Paolo Gentiloni all’assemblea dei parlamentari Pd: “Non mi rassegno all’idea di tirare a campare”

“Non mi rassegno all’idea di un governo e una maggioranza in cui si tira a campare. Non può essere così, sarebbe non solo un errore ma anche un torto alla nostra coscienza, al nostro dovere e al senso delle istituzioni. Così il premier Paolo Gentiloni si è rivolto all’assemblea dei deputati Pd. “E poi di fatto non è così, se penso a questi tre mesi del nuovo governo”, ha aggiunto il presidente del Consiglio.

Referendum, il premier: “Correggeremo le norme”
“Abbiamo la sfida di correggere nei prossimi giorni le norme che saranno oggetto del referendum che abbiamo convocato. Il capogruppo Rosato organizzerà anche i modi nei quali nel gruppo discuteremo di come affrontare la tematica”, ha detto il premier.

Gentiloni ha confessato di non aver mai pensato di “fare un’assemblea del gruppo Pd da presidente del Consiglio” ma – ha aggiunto “la vita è strana”. Il premier ha annunciato che i decreti attuativi del provvedimento per il contrasto alla povertà sono “quasi pronti” e ha rilanciato l’azione dell’esecutivo. “In un tempo definito dalla vita della legislatura, come governo dobbiamo fare cose fondamentali che consentano al Pd di arrivare alle elezioni politiche nella migliore forma possibile. Questa è non solo un’affermazione di principio ma anche un’esigenza che deriva dalle difficoltà degli ultimi mesi”, ha sottolineato.
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Il caso Consip scuote il Governo, Paolo Gentiloni: “La maggioranza è solida”

“Abbiamo una maggioranza solida, abbiamo una serie di riforme decise dal governo di cui già facevo parte da completare. Abbiamo nuove iniziative di cambiamento avviate in queste settimane. Con un catalogo lungo. Ma la mia non è una scelta, fa parte del mio dovere trasmettere a tutti i nostri concittadini l’idea che il governo si concentra sulla sua attività e sul tentativo di dare una soluzione ai problemi. E’ di questo che abbiamo bisogno”. Lo ha detto il presidente del Consiglio, Paolo Gentiloni, a Catania.

“Non dobbiamo dimenticarci da dove veniamo: da 7-8 anni di crisi continuativi, durissimi sul piano sociale che soltanto ultimamente grazie a sacrifici degli italiani, alle imprese che esportano, al senso del dovere dei nostri lavoratori e all’impegno dei governi guidato da Renzi e da chi l’ha preceduto, ci siamo rimessi gradualmente in carreggiata. Ma le cicatrici di questi anni sono lì”, ha proseguito Gentiloni. Il premier ha poi aggiunto: “Utilizzare i fondi per il Mezzogiorno è uno dei problemi cruciali del Paese. Se diamo risposte al divario non facciamo una cosa utile e importante per il Sud ma recuperiamo una delle potenzialità per la crescita del nostro Paese”.

“Abbiamo bisogno di riprendere direttamente in mano la questione dello sviluppo del Mezzogiorno – ha annunciato – e tra un mese lo faremo con un grande incontro a Matera”. “L’Italia è un paese ricco di opportunità e straordinariamente ricco di potenzialità . Noi dobbiamo mettere l’amore e la dedizione per il nostro Paese davanti a tutto”.
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Roberto Fico: “Gentiloni è preoccupato? Venga in Aula a riferire su Consip. E Renzi pubblichi tutti i finanziamenti a Open”

“Nessuno più di Paolo Gentiloni può venire in Aula a dirci cosa sta succedendo in Consip”, la società del ministero del Tesoro che si occupa di controllare e gestire gli appalti per il pubblico. “Nell’informativa vogliamo sapere se è preoccupato e se questa preoccupazione lo porta, in via cautelativa, a rimuovere qualche ministro come Luca Lotti, indagato per rivelazione del segreto d’ufficio e favoreggiamento (avrebbe avvisato i vertici Consip dell’indagine ndr). Roberto Fico, in un’intervista all’Huffpost, chiede al premier di intervenire in prima persona e davanti al Parlamento per fare chiarezza, ma anche di domandare a Matteo Renzi se sapeva qualcosa.

Il ministro Finocchiaro oggi è sembrato possibilista su un intervento di Gentiloni in Aula. Millantano serenità?
“Questo dovrà dirlo Gentiloni e a quel punto valuteremo se chiedere le dimissioni di Lotti. Intanto però c’è anche un’accusa a Tiziano Renzi, c’è un’indagine in corso, e la cosa che più mi sconvolge è che l’ex premier sa benissimo che Alfredo Romeo ha finanziato la fondazione renziana Open nel 2013 con 60 mila euro. Non solo era al corrente, ma sapeva benissimo chi fosse Romeo perché ai tempi era già condannato in primo grado per corruzione”.

Per questo chiedete che Renzi renda pubblici i finanziatori?
“Certo. Per quale motivo non lo fa? C’è un motivo? Se non lo fa mi viene da pensare che potrebbe andare a spiegarlo ai magistrati. Noi abbiamo chiesto la lista di tutti i finanziatori della campagna elettorale di Renzi e stiamo ancora aspettando. Renzi ha uno slogan buono per ogni tempo. Parla di trasparenza e poi nasconde gli scontrini di quando era presidente della provincia e nasconde i finanziatori della fondazione”.

Renzi ha già detto di essere con i magistrati.
“E vorrei vedere se non lo fosse, è con i magistrati, ma si è preso 60mila euro da Romeo, deve fare i conti con l’etica. Sempre, non solo quando gli conviene”.

Ognuno ha il suo Romeo, insomma. Voi avete avuto Salvatore Romeo, ex capo della segreteria capitolina, che stipulava polizze a favore del sindaco Virginia Raggi.
“C’entra? Raggi ha già spiegato tutto. Quelli non erano finanziamenti, erano polizze che vengono fatte senza che il diretto interessato lo sappia”.

Passiamo al tema dei vitalizi. M5S sta facendo una battaglia equiparare le pensioni dei parlamentari a quello dei comuni cittadini, ma il Pd dice che nei fatti è già così. Dov’è il cortocircuito?
“Il Pd continua a dire bugie. Dopo 4 anni, 6 mesi e un giorno i parlamentari, anche se non hanno mai versato un contributo nella loro vita, prendono circa mille euro di pensione a 65 anni. Quale persona in Italia può avere un trattamento del genere dopo 4 anni e mezzo di lavoro? Nessuno. Per questo motivo il Pd continua a dire bugie e noi continueremo a incalzare anche il governo”.

Perché non avete chiesto di intervenire sui vitalizi passati come invece previsto dalla proposta Pd a firma Richetti?
“Se il Pd nel 2017 continua a parlare della proposta Richetti depositata anni fa e mai discussa mi viene da pensare che in realtà non vogliono discuterla. Il Pd ha una maggioranza enorme e parla come se fosse un partito piccolo che non riesce a calendarizzare una loro proposta. È il Pd che non ha voluto la normativa Richetti. Noi invece abbiamo parlato degli stipendi precedenti e dell’abolizione dei vitalizi precedenti, abbiamo portato la proposta in Aula e ce l’hanno bocciata. Per levare ogni dubbio oggi senza nessun tipo di equivoco loro dovranno approvare questa proposta per far sì che noi stessi in questa legislatura non prenderemo questo tipo di vitalizio. Accampare scuse, significa perdere la faccia, più si va avanti così e più perdono la faccia”.
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Michele Emiliano: “Abbiamo convinto Renzi a sostenere Gentiloni fino alla fine”

“Adesso che abbiamo convinto Renzi a sostenere Gentiloni fino alla fine della legislatura senza fargli brutti scherzi, possiamo darci il tempo di riconciliarci e trovare le ragioni per stare ancora insieme”. Lo scrive su Facebook il presidente della Puglia Michele Emiliano. E lo fa a pochi minuti dall’inizio della manifestazione della minoranza Pd a Roma, dove parleranno sul palco i tre leader anti-Renzi: Roberto Speranza, Enrico Rossi e, appunto, Michele Emiliano. Un post mattutino, quello del governatore pugliese, che può essere interpretato come un tentativo di tenere ancora aperta la trattativa fino all’ultimo con l’ex premier per evitare la scissione e, in seconda battuta, smarcarsi dalla posizione più oltranzista di Massimo D’Alema.

Ecco il post integrale:

Ieri ho detto a Renzi che basterebbe fare una conferenza programmatica a maggio e le primarie congressuali a settembre per ricomporre un clima di rispetto reciproco e salvare il PD.
Adesso che lo abbiamo convinto a sostenere Gentiloni fino alla fine della legislatura senza fargli brutti scherzi, possiamo darci il tempo di riconciliarci e trovare le ragioni per stare ancora insieme.
Questo è il lavoro che deve fare il segretario. Rimettere insieme i cocci di anni difficili per ripartire insieme.
Senza questo lavoro le distanze politiche tra noi sono troppo grandi e non basterebbe una conta per evitare anche a breve nuovi dissensi e nuovi rischi di conflitto.
Diamoci una possibilità.

Intanto Emiliano non è il solo a pensare che la scissione sia ancora evitabile. “I margini per una trattativa ci
sono”: lo ha detto il ministro per i Beni culturali Dario Franceschini ai cronisti, entrando al Palazzo dei congressi a Firenze per consegnare un premio a Piero Angela.
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Italia convinta (o illusa) di stare nell’Europa che corre. Gentiloni si schiera con Merkel. Alfano, diverse velocità già in atto

L’Italia avrebbe dovuto, forse, accogliere le dichiarazioni a sorpresa di Angela Merkel sull’Europa a diverse velocità con una certa preoccupazione e invece le commenta positivamente, definendole la traccia di lavoro per l’Ue in vista della celebrazione dei Trattati di Roma proprio nella Capitale.

“Questo è l’orizzonte su cui lavorare, le celebrazioni di Roma saranno un’occasione importante”. Sono queste le parole che la Repubblica attribuisce al presidente del Consiglio Paolo Gentiloni, che ha lavorato su questo schema a cerchi concentrici da ministro degli Esteri insieme ai colleghi dei paesi fondatori e proprio al summit di Malta di due giorni fa ha introdotto il tema di un’Europa a vari livelli di integrazione incassando, per la prima volta, il sostegno della cancelliera.

“In una Unione a 27 paesi è utopico che tutti possano avanzare con gli stessi tempi e obiettivi. Un gruppo può fare da avanguardia politica e procedere in modo più spedito per raggiungere nuovi obiettivi comuni, quali difesa, sicurezza economica, lotta alle disuguaglianze e sostegno ai giovani” spiega alla Repubblica il sottosegretario agli Affari Europei, Sandro Gozi. “Questa è da tempo la posizione dell’Italia. Ora condivisa anche dalla cancelliera tedesca, fin qui assai prudente sul tema. Ci fa piacere. È un’ottima notizia. E vorremmo che diventasse anche un impegno ufficiale, preso da tutti i paesi dell’Unione, il prossimo 25 marzo a Roma, per i sessant’anni del Trattato. Non sarà facile, ma ci stiamo impegnando al massimo per questo. L’Italia è sempre stata al centro dell’iniziativa europea. E del resto l’agenda dell’ultimo vertice di Malta è stata dettata completamente da noi, dalla Libia ai flussi migratori. Il problema non è trovarsi nel gruppo di testa, ma avere paesi troppo timorosi di riformare l’Europa”.

Ora la strada passa per Roma: il nuovo slancio all’integrazione potrebbe essere parte della dichiarazione che i leader dei 27 – con l’esclusione di Theresa May – approveranno il 25 marzo in occasione dei festeggiamenti del sessantesimo anniversario dei trattati. Da qui partirà il “Processo di Roma”, i cui primi risultati si vedranno nel 2018. L’obiettivo è che con la Dichiarazione di Roma del 25 marzo i leader lancino le cooperazioni rafforzate su difesa, sicurezza, investimenti, approfondimento dell’euro e della dimensione sociale dell’Unione.

La difesa farà da apripista, come spiega il ministro Roberta Pinotti al Messaggero. “La Difesa europea va rafforzata non solo per avere una maggiore autonoma capacità, ma anche perché, se i diversi Stati europei parlano voci diverse all’interno della Nato, questo impoverisce la loro possibilità di incidere. È fondamentale anche per la strategia difensiva della Nato che l’Europa parli una sola voce”. […] “Noi abbiamo bisogno che il nucleo di Paesi che si è mosso con più forza verso la Difesa comune, cioè Italia, Francia, Germania e Spagna, elabori cooperazioni rafforzate che portino ancora più avanti le decisioni assunte”.

È convinzione del Governo italiano che questo processo sia una presa d’atto di una realtà dei fatti, perché già oggi ci sono più velocità di integrazione dell’Europa.

Scrive Angelino Alfano sul Corriere della Sera. “In Europa le diverse velocità, i cerchi concentrici e la differenziazione nelle diverse accezioni, sono già una realtà. Il tema, quindi, non è “se”, ma come e in quali tempi fare i conti con questa realtà. Dei 28 Stati membri dell’Unione Europea, solo 19 adottano l’euro. La libera circolazione nell’area Schengen riguarda solo 26 Paesi europei, di cui 22 della Ue e 4 associati. Quanto alla difesa e sicurezza comune, 28 Stati aderiscono alla Nato (di cui 26 europei), mentre 57 Paesi partecipano all’Osce e 47 al Consiglio d’Europa. Chi si è concentrato solo sull’Unione in questi anni, ha forse guardato solo a una parte della realtà”

È indispensabile, tuttavia, che l’Italia sia in grado di stare al passo con i più veloci.

“Giusta la mossa di Berlino, via le zavorre. Ma l’Italia deve stare nel convoglio veloce” afferma Enrico Letta in un’intervista al Corriere della Sera “Che Angela Merkel rilanci l’Europa a diverse velocità è un fatto importante, una mossa utile e coraggiosa. La buona notizia è che la proposta venga dalla Germania, il Paese fin qui più immobilista, quello che non voleva toccare nulla e ora invece si muove per la prima volta in una logica di discontinuità. Berlino sembra capire che la mera difesa dell’esistente porta alla distruzione di tutto. La Brexit e Donald Trump costituiscono una doppia minaccia esterna esistenziale e l ‘Europa deve cambiare passo e direzione” spiega l’ex premier, secondo cui l’Italia “deve giocare da protagonista come allora. È una nuova sfida perché dobbiamo stare nel convoglio più veloce, meritarci il ruolo di locomotiva insieme ai Paesi fondatori”. Certo, per Letta “è evidente che la confusione, l’incertezza politica che stiamo raccontando all’esterno non aiuta. L’idea che l ‘Italia sia un Paese nel quale non si sa bene in prospettiva chi comandi, dove l’instabilità istituzionale sia strutturale, è un grave handicap. Dobbiamo fare una grossa analisi di coscienza collettiva e capire che siamo nuovamente in una fase dove si riscrivono le classifiche”.


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Prima telefonata tra Paolo Gentiloni e Donald Trump: al centro del collquio la Libia e il G7 di Taormina

E’ prevista per questa sera la prima telefonata tra il presidente degli Stati Uniti Donald Trump e il presidente del Consiglio italiano Paolo Gentiloni, stando a quanto si apprende da fonti della Casa Bianca. Il colloquio è fissato per le 22 circa, ora italiana.

Si tratta del primo colloquio telefonico tra il premier italiano e il nuovo inquilino della Casa Bianca. Trump chiamerà Roma dal resort di Mar-a-Lago in Florida, dove si trova per un week end con la moglie Melania e il figlio Barron. L’unico contatto tra Italia e Stati Uniti dopo l’elezione di Trump era avvenuto nei giorni scorsi con una telefonata tra il ministro della Difesa Roberta Pinotti e il segretario alla Difesa Mattis. Fu l’occasione per discutere della “forte partnership” che lega Washington e Roma ma soprattutto per sottolineare, da parte Usa, il ruolo dell’Italia nel quadrante nordafricano e in particolare in Libia.

Tema ripreso poi dal segretario di Stato Rex Tillerson a fine gennaio quando elencò una serie di punti sui quali si sarebbe mossa la collaborazione tra i due Paesi. La Libia, dove “abbiamo bisogno dell’esperienza italiana”. Ma anche l’Ucraina, dal momento che l’Italia, disse Tillerson, è un membro “responsabile dell’Unione Europea” e può contribuire a tenerla unita. E infine la Russia, in vista del G7 che l’Italia ospiterà a fine maggio a Taormina: c’è da decidere se invitare al consesso il leader del Cremlino Vladimir Putin e compiere un ulteriore passo nel processo di riavvicinamento tra Mosca e Washington che va avanti dall’avvento della nuova presidenza.

Il colloquio tra Trump e Gentiloni avviene dopo due settimane dall’insediamento del presidente Usa. Roma non rientra quindi nel “primo giro” di contatti avviato dalla Casa Bianca. Una circostanza che non sfugge, soprattutto se si ricorda la scelta di Barack Obama di accogliere l’ex premier Matteo Renzi per la sua ultima State dinner da presidente degli Stati Uniti. Dopo la diffusione dei contenuti della telefonata tra Trump e Gentiloni si inizierà a capire quali temi saranno considerati prioritari dai due nuovi leader del G7 e quale sara il corso dei rapporti con la nuova presidenza Usa.

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Mps ottiene ok Ue al sostegno per la liquidità. Gentiloni e Padoan duri con Bce. Bankitalia: allo Stato onere da 6,6 miliardi

Le richieste della Bce su Mps sono pesanti, ma qualche margine di trattativa c’è. Nella conferenza stampa di fine anno, il premier Paolo Gentiloni è tornato sulla polemica con Francoforte, che ha chiesto una ricapitalizzazione da 8,8 miliardi per Montepaschi, contro i 5 previsti prima dell’intervento dello Stato. “Non sono abituatissimo e un po’ mi ha colpito avere notizie così ‘ex abrupto’ il giorno di Natale – ha detto il presidente del Consiglio – ma terremo il punto”.

Dall’Ue è intanto arrivato il primo via libera all’intervento dello Stato in Mps. La Commissione ha accolto la richiesta dell’Italia di prolungare fino al 30 giugno 2017 lo scudo per la liquidità per le banche italiane e di usarlo con Montepaschi.
Adesso Bankitalia e il Tesoro hanno uno scampolo di tempo per dare alla banca senese il loro assenso – che è praticamente scontato – permettendole così di emettere bond garantiti dalla Stato. Fra gli addetti ai lavori, c’è chi ha notato come la comunicazione dell’Ue sia arrivata proprio all’indomani dell’uscita del ministero delle finanze tedesco, che aveva chiesto agli organismi europei di assicurare il rispetto delle regole da parte dell’Italia.

Il totale delle passività che Mps emetterà nel corso del 2017 è di 15 miliardi, in modo da riportare gradualmente la liquidità ai livelli di fine 2015. La banca potrà seguire due strade: emettere nuove obbligazioni e usare i ‘vecchi’ bond come garanzia per ottenere liquidità dalla Bce. In entrambi i casi, la garanzia pubblica porta il rating della banca a quello dello Stato, con abbassamento dei costi per l’istituto. Su tutto questo, il Cda farà il punto domani.

Riguardo la trattativa con le istituzioni europee, “siccome sarà un processo lungo alcuni mesi – ha spiegato il premier – ci sarà dialogo e confronto. Abbiamo fatto le nostre valutazioni e collaboreremo con maggiore spirito costruttivo possibile”.
Certo, ha aggiunto, “il fatto che si debbano mettere non quattro, ma 6,6 miliardi, è oggetto di discussione con la vigilanza della Bce, ma non mette in discussione la tranquillità, la capienza e la rilevanza del nostro intervento”. D’altronde, ha aggiunto Gentiloni, “quello che abbiamo fatto” per intervenire sulle banche in difficoltà, “non si conclude con il decreto” da 20 miliardi. Nella discussione con le istituzioni europee, ha assicurato, il governo farà di tutto “per tenere al centro la salvaguardia dei risparmiatori”. Il primo passo in quella direzione è stato fatto “con il decreto salva risparmio – ha spiegato Gentiloni – la cui attuazione sarà lunga e complicata, non ce lo nascondiamo, ma che è una decisione strategica”. Anche Bankitalia fa sapere che il coinvolgimento nel salvataggio della banca potrà essere “attenuato” per quei clienti che abbiano obbligazioni subordinate vendute “non rispettando corrette regole di trasparenza”.

Al governo resta l’amaro in bocca per il comportamento di Francoforte. In un’intervista al Sole 24 Ore, il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan ha detto che sarebbe stato utile conoscere i “criteri” seguiti per determinare l’aumento di capitale per Mps: “La mancanza di informazione – ha spiegato – si traduce in opacità”. Dall’intervista sono emersi anche diversi spunti sul nuovo piano industriale e sul futuro dei vertici della banca. “Daremo un’occhiata al cda – ha detto – ma l’ad Morelli non è in discussione”. Mentre sulla cessione dei crediti deteriorati, punto centrale di ogni azione di ristrutturazione dell’istituto: “Atlante come soggetto che si accollava le sofferenze non c’è più”.

BANKITALIA FA I CONTI. L’onere complessivo per lo Stato ammonta a 6,6 miliardi di euro. Nel dettaglio, è pari a 4,6 miliardi di euro l’onere immediato che comporterà per lo Stato la ricapitalizzazione precauzionale di Mps, cifra alla quale vanno aggiunti i circa 2 miliardi necessari per il successivo ristoro dei sottoscrittori di obbligazioni retail, che porterebbero il totale a 6,6 miliardi. L’onere a carico dei soggetti diversi dallo Stato, invece, sarebbe pari a circa 2,2 miliardi. Il costo totale, pertanto, si commisura a 8,8 miliardi. In particolare, 6,3 miliardi occorrono per riallineare il Cet1 ratio alla soglia dell’8 per cento; di questi, circa 4,2 sarebbero coperti dal burden sharing dei titoli subordinati e circa 2,1 sarebbero forniti dallo Stato. Altri 2,5 miliardi sono poi necessari per raggiungere la soglia di Total capital ratio (Tcr) dell’11,5 per cento, per compensare il venir meno, per il burden sharing, dei titoli subordinati (strumenti patrimoniali di minore qualità) computati nel Total capital. In questo modo il totale raggiunge quota 8,8 miliardi.


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Paolo Gentiloni in visita nelle zone terremotate:”Ricostruiremo battendo la burocrazia”

“Le risorse per la ricostruzione dopo il terremoto ci sono, ma bisogna che ci sia anche l’impegno di tutti per superare strozzature burocratiche e per andare avanti molto rapidamente”. Lo ha detto il presidente del Consiglio Paolo Gentiloni, al termine della sua visita nel comune terremotato di San Ginesio. “Non è un problema di soldi – ha ribadito – il Governo ha stanziato le risorse necessarie, è un problema di lavorare insieme”.

Secondo Gentiloni bisogna lavorare insieme “per evitare che l’impegno dei cittadini per tornare e per rilanciare piccoli centri così importanti sia ostacolato da troppe resistenze burocratiche”.

“Possiamo essere orgogliosi di questo incredibile gioco di squadra che c’è stato tra le istituzioni: l’Italia non dimentica questi luoghi e il governo, dopo l’impegno eccezionale di Matteo Renzi, manterrà il tema della ricostruzione al centro della sua agenda”, ha detto invece ad Amatrice. “Difficile non portare Amatrice nel cuore dopo le immagini terribili ma anche molto belle che ho visto oggi”, ha aggiunto al termine del giro nella zona rossa. “Qui non pensiamo solo a ricostruire, ma anche al futuro, valorizzando le vocazioni dei territori. Amatrice – ha concluso Gentiloni – è ormai un simbolo nel mondo: ciò comporta grandi potenzialità ma anche grande responsabilità”.

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Governo Gentiloni, disco verde da Confindustria. Boccia: “Positiva la riconferma di molti ministri”

Il presidente di Confindustria Vincenzo Boccia giudica positivamente la riconferma di molti dei ministri nel nuovo governo di Paolo Gentiloni, in particolare quelli che sono stati seguiti con “attenzione”. Lo ha detto lo stesso Boccia, parlando con i giornalisti, a margine dell’assemblea dell’associazione industriale di Genova, auspicando che “i partiti non dibattano solo di legge elettorale”, ma si entri nel merito delle grandi questioni e che il governo “continui nella spinta riformatrice del Paese”.

Ai giornalisti che a margine del convegno di Confindustria a Genova gli chiedessero la sua impressione sul governo Gentiloni, Boccia ha risposto che “le impressioni saranno nei fatti” e nell’operato. “Abbiamo un piano industria 4.0 che va implementato”, ha osservato Boccia sottolineando che la legge di bilancio è “una parentesi importantissima ma il Paese ha bisogno di tante altre riforme”.

Da qui l’auspicio ai partiti che non si dibatta solo di legge elettorale ma “si entri nel merito delle grandi questioni del Paese e cioè Europa, Italia, questione economica e questione industriale”.

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Governo Gentiloni, i ministri di Verdini spariscono al Colle

Quando quella vecchia volpe di Fabrizio Cicchitto arriva allo stadio Olimpico per la Roma, parecchi deputati lo avvicinano in tribuna d’onore: “Tu che conosci Verdini, come la leggi questa cosa che non è entrato al governo”. Risposta: “O ha peccato di ingordigia, chiedendo troppo. O è il segnale che il governo cade quando vuole Renzi”. O entrambi.

Ecco la scena, di quando le richieste di Denis sono nero su bianco. E non vengono accolte. Nella lunga ora di Paolo Gentiloni al Quirinale spariscono i ministri di Denis Verdini dalla lista. Un ministro dall’aria mite come Zanetti? O due nomi legati a un ingombrante passato in forza come Marcello Pera e Saverio Romano, circolati per tutta la giornata? Colloquio lungo, interrotto da un po’ di contatti con l’esterno. Telefonate, valutazioni. In parecchi ricordano il precedente della formazione del governo Renzi, quando nello studio del capo dello Stato fu depennato dalla lista e sostituito da Andrea Orlando. O quando, ai tempi della formazione del governo Monti, nello studio di Napolitano passarono due ore, perché c’era il nodo delle deleghe di passera e la complessa mediazione con Berlusconi da un lato e Bersani dall’altro.

Stavolta il grosso delle telefonate è con i vertici del gruppo del Senato. Gentiloni e Zanda hanno un’antica consuetudine, sin dai tempi della giunta Rutelli che si occupò di Giubileo: “Verdini – è il senso del ragionamento condiviso – non lo reggiamo. Pezzi di gruppo si rifiutano di votare la fiducia. Ma i numeri li abbiamo senza Denis?”. Gentiloni offre a Verdini posti di ministri e sottosegretari, ma spiega che, con i ministri, salta l’equilibrio complessivo. Denis a quel punto fa uscire, come strumento di pressione, la dichiarazione che “Ala non voterà la fiducia”. All’uscita dal colloqui al Colle però i ministri di Denis non ci sono.

I numeri al Senato ballano. L’ultima fiducia sulla legge di Bilancio è passata con 173 sì la scorsa settimana, con l’apporto delle truppe di Ala (18 senatori). Sulla carta i verdiniani sono aggiuntivi, non sostitutivi, ma nella navigazione quotidiana – quando tra influenze, missioni, assenze mancano parecchi parlamentari – sono molto importanti. Prosegue il flusso di comunicazione tra Zanda e il neo premier: “Reggiamo anche senza Verdini, tra senatori sparsi di buona volontà e l’aiuto di qualcuno di Forza Italia”. Proprio ieri Silvio Berlusconi ha diramato le sue regole di ingaggio per i parlamentari che vanno in tv e anche per i suoi giornali: “Non usate toni duri, opposizione responsabile” verso l’ex ministro delle Comunicazioni del governo Prodi stimato dai vertici di Mediaset. Ma questo è un altro capitolo.

Tornando a Verdini: è un fardello pesante. Per i senatori della sinistra, ma anche in chiave di congresso. Renzi, alla scorsa direzione ha citato Pisapia e Pisapia insieme a Cuperlo e Merola sta lavorando su uno schema di sinistra docile non alternativa, ma stabile nell’orbita del renzismo. È difficile assecondare questo processo con le truppe di Verdini al governo. E chissà se è un caso che l’ingordo ha prospettato non un governo, ma una abbuffata, neanche fosse al governo con Berlusconi. Proponendo Zanetti, che per fare il ministro si è alleato con Verdini. Ma anche una casella di peso, di prima fascia (Istruzione, Agricoltura o Sanità) mettendo sul tavolo i nomi di Pera e Saverio Romano. Suggerisce un parlamentare di Ala: “Vediamo come apre Libero domani”. Libero è il quotidiano di Antonio Angelucci, parlamentare di Forza Italia e re delle cliniche in varie regioni, citato anche nel famoso fuorionda di Nemo da Vincenzo D’Anna, in relazione alla nomina dei commissari campani e dell’emendamento per De Luca. Quando iniziò la campagna referendaria, per schierare il giornale sul SI, cambiò addirittura il direttore.

Insomma, l’ingordigia. Il passaggio successivo è il rifiuto dei posti da viceministro e sottosegretari. Rabbioso, Denis chiama Renzi davanti ai parlamentari che riunisce a via Poli, uno sfogatorio: “Siamo rimasti fuori, non era questo il progetto”. Senza piatto ricco, le briciole non servono. Il risultato è in una battuta che circola a via Poli, sede di Ala: “Faremo opposizione al governo, come Renzi…”.
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