Massimo D’Alema certifica la scissione e presenta di fatto un nuovo partito: a sinistra per parlare ai delusi di Renzi e Grillo

Alle 19.30, a Lecce, cuore del suo Salento, Massimo D’Alema parla già da ex Pd: “La scissione non è un dramma o una tragedia. Certo non è una festa, ma è anche l’inizio di un processo di costruzione di un nuovo centrosinistra”. Pausa, tra gli applausi di una sala che non aspettava altro.

Roma è lontana, come le mediazioni che di ora in ora si consumano. Ed è lontano anche il Pd, a meno di 48 ore dall’assemblea di domenica. D’Alema chiede una “svolta profonda”, un “congresso vero”, ma, al tempo stesso, fa capire che non ci crede, convinto che, come ha spiegato nell’intervista al Corriere, Renzi non concederà nulla perché ha fretta di fare subito un plebiscito per puntare sul voto anticipato: “Renzi sa che sul lungo periodo può perdere tutto, e dunque accelererà. L’uomo ha ambizioni modeste, sa bene che non prende il 40 per cento, e punta a portare in Parlamento un gruppo di fedelissimi che gli ubbidiscano”.

Nell’intervento di D’Alema, oltre un’ora e mezza, c’è tutta l’antica sapienza del capo comunista alla vigilia di un passaggio storico. C’è l’abilità tattica di chi porta l’asticella in alto, consapevole che, nelle ultime ore, c’è chi può cedere a mediazioni al ribasso. La telefonata di Renzi a Emiliano, ad esempio, suona certo come una smentita di Delrio e del suo celebre fuori-onda, ma anche come un modo per tentare l’area dei dubbiosi attorno al governatore della Puglia sperando di staccarli dagli ex Pci. I codici della grammatica politica, avrà pensato D’Alema, avrebbero suggerito una telefonata a Bersani se mai Renzi avesse voluto aprire una trattativa vera. E invece ciò che sarà descritta come una mediazione in realtà è uno sgarro.

Ecco il discorso teso a scavare un punto di non ritorno nella trattativa o presunta tale. Ma non solo. Un’ora e mezza, per indicare la prospettiva, partendo dall’analisi del mondo, della nuova destra, non più liberista ma protezionista, passando per le politiche neoliberiste del governo Renzi, fino ad arrivare ai compiti del partito nella fase attuale, nel “radicale mutamento di scenario”. Partito che non è più il Pd. Il lìder Maximo parla di un “movimento in grado di tornare in mezzo al popolo” di fronte alla “deriva neocentrista del Pd”, ne tratteggia profilo, interlocutori e anima. Non una compagnia di combattenti e reduci che fa testimonianza, ma un movimento che “tenga aperta la prospettiva di una ricomposizione unitaria”: “Un movimento di questo tipo può raccogliere quelli che non votano più, quelli che non voterebbero mai più il Pd di Renzi, ne conosco svariate migliaia, e sarebbe in grado anche di contendere l’elettorato ai Cinque stelle”.

Nel decennale del Partito democratico e, per gli amanti del genere, nel più evocativo centenario della rivoluzione d’Ottobre, nella rottura del Pd l’auspicio di D’Alema è la rinascita di un centro-sinistra a due gambe, evocativa dello schema Margherita e Ds, in forma nuove: “La somma dei voti che questi due movimenti possono raccogliere è assai maggiore di quelli che può prendere il Pd”. Uno, appunto, è quello che nascerà dalla rottura di domenica, l’altro è il Pd, in cui è in atto da tempo una deriva neocentrista nelle politiche, su banche lavoro, utilizzo della flessibilità e nel partito.

“Iniettare populismo a bassa intensità non è un vaccino contro il populismo”, “se ci si mette a fare gli imitatori di Grillo e di Salvini gli elettori sceglieranno l’originale”, “non si sconfigge il populismo senza rimettere in campo un popolo”. C’è, nel primo discorso sul movimento che verrà, anche un tentativo, anche interno, di raddrizzare la linea su una scissione presentata e attaccata come una “scissione sul calendario”. Fredda, come fu la famosa fusione fredda che diede vita al Pd con la somma di Ds e Margherita. Tutto il discorso è teso a “politicizzare” la rottura, dandole solennità storica e ideale, con parole d’ordine che suscitino più entusiasmo e passione di uno statuto “scritto male”. E che rende le primarie un “plebiscito manipolato”, come accaduto a Napoli dove “aveva vinto Bassolino” (uno che guarda con interesse al nuovo movimento) o in Liguria “dove aveva vinto Cofferati” (altro interlocutore).

Meno due. E sabato all’iniziativa di Testaccio saliranno sul palco Speranza-Rossi-Emiliano. Al termine si chiuderanno in una stanza per scrivere un documento appello da portare all’assemblea di domenica: richiesta di una svolta, congresso a ottobre, sostegno del governo con qualche correzione di rotta. Bersani è pronto e non crede agli spifferi che raccontano di aperture di Renzi. Né lo convincono le mozioni degli affetti, ovvero le valanghe di appelli da ogni dove: “Ognuno – dicono i suoi – si deve prendere le sue responsabilità. Abbiamo posto questioni politiche, senza risposte, il sentiero è tracciato”. D’Alema è già oltre. Per non sbagliare gli organizzatori dell’evento a Testaccio hanno scelto canzoni molto evocative. A partire da Malarazza, di Domenico Modugno, che parla della ribellione degli ultimi di fronte ai padroni. “Tu ti lamenti, ma che ti lamenti? Pigghia nu bastune e tira fora li denti”.
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Sanremo 2017, Maurizio Crozza propone il Sanremellum al posto dell’Italicum e si chiede: “Cos’ha fatto Matteo Renzi in 3 anni?”

Matteo Renzi, Sergio Mattarella, Papa Francesco: nelle prime 3 serate del Festival di Sanremo Maurizio Crozza ha fatto ridere il pubblico dell’Ariston interpretando alcuni tra i suoi personaggi più famosi e riusciti. Ma per la quarta puntata ha voluto stupire il pubblico con un personaggio “minore” ma azzeccatissimo per Sanremo, centrando il bersaglio anche stavolta.

Nando Pagnoncelli, amministratore delegato di IPSOS, apre infatti la quarta videocartolina firmata Crozza. Plausibili i sondaggi che il comico genovese inventa per il suo Pagnoncelli, ma le risposte sono assurde e davvero divertenti: “Abbiamo chiesto chiesto agli italiani cosa hanno gradito di più del Festival“. Tra le risposte: “Tua sorella” e “Ma la Parodi non ha nient’altro da fare?”. Oppure, in un’ipotetica consultazione degli italiani sulla conduzione a due Conti-De Filippi: “Libero i rottweiler” e “ho rivalutato Pippo Baudo”.

Prima di passare a tematiche politiche, poi, il comico Genovese rimane nelle questioni interne al Festival e si pronuncia sulla presuntata trattativa tra Carlo Conti e Mediaset per un passaggio ai canali di Berlusconi, smentita più volte dallo stesso Conti. “Carlo e Maria, Maria e Carlo, ormai siete inseparabili: dove va l’uno va l’altra, Maria per amore di Carlo è venuta in Rai, Carlo per amore di Maria… va beh, per ora c’è una trattativa…”.

Successivamente, la videocartolina di Crozza assume una colorazione politica, più congeniale alla sua vena comica. Prende spunto dalla gara dei giovani per decretare il vincitorie, infatti, per colpire il ministro Fedeli: “Uno dei giovani si laureerà campione. Mi dispiace per lui, perché in questo Paese se ti laurei dopo non puoi più fare il ministro dell’istruzione”.

Poi, una riflessione sulla città che ospita la kermesse: “Dalla settimana prossima cosa sarà di Sanremo? In questi giorni assomiglia a Las Vegas, dalla settimana prossima sembrerà un congresso di Scelta Civica”. Ma la parte probabilmente più riuscita dell’intervento di Crozza è quella riguardante la legge elettorale italiana. “Il sistema di votazione qui al festival di Sanremo funziona alla grande. Perché non lo usiamo anche per il parlamento? Il Sanremellum: cinque giorni di campagna elettorale e via”.

Si tratta dell’aggancio giusto per lanciare una stoccata a Renzi, che quell’Italicum l’aveva pensato e voluto. “L’Italicum è stato definitivamente bocciato dalla Consulta, hannno slavato solo il font, il Times New Roman. Una cosa doveva fare Renzi, ma alla fine del governo Renzi cos’è rimasto? Piuttosto che restare lì 3 anni, uno impara a suonare l’ukulele”.

Tre anni è durato il governo del fiorentino e proprio da 3 anni Carlo Conti è al timone del Festival. Crozza non poteva non notarlo: “Carlo hai fatto più tu in tre anni di festival: hai riciclato Arisa, hai sdoganato Gabriel Garko e ora stai cercando di rendere più umana Maria De Filippi”.


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Sanremo 2017, tra gli ospiti della terza puntata Maria Pollacci, ostretrica che ha fatto nascere più di 7mila bambini

Dopo gli eroi di Rigopiano e l’impiegato che non ha mai preso un giorno di ferie, alla terza puntata di Sanremo 2017 c’è spazio per un’altra storia di tutti i giorni, incredibile ma vera al 100%. Quella di Maria Pollacci, 92 anni compiuti e un lavoro di ostetrica a volte ancora professato. Il web è impazzito per lei, anche se la polemica non si è fatta attendere.

Il primo parto nel 1945, l’ultimo sarà tra poche ore: la vecchietta dei record ha aiutato moltissime madri a dare alla luce i propri bambini nel corso di più di 60 anni di carriera. 7642, è questo il numero delle nascite avvenute grazie a Maria, che sul palco dell’Ariston ha confermato quello che tutti sospettavano: “Si tratta del lavoro più bello in assoluto”. La canzone preferita del Festival? “Son tutte belle le mamme del mondo“, ovviamente.

Estasiati dallo spirito giovanile della donna, molti utenti di Twitter hanno espresso il desiderio di carpire dalla signora Maria l’elisir di lunga vita. Ma c’è anche chi – come Beatrice Dondi, giornalista dell’Espresso – ha polemizzato: “Mi sfugge il motivo per cui ricordano i giovani disoccupati e si invitano gli impiegati stacanovisti e le ostetriche 92enni”.


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Terremoto: neve, scosse e solitudine ad Amatrice. “Sapevano della bufera e non hanno fatto nulla”

“Di là, di là, a Casale ci sono quattro persone isolate da tre giorni”, urla una donna sul ciglio della strada di una frazione di Amatrice. Un fuoristrada dell’associazione ‘Arrampicars 4X4 Rieti club’ prova ad arrivarci. La turbina manda via la neve e apre la via. Poi bisogna spalare, spalare e ancora spalare per aprire un varco e le porte del camper. Pianti di dolore e di liberazione: “È un miracolo, non ce la facciamo più”. I volontari per raggiungerli hanno impiegano quattro ore di cammino tra metri di neve e bufera.

A tarda sera, nelle frazioni di Amatrice, si contano le famiglie rimaste intrappolate nelle loro roulotte. Tra queste la famiglia Pica. Per scaldarsi gli è rimasta mezza bombola di gas. Il cibo sta finendo e il latte che producono è ormai da buttare perché nessuno può andare a ritirarlo. L’elettricità nella loro piccola roulotte da due posti era legata alla casa a fianco, ma le forti scosse di oggi hanno distrutto ciò che rimaneva di un’abitazione totalmente crepata. Ora il quadro elettrico è sepolto e irraggiungibile. Così come è irraggiungibile il loro rifugio, separato dalla stradina principale da tre metri di neve. La famiglia Pica è isolata, moglie e marito sono rimasti imprigionati nel camper. Sperano nel domani. Fuori la bufera di neve, dentro le scosse a ripetizione, senza tregua.

I mezzi di soccorso sono pochissimi, le strade inagibili, solo i mezzi speciali riescono a farsi largo tra la neve, che da giorni non dà tregua ai comuni del centro Italia, tormentati da più di quattro mesi di scosse. Le strade attorno ad Amatrice sono impervie. Attorno è tutto bianco, a stento si vedono i cartelli stradali, i mezzi slittano e si schiantino su muri di neve. “È l’apocalisse”, dicono gli uomini della protezione civile, mentre i sindaci dei comuni distrutti ricordano che da trent’anni non si vedeva così tanta neve. Tutto scorre piano in queste strade, dove soccorsi, cibo, medicine e acqua arrivano a rilento casa per casa, roulotte per roulotte. Un ragazzo con gli occhi lucidi, con il nonno accanto, non vuole lasciare il suo garage, prende due bottigliette d’acqua, un po’ di cibo e torna dentro. Da lontano si vede un’altra luce di un camper. I soccorsi si avvicinano. La paura è negli occhi delle persone, hanno paura quasi anche di soccorsi: “Non siamo sciacalli, siamo venuti per portare il cibo”.

Amatrice è ripiombata nella disperazione. Lo dice chiaramente il farmacista, Mauro Massimiliano, che aspettava l’arrivo delle bombole del gas per accendere la stufa. Il bagno è rotto: le scosse hanno spostato i tubi. Molti medicinali dagli scaffali sono venuti giù. “Dopo le prime scosse li avevo messi in ordine, ma è inutile. Continuano a cascare, come le nostre case”, dice Mauro. Amatrice è così, in preda a una bufera di neve, distrutta e isolata. “Siamo soli, ci hanno abbandonato. Lo sapevano che sarebbe arrivata la bufera di neve e non hanno fatto nulla. Non c’era neanche una turbina che aprisse le strade. Questa mattina l’esercito ha messo in salvo una donna incinta che partorirà tra due giorni. Amatrice? Neve, scosse e solitudine”.

Anche il campanile di Sant’Agostino, che aveva resistito al terremoto del 24 agosto, è crollato dopo il tormento sismico di oggi. Era il simbolo di un borgo che voleva ripartire: “Neanche tra dieci o vent’anni ce la faremo. Ci dobbiamo rassegnare e andare via per sempre”. La scuola resterà chiusa fino a non si sa quando. I camper, quelli raggiungibili, sono stati evacuati. Ma nelle frazioni è un inferno. “Molti si lamentano, ma non c’è un modo per raggiungerli”, Genni Di Giuseppe non ha dubbi.

Le macerie non si vedono più perché sono sepolte dalla neve. A pochi metri dal borgo è rimasto un tendone, dove dormono i volontari che distribuiscono vestiti alle persone. Ma le persone, quelle che sono riuscite a mettersi in salvo, non ci sono più, sono andate vie. Le altre sono ancora intrappolate.



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Un militante M5S attacca Di Battista e Fico: “In tre anni non avete fatto niente. Se vince il Sì ve ne dovete andare”

“Sei cambiato, Di Battista. A livello locale non c’è interlocuzione”. Un militante del Movimento 5 Stelle, durante la marcia a Roma, attacca Alessandro Di Battista e Roberto Fico. “Mi devi dire in tre anni una cosa che è cambiata. In tre anni in Parlamento non avete fatto niente”. Di Battista replica: “Guardaci, siamo qui”. Gli altri attivisti prendono le distanze da questa piccola protesta gridando: “Andate avanti, siete l’unica speranza”. Ma il militante insiste: “Se vince il sì che facciamo? Ve ne dovete andare. Voi vi fate chiamare onorevoli e avete la scorta”.
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Siria, nulla di fatto ai colloqui di Losanna: l’intesa tra Stati Uniti e Russia per il cessate il fuoco è ancora lontana

Dai colloqui a Losanna sulla Siria nulla di fatto per un cessate il fuoco ad Aleppo. Oltre al segretario di Stato americano John Kerry e l’omologo russo Serghei Lavrov, erano presenti anche i ministri degli Esteri di Qatar, Turchia, Arabia Saudita, Iran, l’Egitto, Irak e Giordania, e l’inviato speciale delle Nazioni Unite, Staffan de Mistura. Fonti diplomatiche hanno reso noto che l’obiettivo effettivo di questo incontro non era quello ambizioso di una tregua, ma quello di di coinvolgere gli attori regionali nelle trattative sulle varie ozpioni possibili per porre fine alle ostilità. Negoziati che fino ad oggi si erano imitati a Washington e Mosca, come accade con l’intesa, mai rispettata, raggiunta tra Lavorv e Kerry a Ginevra il 9 settembre scorso.

L’unico elemento su cui i partecipanti al summit di Losanna hanno concordato, al termine di quattro ore di riunione, è quello generico di “prolungare i contatti nei prossimi giorni”, ha spiegato Lavrov, aggiungendo che “sono stati affrontati temi interessanti che possono influire sulla situazione sperando che si riesca a raggiungere un’intesa” per far progredire il processo di pace.

Kerry ha evitato di manifestare delusione per l’esito del summit di Losanna. Il capo della diplomazia americana ha definito l’incontro, durato 4 ore, “uno schietto scambio di idee da cui sono emerse nuove ipotesi, senza tensioni e rancori”.

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MotoGp news: 60° anniversario Yamaha, Valentino Rossi … – Il Fatto Quotidiano


Il Fatto Quotidiano

MotoGp news: 60° anniversario Yamaha, Valentino Rossi
Il Fatto Quotidiano
Il Dottore ha commentato così la vittoria nella "cattedrale" di Assen dopo un duello mozzafiato con il pilota Honda Marc Marquez. Al 23° festival della velocità di Goodwood, in Gran Bretagna, si è esibito su una versione speciale della sua M1. di F. Q. | 28 …
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