Il caso Consip scuote il Governo, Paolo Gentiloni: “La maggioranza è solida”

“Abbiamo una maggioranza solida, abbiamo una serie di riforme decise dal governo di cui già facevo parte da completare. Abbiamo nuove iniziative di cambiamento avviate in queste settimane. Con un catalogo lungo. Ma la mia non è una scelta, fa parte del mio dovere trasmettere a tutti i nostri concittadini l’idea che il governo si concentra sulla sua attività e sul tentativo di dare una soluzione ai problemi. E’ di questo che abbiamo bisogno”. Lo ha detto il presidente del Consiglio, Paolo Gentiloni, a Catania.

“Non dobbiamo dimenticarci da dove veniamo: da 7-8 anni di crisi continuativi, durissimi sul piano sociale che soltanto ultimamente grazie a sacrifici degli italiani, alle imprese che esportano, al senso del dovere dei nostri lavoratori e all’impegno dei governi guidato da Renzi e da chi l’ha preceduto, ci siamo rimessi gradualmente in carreggiata. Ma le cicatrici di questi anni sono lì”, ha proseguito Gentiloni. Il premier ha poi aggiunto: “Utilizzare i fondi per il Mezzogiorno è uno dei problemi cruciali del Paese. Se diamo risposte al divario non facciamo una cosa utile e importante per il Sud ma recuperiamo una delle potenzialità per la crescita del nostro Paese”.

“Abbiamo bisogno di riprendere direttamente in mano la questione dello sviluppo del Mezzogiorno – ha annunciato – e tra un mese lo faremo con un grande incontro a Matera”. “L’Italia è un paese ricco di opportunità e straordinariamente ricco di potenzialità . Noi dobbiamo mettere l’amore e la dedizione per il nostro Paese davanti a tutto”.
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Slitta l’arrivo in Aula della legge sul testamento biologico. Maggioranza divisa e Pd spaccato sui punti chiave

Il Partito democratico è diviso. Anzi, l’intera maggioranza è spaccata e il disegno di legge sul Biotestamento è quindi fermo in commissione Affari sociali della Camera, dove un’intesa è stata trovata ma nessuno si sente pronto ad affrontare lo scoglio dell’Aula. È qui infatti, nell’emiciclo di Montecitorio, che potrebbero consumarsi divisioni tra i parlamentari soprattutto tra l’ala cattolica e quella più progressista poiché non c’è un’intesa ampia sui passaggi chiave della legge: ruolo del medico e possibilità o meno di alimentare e idratare il malato. La morte di Fabiano Antoniani (questo il nome all’anagrafe di dj Fabo), tetraplegico e cieco in seguito a un incidente, ha così riacceso lo scontro sull’eutanasia: “Sono finalmente arrivato in Svizzera e ci sono arrivato, purtroppo, con le mie forze e non con l’aiuto del mio Stato”, queste le ultime parole di Dj Fabo giunto nel Paese elvetico per il suicidio assistito.

Che venga approvata in Italia una legge sull’eutanasia, cioè che venga data la possibilità a un individuo di porre fine alla propria vita autonomamente con l’aiuto dei medici, è da escludere. Nessuno nella maggioranza ne parla, piuttosto si ragiona e si prova ancora a trovare la quadra sulla legge riguardante il testamento biologico. Il provvedimento permette alla singola persona di enunciare, in linea di massima, i propri orientamenti sul “fine vita” nell’ipotesi in cui sopravvenga una perdita irreversibile della capacità di intendere e di volere. L’articolo 3 del testo – il più divisivo – prevede e disciplina le disposizioni anticipate di trattamento (DAT). Queste vengono definite come l’atto in cui ogni persona maggiorenne e capace di intendere e di volere può, in previsione di una eventuale futura incapacità di autodeterminarsi, esprimere le proprie convinzioni e preferenze in materia di trattamenti sanitari, nonché il consenso o il rifiuto rispetto a scelte diagnostiche o terapeutiche e a singoli trattamenti sanitari, comprese le pratiche di nutrizione e idratazione artificiali. Il dichiarante può anche indicare una persona di fiducia che lo rappresenti nelle relazioni con il medico e le strutture sanitarie. Il medico è tenuto al rispetto delle DAT che possono essere disattese in tutto o in parte dal medico stesso, in accordo con il fiduciario, solo quando sussistano terapie non prevedibili all’atto della sottoscrizione delle DAT capaci di assicurare possibilità di miglioramento delle condizioni di vita.

Questi sono i punti chiave del testo su cui il Parlamento è diviso, con il rischio che non ci sia una maggioranza per approvare una legge che rispetto a quelle degli Paesi europei resta comunque diversi passi indietro. “Come senatore mi sento responsabile di un Parlamento bloccato dai veti. Legge sul testamento biologico adesso”, ha scritto tra i primi il senatore renziano Andrea Marcucci. Anche il capogruppo Pd alla Camera Ettore Rosato ha chiesto di accelerare: “Dispiace che per essere libero dj Fabo abbia dovuto andarsene lontano. E dobbiamo riflettere su questo. La politica ha il compito di guardare in faccia i problemi delle persone. La legge su testamento biologico va in questa direzione”. Il presidente del Gruppo Misto Pino Pisicchio pensa che sia “opportuno che la pietas umana prevalga in situazioni drammatiche che non possono certamente essere tramutate in vessilli politici”.

Insomma, nessuno nasconde che la strada per l’approvazione della legge sul testamento biologico sia in salita. La parlamentare cattolica dell’Udc, Paola Binetti, sottolinea per esempio che “la divisione all’interno della Commissione è tra coloro che vogliono che il ‘no’ all’eutanasia sia esplicito, chiaro e scritto nella legge, e coloro che dicono che la legge così com’è non ha bisogno di questa puntualizzazione perché è già contraria all’eutanasia”. Pochi giorni fa Giuseppe Fioroni, leader dei popolari all’interno del Pd, in un’intervista ad Avvenire è uscito allo scoperto elencando i punti che, secondo i cattolici, vanno modificati perché se la legge sul testamento biologico resta così com’è si tratterebbe “di eutanasia passiva: nelle dichiarazioni non si può inserire il no all’idratazione e all’alimentazione artificiale” perché non si tratta di terapia ma di elementi vitali. Inoltre, secondo Fioroni, è da rivedere il ruolo del medico poiché “la normativa si riferisce a casi astratti, ma dovrà operare in casi concreti, che vanno valutati di volta in volta”. Dello stesso avviso è Alessandro Pagano della Lega Nord: “È inconcepibile che uno Stato possa favorire la cultura della morte”.

Sul versante opposto arrivano le dure parole di Sinistra Italiana: “Mi vergogno di un Paese e di un Parlamento incapace di dare dignità e libertà a chi chiede autodeterminazione”, dice il segretario nazionale Nicola Fratoianni. Il Movimento 5 Stelle si schiera nettamente a favore dell’eutanasia, come chiesto dagli attivisti: “Sul biotestamento e l’eutanasia gli iscritti hanno votato, ma tanto non c’è più un Parlamento in grado di votare: c’è solo un Parlamento che rinvia”.

Di rinvio in rinvio infatti la calendarizzazione della legge sul biotestamento in Aula alla Camera potrebbe slittare a metà o fine marzo. Qui Micaela Campana, deputa Pd che si occupa dei temi etici, spera che si possa trovare “un accordo come è successo sulle unioni civili, attraverso il dialogo. Sono sicura che ce la faremo anche questa volta”. Ma anche in questo in caso il rischio è che venga approvata una legge arretrata rispetto agli Stati europei e più blanda rispetto all’attuale testo discusso in commissione.

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Sondaggio Scenari Politici, per avere la maggioranza l’unica opzione possibile sono le “larghissime intese” tra Renzi, Alfano e Berlusconi

“La sera delle elezioni sapremo chi governerà per i successivi cinque anni”. Era riassunto in questa frase dell’ex premier Matteo Renzi l’impianto dell’Italicum, la legge elettorale bocciata per buona parte dalla Corte Costituzionale. Ma quell’impianto è saltato: la Consulta ha cassato il ballottaggio. E la soglia del 40% per far scattare il premio di maggioranza resta, allo stato attuale, un miraggio per tutte le forze politiche in campo. In queste condizioni, se si andasse al voto, per avere una maggioranza sia alla Camera che al Senato le larghe intese non basterebbero. Ci vorrebbero le “larghissime intese”, e anche in questo caso la governabilità non sarebbe certo assicurata. L’ipotesi non è da scartare: dopo una riunione con Renzi al Nazareno, il presidente del Pd Matteo Orfini, in un’intervista all’Huffington Post, ha fissato il termine ultimo per trovare un’intesa tra i gruppi parlamentari sulla legge elettorale: dieci giorni, al massimo. Senza accordo, non ha lasciato spazio a dubbi: si va a elezioni con le leggi che ci sono.

In tal caso, “l’inciucio” sarebbe una strada forzata, secondo un sondaggio e relative simulazioni di Scenari Politici per HuffPost. Andiamo con ordine.

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Per quanto riguarda la Camera dei Deputati, si andrebbe al voto con un sistema proporzionale con premio che scatta se raggiunta la soglia del 40% (ribattezzato dal M5S come Legalicum). Laddove, come facilmente pronosticabile, non venisse raggiunta, la ripartizione dei seggi verrebbe fatta su base proporzionale. Fissata la soglia di maggioranza a 316 seggi, ci sarebbe un solo modo per poter assicurare la fiducia a un governo: le larghissime intese. Ovvero l’arco parlamentare composto da Partito Democratico, Forza Italia, Alleanza Popolare e Südtiroler Volkspartei. In particolare: 201 deputati per il Pd, 91 per FI, 20 per Ap e 5 per Svp. In questo modo, 317 seggi potrebbero assicurare, almeno sulla carta, la tenuta di un governo. Ma è evidente che un equilibrio così precario produrrebbe un esecutivo pronto a cadere alla prima folata di vento.

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Se invece i dem si alleassero con la sinistra (un ritorno all’Unione, in sintesi) si fermerebbero a 232 seggi a Montecitorio. Il Centrodestra unito che vede insieme Silvio Berlusconi, Angelino Alfano, Matteo Salvini e Giorgia Meloni (un ritorno al Popolo della Libertà, per intendersi) non supererebbe la soglia di 224 eletti. Ci sarebbe solo una via d’uscita per governare, una sorta di conventio ad excludendum da Prima Repubblica che tenga fuori i partiti ‘antisistema’ come M5S, Lega Nord e FdI: larghissime intese tra Renzi, Berlusconi e Alfano. E forse neanche basterebbero.

Situazione grossomodo analoga per il Senato redivivo. Per eleggere i membri di Palazzo Madama si andrebbe al voto, anche in questo caso, con un sistema proporzionale su base regionale, frutto dell’ex legge Calderoli (il cosiddetto Porcellum) depurata dal premio di maggioranza bocciato nel dicembre 2013 dalla Corte Costituzionale (che ha preso il nome di Consultellum).

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Accantonando per un attimo le differenze tra le leggi elettorali che regolano l’elezione per le due Camere (differenza sulle soglie di sbarramento, coalizioni ammesse al Senato ma non alla Camera), anche in questo caso, stando alle simulazioni di Scenari Politici, l’unica compagine in grado di votare la fiducia a un governo sarebbe composta da Pd (112), Forza Italia (44), Alleanza Popolare (5), Svp (3), per un totale di 164 seggi con soglia di maggioranza fissata a 158 scranni. A Palazzo Madama, quindi, le larghissime intese produrrebbero un margine di sicurezza più ampio rispetto alla Camera.

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Altre soluzioni? Niente da fare: anche un’ipotetica alleanza post-elettorale tra tutte le forze antisistema, con Movimento 5 Stelle (96), Lega Nord (36), Fratelli d’Italia (9) e altri di centrodestra raggiungerebbe la soglia di 146 seggi al Senato. Troppo pochi. E se il Pd ha intenzione di tener fede alle condizioni che ha posto, non resta molto tempo alle forze parlamentari per trovare un accordo. In caso contrario, le larghe intese sono a portata di mano. Larghissime, pardon.

Ripartizione su base regionale dei seggi al Senato con il Consultellum
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Intenzioni di voto al 28 gennaio
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Referendum, Gustavo Zagrebelsky Vs Matteo Renzi: scontro tra due mondi sulla tirannia della maggioranza

Lo scontro tra due mondi opposti. Divisi su tutto, persino sull’idea stessa di democrazia. E’ questo il leit motiv dello confronto tv tra il costituzionalista Gustavo Zagrebelsky e il presidente del Consiglio Matteo Renzi in onda su La7.

A 64 giorni dal referendum il premier e il giurista, moderati da Enrico Mentana, si confrontano sul “merito” della riforma costituzionale che sarà sottoposta alla consultazione del 4 dicembre. Da una parte chi l’ha promossa per uscire dalla “palude”, dall’altro il “professorone” in prima fila per arginare la “deriva autoritaria” nel caso di vittoria del Sì. Ma si capisce, guardando il duello, che a dividere i due interlocutori non sono solo gli articoli e le modifiche apportate al testo costituzionale, quanto una differenza ontologica della concezione del sistema democratico. “Le elezioni in democrazia non si vincono – dice a un certo punto Zagrebelsky – Chi prevale nelle elezioni non ha ‘vinto’ ma è colui che gli elettori hanno incaricato di un grave compito. Mentre il ‘vincere’ comporta che ci siano degli ‘sconfitti’, che non conteranno nulla”.

“Il cittadino ha il dovere di decidere chi vince alle elezioni e l’Italicum è già una legge proporzionale”, ribatte Renzi. “Il Senato conta meno, perchè non si può continuare con un sistema che scambia la complessità e l’arzigogolo con la democrazia”, aggiunge il premier. Semplificazione contro complessità.

Renzi ha il dente avvelenato nei confronti del costituzionalista per quell’appello firmato contro la “deriva autoritaria”: “Lei ha firmato l’appello ‘Libertà e Giustizia’ che parla di svolta autoritaria: questo appello a mio giudizio è offensivo verso l’Italia. La svolta anti democratica c’è, ed è dove si incarcerano giornalisti, insegnanti, magistrati, non in un Paese in cui si tagliano il Cnel e qualche centinaia di poltrone”, ha attaccato il premier. E poi ha aggiunto: “Con la riforma si semplifica la vita delle persone e si riducono costi della politica, si riducono le poltrone”.

Ma il professore Zagrebelsky, col piglio del docente, ribatte: “L’instabilità del nostro paese deriva dal fatto che è un sistema politico molto complesso. Con questa riforma c’è un rischio di concentrazione dei poteri al vertice e il rischio di passare dalla democrazia all’oligarchia”, spiega ancora Zagrebelsky osservando come degli stessi sistemi costituzionali applicati a diverse realtà possano portare ad esiti diversi. “La Costituzione di Bokassa è molto simile a quella degli Usa. Ma la resa è completamente diversa”, afferma citando il noto dittatore della Repubblica Centrafricana. E rimarca la svolta autoritaria: “Il significato di queste riforme è conservativo, servono a blindare un sistema sempre più oligarchico. I fautori del No pensano che le vere riforme si fanno sul corpo, ovvero sulla classe politica, perché riformi se stessa”.

Poi si passa alle nuove modalità per l’elezione del Presidente della Repubblica: “Oggi è richiesta maggioranza assoluta dei due terzi, calcolata sul numero dei componenti delle Camere. Quando si abolisce il requisito dei componenti vuol dire che un numero anche minimo di presenti con una parte del Parlamento eventualmente assente può eleggersi il suo Capo dello Stato. E questo in un parlamento nel quale ci sono deputati che passano da uno schieramento all’altro per valutazioni non sempre limpidissime”.

Il presidente del Consiglio difende invece il sistema introdotto dalla riforma: “Sono radicalmente in dissenso da lei. Con l’Italicum la maggioranza avrebbe il 55% dei seggi: con il sistema di voto previsto oggi, dal quarto scrutinio la maggioranza semplice può eleggersi il presidente della Repubblica. Il Parlamento invece ha previsto di alzare il quorum fino al settimo scrutinio quando i 3/5 dei votanti previsti sono una norma di chiusura. Ma nessuno può pensare che c’è una minoranza così assurda da andar via per far eleggere il presidente”.

Zagrebelsky resta convinto della svolta autoritaria, derivante dal combinato disposto riforme – Italicum. Combinata con questa legge elettorale, la riforma “raggiunge un risultato di premierato assoluto, più forte del presidenzialismo”, ha affermato il giurista aggiungendo che il ddl Boschi è più forte di quella voluta da Silvio Berlusconi. “Ma che sta dicendo? Lei sta dicendo una cosa che non è vera”, replica Renzi che attacca: “La sua parte culturale si è sempre preoccupata di andare contro Berlusconi. Noi abbiamo smosso la palude, perché non volete parlare di futuro?”.

Tuttavia Renzi riconosce che la legge elettorale ha un elemento da correggere: “Il meccanismo dei capolista non piace nemmeno a me ed è una delle cose che vorrei cambiare”, ha annunciato il premier.

Il dibattito al calor bianco – seppur condito dal “profondo rispetto” espresso numerose volte dal premier al giurista – è la rappresentazione plastica dell’incomunicabilità di due mondi contrapposti, ma al tempo stesso orbitanti nell’idea di “sinistra”. Dove nemmeno il metodo per riformare il sistema istituzionale è condiviso: “Il problema – dice Zagrebelsky – è la complessità politica, non è legata alle regole scritte nella Costituzione. Quello del presidente mi sembra il ragionamento del debole che vuole le regole per diventare forte. Ma le regole non rendono forte nessuno se è debole”.

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