Prima e dopo la strage dei Georgofili: Palermo, Capaci e poi gli attentati a Roma e Milano

FIRENZE – Il prologo della strage dei Georgofili inizia un anno prima, nel 1992. Il 12 marzo viene ucciso il parlamentare europeo ed ex sindaco di Palermo, Salvo Lima. Il 23 maggio c’è l’attentato di Capaci, in cui muoiono il giudice Giovanni Falcone, sua moglie Francesca Morvillo, magistrato anche lei, gli agenti di scorta Rocco Dicillo, Antonio Montinaro e Vito Schifani. Due mesi più tardi, il 19 luglio, è la volta in via d’Amelio del giudice Paolo Borsellino e degli agenti di scorta Agostino Catalano, Emanuela Loi, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Casentino e Claudio Traina. Poi arriva il 5 novembre, quando nel giardino di Boboli a Firenze viene fatto ritrovare un proiettile di artiglieria avvolto in un sacchetto per rifiuti: l’ordigno era collocato vicino alla statua del Magistrato Cautius, inventore della cauzione, e l’episodio fu poi definito dagli inquirenti come l’anticamera delle stragi del 1993.

La prima è del 14 maggio: un’autobomba esplode a Roma in via Fauro ai Parioli, poco dopo il passaggio della vettura del giornalista Maurizio Costanzo che rimane illeso. I feriti sono ventiquattro. Il 27 maggio tocca a Firenze: un furgone imbottito di esplosivo viene fatto saltare in aria sotto la Torre dei Pulci, sede dell’Accademia dei Georgofili. Muoiono in cinque, quarantuno i feriti. La torre del Pulci viene quasi completamente distrutta e la stessa Galleria degli Uffizi subisce notevoli danni: tre dipinti furono perduti per sempre e 173 danneggiati, insieme a 42 busti e 16 statue anch’essi rovinati.

Il 27 luglio , quasi in contemporanea, altre due bombe esplodono davanti alla Basilica di San Giovanni Laterano a Roma e in via Palestro a Milano, dove muoiono un vigile urbano, due vigili del fuoco e un cittadino marocchino che passava sul lato opposto della strada.  Dodici i feriti. Il giorno dopo, il 28 luglio, un’altra vettura esplode davanti alla chiesa di San Giorgio al Velabro, sempre a Roma. Una ventina, anche in questo caso, i feriti.

Ci sono anche due attentati falliti. Il 23 gennaio 1994 non esplode una Lancia Thema imbottita con oltre 120 chili di esplosivi, parcheggiata nelle vicinanze dello Stadio Olimpico a Roma. A Formello, paese della provincia romana, il 14 aprile viene invece ritrovato dell’esplosivo sotto il ciglio di una strada dove solitamente passa il collaboratore di giustizia Salvatore Contorno.

In tribunale
ll pool di magistrati fiorentini che lavorò alle inchieste sulla stragi del 1993 era composto da Gabriele Chelazzi, Giuseppe Nicolosi e Alessandro Crini, sotto la guida dell’allora procuratore capo della Repubblica Pier Luigi Vigna, coadiuvato dal procuratore aggiunto Francesco Fleury. I responsabili materiali della strage vengono individuati velocemente. Resta ancora aperta la ricerca degli eventuali mandanti “occulti”, che Chelazzi aveva avviato e per cui l’associazione “Tra i familiari delle vittime” ha chiesto  la riapertura delle indagini.

Il processo sulla strage dei Georgofili si apre il 12 novembre 1996.  La sentenza di primo grado arriva il 6 giugno 1998, con 14 ergastoli e varie condanne.  Nel 2000 c’è la sentenza stralcio relativa a Riina, Graviano e altri, con due ergastoli. Nel 2002 la Cassazione conferma  15 ergastoli. Tra i condannati c’è Bernardo Provenzano (all’epoca latitante, fu arrestato nel 2006) e Matteo Messina Denaro (considerato, dopo l’arresto di Provenzano, il capo di Cosa nostra, è tutt’ora latitante).

Nel 2009 nuovi elementi d’accusa inducono la procura della Repubblica di Firenze, guidata da Giuseppe Quattrocchi, a chiedere la riapertura della vecchia inchiesta, archiviata, sui mandanti “occulti” delle stragi del 1993 e che vede imputato Francesco Tagliavia accusato di essere uno dei responsabili degli attentati del 92/93. I pm Quattrocchi, Nicolosi e Crini hanno motivato la richiesta di riapertura dell’inchiesta con l’esigenza di nuove indagini che prendono spunto dalle rivelazioni dei collaboratori di giustizia, uno dei quali, Spatuzza, direttamente coinvolto nell’esecuzione dell’attentato di via dei Georgofili.

Al processo si costituiscono trenta parti civili con Regione, Comune e Stato. Alti esponenti delle istituzioni come Mancino e Conso sono chiamati a testimoniare sulla presunta “trattativa” che sarebbe intercorsa con Cosa nostra per l’eliminazione del 41 bis, quale movente mafioso per le stragi del 1993. Il 5 ottobre 2011  boss mafioso Francesco Tagliavia viene condannato all’ergastolo per tutte le stragi del ’93 di Roma, Firenze e Milano. La sentenza è la prima che riconosce la piena attendibilità del pentito Gaspare Spatuzza, l’ex reggente del mandamento di Brancaccio.

Un nuovo processo si apre il 27 maggio 2013 per la cosiddetta “trattativa Stato-mafia”. Il 20 aprile 2018 la Corte di Assise di Palermo condanna  il boss mafioso Leoluca Bagarella a 28 anni di reclusione, il boss mafioso Antonino Cinà a 12 anni,  l’ex senatore Marcello Dell’Utri e gli ex vertici del Ros Antonio Subranni e Mario Mori a 12 anni, l’ex colonnello Giuseppe De Donno a 8 anni. Viene assolto l’ex ministro Nicola Mancino, mentre interviene la prescrizione per il pentito Giovanni Brusca.

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Dopo l’incidente del Boeing 737 MAX che ha causato 157 vittime non tutte le compagnie proprietarie di questo tipo di velivolo hanno deciso di sospenderlo dalle operazioni.

Addirittura anche spazi aerei sono stati chiusi al sorvolo di questo tipo di aereo e comunque, dove continua a volare, sono i passeggeri stessi ad essere scettici sul suo impiego.

Oggi, nel sito www.air-accidents.com è stata pubblicata una newsletter dal titolo "LA VERITA’ SUL 737 MAX" che pubblichiamo qui a seguire:

 

Due incidenti su 350 velivoli dello stesso modello in circolazione sono troppi, inutile nasconderlo.
Per rimanere a casa Boeing, del modello 787 sono in circolazione dal 2011 789 aerei e ad oggi si registrano zero incidenti mortali.
E’ evidente che il 737MAX ha qualcosa che va rivisto e corretto.
Tuttavia possiamo dire che i due incidenti non debbono aver troppo colto di sorpresa gli addetti ai lavori d’oltreoceano.
A febbraio di quest’anno, quindi con un "solo" incidente alle spalle, quello di Lion Air del 29 ottobre, sul prestigioso quotidiano International New York Times (1) si poteva leggere quanto segue:

 

“By limiting the differences between the models, Boeing would save airlines time and money by not putting their 737 pilots in simulators for hours to train on the new aircraft, making a switch to the Max more appealing” [Minimizzando le differenze tra i modelli, Boeing salverebbe tempo e denaro alle compagnie aeree evitando di non mettere per ore i loro piloti di 737 ai simulatori per addestrarsi sul nuovo velivolo, rendendo il passaggio a Max più accattivante]

 

In questa frase è contenuta la spiegazione dei due incidenti che hanno funestato la breve entrata in servizio del 737MAX: non si tratta di un nuovo modello che fa solo risparmiare il carburante rispetto ai modelli precedenti, non si tratta di un nuovo aereo a più autonomia e che porta più carico pagante dei precedenti….è un modello che, se scelto dalle compagnie aeree, può essere subito messo in linea senza bisogno di spendere denaro per istruire i piloti.

E’ un extra appeal che nella serrata competizione fra i due giganti Airbus e Boeing non va sottovalutato.
Ma… l’aereo presenta differenze strutturali che possono più facilmente portare il velivolo allo stallo di quanto non facciano i modelli precedenti.
In particolare i più potenti motori e il loro nuovo collocamento avrebbero destabilizzato il velivolo alle basse velocità, nelle manovre di strette virate e quelle che in gergo vengono definite di high-bank.
Come ottenere la certificazione bypassando l’ostacolo dell’addestramento obbligatorio?
La soluzione escogitata alla Boeing è stata quella di dotare il programma dei computer di bordo di un software aggiuntivo di protezione in grado di controbilanciare le forze derivanti dai nuovi motori: nasce così l’ M.C.A.S. di cui
tanto si parla in queste ore.
Questa politica di “minimizzare” la nuova potenza dei motori e soprattutto gli effetti che essi potevano provocare in particolari manovre spiegherebbe il perché del tempestivo aggiornamento a posteriori del manuale operativo, fatto questo che quando reso noto ha provocato le vibrate proteste da parte delle associazioni dei piloti le quali hanno dichiarato che da subito dovevano venir informate in merito alle innovazioni introdotte.

 

Conclusione: Il nuovo modello per quanto maggiorato doveva venir presentato come una semplice evoluzione della serie 737, una evoluzione naturale da non richiedere alcun addestramento.
Ma evidentemente dobbiamo supporre che i piloti di Southwest che hanno in linea 34 B737 MAX ed hanno effettuato oltre trentamila decolli con questo aereo senza alcun problema, avevano una conoscenza e una
formazione circa le innovazioni di cui esso era dotato, che altri piloti in altri continenti non hanno avuto. (2)

 

La volete ancora più semplice?
Ebbene se il vostro pilota sa che è al comando di un nuovo velivolo che vanta innovativi aggiornamenti potete stare tranquilli.
Se viceversa crede che sta portando un “semplice” 737 correrete dei seri rischi.

 

Antonio Bordoni

(1) “Jet’s software was updated. Pilots weren’t” del 5 febbraio 2019
(2) Ad oggi nessun vettore USA ha messo a terra la sua flotta di 737MAX
Safety Newsletter 10/2019 del 13 Marzo 2019

 

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Come scritto nel sottotitolo di questo pezzo normalmente i passeggeri non sanno su che tipo di aereo viaggeranno ma ora, dopo tutto questo parlare e le precauzioni prese da compagnie aeree e governi, appare chiaro che in molti, dove il Boeing 737 MAX continua a volare, rifiuteranno di salirci.

La Boeing è una colossale compagnia aeronautica che di sicuro, essendo dotata di risorse e competenze, porrà rimedio in tempi brevi alle cause che hanno determinato le due recenti sciagure aeree.

 

Al momento  Stati Uniti e Canada stanno continuando a tenere in volo il 737 MAX ma la lista delle compagnie che lo stanno tenendo a terra, in attesa di istruzioni tranquillizzanti o modifiche al software di navigazione, si allarga sempre di più.

Tante le prese di posizione e cominciano a fioccare le richieste di risarcimento milionarie; a seguire riportiamo, a titolo di esempio, uno dei tanti commenti espressi dai vertici delle compagnie:

 

“In merito alla sospensione temporanea delle operazioni dei Boeing 737 MAX da parte di diverse autorità aeronautiche, abbiamo deciso di non operare voli utilizzando questo tipo di aeromobile, fino a nuovo avviso delle autorità aeronautiche competenti. Vorremmo chiedere scusa ai nostri clienti per gli eventuali inconvenienti causati ma la sicurezza rimarrà sempre la nostra massima priorità” – ha affermato Tomas Hesthammer, Chief Operating Officer di Norwegian.

Master Viaggi News – News Mondo (Ultime 10 News Inserite)

”Ciociaria Oggi” compie trent’anni e li festeggia alla grande ripercorrendoli passo dopo passo.

La storia di un giornale che per arrivare fin qui è dovuto passare attraverso tante burrasche ma che continua ad essere un preciso punto di riferimento per il "suo" territorio. 

Il Grand Hotel "Palazzo della Fonte" è stato il palcoscenico ideale per la grande festa che, giustamente, "Ciociaria Oggi" si è voluta concedere per ripercorrere, passo passo, gli ultimi tre decenni che l’hanno vista protagonista nella provincia di Frosinone.

 

Una festa per ribadire la sua presenza sul territorio, una piccola gioiosa pausa prima di ripartire alla conquista dei prossimi trent’anni; eh sì, come tutti i giornali di carta anche "Ciociaria Oggi" dovrà fare i conti con la concorrenza del web però, grazie ad un imprenditore visionario, ma anche molto pragmatico, potrà farlo avendo a disposizione i mezzi necessari per gestire la non facile transizione.

Tre anni fa le cose non stavano andando molto bene per i giornale che nel 1988 fu fortemente voluto da Giuseppe Ciarrapico (in qualità di gestore delle terme di Fiuggi veniva chiamato il re delle acque) la leggenda narra che l’idea di una testata locale gli venne a New York constatando che un giornale cittadino riusciva a vendere molto pur trovandosi nella roccaforte del "New York Times".
Ciarrapico, che fu poi anche senatore del PDL, profuse tutto il suo impegno e mise in campo molte risorse per portare al successo "Ciociaria Oggi".

 

Nel 2015, dopo circa 10 anni in cui la testata si era trovata costretta a navigare a vista, un altro uomo, parimenti innamorato della Ciociaria, Valter Lozza, dopo aver verificato che il giornale poteva contare su una squadra collaudata di professionisti dell’informazione, decise di tentarne il rilancio per restituirgli un ruolo di primo piano nella provincia di Frosinone e non solo.

I numeri attuali, presentati nel corso della festa dei trent’anni, dimostrano che "Ciociaria Oggi", potendo disporre dei mezzi necessari, di nuove tecnologie e adeguati piani di marketing, è tornato ad assumere un ruolo di primo nel suo territorio di riferimento.

 

Come detto i tempi non sono facili per nessun giornale cartaceo e lo sanno bene le più importanti testate nazionali che hanno dovuto fortemente ridimensionarsi a causa della drastica riduzione delle copie vendute, oggi fino al 70% in meno rispetto a 10 anni fa; solo pochissime hanno saputo recuperare una parte dei lettori persi con gli abbonamenti online.

Tuttavia, e questo è confortante, ci sono delle realtà come "Ciociaria Oggi" che sembrano essere riuscite ad invertire la tendenza ma, essendo consapevoli che questo "limbo" non potrà durare a lungo, stanno mettendo in campo sia risorse che professionalità di livello, quali quella, nello specifico, di Massimo Pizzuti, editore che sa il fatto suo.

 

Auguri dunque a "Ciociaria Oggi" e a tutti i colleghi che vi lavorano con entusiasmo, senza il quale, è bene ribadirlo, non si sarebbero potuti conseguire i risultati attuali.

 

Nella foto: da sinistra Massimo Pizzuti e Valter Lozza

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Salvini propone a Berlusconi la federazione il giorno dopo che Silvio è (ri)sceso in campo. I movimenti di Alfano e Parisi

Questa volta, dopo una serie di false partenze, per la riscossa del centrodestra potrebbe veramente essere la volta buona. Gli indizi delle ultime ore sono troppo importanti per essere derubricati a ennesimo fuoco di paglia sulla strada della ricomposizione dei rapporti tra Silvio Berlusconi e Matteo Salvini, preludio a quell’alleanza organica che i consiglieri più stretti dell’ex-Cavaliere (governatore della Liguria Giovanni Toti in testa) hanno sempre ritenuto imprescindibile, anche quando il leader di FI aveva puntato sul progetto moderato di Stefano Parisi. Al punto che, rispondendo a domanda, già arriva a ritagliarsi il ruolo di ministro dell’Interno. E di rivelare già un’ipotesi di nome, dagli echi trumpiani: “Prima gli italiani”.

Il segnale più importante del cambio di passo, che ha fatto letteralmente esultare gli azzurri filoleghisti davanti allo schermo quasi si trattasse di una goal della Nazionale, è la parola “federazione”, pronunciata dal segretario leghista questo pomeriggio a “In mezz’ora” rispondendo a una domanda sulle prospettive di alleanza con Forza Italia. Ma ciò che ha lasciato intendere che Salvini dicesse sul serio, e che non si limitasse a frasi buttate lì per la circostanza, è l’atteggiamento del tutto inedito che il leader leghista ha tenuto sulla questione del rapporto con l’Europa, per il quale ha adottato dei distinguo e delle cautele che finora non erano mai stati nelle sue corde, come per esempio il negare di essere in assoluto antieuropeista, e il marcare una differenza su questo tema con Marine Le Pen e i movimenti sovranisti del resto d’Europa, dopo averli lungamente rincorsi nei mesi precedenti.

E soprattutto dopo lunghe e reiterate polemiche contro il Cavaliere per la militanza del suo partito nel Ppe. Troppo ghiotta, dopo la diffusione degli ultimi sondaggi sulle intenzioni di voto degli italiani, deve essere apparsa a entrambi la situazione per non tentare di approfittare al meglio del momento di crisi del Pd e per non sfruttare la legge elettorale a proprio favore con una formula che consenta di arrivare a un premio di maggioranza difficilmente raggiungibile da un M5s in solitaria, seppure in forma. Silvio Berlusconi, che ha declinato nelle ultime ore i sondaggi come un mantra, non a caso è tornato all’iniziativa politica con l’intensità dei tempi migliori, sperando nella riabilitazione della corte di Strasburgo ma specificando che sarà al centro della scena politica a prescindere dall’esito della sentenza.

E in attesa del centrodestra 2.0, l’ex-Cav ha ripescato i ferri del mestiere, fiutando il vento (magari un risultato positivo al prossimo giro di amministrative) ed è tornato a parlare dal vivo al proprio elettorato di riferimento con una verve che sembrava perduta, proponendo la pensione minima a mille euro per tutti, nel solco di quanto fatto nel 2001 all’esordio del suo secondo governo o nel 2008 con l’abolizione dell’Ici, con una strizzatina d’occhio questa volta anche agli amici di cani e gatti, cosa che oggi pare aiutare molto nel rapporto con l’elettorato. Il polo moderato a cui guardare, d’altra parte, sembra evaporare con un’operazione, quella dello scioglimento di Ncd e della creazione di Alternativa popolare da parte di Angelino Alfano, più simile a un rompete le righe che a una rifondazione dei centristi. I primi segnali dello smottamento arrivano da Maurizio Sacconi, che ha annunciato di volere aderire al movimento “Energie per l’Italia” di Stefano Parisi, ma non manca chi, all’interno della formazione alfaniana, guarda direttamente al Pd di Matteo Renzi, a partire da chi ha fatto parte del suo governo.
Notizie Italy sull’Huffingtonpost

Dopo la “bomba Verdini”, alcuni dei suoi chiedono per lui un ruolo più marginale: “Non sia più il frontman”

Una sentenza così non se la aspettava nessuno. Che il Tribunale di Firenze condannasse Denis Verdini in primo grado nell’ambito del processo per il crac del Credito cooperativo fiorentino era messo in conto, ma i nove anni di reclusione con interdizione perpetua dai pubblici uffici sono stati una bomba per il gruppo Ala del Senato e per quello di Ala-Scelta civica della Camera. Nel day after si registra lo smarrimento generale e la richiesta, da parte di alcuni, che il senatore toscano abbia in futuro un ruolo sempre più marginale all’interno del nuovo soggetto politico che i cosiddetti verdiniani e i transfughi di Scelta civica dovrebbero far nascere già questo mese in vista delle prossime elezioni.

Il gruppo della Camera intanto vacilla, qualcuno è in bilico . Almeno due deputati provenienti da quella che fu Scelta Civica non nascondono la loro delusione e anche la voglia forse di tornare con il gruppo che adesso ha preso il nome di Civici innovatori. Si temporeggia per vedere cosa succederà nei prossimi giorni. Appunto, se ci sarà la convention per fondare un nuovo soggetto politico: “Ci siamo uniti per fare un percorso insieme, nella consapevolezza che bisognasse superare Scelta Civica e Ala”, spiegano alcuni di Sc, per il quali: “Adesso bisogna cambiare in qualcosa di nuovo e Verdini non può più avere quel ruolo che aveva prima, insomma non potrà più essere il frontman”.

Uno dei colonnelli di Verdini, tra i più vicini, dice però di non essere affatto preoccupato di eventuali emorragie, anzi. Se qualcuno degli ultimi arrivati andrà via – questo è il ragionamento – è anche meglio. “In vista delle elezioni se vanno via 6-7 persone si liberano posti in lista. Anche perché sono persone che non hanno voti, in questo modo noi avremmo più candidature da offrire”.

Al Senato per adesso il gruppo tiene a parte i due, Giuseppe Ruvolo e Riccardo Conti, che hanno lasciato Denis Verdini poche settimane fa per passare con l’Udc. Fughe immediate non dovrebbero essere in programma, ma è possibile che nelle prossime settimane qualcuno provi ad riavvicinarsi a Forza Italia, annusando i colleghi di Palazzo Madama ma gli azzurri garantiscono: “È complicato un loro rientro alla vigilia delle elezioni”. Insomma, Silvio Berlusconi è una persona buona ma i suoi non glielo permetteranno o comunque saranno gli ultimi a poter pretendere un posto lista.

Notizie Italy sull’Huffingtonpost

La Russia fa paura, la Svezia ripristina il servizio militare. Saranno chiamati alle armi i nati dopo il 1999

La corsa al riarmo contagia perfino la Svezia. O meglio, l’incremento delle spese militari annunciato da Donald Trump e l’intenzione di reagire della Russia costringono la Svezia a correre ai ripari, ripristinando il servizio militare a 7 anni dalla sua abolizione.

La Svezia ha annunciato oggi che il servizio militare, soppresso nel 2010, sarà ripristinato nel 2017 per rispondere all’evoluzione della situazione di sicurezza legata al riarmo della vicina Russia. “Il governo vuole un metodo di reclutamento più stabile e intende aumentare la nostra capacità militare perché la situazione della sicurezza è cambiata”, ha spiegato il ministro della Difesa Peter Hultqvist. Un progetto di legge apposito sarà adottato oggi in Consiglio dei ministri.

Il servizio militare obbligatorio sarà ripristinato dalla prossima estate per tutti gli svedesi nati dopo il 1999. La leva durerà 11 mesi. Circa 13.000 svedesi dovrebbe essere mobilitati a partire dal primo luglio 2017, ma solo 4.000 saranno selezionati, in base alla loro motivazione e capacità, e chiamati alle armi ogni anno dopo il primo gennaio 2018.

Il testo di legge sarà certamente approvato anche dal Parlamento, essendo oggetto di un accordo tra il governo di sinistra e l’opposizione di centrodestra. “La nuova situazione della sicurezza è una realtà che si esprime soprattutto sotto forma di una dimostrazione di forza russa che a lungo è stata sottostimata”, ha spiegato un esperto del settore, Wilhelm Agrell.

Nel 2010, la svezia, che non ha vissuto conflitti armati nel suo territorio per più di due secoli, aveva rimosso la coscrizione, introdotta per la prima volta nel 1901 ma ritenuta inadeguata alle esigenze di un esercito moderno. La Svezia non fa parte della nato ma ha sottoscritto il partenariato per la pace, programma lanciato nel 1994 per sviluppare la cooperazione militare tra Alleanza Atlantica e paesi non membri.
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Pillola del giorno dopo, un’assoluzione del Tribunale di Gorizia apre la questione dell’obiezione di coscienza fra i farmacisti

Il tribunale di Gorizia ha assolto una farmacista accusata di omissione o rifiuto di atti d’ufficio perché aveva negato la pillola del giorno dopo. È la prima volta che accade. I fatti risalgono a tre anni fa: la cliente si era presentata con prescrizione medica, rilasciata con l’indicazione di assumere il farmaco in giornata. Ma la collaboratrice della farmacia comunale aveva invocato l’obiezione di coscienza. Le motivazioni dei giudici verranno presentate nelle prossime settimane.

Sull’obiezione di coscienza dei farmacisti giace da maggio scorso alla Camera una proposta di legge a firma dei deputati Gian Luigi Gigli, presidente del Movimento per la Vita, e Mario Sberna, entrambi di Democrazia Solidale – Centro Democratico. Per consentire a chiunque lavori in una farmacia, pubblica o meno, “di rifiutarsi, per motivi di coscienza, di consegnare a chi glielo richieda, anche esibendo prescrizione medica”, qualsiasi dispositivo “che il professionista giudichi atto a produrre effetti anche potenzialmente abortivi” o “prescritto ai fini della sedazione terminale”.

Non esattamente la posizione di Federfarma, la Federazione nazionale che rappresenta oltre 16.000 farmacie private convenzionate con il Servizio sanitario nazionale. “L’obiezione di coscienza non è contemplata ed è giusto che sia così”, dice la presidente, Annarosa Racca. “La pillola del giorno dopo e la pillola dei cinque giorni dopo non sono farmaci abortivi, ma contraccettivi di emergenza, che ritardano o inibiscono l’ovulazione”, aggiunge Federconsumatori. Annarosa Racca assicura che quello di Gorizia è “un caso isolato”. “Tra il 2014 e il 2016 le vendite sono cresciute di oltre il 660%: è evidente che le farmacie fanno il loro dovere”.

Ma quanti sono i farmacisti obiettori in Italia? “Tanti, sicuramente più di quanti hanno il coraggio di dirlo”, assicura Piero Uroda, presidente dell’Unione Cattolica Farmacisti Italiani e titolare di una farmacia a Fiumicino. “Io l’ho sempre detto. Mi hanno denunciato e mi hanno prosciolto in istruttoria”, dice. “Sappiamo di essere in minoranza, e non tutti abbiamo la volontà di porgere la faccia agli sputi come ha fatto nostro Signore”.

“Ci arrivano molte chiamate di donne che incappano in questi episodi”, racconta dal fronte opposto Elisabetta Canitano, presidente dell’associazione Vita di Donna e ginecologa presso la Asl Roma D. “L’ultima donna con cui ho parlato io era in lacrime. Più che obiezione fanno ostruzionismo: se una ragazza arriva chiedendo di prendere la pillola del giorno dopo, magari un po’ spaesata, la rimandano al mittente anche se maggiorenne. Quello che consigliamo è di presentarsi sicure e dire: ho più di diciotto anni, questo è il mio documento, devo acquistare la pillola del giorno dopo”.

Già, perchè la ricetta non è neanche più necessaria per chi è maggiorenne. L’obbligo è stato abolito da maggio 2015 per la EllaOne, mentre per la Norlevo, in vendita in Italia da più di dieci anni, è caduto a marzo. “Dovevano essere finiti quei tempi in cui le donne andavano in giro di notte tra ospedalieri ostili, medici obiettori e lavate di cervello perché ‘che fai, fai sesso e adesso la vuoi risolvere così semplicemente?’. Non voglio parlare male dell’intera categoria dei farmacisti, anzi”, dice la dottoressa Canitano. “Ma contesto questo desiderio di decidere e di autonomia. Se uno vuole decidere cosa deve prendere un paziente fa il medico, non il farmacista. Siamo noi che curiamo i pazienti, non loro”.

“Chiediamo di non essere disturbati ed essere tutelati”, risponde Piero Uroda. “Non dobbiamo perdere posti di lavoro e non ci deve essere discriminazione. Se un farmacista ritiene che quello che gli si sta chiedendo è ammazzare un essere piccolo, ma con un’anima, deve poter non essere complice. L’aborto è un delitto”. L’Agenzia Italiana del Farmaco spiega che la pillola del giorno dopo è un contraccettivo, che agisce inibendo o spostando l’ovulazione in avanti di qualche giorno. Ma gli obiettori di coscienza non ci stanno: “Il maestro delle bugie è il diavolo”, dice Uroda. “L’effetto antinidatorio vuol dire che l’endometrio, che è il tessuto in cui l’ovulo concepito si attacca e comincia a nutrirsi, invece che spugnoso diventa impermeabile. L’ovulo non attacca e viene quindi espulso con l’urina. Ma quella cellula è già un’anima”. E gli studi della comunità scientifica? “Falsi”.

E l’autodeterminazione della donna? “Pensa che una donna possa entrare in una banca, fare una rapina ed essere considerata non colpevole?”. L’interruzione di gravidanza entro i tre mesi in Italia è legale. “Lo dice lei. La legge 194 è stata interpretata in modo lassista: l’aborto è legale solo in caso di pericolo, come per le gravidanze extra-uterine. E poi la donna ci deve pensare prima. Ti sei portata un uomo in casa, all’ultimo dici di no e subisci violenza? Ci dovevi pensare prima. Se non vuoi un bambino sai come fare. La sessualità esagerata comporta rischi per tutti. Per le ragazze è più facile non sapere nemmeno cosa hanno in testa. Bisogna educare alla castità e all’affetto, non a giocare col sesso e con le pornografie”. E in caso di stupro? “Devono portare avanti la gravidanza e poi, eventualmente, dare quel figlio a terzi”. E quei nove mesi come li passa, quella donna? “Figliola mia… C’è tanta gente che passa mesi brutti…”.
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Andrea Bocelli rifiuta di esibirsi per Donald Trump dopo le polemiche. Ma il presidente ribatte: “Mai invitato”

L’ira dei fan avrebbe convinto Andrea Bocelli a non esibirsi alla cerimonia di insediamento di Donald Trump: a riferirlo sono alcune fonti al New York Post, secondo le quali il tenore italiano ha deciso di fare un passo indietro perché “la situazione si stava animando troppo”.

Nei giorni scorsi, dopo che si è diffusa la notizia di una sua possibile esibizione a Washington il 20 gennaio, i suoi fan sono insorti minacciando di boicottarlo e lanciando l’hashtag #BoycottBocelli. “Secondo Trump Bocelli non canterà a causa del contraccolpo della notizia – hanno affermato le fonti – e ha sottolineato come sia triste che la gente di sinistra faccia sì che non si esibisca in un giorno storico”.

Il presidente in pectore è un grande sostenitore del tenore, che ha già cantato per lui ad una festa privata nel suo resort Mar-a-Lago, in Florida. I due si sono anche incontrati di persona la settimana scorsa alla Trump Tower, come ha confermato la consigliera del tycoon, Kellyanne Conway.

In seconda battuta tuttavia pare che The Donald abbia tuonato di non aver mai chiesto ad Andrea Bocelli di esibirsi per la cerimonia di insediamento a Washington: lo ha detto Tom Barrack, presidente del Presidential Inaugural Committee, in un’intervista a Cnbc.

“Bocelli e la moglie sono amici di Trump”, ha affermato, precisando che il tenore avrebbe preso in considerazione l’idea di esibirsi se il tycoon glielo avesse chiesto. “Ma Donald gli ha detto: ‘non c’è bisogno, grazie per l’offerta, sarai sempre benvenuto alla Casa Bianca”, ha continuato a raccontare Barrack. Commentando le notizie dei media Usa secondo le quali Bocelli avrebbe rifiutato di cantare, ha poi sottolineato: “Le cose non sono mai arrivate al ‘puoi venire… verrai…
verresti…’ sono solo grandi amici, ecco tutto”.

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Corea del Sud, impeachment per la presidente Park dopo lo scandalo corruzione: “Chiedo scusa”

Il Parlamento della Corea del Sud ha votato a favore dell’impeachment per la presidente Park Geun-hye, in relazione a uno scandalo di corruzione, sospendendo i suoi poteri. La Corte costituzionale deciderà se confermare la mozione e rimuovere Park dall’incarico o respingerla e reintegrare il capo di Stato in servizio. Park Geun-hye ha rinnovato le scuse al Paese e ha sollecitato tutti i ministri a “minimizzare il più possibile” il vuoto di governo stabilizzando e a stabilizzare “il sostentamento della popolazione”.

Il via libera all’impeachment è giunto ad ampia maggioranza, con 234 voti a favore e 56 contrari, il che significa che anche decine di membri del partito conservatore Saenuri della presidente hanno sostenuto la mozione per rimuoverla dall’incarico. Perché il testo passasse era necessario il sì di almeno 200 deputati sui 300 seggi da cui è composto il Parlamento. Sette voti sono risultati nulli, due persone si sono astenute e un parlamentare non ha partecipato alla votazione. Per decidere, la Corte costituzionale ha 180 giorni di tempo, e intanto i poteri di Park vengono assunti immediatamente ad interim dal primo ministro in carica, Hwang Kyo-ahn.

Park, 64 anni, è accusata di collusione con un’amica ed ex collaboratrice per fare pressioni su grandi imprese affinché facessero donazioni a due fondazioni messe in piedi per sostenere le sue iniziative politiche. Rischia di essere accusata, fra le altre cose, di abuso di potere e corruzione. Il mandato di Park, che dura cinque anni, doveva scadere a febbraio del 2018. La presidente ha negato di avere commesso reati, ma si è scusata per quella che ha definito disattenzione nei rapporti con l’amica Choi Soon-sil. Park è da settimane sotto pressione affinché si dimetta, ma questa settimana ha detto che avrebbe aspettato il pronunciamento della Corte sul voto di impeachment. Nelle ultime sei settimane manifestazioni di massa si sono tenute nella capitale Seul ogni sabato per spingerla a lasciare e i sondaggi mostrano grande sostegno dell’opinione pubblica al suo impeachment. Esiste un precedente nella storia della Corea del Sud: nel 2004 il Parlamento approvò l’impeachment per l’allora presidente Roh Moo-hyun; i suoi poteri furono sospesi per 63 giorni, ma poi la Corte costituzionale ribaltò la decisione dell’aula.


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La sinistra dibatte cosa sarà dopo il referendum. Consapevole di avere tanti padri nobili, ma che le manca un figlio

Se a sinistra c’è vita bisogna rimettere insieme i pezzi, perché quella che un giorno era chiamata “plurale”, oggi è sparpagliata. Il referendum è lo spartiacque. Qualcuno ci crede, come l’associazione “Alternative” che a Roma ha messo in piedi tre giorni di dibattiti, dal sindaco di Napoli Luigi De Magistris a Gianni Cuperlo, passando per Massimo D’Alema e Massimiliano Smeriglio. Ma soprattutto i movimenti e l’associazionismo romano che non rinuncia a farsi soggetto politico diffuso.

Il No al referendum come base per ricostruire qualcosa di diverso “fuori dai recinti”, come ci dicono gli organizzatori che scuotono la testa ai tentativi che ruotano intorno a Sel e al suo prossimo superamento. L’idea che porta De Magistris è carica di suggestione, quel municipalismo che mette radici anche all’estero e vuole addirittura superare il concetto di sinistra. “Andrò a Parma da Pizzarotti ma solo per raccontare l’esperienza napoletana” ci dice, non credendo all’ipotesi di un partito dei sindaci. Intorno ai cinque anni della Milano di Giuliano Pisapia, al cagliaritano Massimo Zedda (né col Pd né con Sel che lo ha eletto), vicino a esperienze come quelle della Regione Lazio: sono tutti terreni di confronto dai quali Alternative vuole ripartire senza identificare un punto d’arrivo.

“Se vince il No per il centrosinistra si apre una speranza” dice Massimo D’Alema che vuole portare avanti “solo” questa battaglia referendaria, per poi tornare alla sua fondazione di studi socialisti a Bruxelles. Un’idea però ce l’ha e non è quella che porta a una sinistra che si guarda allo specchio, residuale, “perché stare in minoranza non mi ha mai appassionato”. Elezioni americane, i nuovi populismi, la debolezza dell’Europa: per questi pezzi di sinistra sono terreni di sfide cruciali ma “nessuna scorciatoia nazionalista potrà servire a recuperare terreno” dice Smeriglio. Sul punto, la critica dura a Renzi che togliendo la bandiera europea ha solo fatto “un giochino di marketing politico di bassa lega”, una trumpizzazione solo in funzione della campagna referendaria. D’Alema lo segue avvertendo che l’Italia “non ha nessun interesse a indebolire l’Europa” e la risposta di Jean Claude Juncker a Trump è stata “dignitosa”.

Si torna al referendum ma al solo pensiero che con una nuova legge elettorale la riforma renziana si possa digerire, richiama il sarcasmo dalemiano . “Ci dovrebbero essere dei limiti costituzionali all’ingenuità” dice riferendosi al documento firmato da Gianni Cuperlo, “un fogliettino di cose senza senso perché, se vince, Renzi va alle elezioni, chiaro come il sole”. Più volte scatta l’applauso, ci sono alcune centinaia di persone, molte delle quali politicamente orfane, a cui D’Alema ricorda che il partito di Renzi ha estromesso un bel pezzo di sinistra. Tuttavia sfugge anche solo all’idea di poter essere un punto di riferimento per ciò che a sinistra spunterà dopo il 4 dicembre. Anche perché in sala si sente dire che la sinistra di padri nobili ne ha molti. Forse è un figlio quello che le manca.
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