angolo dedicato esplicitamente alla consultazione del 4 dicembre, esattamente tra un mese. In questo la Leopolda è diversa anche dalla Festa del Pd di Catania, costellata di ‘Basta un sì’ in ogni dove. Ma è una Leopolda elettorale, connessa con la diversissima piazza di sabato scorso nella capitale. Lì Renzi cercava la sinista, qui cerca di ritrovare i suoi. Con l’ansia che magari non siano poi tutti.

Per la prima serata la stazione si riempie. Ma dall’organizzazione non nascondono una certa preoccupazione per la giornata di domani. Rispetto all’edizione dell’anno scorso sono tornati i tavoli tematici. Ci saranno anche i ministri del Pd ad animarli, ognuno sui propri temi di competenza, dal ministro Boschi – unico rappresentante di governo che parlerà anche sul palco – alla Pinotti, al ministro Padoan. Ma chi ha organizzato il tutto non nasconde che l’idea dei tavoli – grandi tavoli tondi con una decina di sedie ciascuno – è tornata per ovviare all’eventualità di una scarsa partecipazione. La terza Leopolda di governo fa paura, soprattutto sotto referendum.

Pochissimi i parlamentari presenti. Ci sono i renzianissimi della prima ora, David Ermini, Simona Bonafè, Ernesto Carbone, c’è Simona Malpezzi e pochi altri. Sono impegnati nei propri collegi elettorali nelle iniziative per il sì. C’è però la governatrice dell’Umbria Catiuscia Marini: “Sono qui per la mia gente…”. Perché questa è una Leopolda che sta a metà strada tra il terremoto nell’Italia centrale e le celebrazioni per i 50 anni dell’alluvione di Firenze, cui oggi ha partecipato anche il presidente della Repubblica Sergio Mattarella. E c’è pure l’ex sindaco de L’Aquila all’epoca del sisma del 2009, Stefania Pezzopane, senatrice Pd, a spiegare che questo non è il governo Berlusconi “interessato solo a inaugurare le case il giorno del compleanno del presidente…”.

Renzi cerca il pubblico largo, oltre il Pd, come al solito alla Leopolda. Ma dentro di sé spera che domani anche Gianni Cuperlo firmi la bozza di modifica dell’Italicum elaborata dalla commissione Dem. I suoi da Roma gli hanno assicurato che andrà così. E sarà uno schiaffo per la minoranza del no, riunita oggi a Bari intorno al governatore pugliese Michele Emiliano.

Quella del 2016 è la Leopolda della scommessa finale. Da Norcia a Lampedusa, dal terremoto ai migranti di cui domani parlerà Pietro Bartolo, il medico di Lampedusa. “C’è da ricostruire la chiesa di San Benedetto, patrono d’Europa, e anche un’Europa che continua a girarsi dall’altra parte quando si parla di immigrazione”, insiste Renzi.

Nei capannelli si parla del futuro: è l’ultima Leopolda? Chissà. “Il format sotto governo soffre un po’ – afferma un renzianissimo – ma alla fine Renzi non ci rinuncia. Sempre che vinca il referendum tra un mese…”. Se vince il no, è un altro mondo. E qui alla Leopolda si chiedono se i parlamentari assenti starebbero ancora dalla parte del segretario del Pd.
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Matteo Renzi alla camera ardente di Tina Anselmi a Castelfranco Veneto per rendere omaggio alla prima donna ministro

Il presidente del Consiglio, Matteo Renzi, si è recato a Castelfranco Veneto per rendere omaggio a Tina Anselmi, la prima donna ministro della Repubblica italiana scomparsa nella notte tra il 31 ottobre e il primo novembre all’età di 89 anni. Il premier, accompagnato dal sindaco di Castelfranco, Stefano Marcon, è entrato nella chiesetta del Cristo, di fianco al Duomo, dove è allestita la camera ardente. Il premier si è trattenuto una decina di minuti, incontrando le sorelle di Tina Anselmi, Maria e Gianna. Il presidente del Consiglio, accompagnato dal prefetto di Treviso, Laura Lega, è entrato poi per una breve visita nel vicino Duomo di Castelfranco, dove è custodita la celebra pala di Giorgione.

Renzi ha affidato a un tweet il suo ricordo su Tina Anselmi.

Il Comune ha proclamato il lutto cittadino per domani, giorno del funerale, che sarà celebrato dal vescovo di Treviso, Gianfranco Agostino Gardin alle 15.30 in Duomo. Le bandiere saranno esposte a mezz’asta sugli edifici pubblici, e alle 15, mezz’ora prima della cerimonia, saranno emessi una serie di rintocchi della campana della torre civica. Alle 12, invece, ci sarà un minuto di raccoglimento all’interno degli uffici pubblici. È stato sospeso ogni spettacolo e dalle 8 alle 18 sarà vietato il transito all’interno delle mura del castello.


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Matteo Renzi con Agnese in visita privata a Preci tra preghiera e ricostruzione, sulle orme della Regola benedettina

È il tempo della preghiera e arriverà quello della ricostruzione. Matteo Renzi segue la Messa di Ognissanti insieme alla comunità di Preci, colpita duramente dal terremoto, poi si ferma con loro per parlare, rassicurare, promettere impegno e lavoro per la ricostruzione.

Lui e la moglie Agnese arrivano all’ora della Messa. Una visita privata. A Preci, in Umbria, dove tutto il centro storico è stato evacuato, gli anziani e le donne dormono in una palestra, gli altri nelle proprie macchine. Al momento della comunione il premier e la moglie si mettono in fila per ricevere l’ostia, dietro di loro ci sono gli abitanti del paese che poi andranno a salutare e ad abbracciare uno per uno. La Messa, nel giorno di Ognissanti, è all’aperto nel giardino davanti la Chiesa, la cui facciata è stata lesionata dal sisma, e viene officiata dal vescovo di Spoleto-Norcia Renato Boccardo, il sacerdote che ha celebrato il matrimonio del premier e della moglie Agnese. A lanciare un messaggio al premier ci pensa il parroco di Preci, don Luciano Avenati: “Lasciateci restare qui. State tranquilli, siamo capaci di rimanere, almeno per un po’ per dire che qui la vita c’è. Se andiamo via tutti invece la vita muore”.

Il premier, al termine della Messa, va incontro alle persone, strette di mani, abbracci, parole di conforto, una partecipazione al dolore e alla sofferenza: “Sono qui per condividere insieme a mia moglie questi momenti”. Si avvicina il fornaio del paese, che gli dice: “Come faccio? Qui non abbiamo più pane. Né qui né in tutti gli altri paesi vicini”. E Renzi risponde: “Faremo qualcosa per accelerare”. Il messaggio in mezzo agli sfollati è: “Pezzo per pezzo ricostruiamo tutto. Un pezzo alla volta”. La preoccupazione è per un lavoro enorme, una sfida difficile, che richiederà “tanto tempo”. E ancora: “Non promettiamo miracoli, sono qui per dire che non sarà facile, ma ce la faremo”. Una donna in lacrime comincia a supplicare: “Non trattate male le nostre pecore, vi prego”. Il premier va ripetendo: “Coraggio, coraggio”. Tutto il paese spera e cerca conforto: “Premier, noi ci fidiamo di lei. Non molliamo”. E un’altra: “Mia mamma ha 102 anni e non è potuta venire a salutarla”. “C’è una signora di 102 anni?”, chiede Renzi: “Andiamo a salutarla, dov’è? Voglio salutarla”. E si infila nella palestra divenuta dormitorio.

Qui ci sono molte donne anziane. Agnese stringe le mani, chiacchiera con loro, Renzi poco più in là abbraccia un signore che scoppia a piangere, come molti qui a Preci, ma anche a Norcia e in tutti i paesi colpiti, quando pensano alle loro a case e al loro lavoro che non c’è più: “Vedere le bestie così mi fa male”. “Il problema dell’agroalimentare è fondamentale – riconosce Renzi – faremo delle strutture ad hoc e con i container tutti voi potrete restare nei vostri paesi. Chi arriva e promette miracoli fa danni, io dico che insieme ce la faremo”. Le signore anziane raccontano ad Agnese Renzi quanta paura hanno avuto, lei si avvicina e le abbraccia. “Aiutateci, non mandateci via, dove andiamo?”. Nella palestra c’è anche Asia, una ragazza incinta al nono mese: “Che ci ha detto Renzi? Ha detto che farà qualcosa”.

In molti queste rassicurazioni infondono speranza, per altri prevale la diffidenza, se non la rassegnazione: “Non abbiamo soluzioni, dobbiamo sperare che sia come dice. Se ha detto che a Natale arrivano i container è così”. Angelo Tranquillo racconta di aver chiesto a Renzi una burocrazia più veloce: “Ho un’azienda e con questo terremoto ho avuto un danno enorme. Mi sono morte due mila piccole trote, una frana ha chiuso un fiume e mi sono rimaste le trote senza acqua. In gran parte sono morte. Non so che fare”. Rossana non vuole dire il suo cognome, ma spiega: “Non voglio far sapere come mi chiamo perché poi pensano che voglio farmi pubblicità, non pensano che è una tragedia. Se andiamo via da qui finisce il paese, io non sono di qui ma lavoro a Preci in un albergo che è stato chiuso”. E ancora: “Questo paese mi ha dato lavoro, non posso tornare ad Andria. Spero che sia come dice Renzi, spero che arriveranno i container ma non ci credo, tutte parole, e poi?”.

Un gruppetto di persone intanto si organizza per ordinare delle casette: “Le nostre case sono nel centro storico e probabilmente saranno agibili, ma noi non vogliamo tornarci”. Arriva un’altra scossa, l’ennesima della giornata. “Vedete, non possiamo vivere ogni giorno così, in casa non si può stare. Prima devono sistemare tutto”. Adriano aggiunge: “Non dico che è facile, ma Renzi è lo Stato ed è lo Stato che decide cosa fare”. Il premier e la moglie vanno via lasciando a Preci angoscia e speranza.

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Migranti, Viktor Orban contro Matteo Renzi: “È nervoso perché l’Italia è in difficoltà”. Ancora scontro tra Roma e Budapest

“La politica interna italiana è un terreno difficile. L’Italia ha difficoltà di bilancio con un deficit che aumenta, mentre stanno arrivando in massa i migranti, con spese ingenti. Renzi ha tutte le ragioni di essere nervoso”. Così il premier ungherese Viktor Orban, secondo quanto riporta Mti, dopo lo scontro di ieri sui migranti.

“La compassione – ha aggiunto – non cambia il fatto che l’Italia ha il dovere di adempire agli obblighi” di Schengen, “ma non lo fa”, “è anche vero che l’Ue non dà una mano in modo sufficiente all’Italia”.

La stoccata di Orban a Renzi arriva dopo due giorni di polemiche tra Roma e Budapest. L’altro ieri il ministro degli Esteri ungherese, Peter Szijjarto aveva criticato il premier italiano perché “fraintende completamente la situazione: sta attaccando i paesi dell’Europa centrale i quali rispettano le regole comuni mentre l’Italia non adempie i propri obblighi derivanti dall’appartenenza alla zona Schengen”. Un’uscita alla quale aveva replicato il ministro degli Esteri Paolo Gentiloni con un tweet: “Con muri e referendum l’Ungheria ha sempre rivendicato di violare le regole europee sulle migrazioni. Ora almeno eviti di dare lezioni all’Italia”.

L’attacco di Budapest è arrivato dopo che Renzi aveva annunciato che l’Italia è pronta a mettere il veto sul bilancio europeo se paesi come l’Ungheria e la Slovacchia non accoglieranno i migranti come previsto dagli accordi Ue.


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La Commissione Ue scrive, Matteo Renzi se ne infischia: “La manovra resta com’è”. E alza il tiro sui migranti

Alla fine la Commissione Europea scrive. Lettere per sette paesi dell’Ue: Italia, Belgio, Finlandia, Cipro, Spagna, Portogallo e Lituania. Qui a Roma nelle caselle email del ministero del Tesoro la missiva è arrivata ieri sera. Oggi è pubblica sul sito ufficiale della Commissione Ue. Nella sostanza si chiede ciò che era trapelato nei giorni scorsi. E non sono buone notizie per Matteo Renzi e Pier Carlo Padoan. Entro giovedì 27 ottobre infatti dovranno fornire chiarimenti su: deficit strutturale che cresce dello 0,4 per cento invece di diminuire dello 0,6; spese per migranti e sisma del 24 agosto, quantificate nella manovra in 6,8 miliardi di euro (0,4 per cento del pil). Ma per ora Renzi e Padoan rispondono picche. Anzi con la lettera europea entra di fatto nel vivo il braccio di ferro tra Roma e Bruxelles sul bilancio italiano 2017, con un occhio a quello europeo per gli anni a venire. Su questi Renzi promette “il veto” se verranno confermate le risorse per quei paesi che non accolgono i migranti. Di più: se vince il sì, programma di mettere a soqquadro il ‘Fiscal Compact’. Di questa intenzione, il premier ha già accennato in recenti apparizioni tv, e c’è da scommetterci che la stessa sarà rilanciata nella manifestazione di sabato del Pd.

“C’è da mettere il veto”, dice Renzi a Porta a Porta parlando della discussione sul bilancio Ue 2020-2026 che inizierà l’anno prossimo. “Noi mettiamo i soldi se in cambio degli oneri ci sono gli onori. I soldi non passano attraverso i muri. Sai che c’è? Che se non ci aiutate, non mettiamo più i soldi”. E ancora: “Il governo Monti ha stabilito che diamo 20 miliardi e ne riceviamo 12, ma se Ungheria, Slovacchia ci fanno la morale sui nostri soldi e poi non ci danno una mano sui migranti non va bene”.

Fin dall’inizio della tenzone con Bruxelles, il premier ha intrecciato la questione ‘manovra economica’ con la questione migranti. Tradotto: c’è chi dà e non riceve dall’Ue, come i paesi Mediterranei. E chi invece ha mandato a monte il piano Juncker di redistribuzione dei profughi eppure non viene punito dall’Ue: è il caso dei paesi dell’Est, il cosiddetto blocco di Visegrad (Ungheria, Slovacchia, Polonia e Repubblica Ceca).

Quanto alla lettera Ue sulla manovra: “Di violazioni alle regole europee cene sono tante. La Francia da 9 anni è sopra il 3%, la Spagna ha un deficit che è il doppio del nostro, sul 5%. Il nostro debito è cresciuto dello 0,1% dal 2015, tutti gli altri molto di più a parte la Germania. Ma questa discussione non serve a niente. Io vado avanti per conto dell’Italia, non per conto mio. L’Italia ha rispettato tutte le regole. Abbiamo dato il deficit al 2% e uno 0,3% che è dato dalle clausole eccezionali per terremoto e immigrati. E questa cosa io sono pronto a difenderla in capo al mondo…”.

I toni con Bruxelles sono questi. E l’intenzione è di confermare punto per punto una manovra che mette in difficoltà una Commissione Europea che comunque vuole negoziare con l’Italia e aiutare Renzi a vincere il referendum del 4 dicembre. E’ per questo che Palazzo Berlaymont potrebbe non esprimere un giudizio definitivo entro quella data, ma comunque – come confermano anche oggi fonti alte della Commissione all’Huffpost – entro la fine di novembre diranno la loro su tutte le leggi di bilancio dei paesi Ue. A Renzi tutto questo non interessa. E nemmeno a Padoan. Anzi, “non c’è niente di più popolare che lo scontro con l’Ue”, osserva a distanza Martin Schulz, presidente dell’Europarlamento, citando una frase che ormai a Bruxelles è diventata quasi un adagio.

La manovra “è definita nel dettaglio e sarà mantenuta”, spiega quindi anche il ministro dell’Economia Padoan ospite a ‘Politics’. Cosa più importante: il governo italiano confermerà con Bruxelles non solo i 6,8 miliardi di euro di spese su migranti e terremoto (le circostanze eccezionali riconosciute dai trattati) ma anche quel deficit strutturale in crescita che preoccupa tanto i commissari Ue perché, come scrivono nella lettera, viene meno ai patti con cui l’anno scorso la Commissione ha accordato all’Italia 19 miliardi di euro di flessibilità. “Se mandano la lettera a noi, dovrebbero mandare libri e un’enciclopedia a chi non accoglie i migranti”, è il mantra di Renzi.

La battaglia sulla legge di stabilità è propedeutica a quella sulla modifica dei Trattati che nei piani di Renzi inizia a marzo dell’anno prossimo in occasione dei 60 anni del Trattato di Roma, che sarà celebrato alla presenza di tutti i leader europei. “Il Fiscal compact ha una data di scadenza: 5 anni”, dice sempre il premier. Approvato nel 2012, scade l’anno prossimo: ecco perché il 2017 è il tempo giusto per sferrare l’attacco. Sempre però che il premier vinca il referendum costituzionale del 4 dicembre. A Bruxelles vogliono aiutarlo pur sapendo che, dopo, i falchi (soprattutto tedeschi) dell’austerity si potrebbero ritrovare sotto attacco, proprio nell’anno di campagna elettorale per le legislative a Berlino. Però a Bruxelles non vedono alternative a Renzi, come garanzia di stabilità in Italia, per ora.

E’ questa la cornice nella quale Padoan si ritroverà faccia a faccia con Moscovici venerdì prossimo a Bratislava, proprio all’indomani della risposta italiana a Bruxelles: picche. Il ministro e il commissario all’Economia saranno entrambi relatori ad un seminario sul “rafforzamento dell’Unione monetaria in tempi di crisi”. Ci sarà anche il ministro delle Finanze tedesco Wolfgang Schauble.

Ma Renzi ha in mente un’altra data per irrobustire la sua battaglia europea in chiave di campagna referendaria. Vale a dire: 18-19 novembre a Berlino. C’è il vertice dei capi di Stato e di governo di Italia, Francia, Gran Bretagna, Germania convocato da Angela Merkel. Ma la Cancelliera ha invitato anche Barack Obama che proprio all’Europa dedicherà così la sua ultima missione all’estero da presidente degli Usa. Dopo la due-giorni all’insegna della crescita e del no all’austerity alla Casa Bianca, Renzi arriva a Berlino convinto dell’assist dell’amico Barack. Dovrà solo stare attento a non raccogliere troppi consensi espliciti al sì per il referendum: magari da Merkel o da altri leader Ue. Potrebbero essere controproducenti.
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Matteo Renzi e Pier Carlo Padoan, parole grosse per smorzare Bruxelles

“Un’Italia capace di fare le riforme a casa propria è più autorevole in Europa”. Una frase che Matteo Renzi più volte, negli ultimi tempi, ha ripetuto. Tuttavia, mai come in questi giorni rende evidente quanto siano legati i due fronti – le due “battaglie storiche” per dirla con le sue parole – che il premier sta combattendo: quella a Bruxelles sulla legge di Bilancio e quella in Italia sul referendum.

Vincere l’una per vincere anche l’altra. E viceversa. Come mai in passato, il presidente del Consiglio sta facendo la voce grossa con l’Europa. E non soltanto lui. Perché le sue parole fanno il paio con quelle del ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan, che, in un’intervista a ‘Repubblica’ – sentenzia che se l’Ue dovesse bocciare la manovra italiana “sarebbe l’inizio della fine”. Un intervento di cui, ovviamente, il premier era al corrente.

Tecnicamente, la disputa si gioca sullo 0,1% del Pil, ossia 1,6 miliardi di lire. Già domani potrebbe arrivare all’Italia (e ad altri cinque Paesi) la lettera con una richiesta di chiarimenti da parte di Bruxelles. I dubbi, sul fronte delle entrate, riguarderebbero le troppe una-tantum, mentre tra le uscite le perplessità ricadrebbero soprattutto sul piano nazionale di salvaguardia antisismica, considerato strutturale e non emergenziale.

Di fronte all’arrivo della missiva, sostanzialmente, Renzi scrolla le spalle e sminuisce. “Quante volte l’ha mandata? Sempre. A quanti Paesi? Almeno 5 o 6. E’ il fisiologico dialogo tra istituzioni”, afferma. Quanto a quel controverso 0,1% più, il presidente del Consiglio sostiene che non sta lì in punto della questione. “Io – spiega – voglio difendere l’Italia, nella battaglia storica perchè il bilancio europeo tenga insieme diritti e doveri”. Un tema che si ricollega, nelle parole del presidente del Consiglio, anche a quello dell’accoglienza. “Non stiamo litigando con l’Europa. Stiamo dicendo – insiste – che in passato l’Italia ha detto sempre di sì a tutto, ma noi siamo contributori dell’Europa: ogni anno diamo 20 miliardi e ne riprendiamo solo 12. Possiamo cominciare a far sì che quelli che prendono i soldi prendano anche i migranti? Ma i Paesi dell’Est salvati dalla Ue oggi chiudono le porte”.

Certo, spiegano fonti Pd, nello scegliere dei toni così duri, non è stata estranea a Renzi la consapevolezza di quanta presa la battaglia contro l’Europa-matrigna abbia su una parte dell’elettorato. Soprattutto, a destra. Dove, per ammissione dello stesso premier, è necessario andare a pescare se si vuole vincere il referendum costituzionale. Dalle opposizioni parlamentari, però, arriva anche un’altra accusa: quella di aver riempito il decreto fiscale di mance e marchette “per accalappiare consenso ai fini del referendum” (parole di Brunetta). Ed ecco che le due battaglie tornano ad incrociarsi.

A quelle stesse opposizioni, tuttavia, Renzi, lancia un appello affinché condividano la sfida europea. “Io spero – afferma – che la nostra proposta di rimettere in discussione il bilancio europeo e le regole economiche venga portata avanti anche a dispetto del referendum: nel 2017 discuteremo del Fiscal compact” che dovrà o meno essere inserito nei Trattati. “Spero – insiste – che tutto il Paese ci sia su questi temi”.
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Matteo Renzi al Consiglio Ue con la spinta di Obama: e spunta un primo ok sulle spese per i migranti in legge di stabilità

“L’Italia sta facendo la propria parte, ma in termini di solidarietà da parte di troppi paesi non ho visto altrettanto impegno”. Palazzo Justus Lipsius, Bruxelles: prima sessione del Consiglio europeo di ottobre. Sui migranti. Matteo Renzi prende la parola di fronte agli altri 27 leader e il presidente della Commissione europea Jean Claude Juncker. Oggi si sente forte, gonfio del sostegno di Barack Obama su tutta la linea, dal no all’austerity alla solidarietà per i profughi. Tanto che qui a Bruxelles riferisce agli eurodeputati delle preoccupazioni del presidente Usa sull’Europa: “L’Europa preoccupa il mondo”. Si diffonde voce che abbia aggiunto: “Più della Siria”. Smentita di Palazzo Chigi. Ad ogni modo, in questo Consiglio l’Italia ottiene qualcosa, anche se poco.

In sostanza Renzi ottiene che la bozza finale del vertice riconosca gli sforzi fatti dall’Italia per l’accoglienza dei migranti. Anche quelli finanziari. E’ musica per le orecchie di Renzi, anche se non risolve tutti i problemi. Significa che, mentre va avanti il braccio di ferro con la Commissione Europea, un pezzo di manovra economica è di fatto licenziato: quello sulle spese ai migranti.

Ecco il passaggio del documento finale che fa felice il premier: “Occorrono maggiori sforzi per ridurre il numero di migranti irregolari, in particolare dall’Africa, e migliorare i tassi di rimpatrio. Riconoscendo il considerevole contributo, anche di natura finanziaria, apportato negli ultimi anni dagli Stati nembri in prima linea, il Consiglio europeo…”.

Non è un’autentica novità. Le spese per i migranti non sono mai state messe in discussione dalla Commissione che sta esaminando la manovra italiana. Figurano infatti come ‘clausole eccezionali’ da scorporare dal patto di stabilità e crescita. Però Renzi non sottovaluta il risultato raggiunto: lo considera un primo buon auspicio su una manovra che continua a destare perplessità a Bruxelles per il deficit troppo alto.

Oggi tra l’altro non ne ha neanche parlato con Juncker. Con il presidente della Commissione solo un saluto ma nessun incontro a margine del Consiglio Ue, nessun contatto per sapere della manovra. Quasi a voler sottolineare una cautela reciproca. Da un lato infatti Renzi non ripete quanto affermato ieri: “Aspettiamo la procedura di infrazione contro i paesi che non accolgono i migranti…”, non contro l’Italia per la legge di stabilità 2016. Sa che il messaggio cadrebbe nel vuoto: sono tre giorni che Juncker ripete che “la solidarietà non si può imporre”. E in più la Commissione fa sapere che c’è ancora un altro anno di tempo per aprire le procedure di infrazione contro i paesi dell’est. In sostanza è tutto rimandato. Ma dall’altro lato, nessuno attacca l’Italia per la manovra in deficit, nemmeno i falchi dell’austerity che di solito non si lasciano sfuggire l’occasione.

E’ così che Renzi tenta di guadagnarsi l’ok della Commissione sulla legge di stabilità. Puntando anche sulla debolezza dell’Unione, incapace di imporre sanzioni, aprire procedure di infrazione, farsi rispettare. Un vuoto che Renzi spera di sfruttare in attesa di imprimere una svolta ai trattati europei: il primo appuntamento in questo senso è previsto a marzo in Italia in occasione delle celebrazioni del 60esimo anniversario del Trattato di Roma. Lo ha spiegato oggi agli eurodeputati Dem, che il premier ha voluto incontrare apposta prima del Consiglio europeo. Obiettivo: spingerli a mobilitarsi per il referendum costituzionale, soprattutto al sud dove non a caso Renzi sarà domani sera direttamente da Bruxelles. Destinazione Palermo, Trapani e Messina. E sabato, inoltre, Renzi svelerà anche il logo del vertice G7 previsto a Taormina a maggio. Senza la vittoria del sì, non può programmare niente, a partire dalla data italiana di marzo.

La prima giornata a Bruxelles dopo la full immersion americana finisce così. L’alto rappresentante per la politica estera, Federica Mogherini, illustra al Consiglio europeo i primi risultati della sperimentazione del ‘migration compact’ con 5 paesi africani: Mali, Senegal, Niger, Etiopia e Nigeria. E in più il documento finale parla finalmente di Africa e immigrazione nel Mediterraneo centrale. Sostanzialmente ciò che Renzi non aveva ottenuto al vertice informale di Bratislava a settembre, scatenando l’inferno (verbale) contro Angela Merkel e Francois Hollande. Anche con loro due oggi nessun bilaterale. La Cancelliera in giacca rossa che si abbina solo alle scarpe scarlatte di Theresa May se ne sta lontana anche nella foto di gruppo. L’epoca del direttorio a tre – Roma, Parigi, Berlino – è decisamente tramontata, per il momento.

E c’è da dire che le nuove concessioni all’Italia sono controbilanciate da una nuova presa di posizione dei paesi dell’est che chiedono di tener conto dei loro no espressi in passato. In più Germania, Svezia, Slovenia e Austria riescono a infilare nel documento finale la possibilità di mantenere i controlli alle frontiere, vale a dire la sospensione di Schengen.

Al succo, l’Europa resta fredda. Il premier pensa al calore di Obama. Ne parla diffusamente anche con gli europarlamentari tanto da rasentare l’incidente diplomatico. Dopo l’incontro infatti si diffonde la voce secondo cui Renzi avrebbe riferito agli europarlamentari di un Obama preoccupato più per la crisi dell’Europa che della Siria. Assurdo. Allarme. Scatta la smentita di Palazzo Chigi: ci sono entrambe le preoccupazioni ma l’una non va collegata all’altra. Ma il tema è troppo ghiotto per non essere funzionale alla narrazione di un premier che ora esige riconoscimenti anche europei da mettere insieme a quelli a stelle e strisce.
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Matteo Renzi a Michelle Obama: “I tuoi discorsi sono meglio dei tuoi pomodori” (VIDEO)

“Sono da sempre un fan di Obama, a partire dal suo primo discorso in Illinois nel 2007 ma, dopo aver ascoltato i discorsi di Michelle in campagna elettorale, li ho trovati dello stesso livello. Penso che i tuoi discorsi siano meglio dei tuoi pomodori”. Così, scherzando, Matteo Renzi nel discorso di apertura alla cena di Stato alla Casa Bianca. Renzi ha poi ripreso il concetto di “bottega” come luogo in cui si condivide il lavoro per renderlo migliore possibile, come accade con l’amministrazione Obama. Per questa ragione il presidente Usa è stato paragonato a un maestro del Rinascimento: “Ci hai dato l’opportunità di lavorare insieme a te per migliorare il mondo e pensare al futuro come a un luogo di speranza”. Il premier ha poi scherzato: “I nostri popoli condividono a tavola vino e cibo così come condividono gli stessi valori: possiamo allora organizzare una visita a Firenze, andare agli Uffizi e al David, e poi fare non una cena di Stato, ma andare in una osteria per vedere se i pomodori italiani sono più buoni di quelli dell’orto di Michelle”.

Obama e Michelle accolgono Renzi e Agnese per la cena di Stato

Benigni alla cena di Obama: “Resto qui, sto cercando una cosetta vicino all’orto di Michelle”

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Matteo Renzi, visita alla Casa Bianca: premier “in the sky” grazie a Obama

“Guardatelo: è giovane, è bello, gli piace molto twittare”. Potrebbe bastare questa frase di Barack Obama per mandare Matteo Renzi letteralmente ‘in the sky’, in visibilio, tra nuvole sognanti di adorazione per gli Stati Uniti, “our best friend”, dice il premier italiano dalla South Lawn della Casa Bianca. E invece Obama va oltre. Il suo è più di un endorsement, va oltre la scelta pure altamente simbolica di dedicare all’Italia l’ultimo bilaterale della sua presidenza. Obama sbandiera il suo “tifo per Renzi” al referendum di dicembre, gli consiglia pubblicamente di “restare in politica a prescindere dal risultato”, si schiera con lui su flessibilità e migranti. Lo usa per la sua battaglia contro l’austerity di Berlino. Si schiera con lui contro un’Europa che proprio in queste ore alza il sopracciglio sulla legge di stabilità italiana e resta immobile sulla crisi dei profughi, lasciando Italia da sola. Per Renzi è il massimo, the best: nel cuore la speranza che l’assist di Obama gli porti bene, meglio che a David Cameron, costretto a dimettersi dopo la sconfitta su Brexit.

Tappeti rossi e quasi un’intera giornata insieme, due ore interminabili di conferenza stampa e una cena a base di agnolotti in tutta convivialità alla Casa Bianca: Barack e Michelle, Matteo e Agnese e le eccellenze italiane da Roberto Benigni e la moglie Nicoletta Braschi alla campionessa paralimpica Bebe Vio. “Sono particolarmente grato per la partnership con il mio buon amico Matteo Renzi”, esordisce Obama già prima del bilaterale. Il premier italiano “ha lanciato una visione di progresso che non affonda le sue radici nelle paure della gente ma nelle loro speranze. Sa che come nazioni e come individui abbiamo il potere di raggiungere grande cambiamento, in Italia sta sfidando lo status quo con coraggiose riforme”. “La nostra missione è “di seguir virtute e canoscenza”: Renzi risponde citando Dante, Benigni ne è contento, il premier pensa già a come sfruttare il prezioso assist a stelle e strisce dopodomani a Bruxelles, al Consiglio europeo.

Parlano la stessa lingua. Obama tenta l’italiano all’inizio, “buongiorno”. Renzi sfoggia il suo inglese imperfetto. Ma è solo una questione di idiomi. Il presidente uscente si spende per l’amico italiano come mai prima. “Le riforme lanciate da Renzi, soprattutto in campo economico, sono quelle giuste”, “Il sì al referendum aiuta l’Italia”. Renzi ironizza, pensando a Cameron e incrociando le dita: “Il 2016 finora non è stato un anno eccezionale per organizzare i referendum ma penso che quello italiano sia un messaggio molto semplice contro la burocrazia: se a dicembre vinceremo, le cose in Italia saranno più semplici e l’Italia sarà un paese più forte in Europa”.

Per Obama, Renzi è l’antidoto ai populismi in Europa, Renzi va soccorso nella battaglia contro l’austerity e nella crisi dei migranti, Renzi è un prezioso alleato contro l’Isis in Iraq, nell’offensiva di Mosul dove gli italiani sono impegnati a tutela della locale diga, e per la stabilizzazione della Libia. Simply the best. Anche se non è ancora perfezionata l’alleanza in funzione anti-Russia, unico argomento sul quale Renzi non si sbilancia in conferenza stampa, stretto com’è tra il fortissimo e storico asse con Washington e i legami che pure ci sono con Mosca (Roma è contraria alle nuove sanzioni verso la Russia, così come per le vecchie). Invece Obama cita eccome la Russia che “viola i principi di democrazia, libertà, integrità territoriale”, attacca Trump e i repubblicani che “hanno sempre criticato il nostro dialogo con Mosca e ora sostengono un candidato che continua a lodare Putin in un modo che non ha precedenti nella politica americana”.

Domani Vladimir Putin sarà a Berlino, ospite di Angela Merkel. Ed è proprio la Cancelliera che Obama chiama in causa quando si schiera con Renzi sul no all’austerity. “Diverse volte ho parlato con Merkel e Hollande sui modi per risolvere le crisi del 2008”, premette Obama senza timore di scomodare gli ‘avversari’ europei. “In questi anni negli Stati Uniti abbiamo fatto sgravi fiscali, salvato industrie, creato occupazione, reso le banche più trasparenti e abbiamo attratto investimenti. Non mi aspetto che quello che abbiamo fatto negli Usa venga trasferito in Europa. Ma so per certo che c’è una crescita molto lenta in Europa e che i giovani non entrano nel mercato del lavoro. Ora c’è anche maggiore fiducia nelle finanze pubbliche ed è il momento giusto per concentrarsi sulla crescita e fare investimenti. Draghi ha fatto molto per mantenere una traiettoria positiva in Europa ma da sola la politica monetaria della Bce non basta. Renzi ha fatto molto in termini di progressi reali, c’è più fiducia da parte dei mercati. E credo ci sia una connessione fra la stagnazione e gli impulsi populisti che sanno crescendo in Europa”.

Usando Renzi, Obama si toglie i sassolini dalle scarpe nei confronti di un’Europa che di fatto gli ha bloccato la firma del Ttip, il trattato commerciale con gli Stati Uniti. O che almeno non è stata capace di arginare la contrarietà di Francois Hollande. Renzi invece è stato sempre a favore ed è lì alla Casa Bianca per dirgli che non ha mai cambiato idea su questo. Ne parlano nel bilaterale nello Studio Ovale, dove parlano di Iraq e Libia. Ma a favore dell’amico italiano, ancora una volta Obama va oltre: sull’immigrazione.

“L’Europa deve essere in grado di risolvere questo problema e non lasciare uno Stato a risolvere il problema da solo. Noi siamo una federazione, è vero, ma mai lasceremmo uno Stato a risolvere il problema da solo e buona fortuna”. Dall’altro lato, Renzi ricorda il ‘migration compact’ italiano, finora mai applicato dall’Ue fino a scatenare lo strappo di Bratislava. “La questione Africa è stata abbandonata dall’Ue negli ultimi decenni – dice – Dobbiamo lavorare come la Commissione aveva immaginato pur senza la necessaria velocità. Ma prima di chiedere aiuto agli Usa bisogna che l’Ue faccia la sua parte. Non possiamo pensare di farci carico da soli dei problemi in Libia e Africa e giovedì al Consiglio europeo porremo la questione”.

Prima di ripartire, domani a Washington Renzi riuscirà a incontrare a pranzo lo staff della candidata Democratica alla Casa Bianca Hillary Clinton per preparare il terreno delle alleanze future dopo Obama. Giovedì sarà a Bruxelles, curioso di vedere la reazione degli altri partner europei rispetto a questo asse italo-americano: così intenso da risultare inedito.
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