Antonio Iannone: “Da Lugano ai Caraibi per fare il paninaro. Così ho mollato tutto e ho ricominciato a vivere”

“Mollo tutto e me ne vado”. Quante volte vi è capitato di dirlo o pensarlo? Antonio Iannone, comasco di origini campane, 38 anni (“Quasi 39”), l’ha fatto davvero. La sua seconda vita è iniziata ad Aruba, isola caraibica di 180 chilometri quadrati a nord del Venezuela facente parte del Regno dei Paesi Bassi.

Iannone fa il frontaliere da dieci anni quando decide che è giunto il momento di una svolta. Ogni giorno raggiunge in auto Lugano (in Svizzera), dove lavora come “middle manager” per un’azienda farmaceutica. “Con dieci anni di esperienza in Svizzera avevo uno stipendio che in Italia prende forse solo chi è alla soglia della pensione”, racconta il 38enne all’Huffington Post.

Ma, evidentemente, i soldi non compensano il senso di insofferenza che Iannone prova ormai da tempo. “Non ne potevo più della solita routine”. Così comincia a cercare lavoro in altri paesi europei. “Mi sarebbe piaciuto lavorare in Italia, ma purtroppo ho sempre ricevuto proposte di stage non retribuiti”.

Dopo tre anni di colloqui senza successo, Iannone decide di partire con la sua famiglia. Sono già stati ad Aruba un paio di volte in vacanza, sanno che si troveranno bene. Inoltre, lì vive da qualche anno il migliore amico del comasco, che si guadagna da vivere con un food truck di cibo italiano.

Iannone, la moglie Sylvie (una donna belga che il 38enne aveva conosciuto mentre entrambi facevano gli animatori in un villaggio turistico invernale) e la figlioletta Luna atterrano ad Aruba nel giugno 2015. I 28 gradi centigradi dodici mesi all’anno giustificano il soprannome dell’atollo caraibico: l’”Isola Felice”.

Nonostante il clima e il paesaggio da sogno, all’inizio è dura. Il problema principale è comunicare, soprattutto per Sylvie: anche se in qualche modo ce la si può cavare con l’inglese o con lo spagnolo, la lingua ufficiale ad Aruba è l’olandese e tutti parlano un dialetto creolo chiamato papiamento. La gente del posto è piuttosto chiusa e il turismo elitario che caratterizza l’isola fa sì che i prezzi siano elevati.

È passato più di un anno e mezzo da allora, e piano piano le cose sono migliorate. Oggi Luna frequenta il secondo anno della scuola elementare, mentre Antonio e Sylvie lavorano al food truck, collocato strategicamente nel parcheggio di una discoteca. Il paninaro è aperto ogni giorno dalle 19 alle 5 del mattino. Nel menù non mancano i classici panini con la salsiccia e con la porchetta (d’importazione) e la pizza. “Il piatto forte però è la lasagna”, spiega Iannone. “La prepariamo io e mia moglie. La gente ci va pazza”.

Iannone, diplomato in ragioneria, non ha mai fatto una scuola di cucina. Ma la passione ce l’ha sempre avuta. Da bambino adorava fare torte e, quando andava a trovare i parenti in Campania, osservava affascinato le nonne cucinare. “Per un periodo ho avuto in testa di fare la scuola alberghiera, ma poi ho cambiato idea perché mi piaceva troppo uscire nel fine settimana e non avrei sopportato di stare chiuso in un ristorante il sabato e la domenica”.

Da qualche tempo Iannone ha iniziato a fare anche il cuoco a domicilio, spesso nei villoni presi in affitto dagli statunitensi in vacanza. “Mescolo la cucina locale con quella italiana. Ma alla fine i piatti che vanno per la maggiore sono la lasagna e il tiramisù”.

A luglio, per la prima volta da quando sono arrivati ad Aruba, Iannone e la sua famiglia torneranno per un breve periodo in Italia. “Gli stipendi qui sono abbastanza bassi e ci vuole un po’ prima di riuscire a stabilizzarsi. L’importante è trovare il business giusto”, commenta. “In ogni caso, credo di avere trovato il mio posto nel mondo, anche se nella vita non si può mai sapere”.


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Sergio Staino: “Matteo Renzi è sparito, questo non è un leader. Bonifazi? Non auguro a nessuno di averci a che fare”

“Fa sempre così: parte, si butta, si disamora e ti abbandona. Fine della storia. E questo è un leader, questo è un segretario?”.
Così il direttore de L’Unità Sergio Staino, in una intervista a Repubblica, se la prende direttamente con il segretario del Pd che ha riaperto l’Unità nel 2015 ponendo il vignettista alla guida del quotidiano che ora rischia nuovamente di chiudere. “Ho rotto con decine di amici, mi sono preso quintalate di offese e di insulti per venire a dirigere l’Unità renziana. Il giornale è cambiato, è migliorato. Lo vedono tutti. C’è più confronto, ci sono opinioni diverse ma a Matteo non serve più. Allora lo dica: ho fatto una cazzata a riaprirlo e ora lo chiudo. Invece no. Sparito. Lui che ci mette sempre la faccia. Scomparso. Matteo, perché ti nascondi?”. Quindi Staino attacca l’ambasciatore inviato dal premier per gestire la faccenda: “Uno che te lo raccomando, non auguro a nessuno di avere a che fare con lui. Ma il tesoriere che c’entra?”.

Alla notizia prima dei licenziamenti per 12 redattori e poi del preannuncio di una chiusura imminente, Staino accusa: “Non chiama, non risponde al telefono, non legge i messaggini”. E aggiunge: “La situazione economico finanziaria è grave. Ma la crisi vera è politica. La crisi è Renzi. Sono stato nominato da lui. Mi dice: ‘Fai un bel giornale, ricco, tante pagine. E dei soldi non preoccuparti, quelli ci sono’. Una delle battute più infelici che potesse farmi”.
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Vincenzo De Luca potrà fare il commissario della Sanità campana con un controllo ogni 6 mesi

La furbata è servita. Il presidente della Regione Campania Vincenzo De Luca potrà diventare commissario della Sanità della sua regione. Ma per fare passare questa norma senza provocare troppe polemiche, si è trovato un escamotage. Il commissario della Sanità sarà infatti soggetto a verifiche ogni sei mesi: insomma, una specie di tagliando. È questo il contenuto del testo riformulato dell’emendamento alla manovra presentato in commissione Bilancio alla Camera, accantonato martedì in seguito a numerose critiche.

La formula è quella di consentire al presidente della Regione di diventare commissario della propria sanità regionale ma a patto che ogni sei mesi si verifichi che il suo operato sia conforme ai piani di rientro e che la performance sui livelli essenziali di assistenza sia positiva.

Il testo precisa che “i tavoli tecnici, con cadenza semestrale, in occasione delle periodiche riunioni di verifica, producono una relazione ai ministri della Salute e dell’Economia e delle finanze, da trasmettersi al Consiglio dei ministri, con particolare riferimento al monitoraggio dell’equilibrio di bilancio e dell’erogazione dei livelli essenziali di assistenza”.

Molto critica con l’emendamento, la grillina Silvia Giordano, che intervenendo in commissione Bilancio alla Camera ha detto: “Questa è una marchetta bella e buona perché i voti di De Luca vi fanno di un comodo impressionante, abbiate l’onestà di ammettere che volete solo i suoi voti”. C’è poi la Lega Nord che ha annunciato, per voce di Barbara Saltamartini, che occuperà la sala del Mappamondo, dove si stanno svolgendo i lavori, se si voterà l’emendamento.

Il cosiddetto emendamento De Luca ha fatto infuriare le opposizioni perché in questo si è visto un favore politico del governo al presidente della Regione Campania in cambio di un appoggio robusto al Sì in vista del referendum del prossimo 4 dicembre. Proprio nel Sud infatti il Sì risulta in difficoltà.

Di fatti, dopo una battaglia in commissione, e dopo che il ministro Beatrice Lorenzin aveva espresso parere contrario, l’ordine è stato diramato da palazzo Chigi: forzate, fatelo passare. L’ordine dei lavori ha poi previsto una discussione serale, dopo i tg, quando i riflettori sono spenti. Basta un sì, insomma, a Roma sull’emendamento, in Campania nelle urne.

E i pezzi da novanta piombano, per l’ultimo miglio, nel feudo del governatore. Giovedì Luca Lotti è a Salerno mentre il ministro del lavoro Giuliano Poletti si confronterà con Stefano Caldoro a Napoli. A Napoli invece arriva sabato il fiore dei sindaci di fede renziana: Dario Nardella, Matteo Ricci, Giorgio Giuseppe Falcomatà e Antonio Decaro, il sindaco di Bari diventato presidente dell’Anci proprio per rastrellare voti al Sud. Il Mattino parla anche di un’altra tappa di Matteo Renzi, di qui al 4 dicembre, sempre nella Campania di De Luca.

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Vendemmia del Brunello di Montalcino: “Per fare un grande vino i particolari sono infiniti. Un solo errore può rovinare tutto”

Una giornata d’inizio vendemmia, con il sole che splende, 23 gradi e una brezza leggera che muove i tralci a cui sono ancora appesi i grappoli di sangiovese da Brunello maturi pronti per essere raccolti, sembra di essere in una pubblicità del bel vivere toscano.

Siamo a Castiglion del Bosco, a 12 chilometri a nord est di Montalcino, nel bel mezzo delle colline in cui si produce il vino italiano più famoso nel mondo insieme al Barolo, il Brunello di Montalcino.

Di qui passa la Strade Bianche, la ciclostorica che vede centinaia di appassionati da tutto il mondo pedalare su bici vintage nello sterrato collinare toscano. E attraverso le strade bianche si arriva alla tenuta di Castiglion del Bosco, in mezzo alle vigne c’è un resort a cinque stelle e un campo da golf da 18 buche.

Ma il motore che fa girare tutto è il vino, sono i grappoli d’uva, è il lavoro nei campi e quello in cantina. La proprietà è di Massimo Ferragamo che qui una decina d’anni fa ha ristrutturato un borgo e una decina di ville mezzadrili.

Per l’esattezza siamo nel podere di Capanna, nella vigna di Campo del Drago, quello che in si chiama ‘cru’, ovvero dove terreno, esposizione e condizioni climatiche sono ideali per dare un grande Brunello. Il terreno è infatti sassoso, e l’esposizione è a Sud-Ovest, la ventilazione è costante e c’è una buona escursione termica tra giorno e notte.

Inoltre Capanna è una lingua di vigne incastonata nel bosco, e bosco significa biodiversità e una barriera naturale contro i parassiti della vite. Qui come in molte aziende si sta virando verso la coltura biologica, che vuol dire nessun trattamento chimico e cura per ogni dettaglio. Ogni vite dà 5-6 grappoli, circa un chilo di uva per pianta, che fa 40-50 quintali per ettaro.

vigneto montalcino

Cecilia Leoneschi è l’enologa e la direttrice di produzione dell’azienda, in poche parole è colei che fa il vino.
“Oggi non so ancora quale vigneto vendemmieremo domani. Si lavora così, valutando giorno per giorno e vendemmiando dove la maturazione è perfetta. Si guarda, si assaggia, si valuta, si decide. Un settembre piovoso può compromettere un’annata perfetta, è per questo che noi diciamo spesso che finché i grappoli non sono in cantina non sono ancora nostri”.

Per fare un grande vino i particolari sono infiniti e ciascuno è fondamentale, un solo errore nel corso dell’anno può rovinare tutto. Si parte dal campo, “l’enologia si è trasferita in vigna, prima il vino si faceva di più in cantina, da una decina di anni a questa parte c’è molta più cura della vite e del grappolo, che deve arrivare in cantina perfetto”.

Se è vero che terreno, clima e ventilazione (in una parola, ‘terroir’) sono fondamentali, lo è ancora di più il lavoro e l’esperienza di chi lavora in vigna e in cantina. I grappoli si raccolgono a mano, si trasportano in cestelli piccoli in modo che il peso non danneggi i quelli che rimangono sotto. Una volta in cantina viene tolto meccanicamente il raspo ed eliminati a mano frammenti rimanenti, uno ad uno.

Gli acini fermentano in vasche di acciaio per alcune settimane e talvolta la macerazione si prolunga per 1-2 mesi. Dopo la svinatura, cioè la separazione tra bucce e vino ottenuto dalla fermentazione, si passa in botti di legno per 2-3 anni, poi l’imbottigliamento e il riposo in bottiglia. Il Brunello non potrà essere venduto prima di 5 anni dalla vendemmia.

La squadra dei vendemmiatori è composta da una trentina di persone, perlopiù italiani e bulgari che da anni lavorano stagionalmente per l’azienda, mentre le altre attività svolte in cantina e in vigna, inclusa la potatura, sono svolte da operai fissi che coordinano anche le squadre al momento della vendemmia.

poere capanna

“C’è chi sta bene in cantina, c’è chi sta bene in vigna – racconta Cecilia – difficilmente i due ruoli sono intercambiabili, è questione di indole e di sensibilità. Ci sono figure storiche, ad esempio c’è Moreno, suo padre e suo zio lavoravano qua, lui è nato in una delle ville della tenuta e oggi fa il cantiniere. Poi ci sono i ragazzi che iniziano con la vendemmia e piano piano diventano figure professionali importanti per l’azienda”.

L’annata 2016 ha avuto un’estate fresca, questo significa maturazione lenta e lievemente posticipata. Un’annata qualitativamente buona sia per i bianchi che avranno bei profumi e bella acidità, sia per i rossi che hanno avuto maturazioni pressoché perfette.

Per assaggiare però se ne parla nel 2021, quando avremo un Brunello molto equilibrato, non eccessivamente corposo e molto profumato, adatto ad un lungo affinamento in bottiglia. Un vino che avrà una lunga longevità e che, se ben conservato, potremo forse bere per venti o trent’anni.

Dal primo gennaio invece si stapperà il Brunello 2012, “sarà molto interessante da assaggiare – prevede Cecilia Leoneschi –, perché avrà picchi qualitativi a macchia di leopardo. Fu un’annata calda, certi vigneti ressero benissimo, altri daranno il vino tipico delle annate eccessivamente calde, troppo concentrati. Ci sarà da divertirsi”.

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