Gianni Pittella riunisce i socialisti europei: “La questione sociale al centro dell’agenda europea”

“Senza un ‘agenda sociale la dichiarazione di domani non è accettabile”. Il presidente del gruppo dei socialisti e democratici europei Gianni Pittella, la mette così, semplice e breve. Il paletto, per dare una svolta all’Europa malata, per tornare agli ideali di 60 anni fa, cercando di riprendere un progetto smarrito, minacciato dagli interessi nazionali. Questione sociale, un impegno per ora troppo vago perché arrivi un vero colpo d’ala. A Roma a poche ore dalle celebrazioni dei trattati, i progressisti hanno però l’obbligo di mettere pressione ai 27 leader per ritrovare il filo dell’Europa politica rimasta al palo.

La crisi economica mette sotto sterzo l’orizzonte comunitario e i socialisti rinnovano lo slogan “Together” sfidando le nubi sovraniste e per dare lo stop all’austerità del polo conservatore. Insieme, facile a dirsi. I sessant’anni dai trattati che hanno assicurato pace e prosperità rischiano di finire in retorica se non arriva il cambio di passo. “Non si esce dalle crisi che in questi ultimi dieci anni si sono intrecciate tra loro scuotendo le istituzioni europee, restando fermi”, dice Giorgio Napolitano davanti alla platea di giovani che lo ascoltano all’auditorium della Conciliazione. “Dopo la Brexit, siamo rimasti uniti ma fermi” spiega senza ipocrisie, ma “Orban dei muri contro i profughi di quale unità farebbe parte?” chiede sconsolato il presidente emerito.

Napolitano mette subito a nudo lo scoglio che si presenterà nella dichiarazione finale dei 27, ovvero la possibilità delle diverse velocità. Opportuno che chi voglia procedere nel processo di integrazione cedendo sovranità alle istituzioni europee fino a dove è necessario, possa farlo. Dunque “sarebbe sconcertante se domani l’azione ricattatoria del quartetto di Visegrad” dovesse impedirlo. Per “non stare fermi” i socialisti ormai liberi dai vincoli di un’alleanza stretta con il PPE, stilano la loro dichiarazione alternativa e decisamente più coraggiosa di quella che sarà firmata nella sala degli Orazi e Curiazi. Bisogna cambiare le politiche di austerità” dice Gianni Pittella che vuole mandare in soffitta il fiscal compact e chiede a Jean Claude Juncker “investimenti veri con soldi veri” per far ripartire la crescita dell’eurozona. Poi non spegne anzi rilancia la polemica sulle frasi offensive del presidente dell’Eurogruppo Dijsselbloem che “deve fare autocritica e dimettersi perché non può stare in quel ruolo e neppure appartenere alla famiglia socialista”.

L’Europa non si divide in “un nord di santi e un sud di peccatori. Lui, Schauble e gli altri “appassionati solo di numerini”, Pittella li definisce “falchi trasversali che del lavoro e dei diritti delle persone se ne fregano”. Motivi che spingono i socialisti europei a chiedere il pilastro sociale nella nuova dichiarazione che affronti tema dell’occupazione, dei diritti dei cittadini europei e del contrasto alle disuguaglianze. Sono gli strumenti che servono per riavvicinare le istituzioni alle persone perché “l’Europa non piace quando sta solo nei palazzi di Bruxelles ma rinasce quando va in mezzo alla gente. Stamattina eravamo a Norcia, nelle zone del terremoto, e non si è sentito neppure in fischio” racconta Pittella. Economia, solidarietà e sicurezza le note dolenti di un Europa in crisi davanti alle spinte populiste.

Così a chiudere la kermesse socialista ci pensano i due esponenti più importanti della famiglia, Pierre Moscovici commissario agli affari economici e Federica Mogherini, alto rappresentante della politica estera. Lady Pesc ha sollecitato a raccogliere tutto l’orgoglio dello spirito europeo per ciò che stato fatto finora. Europa forte che sa essere anche solidale: “insieme possiamo accogliere tutti quelli che bussano alla nostra porta e insieme possiamo aiutare i nostri partner in Africa a avviare un nuovo sviluppo”. Orgoglio senza cedere al catastrofismo spiega anche Moscovici che manda un messaggio preciso anche ai 27 paesi che in queste ore stanno mediando la dichiarazione finale del 60°dei trattati. “La Grecia non può essere scartata dal modello sociale europeo, l’Eurogruppo non può continuare a decidere senza dare giustificazioni a nessuno”, così l’Unione non regge. “Siamo socialisti e con i Cristiano sociali abbiamo costruito i primi passi dell’Europa – conclude il commissario europeo – dobbiamo restare uniti contro Trump e Putin che hanno lo stesso progetto di dividerci”.
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Gianni Cuperlo spiega le ragioni del suo Sì e attacca i compagni della minoranza: “Incoerente è chi parla di tradimento”.

Cuperlo motiva il suo “Sì” al referendum in un colloquio con Repubblica e in un’intervista al Corriere della Sera.

Al referendum “ora voterò Sì”. Così Gianni Cuperlo, Pd, dopo l’accordo raggiunto ieri sull’Italicum con la maggioranza del partito che di fatto ha spaccato la minoranza dem. “Abbiamo ottenuto quello che volevamo – dice Cuperlo in un colloquio con Repubblica – incoerente è chi parla di tradimento”.

“Evidente che non si può essere completamente soddisfatti, ma abbiamo ottenuto quello che come minoranza abbiamo chiesto per mesi. Quindi da parte mia firmare un documento su queste modifiche all’Italicum – i collegi per eleggere i deputati, il no al ballottaggio, il premio di governabilità, oltre all’elezione diretta dei nuovi senatori – è stato un atto di coerenza”.

“Voglio essere coerente, ma certo peserà la lealtà degli altri nel tener fede agli impegni del documento. Sui limiti della riforma non ho cambiato idea e mi sono battuto per una soluzione diversa. Adesso siamo di fronte a una responsabilità che è ricostruire un dialogo nel Parlamento e nel paese per istituzioni più rappresentative e condivise”. Così al Corriere della Sera Gianni Cuperlo spiega la sua posizione sul referendum dopo la firma dell’accordo per cambiare l’Italicum.

“Quel voto non segnerà lo spartiacque tra Medioevo e Rinascimento e, chiunque prevalga, ci risveglieremo coi problemi di adesso. Ripresa debole, povertà e un’Europa senz’anima. In questo quadro dividere tra il bene e il male su quella data è stato un errore. Come altri ho cercato di ridurre le distanze almeno sulle regole elettorali. Spero di aver dato una mano”.

Da ora in avanti, aggiunge al Corriere della Sera, “la prova di lealtà spetta a tutti, ma a partire da chi è alla guida di partito e governo. E questo si vedrà presto nella direzione e nei gruppi parlamentari”. “Vedo e capisco alcune preoccupazioni di chi voterà No. Anche per questo ho fatto mia l’urgenza di superare l’Italicum e quando un primo risultato è stato raggiunto mi è sembrato serio percorrere il sentiero. Non sono un uomo di certezze assolute e comprendo le posizioni di tutti.

Sento il peso della scelta e di una responsabilità”. “Il premier non l’ho sentito ma, anche senza conoscerci bene, lui sa come sono fatto. Lavorerò per un’alternativa politica e culturale al renzismo”. “A Renzi mi sono contrapposto all’ultimo congresso e non lo sosterrò al prossimo”, sottolinea.

I fischi della Leopolda su D’Alema, aggiunge, sono un fatto “intollerabile”, “verso una persona che merita rispetto per la sua biografia e perché conferma una deriva che farò di tutto per contrastare”.
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