Donald Trump vago sul conflitto israeliano-palestinese. Stop alla soluzione dei “due Stati”, ma freno ai coloni

Il presidente americano ha gettato a mare decenni di politica estera americana dicendo che per la soluzione del conflitto israelo-palestinese gli stanno bene sia la soluzione dei “due stati per due popoli” che la confluenza dei palestinesi in uno stato unico con Israele ma ha insistito, guardando in faccia Netanyahu, che per arrivare a un accordo “è evidente” che gli uni e gli altri “dovranno accettare compromessi”.

Trump ha accolto alla Casa Bianca il premier israeliano in una giornata turbolenta per la politica americana: le dimissioni forzate del Consigliere per la sicurezza nazionale, sotto accusa per i suoi contatti con personaggi russi legati all’Intelligence di Mosca durante la campagna elettorale e nelle settimane successive al voto di novembre, hanno in qualche modo relegato in secondo piano la visita di Netanyahu ma il cerimoniale è stato modificato per soddisfare le necessità d’immagine dell’ospite. Non si era mai visto, infatti, una conferenza stampa congiunta prima dei colloqui bilaterali. La diretta, trasmessa in Israele all’ora di punta tv, voleva rafforzare Netanyahu che rischia un’incriminazione per corruzione e che appare indebolito all’interno della coalizione di estrema destra.

Trump ha ribadito il rapporto privilegiato che esiste tra Usa e Israele, ha criticato l’Onu per le sue posizioni “troppo filo-palestinesi”, e ha ripetuto la sua intenzione di arrivare a una soluzione del conflitto israelo-palestinese come aveva dichiarato più volte durante la campagna elettorale. Come? E’ la domanda che si sono chiesti molti in questi mesi. Netanyahu ha sorpreso lo stesso Trump annunciando che la Casa Bianca sta studiando un “approccio regionale” al conflitto. Ossia non più un negoziato bilaterale, peraltro fermo da anni, ma qualcosa di non specificato con la collaborazione di stati arabi mediorientali che si sono avvicinati a Israele. L’Egitto sarebbe uno di questi. L’altro, probabilmente, l’Arabia Saudita con a fianco gli emirati del Golfo. Sono paesi sunniti, alleati degli Usa che si sono avvicinati a Israele in virtù del loro comune odio per l’Iran sciita, odio condiviso da Trump sempre critico dell’accordo con Teheran sul nucleare firmato dal suo predecessore Obama. Non una parola, nella conferenza stampa, su come il presidente vede la fine dell’occupazione israeliana della Cisgiordania e di Gerusalemme Est cominciata nel giugno 1967, quasi 50 anni fa.

Donald Trump subisce l’influenza di suo genero molto vicino agli ambienti dei coloni e che ha nominato consigliere speciale per il dialogo israelo-palestinese. È possibile, ascoltate le sue dichiarazioni per ora vaghe, che il presidente stia pensando a una di due delle formule avanzate dalla destra israeliana. Una vede prevede la trasformazione di Israele, con l’annessione delle Cisgiordania per creare uno stato unico dal Mediterraneo al fiume Giordano: i suoi promotori ritengono che secondo proiezioni demografiche gli arabi palestinesi resterebbero in minoranza. Proprio in queste ore, Saed Erekat, il principale negoziatore palestinese, si è detto non contrario a uno “stato unico democratico” se agli arabi venissero riconosciuto i “medesimi diritti” degli israeliani. Un’altra idea, non nuova, vede una complessa formula di confederazione tra Israele, la Cisgiordania occupata e la Giordania. Netanyahu non si è sbilanciato e, forse per paura delle reazioni negative di chi nella sua coalizione è ancora più a destra, si è rifiutato di pronunciare la frase “due stati per due popoli” che era, almeno formalmente, parte della sua piattaforma politica-diplomatica.
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Justin Trudeau ha mostrato al mondo come stringere la mano a Donald Trump

Il presidente Donald Trump ha uno strano modo di stringere la mano. Invece della classica stretta di mano, che si utilizza da sempre per dimostrare la propria amicizia, Trump strattona il braccio della persona facendo quasi perdere l’equilibrio.

Ma il premier canadese Justin Trudeau, durante la visita alla Casa Bianca, è apparso pronto per la scomoda stretta di mano.

Un video mostra Trump dare il benvenuto al primo ministro canadese. Trudeau prontamente afferra con la mano sinistra la spalla del presidente poi si avvicina a Trump neutralizzando la destabilizzante stretta di mano e assicurandosi che la sua spalla rimanga intatta.

Probabilmente Trudeau deve aver visto cosa è capitato qualche giorno fa al suo collega giapponese Shinzo Abe, in visita alla Casa Bianca. La stretta di mano tra il presidente USA e il primo ministro giapponese è durata ben 19 secondi con Trump che ha tirato verso di sé il braccio di Abe. Al termine della stretta di mano Abe è apparso particolarmente provato.

Trump ha mostrato il suo particolare stile anche durante la cerimonia di insediamento del neo-nominato giudice alla corte suprema Neil Gorsuch.

Durante l’incontro tra Trump e Trudeau c’è stata una seconda stretta di mano, questa volta all’interno della Casa Bianca. L’espressione divertita del primo ministro canadese poco prima della stretta di mano ha fatto impazzire il web.

I politici e le strette di mano complicate: non solo Trump, anche Trudeau e Obama

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Donald Trump su Vladimir Putin: “Lui sarebbe un assassino? Gli Stati Uniti non sono così innocenti”

“Io lo rispetto. Se ci andrò d’accordo si vedrà”. Donald Trump insiste nel voler impostare il rapporto con il collega russo Vladimir Putin in termini ‘diversi’. Ma lo fa questa volta con parole assolutamente inedite per un presidente degli Stati Uniti che, alle accuse mosse verso Putin, additato da qualcuno come “un assassino”, in un’intervista alla Fox News risponde: “Pensate l’America sia così innocente?”.

Una frase shock, secondo molti osservatori, sebbene non del tutto nuova. Il tycoon in campagna elettorale aveva toccato il tema più volte e anche negli stessi termini. Ma che ci torni in maniera così netta da presidente in carica, in un’intervista ‘di rito’ trasmessa come consuetudine per un presidente poco prima del Super Bowl – la finale di football americano per cui l’America si ferma e resta incollata agli schermi in tutto il Paese – suscita più di qualche perplessità. Non solo nell’opposizione, ma anche tra i repubblicani.

Il passaggio in questione è emerso da un’anticipazione del colloquio con uno degli anchor di punta di Fox, Bill O’Reilly.
“Io rispetto Putin. Rispetto molte persone, ma non vuol dire che andrò d’accordo con lui, si vedrà”, premette Trump. Sollecitato poi dal giornalista sulle accuse rivolte al presidente russo di essere “un assassino”, il tycoon non ci pensa due volte: “Ci sono molti assassini. Credi che il nostro Paese sia così innocente?”.

La polemica è immediata, il punto è il paragone che emerge dalle parole del presidente in persona tra gli Stati Uniti e la Russia di Putin. E l’imbarazzo, anche tra i sostenitori di Trump, è palpabile. “Non credo ci sia alcuna equivalenza tra la maniera in cui si comporta la Russia e gli Stati Uniti”, reagisce il leader della maggioranza repubblicana al Senato, Mitch McConnell, dopo aver messo in chiaro che, a suo avviso, Putin è “un ex agente del Kgb e un delinquente”.

“Non mi metterò a criticare ogni commento del presidente, ma io credo che l’America sia eccezionale, l’America è diversa, in nessun modo operiamo nello stesso modo dei russi. Sussiste una distinzione chiara che tutti gli americani comprendono e io non avrei caratterizzato la cosa in quel modo. Ovviamente non vedo la questione nello stesso modo” in cui la vede il presidente.

Un altro esponente di spicco del partito, il senatore Marco Rubio, twitta: “Quando mai un attivista politico dei democratici è stato avvelenato dal Gop (il partito repubblicano, ndr) o viceversa? Noi non siamo la stessa cosa di Putin!”.

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Prima telefonata tra Paolo Gentiloni e Donald Trump: al centro del collquio la Libia e il G7 di Taormina

E’ prevista per questa sera la prima telefonata tra il presidente degli Stati Uniti Donald Trump e il presidente del Consiglio italiano Paolo Gentiloni, stando a quanto si apprende da fonti della Casa Bianca. Il colloquio è fissato per le 22 circa, ora italiana.

Si tratta del primo colloquio telefonico tra il premier italiano e il nuovo inquilino della Casa Bianca. Trump chiamerà Roma dal resort di Mar-a-Lago in Florida, dove si trova per un week end con la moglie Melania e il figlio Barron. L’unico contatto tra Italia e Stati Uniti dopo l’elezione di Trump era avvenuto nei giorni scorsi con una telefonata tra il ministro della Difesa Roberta Pinotti e il segretario alla Difesa Mattis. Fu l’occasione per discutere della “forte partnership” che lega Washington e Roma ma soprattutto per sottolineare, da parte Usa, il ruolo dell’Italia nel quadrante nordafricano e in particolare in Libia.

Tema ripreso poi dal segretario di Stato Rex Tillerson a fine gennaio quando elencò una serie di punti sui quali si sarebbe mossa la collaborazione tra i due Paesi. La Libia, dove “abbiamo bisogno dell’esperienza italiana”. Ma anche l’Ucraina, dal momento che l’Italia, disse Tillerson, è un membro “responsabile dell’Unione Europea” e può contribuire a tenerla unita. E infine la Russia, in vista del G7 che l’Italia ospiterà a fine maggio a Taormina: c’è da decidere se invitare al consesso il leader del Cremlino Vladimir Putin e compiere un ulteriore passo nel processo di riavvicinamento tra Mosca e Washington che va avanti dall’avvento della nuova presidenza.

Il colloquio tra Trump e Gentiloni avviene dopo due settimane dall’insediamento del presidente Usa. Roma non rientra quindi nel “primo giro” di contatti avviato dalla Casa Bianca. Una circostanza che non sfugge, soprattutto se si ricorda la scelta di Barack Obama di accogliere l’ex premier Matteo Renzi per la sua ultima State dinner da presidente degli Stati Uniti. Dopo la diffusione dei contenuti della telefonata tra Trump e Gentiloni si inizierà a capire quali temi saranno considerati prioritari dai due nuovi leader del G7 e quale sara il corso dei rapporti con la nuova presidenza Usa.

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Proteste contro Donald Trump all’aeroporto di New York per la stretta sull’immigrazione. Primi ricorsi contro il tycoon

Sono già arrivati i primi ricorsi contro la stretta sull’immigrazione decisa dal presidente Donald Trump. Il Jfk, il principale aeroporto di New York, si è trasformato nel simbolo della protesta contro l’ordine esecutivo con il quale ha sospeso temporaneamente l’arrivo di tutti i rifugiati e delle persone provenienti da sette Paesi islamici (Iran, Iraq, Libia, Somalia, Sudan, Siria e Yemen). Centinaia di persone si sono riversate davanti ai terminal con cartelli e striscioni favorevoli all’accoglienza, chiedendo la liberazione dei passeggeri detenuti in base al nuovo bando (molti in possesso di regolare green card).

Tra le centinaia di persone che hanno protestato in favore della libertà, anche Micheal Moore, il noto regista “controcorrente”, che dai suoi account social ha sollecitato a prendere parte alla protesta e ha trasmesso una diretta sulla sua pagina Facebook. Migliaia di utenti hanno commentato e condiviso le proprie storie.

Vicinanza a chi è sceso in strada è stata espressa anche da Justin Trudeau, primo ministro canadese, che, di contro a quanto deciso da Trump, si è dimostrato favorevole all’accoglienza: “A tutti coloro che scappano dalle persecuzioni, dal terrore e dalla guerra, i Canadesi sono pronti ad accogliervi, indipendentemente dalla vostra fede religiosa. La diversità è la nostra forza”, ha scritto sulla sua pagina Facebook.

A mettere un po’ di chiarezza nella situazione è stata Ann Donnelly, giudice federale di New York, che ha emesso un’ordinanza di emergenza che temporaneamente impedisce agli Stati Uniti di espellere i rifugiati che provengono dai sette paesi a maggioranza islamica soggetti all’ordine esecutivo emanato dal presidente Donald Trump, che ha congelato gli arrivi da quei paesi per tre mesi. L’ordinanza di emergenza del giudice Donnelly annulla una parte dell’ordine esecutivo del presidente Donald Trump sull’immigrazione, ordinando che i rifugiati e altre persone bloccate negli aeroporti degli Stati Uniti non possono essere rimandate indietro nei loro paesi. Ma il giudice non ha stabilito che queste stesse persone debbano essere ammesse negli Stati Uniti ne’ ha emesso un verdetto sulla costituzionalità dell’ordine esecutivo del presidente.

I legali che hanno citato in giudizio il governo per bloccare l’ordine della Casa Bianca hanno detto che la decisione, arrivata dopo un’udienza di urgenza in una corte di New York, potrebbe interessare dalle 100 alle 200 persone che sono state trattenute al loro arrivo negli aeroporti statunitensi sulla base dell’ordine esecutivo che il presidente Donald Trump ha firmato venerdì pomeriggio, una settimana dopo il suo insediamento.


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Andrea Bocelli rifiuta di esibirsi per Donald Trump dopo le polemiche. Ma il presidente ribatte: “Mai invitato”

L’ira dei fan avrebbe convinto Andrea Bocelli a non esibirsi alla cerimonia di insediamento di Donald Trump: a riferirlo sono alcune fonti al New York Post, secondo le quali il tenore italiano ha deciso di fare un passo indietro perché “la situazione si stava animando troppo”.

Nei giorni scorsi, dopo che si è diffusa la notizia di una sua possibile esibizione a Washington il 20 gennaio, i suoi fan sono insorti minacciando di boicottarlo e lanciando l’hashtag #BoycottBocelli. “Secondo Trump Bocelli non canterà a causa del contraccolpo della notizia – hanno affermato le fonti – e ha sottolineato come sia triste che la gente di sinistra faccia sì che non si esibisca in un giorno storico”.

Il presidente in pectore è un grande sostenitore del tenore, che ha già cantato per lui ad una festa privata nel suo resort Mar-a-Lago, in Florida. I due si sono anche incontrati di persona la settimana scorsa alla Trump Tower, come ha confermato la consigliera del tycoon, Kellyanne Conway.

In seconda battuta tuttavia pare che The Donald abbia tuonato di non aver mai chiesto ad Andrea Bocelli di esibirsi per la cerimonia di insediamento a Washington: lo ha detto Tom Barrack, presidente del Presidential Inaugural Committee, in un’intervista a Cnbc.

“Bocelli e la moglie sono amici di Trump”, ha affermato, precisando che il tenore avrebbe preso in considerazione l’idea di esibirsi se il tycoon glielo avesse chiesto. “Ma Donald gli ha detto: ‘non c’è bisogno, grazie per l’offerta, sarai sempre benvenuto alla Casa Bianca”, ha continuato a raccontare Barrack. Commentando le notizie dei media Usa secondo le quali Bocelli avrebbe rifiutato di cantare, ha poi sottolineato: “Le cose non sono mai arrivate al ‘puoi venire… verrai…
verresti…’ sono solo grandi amici, ecco tutto”.

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Ecco perché Micheal Moore crede che Donald Trump “ci farà uccidere”

Se Donald Trump si rifiuterà ancora di partecipare alle riunioni quotidiane dell’intelligence, l’America si ritroverà ad affrontare seri problemi secondo Micheal Moore.

Martedì, il regista di “Bowling a Columbine” ha firmato un pesante attacco a Trump in un lungo pezzo postato su Facebook dal titolo “Donald Trump ci farà uccidere” in cui paragonava il nuovo presidente all’ex George W. Bush.

Secondo Moore, i consueti briefing sullo stato della sicurezza nazionale U.S.A sono un elemento fondamentale per guidare il paese, considerate le minacce reali che la nazione si trova ad affrontare. Bush e la sua amministrazione, afferma, hanno ignorato gli stessi rapporti per cui Trump dice di non avere tempo, quelli in cui si asseriva che Osama Bin Laden stava pianificando un attacco terroristico in territorio americano.

Da scrupoloso osservatore della vita politica, Moore ci ha avvisati che la storia si va ripetendo.

“Abbiamo già avuto un presidente così. Anche lui perse l’approvazione popolare e la maggioranza degli americani affermò di non volerlo allo Studio Ovale. Ma gli incaricati da suo fratello/governatore e da suo padre/ex-capo della CIA alla Corte Suprema misero a tacere tutto e lui venne nominato comandante in capo”, ha scritto Moore.

“Il 6 agosto del 2001, si trovava nel suo ranch in Texas per una vacanza di un mese. Quel mattino, dalla Casa Bianca gli venne trasmesso il rapporto quotidiano sulla sicurezza nazionale. Vi diede un’occhiata, lo mise da parte e andò a pescare per il resto della giornata. Di seguito, una foto di quel momento che ho mostrato al mondo in “Fahrenheit 9/11’. Il titolo del briefing recita: BIN LADEN DECISO A COLPIRE GLI STATI UNITI”. La prima pagina spiega in che modo avesse intenzione di farlo: utilizzando degli arei. George W. Bush non lasciò il ranch per tornare al lavoro per le successive quattro settimane. Durante la quinta, Bin Laden attaccò gli Stati Uniti, con degli aerei, l’undici settembre”.

L’ex presidente Bush rese pubblici i riferimenti di Moore al briefing nel 2004, durante la commissione d’inchiesta sull’undici settembre. Lo stesso Trump ha tirato in ballo l’episodio il 20 ottobre del 2015 in occasione del secondo dibattito presidenziale repubblicano.
Nel corso di un’intervista per Fox News Sunday, Trump ha affermato di non aver bisogno di aggiornamenti quotidiani sulla sicurezza nazionale, perché è “una persona intelligente”. Secondo quanto riportato, il nuovo presidente esaminerebbe l’intelligence circa una volta a settimana.

“Non c’è bisogno che me lo dicano, sapete, sono una persona intelligente. Non c’è bisogno che mi dicano la stessa cosa, con le stesse parole, ogni santo giorno”, ha affermato Trump.

Moore, naturalmente, è in totale disaccordo con questa posizione: ha scritto che è compito del presidente “prestare attenzione” e non perdere il proprio tempo a “twittare e difendere Putin”.

“A lei, signor Trump, dico questo: quando ci sarà il prossimo attentato terroristico, sarà lei ad essere accusato dal popolo americano di aver totalmente trascurato il suo dovere”, continua Moore. “Era compito SUO fare attenzione, proteggere il paese. Ma era troppo impegnato a twittare e difendere Putin, a nominare membri del Gabinetto per scardinare il governo. Non aveva tempo da dedicare ai briefing sulla sicurezza nazionale. Non creda che le lasceremo usare una versione moderna dell’incendio del Reichstag come scusa per eliminare le nostre libertà civili e la nostra democrazia”.

“Ci ricorderemo che, mentre veniva ordita una trama per uccidere gli americani, il suo tempo andava sprecato con chi, secondo lei, rappresenta la vera minaccia del paese: Alec Baldwin con una parrucca”, conclude Moore.

Di seguito, il post completo e la traduzione.

Donald Trump ci farà ammazzare. di Michael Moore

È passata una settimana da quanto Donald Trump ha ammesso di aver partecipato soltanto a “due o tre” riunioni quotidiane sulla sicurezza nazionale. Ce ne sono state 36 dal giorno in cui si è assicurato voti sufficienti per essere nominato presidente il lunedì successivo, quando il Collegio Elettorale si è riunito.
I più converrebbero sul fatto che il compito primario del leader di un paese sia tenere al sicuro il suo popolo. Per un presidente non c’è appuntamento più importante, ogni giorno, di quello in cui apprende quali sono le potenziali minacce per il suo paese. Il fatto che Trump possa ritenere troppo difficile o troppo seccante starsene seduto per 20 minuti ad ascoltare lo staff del suo intelligence che lo informa di chi sta cercando di ucciderci oggi, lascia semplicemente allibiti.
Certo, quest’uomo folle ci ha sconvolti talmente tante volte nell’ultimo anno che nessuno sembra così sorpreso o preoccupato. È capace di svegliarsi alle cinque del mattino e digitare tweet furiosi e puerili sul modo in cui viene dipinto al Saturday Night Light (Non è divertente! Inguardabile!) o denigrando il locale leader democratico eletto in Indiana, ma non ha il tempo per informarsi sulle minacce alla nostra sicurezza nazionale”.
Dunque, miei concittadini americani, quando ci sarà il prossimo attentato (e ci sarà, lo sappiamo tutti), e una volta finita la tragedia, davanti alla morte e alla distruzione che potevano essere evitate, vedrete Donald Trump affrettarsi ad incolpare chiunque tranne sé stesso. Sospenderà i diritti costituzionali. Radunerà chiunque reputi un pericolo. Dichiarerà Guerra, e il congresso Repubblicano lo spalleggerà.
E nessuno si ricorderà che non stava prestando la dovuta attenzione alla minaccia crescente. Che non stava partecipando ai briefing quotidiani sulla sicurezza nazionale. Era intento a giocare a golf, ad incontrare celebrità, a fare le tre di notte twittando di quanto sia faziosa la CNN. Ha affermato che non ha bisogno di aggiornarsi. “Sapete, credo di essere sveglio. Non ho bisogno di sentire la stessa cosa ripetutamente, ogni giorno per otto anni”. Ecco quanto affermato a Fox News l’undici dicembre quando gli è stato chiesto come mai non partecipasse alle riunioni sulla sicurezza. Non dimenticate questa data e la sua arroganza quando, l’anno prossimo, seppelliremo i morti.
Abbiamo già avuto un presidente così. Anche lui ha perso il voto popolare ed una maggioranza di americani ha affermato di non volerlo nello Studio Ovale. Ma gli incaricati da suo fratello/governatore e da suo padre/ex-capo della CIA alla corte Suprema misero fine a tutto quello, e lui venne nominato comandante in capo. Il 6 agosto del 2001, era nel suo ranch in Texas per una vacanza di un mese. Quel mattino, dalla Casa Bianca gli venne trasmesso il rapporto quotidiano sulla sicurezza nazionale. Vi diede un’occhiata, lo mise da parte e andò a pescare per il resto della giornata. Di seguito, una foto di quel momento che ho mostrato al mondo in “Fahrenheit 9/11’. Il titolo del briefing recita: BIN LADEN DECISO A COLPIRE GLI STATI UNITI”. La prima pagina spiega in che modo avesse intenzione di farlo: utilizzando degli arei. George W. Bush non lasciò il ranch per tornare al lavoro, per le successive quattro settimane. Durante la quinta, Bin Laden attaccò gli Stati Uniti, con degli aerei, l’undici settembre.
Un conto è avere un presidente che si addormenta al volante. Ma, amici miei, tutt’altra cosa è avere un presidente entrante che si RIFIUTA DI METTERSI AL VOLANTE. Quest’assoluta negligenza, la mancanza di rispetto verso le persone che lavorano per proteggerci, il primo Comandante in Capo che diventa assente ingiustificato e annuncia con orgoglio che non cambierà… questo, ve lo assicuro, porterà alla morte di tante persone innocenti.
A lei, signor Trump, dico questo: quando ci sarà il prossimo attentato terroristico, sarà lei ad essere accusato dal popolo americano di aver totalmente trascurato il suo dovere. Era compito SUO fare attenzione, proteggere il paese. Ma era troppo impegnato a twittare e difendere Putin, a nominare membri del Gabinetto per scardinare il governo. Non aveva tempo da dedicare ai briefing sulla sicurezza nazionale. Non creda che le lasceremo usare una versione moderna dell’incendio del Reichstag come scusa per eliminare le nostre libertà civili e la nostra democrazia. Ci ricorderemo che, mentre veniva ordita una trama per uccidere gli americani, il suo tempo andava sprecato con chi, secondo lei, rappresenta la vera minaccia del paese: Alec Baldwin con una parrucca”.

Questo articolo è stato pubblicato su HuffPostUsa ed è stato tradotto dall’inglese da Milena Sanfilippo.

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Donald Trump lavora alla sua squadra ma già è stallo su Rudy Giuliani come segretario di Stato

Succede tutto dietro porte chiuse, molto ai piani alti della Trump Tower sulla Quinta Strada a Manhattan dove il presidente eletto Donald Trump e il suo vice Mike Pence si incontrano per fitte consultazioni volte a definire la squadra di governo. Perchè le diverse anime politiche che hanno portato all’elezione del tycoon adesso sono in aperta collisione, sulle nomine e sulle caselle da riempire, quindi sulla linea da dare alla nuova amministrazione americana nonostante la promessa di una “rivoluzione commerciale” che “romperà con le ali globaliste sia di repubblicani che di democratici” a dare l’impronta dei suoi primi 200 giorni di lavoro. Il fronte è spaccato a partire dalla paventata nomina di Rudy Giuliani come segretario di Stato.

La conferma tarda a arrivare perchè la scelta è controversa: in queste ore si ricorda infatti un potenziale conflitto di interessi date alcune attività di consulenza dell’ex sindaco che rimandano ad alcuni paesi chiave, dal Venezuela di Hugo Chavez all’Arabia Saudita. Se ne era già parlato quando nel 2007 Giuliani aveva tentato la sua di corsa per la Casa Bianca, oggi però le sottolineature di fonti di stampa hanno effetto amplificato dopo che per l’intera campagna elettorale Donald Trump e il suo fronte si sono scagliati contro la Clinton Foundation e i dubbi sulla sua lista di donatori, presentato come limite insormontabile per la credibilità della rivale democratica Hillary Clinton poi sconfitta. Ma anche la promessa di smantellare quelle zone grigie in cui a Washington si incontrano politica e grandi interessi rappresentati da un esercito di lobbisti.

L”organigramma” con focus sulla politica Estera e di Sicurezza nazionale della nuova Casa Bianca emerge quindi al centro di una lotta intestina che rischia di rallentare oltre il dovuto il processo di transizione verso l’insediamento il prossimo 20 gennaio. Fonti parlando di stallo e confusione conclamata, il cui simbolo oggi è il ritiro dalla transition team (secondo alcuni è stato scaricato) di Mike Rogers, ex deputato che ha presieduto la commissione della Camera sull’intelligence.

Nei giorni scorsi Chris Christie era stato messo da parte e l’impresa era stata affidata al vicepresidente eletto Mike Pence con lo sguardo a Washington, ma non basta. Tra i fedelissimi risulta escluso anche Ben Carson, che dice di non volere un posto nell’amministrazione per mancanza di esperienza a livello governativo, sembra tuttavia che nessuna proposta in quel senso era comunque arrivata. Nel limbo al momento resta anche Kellyanne Conway, l’ultima dei diversi responsabili della campagna elettorale cambiati da Trump durante la corsa (tra questi Corey Lewandoski sul quale pare ci sia addirittura un esplicito veto).

Intanto su Capitol Hill il cielo si rasserena, almeno apparentemente, con le nuvole squarciate dalla conferma di Paul Ryan per la nomina ad un secondo mandato da Speaker della Camera. Lo hanno votato all’unanimità i deputati repubblicani e la conferma è attesa a gennaio con il voto dell’intera aula. Il dado però è tratto per Ryan, pronto ad essere lo Speaker dell’era Trump e l”unificatore”. Lo ha confermato lui stesso oggi nella sua prima uscita dopo l’elezione del tycoon, affermando: “Benvenuti all’alba di un nuovo governo repubblicano unito”.
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Donald Trump, “social network determinanti per la mia vittoria”. Userà Twitter anche da presidente, “ma sarò misurato”

Donald Trump continuerà ad usare Twitter anche quando si insedierà alla Casa Bianca come presidente degli Stati Uniti, ma “sarò molto misurato”. Lo afferma il presidente eletto in un’intervista alla Cbs che andrà in onda oggi.

Durante la campagna elettorale il tycoon ha usato Twitter come un’arma offensiva elettoralmente molto efficace ma politicamente controversa, ricorrendo spesso a dichiarazioni forti e provocatorie. Il New York Times ha scritto pochi giorni prima delle elezioni che il suo staff riteneva controproducente l’uso che Donald Trump faceva del suo account Twitter al punto da sottrargli la gestione. Trump oggi può però affermare che i social media sono una “moderna forma di comunicazione” che ha svolto un ruolo chiave nella sua vittoria elettorale.

Trump dice che Twitter, Facebook e Instagram, con un combinato di 28 milioni di followers, lo hanno aiutato a vincere le primarie prima e le elezioni generali poi, malgrado i suoi rivali avessero “speso molti più soldi di me”. “Ho vinto – dice ancora Trump – e penso che i social network abbiamo più potere dei soldi che gli altri hanno speso, penso in una certa misura di averlo dimostrato”.

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Trump-Europa, niente luna di miele. Juncker: “Equilibri a rischio”. Obama avvertito dallo staff di Donald: non persegua sua agenda in politica estera

I due presidenti dell’Unione Europea, Donald Tusk e Jean Claude Juncker, hanno provato a usare ‘le buone maniere’ con Donald Trump il giorno dell’elezione alla Casa Bianca. Gli hanno scritto una lettera di congratulazioni, invitandolo a un vertice Usa-Ue al più presto. Nessuna risposta. Anzi, come prima mossa politica del suo mandato che ancora non è iniziato ufficialmente, Trump ha chiamato la premier britannica Theresa May invitandola a Washington “soon”. Il magnate Trump chiama Brexit per un’inedita alleanza di ‘nazionalismi pur internazionali’. A Bruxelles, ancora impegnata a gestire (o meglio subire) la partita post Brexit, è scattato l’allarme. E il fumantino Juncker si è accollato il compito di attaccare, di dire ciò che i preoccupatissimi capi di Stato e di governo europei non possono dire a Trump per motivi diplomatici. Finita la fase del fairplay con il nuovo presidente degli Usa.

Parlando agli studenti della Corte di Giustizia del Lussemburgo, in una conferenza su ‘I costruttori dell’Europa’, Juncker non usa mezzi termini. “E’ vero che l’elezione di Trump comporta dei rischi di vedere gli equilibri intercontinentali disturbati sui fondamentali e sulla struttura”, stabilisce. Il presidente della Commissione non si concede nemmeno il beneficio dell’attesa: aspettare per vedere se gli annunci di campagna elettorale rispecchieranno le azioni di Trump. “Ho una lunga vita politica – dice – ho lavorato con quattro presidenti Usa e ho constatato che tutto quello che si dice in campagna elettorale è vero un pò per tutti purtroppo”.

E ancora: “Gli americani in generale non prestano attenzione all’Europa. Trump ha detto in campagna elettorale che il Belgio è un villaggio da qualche parte nel nostro continente… In breve dobbiamo spiegare cos’è l’Europa. La mia idea francamente? Con Trump perderemo due anni, il tempo che impiegherà per fare il giro del mondo che non conosce”. E poi: Trump “ha delle attitudini nei confronti dei migranti e degli statunitensi non bianchi che non rispettano le convinzioni e i sentimenti europei”.

Pesante. Dichiarazioni incendiarie che gettano benzina sul fuoco peraltro già acceso da Trump dall’altra parte dell’oceano. Oggi il presidente neoeletto ha avuto il ‘buon gusto’ di avvertire Barack Obama a “non compiere passi rilevanti”, nella sua prossima visita in Europa. Il presidente uscente infatti è atteso venerdì prossimo a Berlino, per un vertice con Angela Merkel, Francois Hollande, Theresa May, il premier italiano Matteo Renzi, lo spagnolo Mariano Rajoy. Il rischio per Trump è di “mandare segnali contrastanti”, dice una fonte vicina al tycoon parlando al sito ‘Politico’. “Sulle questioni grandi, trasformative in cui il presidente Obama e il presidente eletto Trump non sono allineati, non penso che sia nello spirito della transizione tentare di far passare punti dell’agenda contrari alle posizioni” di Trump, è l’avvertimento.

Con Trump alla Casa Bianca tutto cambia nelle relazioni transatlantiche, a ritmo forsennato, con l’Europa sull’orlo di una crisi di nervi. Preoccupata per il disinteresse del nuovo presidente per i confini baltici, l’Ucraina, i paesi ex sovietici ora nell’Ue e il suo interesse invece a stabilire relazioni solide con Vladimir Putin. L’Ue rischia di essere al minimo ininfluente nei nuovi equilibri mondiali, messa in difficoltà dal rapporto privilegiato della nuova Casa Bianca con i britannici, cioè coloro che con la Brexit hanno concluso il primo atto di una crisi già avviata. Una Unione che annaspa nelle sue divisioni, la crisi dei migranti, il peso di un rapporto privilegiato tra Washington e Mosca rischia di opprimerla.

Di questo parla Juncker nel suo attacco che supera le cautele del capi di Stato e di governo. Merkel e anche Hollande hanno avuto il loro primo approccio telefonico con Trump soltanto oggi, dopo Matteo Renzi che ci ha parlato ieri sera. A sottolineare che persino il ruolo della Germania e della Francia, l’asse storico franco-tedesco che è da sempre cuore dell’Ue, viene ridimensionato da ‘The Donald’, schiacciato. La Cancelliera gli ha promesso “collaborazione” sulla base dei rapporti tradizionalmente molto buoni e amichevoli fra i due paesi”, ha detto il viceportavoce del governo, Georg Streiter, e l’ha invitato in Germania “al più tardi per il vertice del G20 dell’anno prossimo”. Pure Hollande si è mantenuto su canali diplomatici: 7-8 minuti di colloquio, “volontà di lavorare insieme”.

Ma intanto venerdì a Berlino sia Merkel che Hollande saluteranno Obama, per il suo ultimo viaggio presidenziale. E ci saranno anche Renzi, Rajoy e May. Rischia di essere la foto dei ‘rottamati’ da Trump, se non fosse per la presenza della premier britannica. Comunque vada sarà la foto di un passato asfaltato dall’ascesa politica e istituzionale del miliardario americano.
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