Strage Viareggio, Rossi: “Sentenza pone tutti di fronte a proprie responsabilità”

FIRENZE – Una sentenza che restituisce alle famiglie prima di tutto il senso di una giustizia che individua responsabilità che, in tutta questa dolorosa vicenda e al di là del merito di ogni singola persona, sono evidenti e all’origine di quanto accaduto. Così il presidente della Regione Enrico Rossi, commentando la sentenza della corte di appello di Firenze sulla strage alla stazione di Viareggio del 29 giugno 2009.

“Nessuno – ha detto ancora Rossi – potrà mai restituire le persone morte alle famiglie e ai loro cari. E niente potrà mai rimediare alle ferite riportate nel corpo e nell’anima da tante persone a causa di quella tragedia. Ma la giustizia ha funzionato, è arrivata una sentenza in appello che pone tutti di fronte alle proprie responsabilità, anche oltre coloro che sono stati direttamente condannati”.

“Dopo quella vicenda – ha aggiunto Rossi – io stesso mi sono occupato di come poteva essere alzato il livello di sicurezza dei trasporti su ferro a tutela prima di tutto delle popolazioni civili. Ed è stato stabilito un limite di velocità. Troppo tardi però, e troppo poco. Anche perché l’Ue non ha ancora individuato le modalità per consentire un controllo più efficace della sicurezza del materiale rotabile che viaggia sulle ferrovie. In questo giorno di amarezza, e allo stesso tempo di compimento di una tappa verso l’accertamento della verità, quello che resta da fare affinchè certi episodi non si ripetano deve costituire l’impegno di tutte le persone che hanno responsabilità in questo settore. E ovviamente in primo luogo della politica e delle istituzioni che hanno compiti di regolazione”.

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“Campo progressista”, Giuliano Pisapia ha l’obiettivo di allargare il fronte del centrosinistra, con una spinta dal basso

Allargare. La parola d’ordine della convention nazionale di “Campo progressista” dice molto del progetto di Giuliano Pisapia. Sabato al Teatro Brancaccio “La prima cosa bella” il lancio ambizioso e impegnativo, in una fase così faticosa per la politica e per i partiti di centrosinistra. Motivo in più per dare il palco della convention principalmente ad esponenti della società civile che si alterneranno nella mattinata romana. Poi, certamente, ci saranno anche quei pezzi del ceto politico che hanno già dichiarato il loro interesse per il progetto, dal nuovo Movimento Democratico e Progressista alle esperienze civiche delle amministratori locali che si sono riconosciute nella rivoluzione arancione sperimentata con successo dalla giunta milanese.

L’idea è quella di far emergere “quella spinta dal basso” che secondo Pisapia servirà a ridare l’ossigeno a una politica che ha perso legami e connessioni con la vita quotidiana e i problemi dei cittadini. Naturalmente ci saranno anche i personaggi noti della vita politica e istituzionale: da Laura Boldrini a Pierluigi Bersani, da Gad Lerner fino ai diversi esponenti di fede prodiana che vedono nel Campo progressista un’opportunità di rinascita di un nuovo Ulivo. Ma a parte il presidente della Regione Lazio Nicola Zingaretti che darà il suo saluto, le presenze note faranno un passo di lato con il preciso intento di non schiacciare “l’operazione Pisapia” nell’ennesimo movimento nato in laboratorio o calato dall’alto.

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campo progressita

Per ora le adesione arrivate da tutta Italia sono tantissime e per ora tutte le tappe toccate hanno fatto il pieno di attivisti e curiosi. Roma sarà però l’occasione per lanciare ufficialmente le “Officine delle idee”, vero cuore pulsante del Campo progressista, i luoghi dove nascerà il programma per governare l’Italia nel 2018. Non satellite di qualcos’altro dunque, dato che “il federatore” non vuole chiudere a nessuno. “Pisapia vuole parlare a tutto il popolo del Pd prima ancora che al partito”, dicono coloro che lo stanno affiancando in questa pre-partenza. Obiettivo ambizioso in tempi di scissioni e se ci sarà una legge elettorale proporzionale, si lavorerà comunque a un listone unico a sinistra, anche per riportare al voto molti elettori delusi.

Ma il desiderio mai nascosto è quello di un maggioritario in cui il nuovo centrosinistra troverebbe il suo terreno preferito e in quel caso in una coalizione ampia e plurale, la carta della leadership di Giuliano Pisapia sarebbe quella più spendibile. La concorrenza mediatica questo fine settimana sarà forte, solo il Lingotto di Matteo Renzi può bastare per rendersi conto. Sarà anche questa una sfida: a Roma chi vuole ricostruire il centrosinistra, a Torino una corrente maggioritaria del Pd.
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In Svizzera cittadinanza più facile per i nipoti degli immigrati. Il fronte del Sì vince il referendum con il 60,4%

Sarà ora più facile ottenere l’ambito passaporto elvetico per i nipoti di immigrati, tra i quali molti italiani, nati e cresciuti in Svizzera. Chiamati oggi alle urne, gli elettori della Confederazione hanno infatti approvato con il 60,4% una modifica costituzionale sulla naturalizzazione agevolata per i giovani stranieri di terza generazione. Il testo ha ottenuto anche la maggioranza dei cantoni: 19 su 26 hanno votato sì.

Finora – ricorda l’agenzia di stampa svizzera Ats – i progetti per facilitare l’ottenimento della cittadinanza da parte dei discendenti di immigrati non avevano mai superato lo scoglio delle urne. Oggi invece il consenso è stato ampio, con punte superiori al 70% nei cantoni di Giura, Vaud, Ginevra e Neuchatel. Per i giovani stranieri di terza generazione sarà dunque un pò più semplice e meno costoso ottenere il passaporto rossocrociato, anche se non sarà automatico. Gli stranieri dovranno infatti candidarsi e potranno beneficiare della procedura agevolata solo se nati sul territorio elvetico, se hanno meno di 25 anni, detengono un permesso di domicilio ed hanno frequentato almeno 5 anni di scuola dell’obbligo in Svizzera. Inoltre, almeno uno dei genitori ed uno dei nonni devono tra l’altro aver soggiornato in Svizzera.

Soddisfatto, il governo ha sottolineato che gli aspiranti dovranno dimostrare la loro integrazione. La ministra di giustizia e polizia Simmonetta Sommaruga ha ricordato che ne approfitteranno 25 mila giovani, soprattutto italiani, spagnoli e portoghesi, che con procedura agevolata otterranno “il passaporto della loro patria, quello svizzero”.

La naturalizzazione facilitata era sostenuta da tutti i grandi partiti, ad eccezione del partito di destra Udc che ha fatto campagna contro agitando la paura di giovani non integrati e dell’Islam con manifesti raffiguranti una donna con il niqab. Per la deputata socialista Ada Marra, di origini pugliesi, si tratta di una “grande vittoria”. Le nuove disposizioni – scrive l’Ats – potrebbero entrare in vigore l’anno prossimo insieme alle modifiche della Legge federale sull’acquisto e la perdita della cittadinanza svizzera.

Severa sconfitta del governo invece per la Riforma dell’imposizione delle imprese, secondo tema in votazione a livello federale bocciato da oltre il 59% dei votanti. Il progetto approvato dal parlamento era combattuto da un referendum del Partito socialista. Scopo della Riforma, che godeva dell’appoggio delle maggiori organizzazioni economiche, era di adeguare ai nuovi standard internazionali il sistema fiscale svizzero, ed in particolare i regimi speciali ideati per attirare holding, società miste e società di domicilio. La Riforma prevedeva di sopprimere l’imposizione ridotta delle società con statuto speciale e nuove misure di sgravio fiscale per promuovere innovazione e attività di ricerca e sviluppo.

Senza sorprese, gli svizzeri hanno infine approvato con il 61,9% di Sì la creazione di un Fondo per finanziare le strade nazionali e il traffico d’agglomerato.

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Burhan Ozbilici, il fotografo che ha immortalato il killer di Ankara: “La vita è scomparsa di fronte ai miei occhi”

“Ci ho messo qualche secondo per capire cosa fosse successo: un uomo è morto qui, di fronte a me; una vita è scomparsa di fronte ai miei occhi”. È così che Burhan Ozbilici, il fotografo dell’Associated Press che ha scattato le foto all’attentatore di Ankara, ha descritto quei concitati momenti.

Le sue foto passeranno alla storia, sono di quelle da guardare e riguardare alla ricerca di qualche nuovo dettaglio, della tensione del momento. Ozbilici ha raccontato quegli attimi al “The Guardian“, e cosa gli ha dato il coraggio per realizzare gli scatti.

Era lì quasi per sbaglio, ad una mostra sul paesaggio russo dal Baltico alla Kamchatka, il fotografo decide di partecipare poiché l’evento è di strada per tornare al suo ufficio di Ankara.

Poco dopo l’inizio del discorso dell’ambasciatore russo Andrei Karlov, gli spari hanno creato il panico tra il pubblico, mentre il corpo dell’uomo s’accasciava al suolo.

Ozbilici non comprende il motivo dell’attentato, scoprirà solo dopo che il movente è la città siriana di Aleppo così come il nome dell’attentatore, Mevlut Mert Altintas: “Ho solo sentito urlare Allahu akbar, ma non ho capito il resto di ciò che ha detto in arabo”.

Era spaventato dalla possibilità che Altintas potesse accorgersi di lui, ma ha deciso comunque di avanzare e scattare delle foto. Ecco cosa Ozbilici ha pensato in quel momento: “Sono qui. Anche se dovessi essere ferito, o ammazzato, sono un giornalista. Potrei scappare e fare altri scatti… Ma non voglio dover rispondere alla domanda: ‘Perché non hai scattato una foto’?

L’attentatore intima tutti di stare a terra, conosce già il suo destino, e di li al poco l’operazione della polizia turca metterà fine all’attentato abbattendo l’uomo. Quando Ozbilici torna nel suo studio a lavorare le foto, ancora agitato e sconvolto, osserva le foto che ha scattato. In una si vede come Mevlut Mert Altintas sia sempre stato alle spalle dell’ambasciatore, come fosse stata una guardia del corpo, e nessuno si è accorto di lui.


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Leopolda perfetta ma non si dice: scontri in piazza e il sì di Cuperlo. Ma Renzi non affonda: “Il fronte del no non è tutto violento”

Quella del 2016 è la Leopolda perfetta ma non si dice. A un mese dal referendum del 4 dicembre, un fronte del comitato del no si scontra con la polizia a 2 km dalla vecchia stazione di Firenze. Nelle stesse ore Gianni Cuperlo firma la bozza di riforma dell’Italicum con i renziani: schiaffo per i bersaniani del no. Tutto porta acqua al mulino del premier, questo dicono le facce, anzi i sorrisini, che incroci qui alla Leopolda. Ma Matteo Renzi resta nel backstage, anche dopo gli scontri. Soprattutto su questo punto non vuole affondare. I suoi si guardano intorno soddisfatti: a dispetto delle aspettative la Leopolda è piena. “Dovessimo perdere 51 a 49 questo è un tesoro vero cui attingere”, dice un fedelissimo lasciando chiaramente intendere che Renzi ha un futuro politico anche se perde il referendum.

E’ Dario Nardella che informa Renzi di cosa è successo fuori da qui. Il sindaco arriva trafelato da Palazzo Vecchio dove è rimasto quasi tutto il pomeriggio per seguire gli sviluppi delle contestazioni in piazza, in filo diretto con la Questura. “Ci sono andato giù pesante contro questi…”, dice arrabbiato al portavoce del premier Filippo Sensi, che incrocia prima di arrivare all’area palco. Piccolo briefing con Renzi: la decisione di mandare lui, Nardella, sul palco a denunciare “la violenza” e “le minacce”. “Manifestare il dissenso è un diritto ma usare la violenza per avere visibilità è ignobile, inaccettabile”, urla il sindaco tra gli applausi. “Da questo luogo del no alla violenza, diciamo che va bene il confronto ma non va mai bene attaccare una città, minacciare le persone: non è accettabile in una città e in un paese democratico!”.

Ecco fatto. Nardella come Giuliano Pisapia il primo maggio 2015 a Milano, quando la città meneghina fu sconvolta dagli scontri di piazza il giorno dell’inaugurazione dell’Expo. Certo, a Firenze la dinamica è stata molto più leggera. Ma per voce del sindaco e amico del premier, la Leopolda urla il suo no alla violenza e mezza campagna elettorale è fatta. Anche se Renzi non perde la prudenza con cui sta affrontando questa attesa referendaria. Resta ‘democristiano’, attento a non pestare i piedi di nessuno per allargare il più possibile il fronte del sì. Non confonde i manifestanti di oggi con tutto il comitato del no. “Una cosa sono i violenti, qualche centinaio. Altra è chi vota no, un fronte largo, variegato”, dice ai suoi. “Il fronte del no non è tutto dei violenti”.

Insomma, Renzi non cade nella trappola. Evita gli scivoloni e cerca di tenere saldo un timone che fibrilla a un mese dal voto. Mentre la polizia carica il corteo non autorizzato che vorrebbe arrivare alla Leopolda, sul palco della vecchia stazione il ministro Boschi e il cerimoniere di questa Leopolda Matteo Richetti, con i costituzionalisti Ceccanti, Vassallo, Pinelli, Clementi, si impegnano a smontare pezzo per pezzo le “Bufale del no”. Sul maxischermo passano in successione Travaglio, D’Alema, Casarini, Di Battista, ognuno con un appunto sulla riforma. Viene preso e sbranato, soprattutto da una Boschi in versione più ‘aggressive’.

Ma non ci sono domande libere dal pubblico. Tranne qualche tweet che viene richiamato e liquidato in poche parole. La regìa non lascia nulla al caso. La lezione sulla riforma, il ‘fact-checking’, come lo chiama Renzi si svolge senza scossoni, tra qualche fischio a D’Alema e pochi applausi. La sala si scatena con Nardella. E, dopo, con Pietro Bartolo, il medico che ogni giorno salva vite a Lampedusa: per lui anche Renzi torna sul palco e lo abbraccia davanti a fotografi e telecamere.

Oltre a Nardella, degli “sciamannati in piazza” parla Teresa Bellanova, viceministro allo Sviluppo economico, ex sindacalista, ex diessina, scatenata contro i bersaniani, D’Alema e i Dem del no. Parla a ruota libera tanto che le viene fuori vivido l’accento pugliese: “Hanno avuto responsabilità di governo superiori alle mie: perché non hanno fatto le riforme? Hanno avuto 30 anni di tempo, perché non lo hanno fatto?”. La platea si scalda anche per lei. Come ha fatto all’inizio del pomeriggio con Brunello Cucinelli, l’imprenditore del cachemire che vuole aiutare la ricostruzione di Norcia post-terremoto.

Gli scontri in piazza potrebbero tornare il 27 novembre, in una giornata di mobilitazione stavolta nazionale del fronte del no a Roma. A una sola settimana dal voto. Renzi e i suoi parlano di preoccupazione e amarezza. Ma contano sul fatto che tutto questo non nuoce alla campagna del sì.

“Vinceremo, ma se dovessimo perdere 51 a 49, questo è un tesoro vero cui attingere”, dice un renzianissimo guardando la Leopolda piena di gente. “Ieri non pensavamo di vedere così tanta gente ed eravamo preoccupati. Ora si può dire che questo è uno zoccolo duro su cui si può fare affidamento”. E’ lo zoccolo duro del renzismo, qui non ci sono altri modi di essere Pd. “Al contrario, se gli altri vincono, che se ne fanno di quel 51 o 52 per cento?”. Nella Leopolda, Renzi intravede un’altra vita politica anche se dovesse perdere. Domattina gli toccherà chiudere questa edizione: l’ultima prima del diluvio del 4 dicembre.
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