L’Ue va avanti a più velocità ma non lo scrive: ecco la bozza della dichiarazione di Roma. Sabato la firma (DOCUMENTO)

“Agiremo insieme quando possibile, con ritmi e intensità diversi quando sarà necessario, come abbiamo fatto in passato all’interno della cornice dei trattati e lasciando la porta aperta a coloro che vogliono unirsi dopo. La nostra Unione non è divisa ed è indivisibile”. E’ il passaggio chiave della dichiarazione che i 27 leader europei contano di firmare a Roma sabato prossimo, in occasione delle celebrazioni per i 60 anni della firma dei Trattati di Roma, fondativi dell’Ue.

Dall’ultima bozza dell’agenda comune – di cui Huffington Post è in possesso, mentre gli sherpa dei vari Stati continuano a limare il testo – sparisce la parola ‘speed’, velocità, a favore di un più morbido ‘pace’, che in inglese vuol dire velocità ma anche ritmo, andamento. E’ l’escamotage che si spera possa bastare a vincere le resistenze della Polonia e dei paesi dell’Est spaventati dalla prospettiva annunciata tempo fa da Angela Merkel. E cioè di un nucleo europeo che va avanti, con gli altri che seguono per superare le lentezze e gli ostacoli di un’Unione grande e pachidermica. I paesi dell’est temono di essere lasciati indietro. E non solo loro.

Ma in vista di sabato si pone l’accento ancora sull’unità per salvare ancora una volta le apparenze ed uscire con una dichiarazione comune. E forse ci si sta riuscendo.

Dalle informazioni che arrivano a Palazzo Chigi, paese ospitante e dunque in prima linea nell’organizzazione dell’evento al Palazzo dei Conservatori in Campidoglio, la Polonia non si metterà di traverso sabato prossimo. La dichiarazione comune dovrebbe quindi essere firmata da tutti i leader, tranne Theresa May, la premier britannica che invece non sarà a Roma ma che proprio oggi ha annunciato per il 29 marzo la data di attivazione dell’articolo 50 dei trattati per mettere in pratica la Brexit. Anche qui: fair play istituzionale tra Londra e Bruxelles interessate a non pestarsi i piedi a vicenda.

Tutto tranquillo dunque per sabato? Dal punto di vista della sicurezza no, viste le tantissime manifestazioni annunciate. Ma anche tra i 27 leader non regna ottimismo, naturalmente. I 60 anni dei trattati fondativi dell’Ue cadono nel punto di crisi più acuta per l’Unione da quando è nata. E la dichiarazione di Roma non promette nulla di incisivo, se non un lavoro che comincia pian piano a vincere le resistenze sull’Europa a due velocità.

Proprio per garantire questo risultato, la dichiarazione di Roma si manterrà vaga, come spesso accade nei passaggi chiave dell’Ue. Non espliciterà i criteri che porteranno un nucleo di paesi europei a procedere più avanti e più in fretta di altri. Non chiarirà fino in fondo i dubbi sul perimetro tra ‘serie A’ e ‘serie B’, per citare una dei timori più espressi rispetto al disegno della Cancelliera tedesca.

Tuttavia la dichiarazione dovrebbe calcare molto sulla sicurezza comune (“Safe and secure Europe…”) e su un sistema di difesa comune europeo che non crei “duplicati della Nato”. Anche quest’ultima rassicurazione è stata inserita nel tentativo di placare le ansie dei paesi dell’Est, che hanno sempre avuto il loro scudo anti-Mosca nell’Alleanza Atlantica peraltro messa in discussione dal riavvicinamento la Russia e gli Usa nell’era Trump.

La difesa comune è il quarto e ultimo punto dell’Agenda di Roma:

Un’Europa più forte sulla scena globale: un’Unione che costruisce nuove partnership e promuove stabilità e prosperità nelle sue immediate vicinanze a est e sud, ma anche in Medio Oriente, in Africa e globalmente; un’Unione pronta a prendersi più responsabilità e a sostenere la creazione di una industria della difesa più integrata, un’Unione impegnata a rafforzare la propria sicurezza e difesa comune, assicurando complementarietà ed evitando duplicati della Nato; un’Unione che protegga un sistema multi-laterale, orgogliosa dei propri valori e che protegga la sua gente, promuovendo il libero scambio e una politica positiva sul clima.

Altro punto dell’agenda quello su un’Europa “prospera e sostenibile”, che crei “crescita laddove un mercato unico vasto e in sviluppo e una moneta unica stabile e ulteriormente rafforzata aprono autostrade alla crescita, competitività, innovazione, scambio”. E c’è un punto anche sull’Europa “sociale”, che promuova “progresso sociale ed economico e coesione e convergenza, considerando la varietà dei modelli sociali e il ruolo chiave dei partner sociali; che promuova uguaglianza di genere, diritti e pari opportunità per tutti; che combatta le discriminazioni, l’esclusione sociale, la povertà…”.

“Ci siamo uniti per il meglio. L’Europa è il nostro futuro comune”, si conclude la bozza di dichiarazione. Per sapere chi andrà avanti e chi no, bisognerà aspettare ancora.

Qui sotto il testo integrale della bozza di dichiarazione comune:

We, the representatives of 27 Member States and the Institutions of the EU, take pride in the achievements of the European Union: the construction of European unity is a bold, far-sighted endeavour. Sixty years ago, recovering from the tragedy of two world wars, we decided to bond together and rebuild our continent from its ashes. We have built a Union with common institutions and strong values, a unique community of peace, democratic rights and the rule of law.

European unity started as the dream of a few, it became the hope of the many. Then Europe became one again. Today, we are united and stronger: hundreds of millions of people across Europe benefit from living in an enlarged Union that has overcome the old divides.

The European Union is facing unprecedented challenges, both global and domestic: regional conflicts, terrorism, growing migratory pressures, protectionism and social and economic inequalities. We are confident that the EU is capable of addressing these challenges of a rapidly changing world and offers to its citizens both security and new opportunities.

We are determined to make the EU stronger and more resilient, through even greater unity and solidarity amongst us. Unity is both a necessity and our free choice Taken individually, we would be sidelined by global dynamics. Standing together is our best chance to influence them, and to defend our common interests and values. We will act together whenever possible, at different paces and intensity where necessary, as we have done in the past within the treaty framework and leaving the door open to those who want to join later. Our Union is undivided and indivisible.

In the 10 years to come we want a Union that is safe and secure, prosperous and sustainable, with an enhanced social dimension, and with the will and capacity of playing a key role in the global world. We want a Union where citizens have new opportunities for cultural, social development and economic growth. We want a Union which remains open to those European Countries that fully share our values.

In these times of change, we commit to the Rome Agenda, and pledge to work towards:

1. A safe and secure Europe: a Union where all citizens feel safe and can move freely, where our external borders are secured and where migration is managed effectively, humanely and in respect of international norms; a Europe determined to fight terrorism and organised crime.

2. A prosperous and sustainable Europe: a Union which creates growth, where a vast and developing Single Market and a stable and further strengthened single currency opens avenues for growth, competitiveness, innovation and exchange; a Union promoting sustained and sustainable growth, through investment, structural reforms and the completion of the Economic and Monetary Union; a Union where economies converge; a Union where energy is secure and affordable and the environment clean and safe.

3. A social Europe: a Union which promotes economic and social progress as well as cohesion and convergence, taking into account the variety of social models and the key role of social partners; a Union which promotes gender equality and rights and equal opportunities for all; a Union which fights discrimination, social exclusion and poverty; a Union where young people receive the best education and training and can study and find jobs across the continent; a Union which preserves cultural diversity and promotes our cultural heritage.

4. A stronger Europe on the global scene: a Union building new partnerships and promoting stability and prosperity in its immediate neighbourhood to the east and south, but also in the Middle east and across Africa and globally; a Union ready to take more responsibilities and to assist in creating a more integrated defence industry, a Union committed to strengthening its common security and defence, ensuring complementarity and avoiding duplications with the North Atlantic Treaty Organisation; a Union protecting a rule-based multilateral system, proud of its values and protective of its people, promoting free and fair trade and a positive global climate policy.

We will pursue these objectives, firm in the belief that Europe’s future lies in our own hands and that the European Union is the best tool to achieve our objectives. We pledge to listen to the concerns expressed by our citizens. We will work together at the level that makes a real difference, be it the EU, national, regional, or local, and in a spirit of loyal and close cooperation, both among Members States and between them and the EU Institutions. We will allow for the necessary room of manoeuvre at the various levels to strengthen Europe’s innovation and growth potential. We want the Union to be big on big issues and small on small ones, in line with the principle of subsidiarity. We will promote a more effective and transparent decision-making process and better delivery.

We as leaders, working together within the European Council and among the Institutions, will ensure that today’s agenda is implemented, so to become tomorrow’s reality. We have united for the better. Europe is our common future.

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Il governo prepara la ‘manovrina’ per l’Ue, gelo del Pd con Padoan. Renzi dice no a tasse e privatizzazioni

Il rapporto debito/Pil si è “finalmente stabilizzato ma è interesse nazionale ridurlo con un aggiustamento contenuto del percorso di consolidamento”, scrive Pier Carlo Padoan via tweet: sintetico, dritto al punto per far capire che non ci sono margini. Insomma, le privatizzazioni sono necessarie, non si può tornare indietro. Così come è inevitabile una correzione dei conti da fare entro fine aprile, come conferma anche Gentiloni a fine giornata. Il governo infatti deve varare una manovra correttiva di 3,4 miliardi di euro, come chiede la Commissione Ue che oggi ha scelto di non aprire una procedura di infrazione verso Roma ma di aspettare aprile. La manovra dovrà essere condotta in porto nei prossimi due mesi. Pena una procedura di infrazione contro l’Italia a maggio. Al ritorno da Bruxelles, dopo la riunione dell’Ecofin, Padoan entra a Palazzo Chigi per discuterne con il premier Paolo Gentiloni. Cioè con colui che deve mediare tra il Pd di Matteo Renzi e il Tesoro. Le frizioni tra l’ex premier e il ministro dell’Economia non si sono placate. Anzi minacciano di acuirsi sull’onda della ‘manovra bis necessaria’.

Di fronte all’annuncio di Padoan il Pd di Renzi resta freddo. Gelo in Transatlantico alla Camera tra i parlamentari del Pd. “Il governo farà una sua proposta e valuteremo”, ci dice il capogruppo Dem Ettore Rosato, tono pacato ma distaccato rispetto a quanto sta avvenendo a Palazzo Chigi, dove Padoan sta appunto discutendo con Gentiloni dove andare a prendere i 3,4 miliardi per soddisfare l’Ue.

“E’ vero che dobbiamo confrontarci con l’Ue e rispondere ma siamo stati mille giorni al governo senza alzare le tasse: non vorremmo smentirci all’ultimo minuto”, mette in chiaro Rosato. “Quanto alle privatizzazioni: abbiamo già detto più volte che per noi Poste e ferrovie sono asset di valenza sociale, dunque non si toccano”, aggiunge, andando a colpire uno dei cavalli di battaglia del Tesoro per ridurre il debito.

Anche oggi a Bruxelles Padoan ha difese le privatizzazioni. “La via maestra per ridurre il debito è la crescita – ha spiegato il ministro – le privatizzazioni hanno diversi motivi, uno dei quali è la riduzione del debito”. Un invito a pensarci su: “E’ di oggi la notizia che la privatizzazione di Enav è stata premiata quale migliore Ipo d’Europa”.

Affermazioni che cadono nel giorno in cui il presidente e reggente del Pd Matteo Orfini chiama ad uno “stop delle privatizzazioni” e a due settimane dall’invito a “riflettere sulle privatizzazioni delle Fs” avanzato dal ministro dei Trasporti Graziano Delrio nella direzione Dem del 13 febbraio scorso. Il Pd di Renzi resta di questa idea e ritiene di aver trovato sponda niente meno che in Romano Prodi.

Delrio ha letto infatti come un punto a suo favore l’editoriale del professore bolognese sul Messaggero di domenica scorsa. ‘Ultimo bivio per il futuro dei servizi pubblici’, è il titolo. L’argomentazione: “Mentre il processo di privatizzazione delle aziende operanti in regime di concorrenza è intellettualmente semplice, la messa sul mercato delle imprese con grande contenuto di utilità sociale e operanti in situazione di monopolio naturale deve essere portata avanti tenendo conto di tutti i conseguenti gravami. Per questo motivo gli altri grandi paesi europei sono stati estremamente prudenti a procedere alle privatizzazioni di questi settori”.

Se lo dice il padre nobile del centrosinistra, sarà vero: è l’argomento di forza nella disputa col Tesoro.

Eppure proprio oggi Renzi si è sbilanciato a favore del governo, scrivendo dalla California che “sta facendo molte cose importanti di cui si parla poco…”. La manovrina annunciata da Padoan è il boccone indigesto che Renzi non aveva messo in conto di digerire a gennaio, quando la Commissione ha chiesto la correzione dello 0,2 per cento del pil. Ora ci siamo. Rosato esclude che la manovra bis possa essere la buccia di banana per scivolare fino al voto anticipato a giugno. “Io sono stato un sostenitore del voto anticipato ma ormai quella finestra si è chiusa”, dice.

Riaprirla per Renzi vorrebbe dire mettere in crisi il rapporto con Dario Franceschini, che su input del Colle ha sempre cercato di frenare le ansie di tornare al voto al più presto. E si sa che l’appoggio del ministro per i Beni Culturali è fondamentale per vincere il congresso del Pd: Renzi non può perderlo.

E’ questa la cruna dell’ago da cui dovrà passare il rapporto tra Pd e governo. Padoan cerca di far ingoiare la pillola. “Se la Commissione non avesse riconosciuto la legittimità delle ragioni italiane (spese legate a causa di forza maggiore come il terremoto e il flusso di migranti) l’esigenza di correzione dei conti sarebbe stata almeno tripla”, dice da Bruxelles. Ma questo non basta a lenire le preoccupazioni di un Pd incastrato tra la manovrina che non voleva e la difficoltà di tornare al voto a giugno per evitarla.
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L’Ue congela il giudizio sulla legge di biliancio: ecco perché la scelta conviene sia a Bruxelles che a Renzi

Tutto rimandato a dopo il referendum costituzionale. Se Matteo Renzi sarà ancora premier con in tasca la vittoria del sì, Bruxelles sarà ancora lì ad aspettarlo al varco. La parola d’ordine per descrivere cosa è accaduto alla legge di bilancio italiana dopo l’esame della Commissione europea è: congelamento. Da una parte la Commissione promette di tenere in conto le spese italiane su sisma e migranti ma di volerle controllare a gennaio (Moscovici). Dall’altra inserisce l’Italia nell’elenco di quei paesi che al giudizio finale di gennaio potrebbero essere bocciati e annuncia anche un rapporto sul debito alto per Italia e Belgio (Dombrovskis). Una posizione che di fatto ora segna uno stand-by: e conviene a tutti i player in gioco.

Innanzitutto conviene a Renzi, che infatti oggi si mantiene alla larga dai commenti sul parere della commissione, sfruttando l’effetto ‘freezer – chiamiamolo così – per concentrarsi sulle ultime settimane di campagna elettorale a questo punto sempre più pronunciate nella critica a questa Ue, sempre più anti-establishment per debellare il fantasma Trump che si aggira anche intorno a Palazzo Chigi. Il premier però torna a usare la bandiera europea, eliminata dalle sue recenti conferenze stampa. Anzi, a Cinisi, tappa del tour elettorale in Sicilia, addirittura la accarezza: “Bisogna avere la forza di dire a questa bandiera europea, che noi amiamo, che l’Unione europea si deve ricordare di essere una comunità non solo quando deve prendere i nostri soldi ma anche quando c’è da dare”.

Nelle stesse ore a Bruxelles, i Dem bloccavano definitivamente per questo mese la discussione sul bilancio pluriennale europeo: se ne riparla a dicembre. E poco prima, ad Atene, Barack Obama dava il suo ultimo discorso presidenziale in Europa sulla democrazia e il no all’austerity come antidoto ai populismi: dietro di lui, la bandiera greca, quella europea e quella statunitense. Ma comunque, chiuso l’affare delle bandiere, che gli ha portato in casa solo tempesta e polemiche, Renzi è lanciato nella critica all’Ue. Un altro assaggio probabilmente lo darà a Berlino venerdì, dopo il vertice con Merkel, Obama, May, Hollande e Rajoy: un vertice che senza il sale della polemica renziana anti-europea rischia di essere la foto dei rottamati da Trump.

Ma il congelamento conviene anche alla stessa Commissione Ue. Fin dall’inizio di questa storia, a Palazzo Berlaymont ha prevalso lo sforzo di non mettere i bastoni tra le ruote a Renzi in vista di un referendum che, se dovesse vincere il no, suonerebbe come un’altra Brexit per tutta l’istituzione europea. Insomma, a Bruxelles hanno deciso di rimandare il giudizio definitivo: più per l’Ue che per Renzi. E infatti il congelamento serve anche ad un altro scopo: equivale a dei paletti piantati dalla squadra Juncker in caso di vittoria del sì. Come dire: un modo per condizionare Renzi. A Bruxelles infatti sono consapevoli che, qualora il premier italiano uscisse vittorioso dal voto del 4 dicembre, dedicherebbe tutto l’anno prossimo (che coinciderà con la campagna per le politiche del 2018 o magari anticipate ad hoc) a picconare quello che rimane dell’austerity Ue, dal Fiscal Compact a tutto il patto di stabilità.

Ecco perché la Commissione oggi ci ha tenuto a mettere l’Italia insieme a Belgio, Cipro, Lituania, Slovenia, Finlandia: una ‘buona’ compagnia di paesi guardati a vista come a rischio, potrebbero “non rispettare il Patto di stabilità”, stabilisce il commissario Valdis Dombrovskis. In altre parole: potrebbero essere “non conformi” per debito e deficit alti (‘risk of non compliance’). D’altronde, solo 5 paesi dell’eurozona rispettano i requisiti del Patto: Germania, Estonia, Lussemburgo, Slovacchia e Olanda. Le loro leggi di bilancio sono risultate conformi agli obblighi comunitari, mentre Irlanda, Lettonia, Malta e Austria hanno presentato testi giudicati ‘sostanzialmente’ conformi ma potrebbero in una certa misura deviare dal percorso di avvicinamento all’obiettivo di bilancio a medio termine.

Insomma, con l’Italia la partita è rimandata. Ma stavolta la Commissione Ue sceglie di avvertire anche la Germania con il suo surplus commerciale fuori dalle regole Ue. E lo fa nelle raccomandazioni sulla politica di bilancio per il 2017: chi ha i conti in regola deve spendere di più per aiutare la crescita, chi non ha i conti in regola deve metterli a posto. Non a caso a Roma si preferisce più commentare il documento di Palazzo Berlaymont che di fatto comincia ad appiccicare la parola ‘fine’ alle politiche di austerity, piuttosto che esultare per il congelamento del parere sulla manovra economica.

“Se la Ue sta togliendosi di mezzo l’austerità e ha introdotto la novità di chiedere ai paesi che hanno spazi di bilancio per spendere che lo facciano, si tratta di una grande vittoria dell’Europa e l’Italia rivendica di essere il primo Paese ad averlo messo sul tavolo”, dice il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan a Porta a Porta. “Accogliamo con soddisfazione il documento della Commissione europea sulla necessità di una politica economica espansiva a livello di eurozona. E’ una novità importante che dà ragione alle nostre battaglie”, dice Patrizia Toia, capodelegazione del Pd al Parlamento europeo.

Se ne riparla a dicembre. Ma di certo Renzi non smetterà di parlarne di qui al 4 dicembre.
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